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    Predefinito Rif: Za dom spremni! Ante Pavelic e gli Ustascia croati









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    Predefinito Rif: Za dom spremni! Ante Pavelic e gli Ustascia croati

    Manifestazione partito croato del diritto (HOS) - Zagabria




  3. #23
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    Predefinito Rif: Za dom spremni! Ante Pavelic e gli Ustascia croati

    Non ne so molto su di loro...
    Qualcuno mi erudisce?

  4. #24
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    Predefinito Re: Za dom spremni! Ante Pavelic e gli Ustascia croati

    Ante Pavelich, l’Ustacha e il sogno nazionalista croato – Valerio Ferri


    Antonie “Ante” Pavelic nasce nel 1889 a Bradina, una cittadina a sud di Sarajevo, allora nel vasto Impero austro-ungarico, studia in una scuola elementare musulmana e poi in un collegio gesuita, comincia ad interessarsi di politica a Zagabria durante i suoi studi universitari di Diritto avvicinandosi alle idee indipendentiste. Nonostante la sopportabile disciplina del governo di Vienna, in Croazia era diffuso il desiderio di poter vivere in una nazione sovrana. Allo scoppio della Prima Guerra mondiale, Ante Pavelic, è chiamato alle armi e inquadrato nel reggimento croato dell’esercito Imperiale. La fine della Grande Guerra segnò profondamente la geografia europea: nei Balcani sorse il regno serbo-croato-sloveno. In questo nuovo scenario ogni movimento politico di tendenza autonomista era soffocato. Le prime esecuzioni di dissidenti avvennero a Zagabria nel dicembre del 1918. La repressione non era solo quella della polizia e dell’esercito ma anche quella dei terroristi Cetnici e dei sicari della “Mano Bianca” ai quali era lasciato campo libero dal governo serbo. Il duro prezzo delle persecuzioni fu pagato non solo dai Croati, ma da tutti gli oppositori non importa se Bosniaci, Sloveni o Macedoni. Questo sangue, secondo l’atroce realtà secolare balcanica, dovrà essere lavato con altro sangue.

    Ustacha in serbo-croato significa “insorto”, “ribelle”. Questo nome venne assunto per la prima volta dagli oppositori croati alla dominazione Ottomana e successivamente, seguendo un filo logico, dai nazionalisti in lotta contro Alessandro I, monarca assoluto serbo. L’Ustacha da simbolo dei patrioti divenne una formazione armata insurrezionale nel 1929, con il crollo del governo parlamentare e con l’affermarsi del potere autoritario e spietato di Alessandro. Ma facciamo un passo indietro, era il 20 giugno del 1928, durante una seduta del Parlamento del Regno il deputato montenegrino Ratchitch, fedele alla Corte reale e appoggiato dagli estremisti serbi, spara a sangue freddo sui deputati dell’opposizione, uccidendo tre politici croati e ferendone altri due. L’attentato provocò una grave crisi politica: la Croazia si infiammò di manifestazioni e l’opposizione chiese una revisione dei negoziati sull’unificazione del Regno e nuove elezioni. Il 6 gennaio del 1929 il re Alessandro, non potendo rispondere in maniera democratica alle sollevazioni dei nazionalisti e alle richieste dei deputati croati, istaurò una dittatura sospendendo la Costituzione e dando vita al Regno di Jugoslavia con l’obbiettivo di sopprimere ogni diversità etnica e culturale nei Balcani.

    Noto avvocato, deputato a Zagabria a 40 anni Ante Pavelic decide di reagire con la forza alla tirannide. La polizia e i servizi segreti di Belgrado già lo consideravano un pericoloso difensore di repubblicani e nazionalisti croati, macedoni e bosniaci, ma soprattutto un possibile ‘’collante’’ tra i vari gruppi ribelli dei Balcani, per via della sua influenza e della sua fama. Con la presa di potere da parte di 2828e3a9d2521f0b590b37b84f8a2270Alessandro si moltiplicano gli arresti dei dissidenti. Pavelic non aspetta le manette, il 7 gennaio del 1929 annuncia la creazione dell’Ustacha e fugge a Vienna, dove continua la sua attività politica e di reclutamento. Ora è il Poglavnik, capo assoluto dell’Ustacha. Viene condannato a morte in contumacia. Si reca a Sofia dove entra in contatto con Mikailoff, conosciuto col nome di “Tigre dei Karpazi”, capo di un vero e proprio esercito criminale balcanico, molti uomini della “Tigre” sono stati difesi in tribunale da Pavelich al quale vengono forniti denaro e armi, ma soprattutto un numero di aiduchi, audaci mercenari esperti di guerriglia, per addestrare i ribelli dell’Ustacha. Anche se le notizie sono poche sul movimento, l’Ustacha è subito guardato con sospetto dal governo jugoslavo e le pressioni sull’Austria spingono Vienna a decidere l’espulsione di Pavelich, che viene accolto in Italia insieme a tanti altri croati. Ufficialmente erano detenuti in “campi di raccolta”, che gli ‘’internati’’ avevano trasformato in campi di addestramento, ma godevano di estrema libertà, dell’appoggio velato del governo italiano e di un piccolo finanziamento. Veri e propri campi di addestramento militare sorgevano in Ungheria dove l’Ustacha era appoggiato dal governo nazionalista di Mikos Horty.

    Il primo obiettivo dell’Ustacha è di mandare all’altro mondo il re Alessandro I. La propaganda del movimento incita continuamente al regicidio con parole infuocate. Il primo attentato avviene a Zagabria nel 1933. Il re si recherà nella capitale croata in occasione dell’anniversario dell’assorbimento della Croazia nel regno. Il piano è di lanciare delle granate sull’auto reale e poi finire il sovrano a colpi di pistola, agiranno in due. Per una fuga di notizie i servizi segreti vengono a conoscenza degli intenti della cellula terroristica che dal primo momento capisce di essere braccata e isolata: i loro contatti non si fanno vivi. Ma l’obiettivo è quello di uccidere il re a tutti i costi. Pochi secondi prima che entrino in azione, decine di agenti in borghese sono addosso ai due croati, che cercano di reagire, sparano, uccidono un poliziotto. Saranno torturati e impiccati in segreto per azzerare lo scalpore dell’azione. Un nuovo regicidio viene programmato in Francia, dove si recherà il tiranno jugoslavo per un incontro diplomatico il 9 ottobre 1934. In un campo militare in Ungheria vengono estratti a sorte tre uomini. Nell’Ustacha l’estrazione è una regola, non si chiedono volontari, sono tutti volontari. I tre si dirigono in Treno a Zurigo con dei documenti falsi e disarmati, lì si uniscono ad altri due uomini, con un battello turistico si spostano oltre il confine francese per raggiungere Parigi, dove una giovane donna, tutt’oggi non si sa chi fosse e da dove venisse, fornisce ai croati pistole e bombe a mano. Il piano è duplice, due uomini colpiscono a Marsiglia, in caso di fallimento, entrerebbero in azione gli altri due uomini a Parigi, il quinto deve partire per raggiungere il Poglavnik a Torino. La vettura di Alessandro attraversa Marsiglia, un ustacha all’improvviso esce dalla folla, si getta sull’automobile reale e spara a brucia pelo al sovrano. Una pioggia di sciabolate e di proiettili si abbatte sull’attentatore, il suo complice non riesce a lanciare le granate per l’ondata impazzita di folla che lo travolge, morirà poco dopo in una caserma. La polizia francese reagisce duramente allo scacco dei croati mobilitando tutte le sue forze. Gli ustacha vengono arrestati insieme ad altri sospettati croati, la sorte peggiore toccherà a quanti saranno consegnati alle autorità jugoslave per interrogatori “più approfonditi”. Il re Alessandro I è morto. Subito dopo l’attentato, in Italia, Ante Pavelich e molti croati vengono arrestati, il governo di Roma adesso li tiene sotto controllo e li reputa inutili e pericolosi ma non concede l’estradizione richiesta dalla Francia.

    Dopo l’uccisione di Alessandro I era salito al trono Pietro II, appena undicenne, sotto la tutela dello zio, il principe Paolo. Il regicidio non aveva cambiato in modo sostanziale la situazione della repressione dei dissidenti, ma aveva riempito le carceri di nazionalisti e patrioti e moltiplicato le esecuzioni e le torture: una polveriera sul punto di esplodere. Nel frattempo in tutta Europa si avvertiva un clima sempre più teso, lo scoppio di un conflitto era prossimo. Il Poglavnik confidava in uno sconvolgimento internazionale che potesse mettere in crisi il regno jugoslavo.

    Era scoppiata la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1940 l’Italia era entrata in guerra e le forze tedesche avevano raggiunto le coste francesi sull’Atlantico. Il governo jugoslavo aderisce al Patto Tripartito il 25 marzo del 1941, due giorni dopo un colpo di mano fa salire al potere un gruppo di militari che si dichiara nemico dell’Asse. La Wermacht invade e occupa la Jugoslavia. La Carinzia, la Stiria e la Serbia passarono sotto il controllo del Reich, i territori della Serenissima, l’Albania e la Slovenia al governo di Roma, il Banato all’Ungheria, le zone macedoni alla Bulgaria. In questo stravolgimento la Croazia proclama la sua autonomia. Ante Pavelich, simbolo della lotta senza compromessi e del sogno nazionalista, prende le redini del paese, l’Ustacha non è più un’organizzazione clandestina ma diventa una struttura politico-militare.

    L’offensiva tedesca in Jugoslavia era stata fulminea, ma condotta in modo troppo sbrigativo: aveva messo fuori gioco il nemico, non l’aveva distrutto. Sulle montagne dell’Erzegovina un contingente serbo non fu nemmeno sfiorato dalla Wermacht. Tra quei picchi montuosi il colonnello jugoslavo Dragoliub “Draja” Mihajlovitch creò un’enclave. Draja era un militare serbo, un monarchico profondamente anticomunista e antitedesco. Chiamò la sua gente e i suoi combattenti col nome di Cetnici, dal serbo-croato ceta (banda). I cetnici erano formazioni per lo più serbe ma anche greche, bulgare e valacche che si impegnarono nel combattere i turchi e che nel 1918, con la nascita del regno jugoslavo erano diventati un’istituzione militare col compito di mantenere l’egemonia del nazionalismo serbo nel Paese. Non occorre un particolare sforzo per capire cosa suscitava il termine “Cetnici” nell’animo dei Bosniaci e dei Croati: i Cetnici sotto il re Alessandro erano gli incendiari delle chiese cattoliche, i torturatori dei dissidenti, i boia dei nazionalisti. Sicuramente Draja denominando Cetnici i suoi uomini non aveva previsto l’effetto che avrebbe provocato quel nome tra le genti balcaniche. Per i cattolici i Cetnici erano i rivali ortodossi, per i musulmani i nemici infedeli, per i Croati gli sterminatori da sterminare. Già nell’autunno del 1941 reparti dell’Ustacha entrano in azione per colpire i Cetnici, questi ultimi hanno la peggio. Lo scenario è tragico e sanguinoso, è il tipico scenario balcanico: chiese ortodosse devastate e feroci massacri di serbi. La strategia cetnica è attendista, gli Ustacha sono diventati troppo forti nello scontro diretto, è necessario aspettare, al massimo sabotare il nemico con azioni di guerriglia verso le unità musulmane inquadrate nell’esercito nazista e i patrioti croati dell’Ustacha: l’obiettivo primario, per ora, è salvaguardare la sopravvivenza biologica dei Serbi.

    Nella primavera del 1941, a Zagabria, Josip Broz “Tito” raduna clandestinamente i dirigenti del Partito Comunista Jugoslavo, getta le basi per una lotta di classe jugoslava. Tito decide di combattere i nazisti tedeschi, i fascisti italiani, i monarchici serbi e i nazionalisti croati. Con l’Operazione Barbarossa ha inizio la crociata titina per il trionfo del comunismo. I partigiani non esitano ad intraprendere una guerra del terrore. Lo storico Michel Lespart rende bene l’idea: in una segheria vengono ritrovati i corpi di alcuni esploratori dell’Ustacha presi dai partigiani, sono inchiodati ai tavoli, tagliati in due, sgozzati, mutilati, decapitati, incoronati da bossoli inflitti a colpi di martello nel cranio, trapassati da un ferro e arrostiti o sepolti vivi.

    La guerra civile balcanica oltre ai partigiani comunisti, alle bande di Cetnici e alle milizie Ustacha vede sul campo dello scontro i musulmani bosniaci che vestono l’uniforme delle SS con l’obiettivo di vendicare migliaia di loro correligionari. Alle atrocità di questa guerra etnica si sommano le torture rituali degli antichi guerrieri islamici. La testimonianza di un medico neozelandese al servizio dell’esercito britannico ci descrive una SS musulmana catturata dai partigiani jugoslavi: il prigioniero portava al collo un sacchetto contenente occhi umani cavati dalle orbite dei nemici.

    Stragi di massa, torture efferate, esecuzioni sommarie: il timbro delle tante guerre che hanno insanguinato il carnaio dei Balcani.

    I volontari dell’Ustacha vestivano uniformi del disciolto esercito jugoslavo e, materiale tedesco o italiano. Tuttiu-italy indossavano l’elmetto tedesco con la U bianca dell’Ustacha dipinta sul lato destro. La maggior parte dei volontari erano studenti, operai e contadini, ma scelsero la lotta armata anche molti uomini della Chiesa Cattolica. Dopo decenni dalla fine di quei fatti, in Croazia si ricordavano ancora i nomi di chi servì il Signore col crocifisso nella mano sinistra e la pistola in quella destra. Nel 1942 il Poglavink chiese volontari da inviare sul fronte russo, questi furono talmente tanti che fu necessaria una selezione. Vennero inquadrati nella Wermacht una brigata di frontiera croata e un battaglione bosniaco, furono creati due gruppi d’aviazione croati nella Luftwaffe dotati dei Messershmitt 90, gioielli dell’ingegneria aeronautica tedesca, volontari croati affiancarono Sloveni, Albanesi, Bosniaci, e persino Serbi nelle SS. In Russia le truppe croate fecero la loro parte, sui soldati croati piovevano bombe e proiettili, ma anche Croci di Ferro. Entrati a Stalingrado al fianco delle truppe tedesche, i volontari croati e bosniaci musulmani, accerchiati, si batterono con coraggio in quell’inferno di rovine fumanti. Il comando della V Armata tedesca gli propose, come premio per il valore dimostrato, un’evacuazione aerea, i croati rifiutarono, estrassero a sorte un gruppo che sarebbe tornato in patria per raccontare la storia di quegli uomini che non chiesero e non concessero sconti.

    Nel settembre del 1943, l’esercito italiano è allo sbando: gli Ustacha e i titini ne approfittano per fare incetta di armi e di materiale bellico, i tedeschi penetrano tra mille difficoltà in Kosovo, in Albania, in Macedonia e nel Montenegro. La guerra etnica si inasprisce, nessun carnefice e nessuna vittima, non ci sono buoni e cattivi. I nazionalisti croati vengono sepolti vivi dai titini, non pregano, recitano poesie, e le giovani comuniste condotte sul patibolo rispondono agli Ustacha cantando. Ognuno a modo suo è un eroe della propria causa.

    E’ la fine del 1944, lo scenario bellico è del tutto mutato. Mihajlovitch è fuori dalla partita, Londra e Washington lo hanno abbandonato. Ora è Tito a dialogare con gli Alleati concentrandosi sulla Jugoslavia e dimenticando le direttive di Stalin, se lo può permettere: la sua milizia partigiana ora è un vero esercito composto da più di 400 mila uomini, con artiglieria e armi pesanti. Le formazioni bosniache si sono sciolte, alcuni sono morti con la divisa delle SS, mentre gli altri sono troppo pochi e disorganizzati per continuare la loro lotta del terrore. Per Pavelic la situazione peggiora, i sovietici avanzano da Est e i Tedeschi non possono restare e presidiare i Balcani, devono far fronte ai Russi che si avvicinano alla Germania. Nonostante questo la popolazione croata continua a sognare di poter mantenere la sovranità nazionale e resta vicina al Poglavnik. La Serbia e la Jugoslavia sono in mano ai partigiani di Tito che fa valicare i suoi confini solo ad un numero esiguo, simbolico, di truppe sovietiche. Ante Pavelic capisce che non c’è più speranza di vincere, cerca di dimettersi, ma il governo di Berlino non glielo permette. Bisogna resistere, viene ordinata la mobilitazione generale per tutti i Croati.

    Il 1945 si apre con le cattive notizie sulla situazione dell’Asse. Roosevelt e Churchill cedono alle richieste di Stalin: i Balcani vengono consegnati al comunismo. A maggio Pavelic e i componenti del governo fuggono in Austria. L’Ustacha si prepara all’ultima resistenza disperata nella speranza di un intervento angloamericano. In Europa la guerra è finita, ma non in questo fazzoletto di terra, quando tutto finirà i civili croati saranno sterminati, devono scappare, i combattenti nazionalisti coprono la loro fuga verso l’Austria. Le colonne di profughi sono colpite dall’artiglieria dei partigiani titini che non si avvicinano, gli Ustacha li tengono lontani. I Croati arrivano al confine austriaco e si consegnano agli Inglesi. Ma gli ordini sono netti: gli Alleati non accettano nessuna resa dei Croati, che non possono passare il confine e raggiungere la zona sotto il controllo militare alleato, l’alternativa è consegnarsi agli uomini di Tito: donne e uomini, vecchi e bambini, civili e soldati. Arrendersi ai partigiani significherebbe gettarsi nelle braccia della morte. I titini concedono un’ora di tempo agli Ustacha per deporre le armi, allo scadere del tempo concesso i partigiani apriranno il fuoco, i gruppi armati croati si dispongono a difesa dei loro compatrioti: meglio cadere combattendo che morire torturati. Allo scadere dell’ultimatum 300mila Croati sono colpiti da una pioggia di proiettili e bombe, è una carneficina, è guerra balcanica. L’ecatombe sul confine austriaco dura per lunghe ore, passerà alla storia come il “massacro di Bliburg”. Le violenze non si fermano lì: per due giorni i soldati di Tito danno la caccia agli jugoslavi di origine tedesca di quelle zone, la pulizia etnica va avanti per due giorni. Un brutale episodio fa comprendere la situazione: circa 300 prigionieri croati vengono sotterrati fino al collo dai partigiani, l’ordine è di passare su quel campo di teste una falciatrice meccanica.

    Ante Pavelich è sparito, secondo molti è morto e con lui il sogno di una Croazia libera. Ma il Pglavnik è vivo e anche l’Ustacha, un milione di Croati erano riusciti a fuggire dall’inferno dei Balcani, non tutti avevano combattuto nei ranghi dell’Ustacha, gente povera ma tenace, ma nutrita a pane e odio per il comunismo. Pavelich era fuggito dalla Croazia grazie ai suoi rapporti con il clero cattolico, alla sua fitta rete di amicizie e ai suoi seguaci dispersi in tutto il mondo. Con il saio ‘’padre Gomez’’ attraversa l’Austria e giunge in Italia, a Roma, dove è segretamente accolto in un istituto religioso. Nel 1948 “Pablo Aranjos”, con un passaporto della Croce Rossa Internazionale, sbarca in Argentina. Il Poglavnik riprende la sua attività in nome della Croazia indipendente e sovrana, l’Ustacha ritorna un’organizzazione clandestina e terroristica. L’Ustacha riprende vita, nella Jugoslavia stessa, nell’Europa Occidentale, nel Sud America e negli Stati Uniti. I rapporti dei servizi segreti di Tito sui gruppi nazionalisti croati e sulle azioni di sabotaggio si moltiplicano. L’Ustacha fa paura al Governo jugoslavo, Le richieste di estradizione rivolte all’Argentina sono vane. Tito decide di eliminare fisicamente Pavelich. 10 aprile 1957, Buenos Aires, il Poglavnik scende da un autobus di linea affiancato da una guardia del corpo, un uomo gli si avvicina, estrae una pistola e scarica il caricatore sul capo dell’Ustacha, la fortuna assiste il croato: il sicario ha fallito, i primi quattro proiettili mancano il bersaglio gli altri due feriscono lievemente Pavelich, che viene trasportato in un ospedale in cui opera personale siriano e libanese. Ora è sotto i riflettori, e decide di ricevere i giornalisti, la voce secondo cui si trovava in Argentina ora è una certezza. La stampa si chiede quali sono i propositi futuri per Pavelich. Il croato risponde scomparendo silenziosamente dall’ospedale. Ante Pavelich giunge nella penisola iberica e lì trova ospitalità in un convento francescano di Madrid, dove il 28 dicembre 1959 muore a 70 anni.

    Il Consiglio Nazionale Croato in esilio passa sotto il comando di Andreas Hefner, uno dei fedelissimi del Poglavnik, mentre il musulmano bosniaco Branimir Jelitch, a suo tempo Console Generale di Croazia a Berlino, crea un proprio Comitato Croato Europeo: manca una strategia unitaria e una linea politica definita; ma tra i Croati resta radicata la necessità di far sapere al mondo che il sogno nazionale non è mai morto, con o senza Pavelich. Le azioni dei nazionalisti croati continuano in tutta Europa. Con l’arrivo degli anni ’70 la lotta si intensifica: una bomba distrugge una sala cinematografica a Belgrado, un aereo di linea jugoslavo viene fatto precipitare sulla Germania dell’Est, l’ambasciatore e il console jugoslavi in Svezia vengono freddati, e l’elenco sarebbe ancora lungo tra incendi, sabotaggi, omicidi e attentati. La repressione del Governo di Belgrado diventa più dura: licei e università croati sono spesso presi di mira, effettivamente sono vere e proprie fabbriche di dissidenti nazionalisti, e gli studenti periodicamente vengono arrestati. Arriva il 1980 e la morte di Tito, la Jugoslavia precipita nella crisi politica e nella bancarotta. I primi fermenti ribellistici di massa nascono in Kosovo nel 1981: i kosovari hanno fame e vogliono l’indipendenza da Belgrado. In Croazia, in Slovenia e in Bosnia salgono al potere i partiti anticomunisti, ormai il sistema comunista è crollato, la Lega dei Comunisti si è spezzettata. Passano gli anni, il Muro di Berlino crolla, l’Urss si sbriciola. Nel 1991 la Croazia si dichiara indipendente, sulle bandiere nazionali riappare lo scudo a scacchi rossi e bianchi. Ma la caduta del comunismo ha riacceso la miccia dell’odio etnico nei Balcani, l’oppressione aveva incatenato per anni le passioni nazionaliste dei popoli balcanici, quelle terre sono nuovamente bagnate dal sangue: la contesa per la Kranjna, il conflitto in Bosnia, la guerra nel Kosovo. Non ci sono le milizie croate degli Ustacha, i musulmani non combattono sotto la bandiera delle SS, le truppe di Belgrado non fanno capo a Tito, è passato più di mezzo secolo dalle lotte nazionaliste croate, ma nel cuore di quella terra martoriata scorre ancora il sangue degli Ustacha: terroristi assetati di sangue o combattenti che sognavano la libertà? Al lettore l’ardua sentenza.

    Valerio Ferri

  5. #25
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    Predefinito Re: Za dom spremni! Ante Pavelic e gli Ustascia croati

    Gli Ustascia vengono considerati da una vergogna del popolo croato.

  6. #26
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    Citazione Originariamente Scritto da ghinci Visualizza Messaggio
    Gli Ustascia vengono considerati da una vergogna del popolo croato.
    Lei e' certamente un esperto.
    Di cazzeggio, poco altro.
    "Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia"


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  7. #27
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    Predefinito Re: Za dom spremni! Ante Pavelic e gli Ustascia croati

    Citazione Originariamente Scritto da occidentale Visualizza Messaggio
    Lei e' certamente un esperto.
    Di cazzeggio, poco altro.
    Non ci sono esperti in questo forum, sto solo trasmettendo ciò che i veri esperti della Seconda Guerra Mondiale ne dicono e scrivono.

  8. #28
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    Predefinito Re: Za dom spremni! Ante Pavelic e gli Ustascia croati

    Citazione Originariamente Scritto da ghinci Visualizza Messaggio
    Non ci sono esperti in questo forum, sto solo trasmettendo ciò che i veri esperti della Seconda Guerra Mondiale ne dicono e scrivono.
    Immagino gli "esperti" cui ti riferisci...

  9. #29
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    Predefinito Re: Za dom spremni! Ante Pavelic e gli Ustascia croati

    Citazione Originariamente Scritto da Vero Socialismo Visualizza Messaggio
    Immagino gli "esperti" cui ti riferisci...
    Storici neutrali che non sono né croati né serbi.

  10. #30
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    Predefinito Re: Za dom spremni! Ante Pavelic e gli Ustascia croati

    Citazione Originariamente Scritto da ghinci Visualizza Messaggio
    Non ci sono esperti in questo forum, sto solo trasmettendo ciò che i veri esperti della Seconda Guerra Mondiale ne dicono e scrivono.
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