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:Esther:
L’esperienza di Ovidio Brignoli, medico di famiglia in provincia di Brescia
MILANO — «Dottore, lei è un incompetente, un incapace, uno stupido, non sta curando mio marito»: così la moglie al telefono. Lui, il marito, un imprenditore edile di 47 anni, si era presenta*to qualche tempo prima (proprio su pressione della consorte) all’ambulatorio del dottor Ovidio Brignoli, suo medico di famiglia, in un paese alla periferia di Brescia. L’imprenditore aveva raccontato i suoi sinto*mi in ambulatorio: un malessere che durava da tempo, stanchezza profonda, perdita di peso di una decina di chili. La visita non aveva detto mol*to e così si era passati agli esami di laboratorio. I risultati avevano segnalato una importante ridu*zione dei globuli bianchi (quelle cellule del san*gue che servono a difendere l’organismo dagli agenti infettivi, ndr). Il medico ha un sospetto, richiama il suo pa*ziente (che conosce da vent’anni) e lo interroga sulle sue abitudini sessuali. Alla fine lo convince a sottoporsi a un test per l’Hiv, il virus dell’Aids. Risultato: positivo. Appena il paziente lo sa, spari*sce. Così Brignoli gli telefona più volte e alla fine va a cercarlo a casa: lui non si fa trovare, lei, la moglie, lo accusa di nuovo: «Dottore, mio marito sta male, perché non gli dà un antibiotico?». Il medico sa qual è il problema, ma è tenuto al segreto professionale: non può parlare con nes*suno della malattia del suo paziente, né con la moglie (che potrebbe essere contagiata attraver*so rapporti sessuali non protetti) né con i due fi*gli maggiorenni (anche loro a rischio perché nel*l’ambito familiare si può trasmettere il virus at*traverso ad esempio l’uso comune di spazzolini da denti o di rasoi). Incassa i commenti della mo*glie, ma non può venire meno sia al giuramento di Ippocrate, che ha fatto appena laureato, sia a quanto prevedono il codice deontologico e la leg*ge che lo costringono a non violare la privacy del suo paziente.
PRIVACY - Obbligo alla privacy al quale, a un certo punto, viene meno con un collega, per ragioni di sicurez*za sanitaria. «Un giorno di agosto — racconta Ovidio Brignoli, che è anche vicepresidente della Società Italiana di medicina Generale (Simg) — mi telefonano da un ospedale della zona attorno a Brescia per dirmi che il mio paziente era stato ricoverato con un grave insufficienza respirato*ria e io ho informato i medici della diagnosi di Aids che avevo fatto cinque mesi prima. La situa*zione dell’imprenditore si complica poi con una meningite». Dopo un mese e mezzo, il paziente esce dal*l’ospedale: con la terapia si riprende e ricomincia a lavorare. La moglie continua a non sapere nien*te (anche se forse comincia a sospettare qualco*sa), ritorna dal medico per la ripetizione delle ri*cette con la prescrizione di farmaci antivirali dei quali il malato ha bisogno, chiede informazioni sulle condizioni del marito e Brignoli (sempre fe*dele al suo mandato di riservatezza) le chiede a sua volta: «Ma lei che cosa ne pensa?». La signo*ra non risponde, scoppia a piangere e se ne va: probabilmente ha capito, ma non vuole ammet*terlo neppure con il medico di famiglia che fre*quenta da venti anni. Anche perché in piccole re*altà locali dove tutti si conoscono è più difficile affrontare problemi come questo. La storia continua ancora. La moglie sembra consapevole, ma fa finta di non sapere e, soprat*tutto, tiene in piedi il matrimonio. L’imprendito*re grazie ai farmaci antivirali sta bene, continua a lavorare e a un certo punto ritorna dal suo medi*co: «Me lo prescriverebbe il Viagra?».
«Il paziente con l’Hiv e l’incubo del segreto professionale» - Corriere della Sera