Titolo:L’ospite e il nemico
SBN:9788811672630
Autore Raffaele Simone Collana SAGGI Casa Editrice GARZANTI
Aree tematiche Saggi Dettagli 272 pagine, Cartonato
Prezzo di questa edizione cartacea 20,00€
Raffaele Simone: la Ue diventerà quello che è geograficamente, un promontorio dell'Asia
Nei prossimi 50 anni l’Europa sarà africanizzata
di Alessandra Ricciardi
L'Europa tra 50 anni non esiterà più, sarà africanizzata». Raffaele Simone, filosofo e saggista politico, nell'ultimo suo libro edito per Garzanti, Ospite e nemico. La Grande migrazione e l'Europa, mette a nudo le tante ipocrisie e i tanti errori compiuti dalla politica italiana ed europea nella gestione dell'immigrazione. In nome di un politicamente corretto di cui si è riempita la bocca una certa classe dirigente i cui effetti non lasceranno scampo alla vecchia Europa: «Finiremo per diventare politicamente quello che siamo geograficamente: un promontorio dell'Asia».
Domanda. Perché i migranti sono ospiti e nemici?
Risposta. Ospite e nemico sono i due estremi di una scala: l'ospite è quello che abbiamo invitato e che attendiamo di poter accogliere a casa nostra, il nemico è colui che non vorremmo nei nostri paraggi, che non abbiamo invitato e di cui attendiamo di liberarci, due rappresentazioni estreme di come si può vedere e vivere l'immigrato.
D. Perché quella in atto è una grande migrazione?
R. Il fenomeno della migrazione di massa verso l'Europa è iniziato da almeno 30 anni, con le navi albanesi che arrivavano sulle coste pugliesi. Negli ultimi anni ha cambiato entità e provenienza, ora arrivano dal Medioriente e soprattutto dall'Africa. Ma il fenomeno era già evidente e accentuato negli anni 80. Malgrado ciò, né l'Europa né l'Italia non hanno fatto nulla per attrezzarsi a gestirlo.
D. Quali sono le ragioni di questa politica passiva?
R. L'emigrazione è stata vissuta sullo sfondo di un grande enorme senso di colpa storico: l'Europa si sentiva colpevole per l'imperialismo, lo schiavismo, lo sfruttamento degli altri continenti, la seconda guerra mondiale. Si scoprì così buona, mite, e si mostrò generosissima verso gli immigrati. Quando il fenomeno è esploso nel 2015, la risposta italiana ed europea è stata: lasciamoli venire tutti, è quello che ci meritiamo. Un errore clamoroso.
D. Perché un errore?
R. Per diversi motivi. Anzitutto, si era davanti a un'immigrazione di tipo assolutamente nuovo, costituita da gente che proveniva da storie e culture molto diverse dalla nostra; ma questa diversità è stata coperta sotto una coltre di ipocrisia, essendo convinti, i sostenitori dell'idea dell'Europa come colpevole dei mali della storia, che per rimediare alle proprie colpe si dovesse accettare l'ingresso di tutti.
D. Lei individua due vulnus, quello religioso e quello formativo.
R. I migranti che si stanno riversando da noi sono di religione per lo più islamica, una religione che di per sé non è affatto pacifica e che per secoli ha rappresentato l'avversario primo dell'Occidente. E questo, checché ne dicano i benpensanti, è un dato di fatto insuperabile. Come è un dato di fatto che si tratta di un'immigrazione di carattere ultraproletario, non portatrice di alcuna capacità tecnica e professionale, che così com'è non può affatto contribuire allo sviluppo economico dell'Europa, anzi.
D. Gli immigrati non sono una forza lavoro indispensabile per l'economia? Le ricordo che il precedente presidente dell'Inps, Tito Boeri, ha rivendicato anche il contributo che danno al pagamento delle pensioni degli italiani.
R. Una narrazione elaborata ad arte, supportata da argomentazioni che se analizzate cadono una dopo l'altra.
Quando parliamo dei migranti come fattore indispensabile di ricchezza, dovremmo ricordarci che moltissimi di loro restano anche per due o tre anni in attesa di conoscere la loro destinazione, e che durante quel tempo sono senza impiego, non producono alcuna ricchezza, oltre a creare risentimento presso i residenti; al contrario, consumano ricchezza visto che sono a carico dello stato.
D. Poi però ci sono quelli che si trovano un lavoro, ma anche quelli che entrano con regolari permessi e hanno un reddito.
R. L'esperienza dimostra che anche quando l'immigrazione è regolare o legale servono in media 20 anni prima che possa produrre Pil e gettito fiscale per il Paese che li ospita. Tra l'altro si tratta di lavoratori dalle ridotte capacità professionali. L'ipocrisia dominante vuole invece che siano tutti giovani preparati e pronti al lavoro, come è sostenuto a proposito dei siriani... ma non è così.
Anche i più generosi teorici dell'accoglienza finiscono per ammettere che le occupazioni a cui possono aspirare sono l'assistenza agli anziani, i lavori domestici, l'edilizia, la bassa manovalanza nelle cucine... In pratica quasi come i cinesi chiamati negli Usa a fine Ottocento per costruire le ferrovie spezzandosi la schiena. Altro che contributo al nostro sviluppo.
D. Però con le loro posizioni previdenziali contribuiranno a pagare una parte delle nostre pensioni o no?
R. Il loro è un contributo irrilevante. Se ne potrà parlare tra trent'anni se ne potrà parlare, quando anche i lavoratori immigrati invecchieranno nei nostri paesi e sarà necessario richiamare altri immigrati a lavorare da noi per pagare le loro pensioni. Le loro, non le nostre.
D. Lei demolisce anche la retorica dell'integrazione.
R. È un altro degli equivoci dei teorici dell'Europa «colpevole». Basterebbe guardare anche a quanto succede in altri paesi, come la Francia, per vedere come le comunità che si ricreano nei paesi di insediamento tendono a chiudersi in loro stesse, a rifiutare l'integrazione con il paese ospitante. Questo fenomeno, che i francesi chiamano communitaurisme, è segnalato in diversi paesi d'Europa.
D. Che relazione c'è tra forza della migrazione e fenomeno demografico?
R. Faccio un esempio. In Niger ogni donna ha circa sette figli contro la media di poco meno di due figli nella vecchia Europa. Il che significa che la popolazione nigeriana è destinata a raddoppiare nei prossimi vent'anni, passando dagli attuali 200 a 400 milioni di abitanti. Sarà il quarto paese più popoloso al mondo. E ritmi di crescita demografica intensa sono in genere di tutti i paesi africani. Questo porterà inevitabilmente a un'intensificazione dei processi migratori, sia intracontinentali che extra continentali. Questi ultimi saranno diretti in particolare verso l'Europa e soprattutto l'Italia, che insieme alla Spagna è il paese di maggiore prossimità all'Africa.
D. Che fine faranno l'Europa e l'Italia?
R. Se non si governano i flussi migratori, nel giro di 50 anni saremo demograficamente africanizzati. Credo che su questo ci sia poco da discutere. Non c'è scampo. Ma c'è un altro fattore che i governanti dovrebbero tenere presente se vogliono capire il fenomeno di cui l'Europa è investita e che rischia di segnare il nostro tramonto: da circa 30 anni il continente africano è passato sotto un pesante protettorato cinese. La Cina fa ingenti investimenti e prestiti ai paesi africani, che nessuno di questi potrà mai ripagare. Dona infrastrutture gigantesche, come la ferrovia transafricana in costruzione, e compra porti sulle coste dell'Oceano Indiano. Questo porterà a una cinesizzazione dell'Africa corrispondente all'africanizzazione dell'Europa.
D. La Cina prova a penetrare anche in Europa attraverso la cosiddetta Nuova via della seta.
R. Ha già comprato il porto del Pireo, costruisce una gigantesca ferrovia che da Pechino raggiunge Rotterdam attraversando tutta l'Asia centrale. Sulla base di questi fatti, si può prevedere che nel giro di qualche decennio l'Europa sarà stretta in una tenaglia, il cui dente superiore è la Cina, quello inferiore l'Africa. A quel punto l'Europa diventerà politicamente quello che è sempre stata geograficamente: un promontorio dell'Asia. Un disastro frutto della nostra leggerezza e inconsapevolezza.
D. La politica della chiusura dei porti del ministro dell'interno, il leghista Matteo Salvini, può essere una prima risposta?
R. Ma no! I flussi migratori sono eventi fatali, uno di quelli che cambiano la storia. Ci vuol ben altro che la chiusura dei porti. Vanno gestiti con una politica generale dell'intera Europa che fissi le quote di ingresso, selezioni i migranti di cui i diversi paesi possono avere bisogno, respinga gli indesiderati e soprattutto crei formule di cooperazione che permettano ai paesi di origine di svilupparsi e offrire ai propri ragazzi le opportunità di cui hanno bisogno. Molti dei giovani che giungono da noi potrebbero pur nella loro povertà essere una risorsa per il loro paese. Ma non vedo in giro nessuna consapevolezza di quanto sta accadendo e di quale sarà l'esito finale per l'Europa. Si preferisce continuare con il politicamente corretto, con le solite retoriche del siamo tutti emigranti e tutti meticci, dell'Europa che sarà salvata dall'immigrazione.
D. Il suo libro è uscito a novembre scorso, ho fatto fatica a trovare una recensione.
R. È vero, è finito sotto una coltre di silenzio, suppongo perché propone analisi su un terreno in cui predominano invece le risposte istintive e soprattutto una quantità di cose che «non si possono dire», a cominciare dalla critica delle retoriche che mostrano l'immigrazione come inevitabile e salutare. Ma uscirà a breve in vari paesi, anzitutto in Francia edito da Gallimard. Non hanno paura i francesi di leggere anche cose scomode.
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