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  1. #1
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    Predefinito Cosa ne pensate del principio del distribuzionismo?

    Il distributismo, noto anche come distribuzionismo, è una filosofia economica formulata da alcuni pensatori quali Gilbert Keith Chesterton, padre Vincent McNabb e Hilaire Belloc per applicare quei principi di dottrina sociale della Chiesa cattolica che affondano le proprie radici nell'esperienza benedettina (ora et labora) ed espressi modernamente nella dottrina di papa Leone XIII contenuta nell'enciclica Rerum Novarum[1] e ulteriormente sviluppati da papa Pio XI nell'enciclica Quadragesimo Anno.[2] Secondo il distributismo, la proprietà dei mezzi di produzione deve essere ripartita nel modo più ampio possibile fra la popolazione generale, piuttosto che essere centralizzata sotto il controllo dello stato (nel socialismo) o di pochi privati facoltosi (nel capitalismo). Una sintesi del distributismo si trova nel postulato di Chesterton «Troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti».[3]

    In sostanza, il distributismo si distingue per la sua idea di distribuzione dei beni e dei mezzi di sostentamento, prima fra tutti la proprietà della casa. Il distributismo sostiene che, mentre il socialismo non permette alle persone di possedere proprietà (che sono sotto il controllo dello stato o del comune), e il capitalismo permette a pochi di possedere (come inevitabile risultato di competizione meritocratica), il distributismo cerca di consentire che la maggior parte delle persone diventino i proprietari dei mezzi di produzione e della propria casa. Come Hilaire Belloc stabilì, lo "stato distributivo" (lo stato che ha attuato il distributismo) contiene "un agglomerato di famiglie di diversa ricchezza, ma di gran lunga il maggior numero di proprietari dei mezzi di produzione".[4] Questa più ampia distribuzione non si estende a tutti i beni, ma solo a mezzi di produzione e di lavoro, la proprietà che produce ricchezza, cioè, le cose necessarie per l'uomo per sopravvivere. Esso include terra, strumenti, ecc. Ma anche la casa, fondamentale per la vita stessa dell'uomo e della famiglia.[4]

    Il distributismo è stato spesso descritto come una terza via alternativa a socialismo e capitalismo. Tuttavia, alcuni l'hanno visto più come un'aspirazione, visto che è stato realizzato con successo solo a breve termine e localmente a favore dei principi di sussidiarietà e solidarietà (questi raggiunti in cooperative locali finanziariamente indipendenti). Essi sostengono che in futuro il lavoro salariato sarà visto così come oggi viene visto lo schiavismo.

    Storia
    L'articolazione delle idee distributiste era basato sugli insegnamenti papali del XIX e XX secolo, che inizia con papa Leone XIII Rerum Novarum. Nel 1930 negli Stati Uniti, in tempi di recessione e conseguente critica al capitalismo, il distributismo è stato trattato in numerosi saggi di Chesterton, Belloc e altri in L'America si modifica, pubblicato a cura di Seward Collins. Cardine tra Chesterton e Belloc le altre opere in materia che includono nel distributismo Lo Stato Servile[5] e Schema di Sanity.[6]

    Il pensiero distributista è stato successivamente adottato dal Movimento dei lavoratori cattolici, congiuntamente con il pensiero di Dorothy Day e Peter Maurin, nella loro localizzata e indipendente comunità. Ha anche influenzato il pensiero del Movimento di Antigone, che attuò cooperative e altre misure di aiuto agli operai disoccupati nel Canada. La sua attuazione pratica in loco sotto forma di cooperative è stato recentemente documentato da Race Mathews nel Il nostro lavoro.

    Teoria economica
    La proprietà privata
    Con questo sistema, la maggior parte delle persone sarebbe in grado di guadagnarsi da vivere senza dover contare su l'uso della proprietà altrui. Esempi di persone che si guadagnano da vivere in questo modo sarebbe gli agricoltori che possiedono la loro terra e le relative macchine (oppure in consorzio con altri agricoltori); gli idraulici che possiedono i loro strumenti; gli sviluppatori di software che possiedono il loro computer, ecc. L'approccio "cooperativo" anticipa al di là di questa prospettiva di riconoscere che tali beni e le attrezzature possono essere "co-proprietà" di comunità locali più grandi di una famiglia, ad esempio, partner in un business oppure in un consorzio, pur sempre permanendo in una forma di indipendenza aziendale.

    Corporazioni
    Il tipo di ordine economico previsto dai primi pensatori distributisti comporterebbe il riferirsi a una sorta di sistema corporativo. Difatti l'attuale esistenza di sindacati non costituisce una realizzazione di questo aspetto del distributismo, perché i sindacati sono organizzati allo scopo di promuovere gli interessi di classe, mentre nelle corporazioni "classiche" sono mescolati datori di lavoro e lavoratori dipendenti, teoricamente collaborando per il reciproco vantaggio.

    Banche
    Il distributismo favorisce l'eliminazione dell'attuale sistema bancario, o in ogni caso, la sua rielaborazione. Ciò non ne comporta la nazionalizzazione, ma necessariamente la partecipazione alle necessità del governo, ad esempio tramite accordi fiscali finalizzati all'incentivazione della fiducia delle banche nei confronti dei creditori fruitori del "credito sociale" e dello sviluppo della fiscalità monetaria.

    Teoria sociale
    In breve
    La teoria distributista concorda in parte con la scuola raffiana e geselliana mentre è in totale disaccordo con quella marxista. Secondo la teoria distributista il valore delle merci è si condizionato dalla quantità di moneta circolante, ma influenzato dalla sua distribuzione. Ovvero è consapevole che in un'economia di tipo liberalcapitalista siano le differenze a fare i prezzi e ad adeguare ogni valore alla sua possibilità di accesso a livello piramidale. Ma proprio sulla base di ciò sostiene che se la "piramide" venisse "spianata" varierebbe solo di poco il valore intrinseco iniziale e finale delle merci, in quanto non è il mercato il punto centrale, ma la produzione. Ovverosia il valore delle merci si adeguerebbe alle mutate condizioni della domanda-offerta. Questo non comporterebbe cambiamenti sostanziali nella produzione ed alla fine nemmeno nella distribuzione, ma comporterebbe una razionalizzazione del lavoro e del sistema sociale. In quanto i prodotti creati vanno comunque distribuiti, al prezzo adeguato alle richieste di mercato. Il punto focale quindi secondo i distributisti non è il mercato ed il valore nominale delle merci, bensì la loro produzione. Per questo motivo essi auspicano un sistema sociale che preveda il capovolgimento del concetto di lavoro come "valore mercantile" in quello di "merito". Nella pratica questo significa che nessuno dovrebbe più poter utilizzare un essere umano al pari di una "merce" dotata di relativo prezzo. Ognuno invece dovrebbe essere messo nella possibilità di far valere le sue capacità, nell' interesse personale e quindi solo indirettamente nell' interesse collettivo. Cose che, secondo i distributisti, oggi non è. Secondo essi odiernamente le gerarchie sociali non sono basate sul merito e sulle capacità ma sulla furbizia, sulla prevaricazione, e sui beni ereditati.

    Nel capitalismo, un'entità produttiva è di proprietà di una persona o di una società di persone anche estranee alla produzione, mentre la produzione è affidata a lavoratori dipendenti. Nel comunismo, la proprietà è sostituita "dallo Stato" e viene gestita tramite burocrati di nomina politica. Il distributismo a differenza della collettivizzazione comunista, non prevede l'attuazione dei propri contenuti dottrinali mediante un esproprio, ma mediante una proibizione legislativa del lavoro salariato e la concessione di un credito. In modo che il padrone sia costretto di propria volontà a svendere ai propri dipendenti quote di partecipazioni, mantenendo per egli stesso una quota uguale a quella degli oramai ex-dipendenti. Per poter permettere ai dipendenti di raggiungere una cifra che accontenti entrambe le parti verrebbe emesso dallo Stato un "credito sociale" che potrà essere restituito nel corso della vita. La gerarchia e la divisione dei guadagni delle aziende verrebbe decisa elettoralmente da tutti i partecipanti all'azienda, nello stile del corporativismo e in un'ottica di meritocrazia. Il distributismo auspica possibilmente il frazionamento in tante piccole società, eventualmente consorziate in grandi aziende e riunite in corporazioni secondo specializzazione: alla fine del ciclo scolastico, alla persona che entra nel mondo del lavoro viene offerto dalle banche convenzionate allo scopo con lo Stato, un credito sociale col quale la persona potrà avviare oppure rilevare un'attività o una quota in una società da un pensionando. Tale credito potrà essere restituito nel corso della vita venendo in pratica a sostituire il pagamento delle tasse (abolite e sostituite dal sistema "credito sociale-assicurativo"). Alla fine della vita lavorativa questa persona cederà la sua attività o quota a un nuovo entrato nel mondo del lavoro, ricevendo il pagamento, da utilizzarsi come fondo pensione. Come il capitalismo, la teoria del credito sociale prevede il diritto alla proprietà privata, la libertà d' iniziativa economica, il rispetto della legge della "domanda-offerta" e della libera concorrenza.

    Tutto questo vale anche per i dipendenti dello Stato, che andranno a formare Società private le quali riceveranno gli incarichi statali dalle corporazioni e dai comuni sul modello della gara d' appalto.

    La famiglia umana
    Il distributismo vede la famiglia come la principale unità sociale di ordine umano e la principale unità di un funzionamento distributista. Questa unità è anche la base di una famiglia estesa multi-generazionale, che è incorporato in socialmente e geneticamente intercorrelati tra le comunità, le nazioni, ecc, e, in ultima analisi l'intera stirpe. Il sistema economico di una società dovrebbe pertanto essere concentrato soprattutto sulla fioritura di un nucleo familiare, ma non in isolamento: a livello appropriato del contesto familiare, come è destinato in linea di principio di sussidiarietà. Il distributismo riflette questa dottrina la maggior parte evidentemente di promuovere la famiglia, piuttosto che i singoli, parimenti al proprietario, cioè, il distributismo mira a garantire che la maggior parte delle famiglie, piuttosto che la maggior parte delle persone, saranno i proprietari di immobili produttivi e abitativi. La famiglia è, quindi, di vitale importanza per il nucleo stesso del distributismo.

    Sussidiarietà
    Il distributismo pone grande enfasi sul principio di sussidiarietà. Questo principio che non vale più per grandi unità (se sociale, economico, o politico) dovrebbe svolgere una funzione che può essere effettuato mediante unità più piccole. Papa Pio XI, scrisse in Quadragesimo anno: «Noto come è sbagliato a ritirarsi dal individualismo e di impegnarsi per la comunità in generale, ciò che le imprese private e l'industria sono in grado di realizzare, così, troppo è un'ingiustizia, un grave male e una perturbazione di ordine giusto che una più grande e più alto livello di organizzazione arroghi a sé funzioni che possono essere eseguiti in modo efficiente anche da organismi di piccole dimensioni reciprocamente». Quindi, qualsiasi attività di produzione (che secondo il distributismo svolge ad essere la parte più importante di qualsiasi economia) dovrebbe essere svolta dalla più piccola unità possibile. Questo aiuta a provare il fatto che secondo cui unità più piccole, delle famiglie, se possibile, dovrebbe essere il controllo dei mezzi di produzione, piuttosto che le grandi unità tipica delle economie moderne. Ovverosia in una grande fabbrica i vari reparti dovrebbero si lavorare in consorzio, ma essere ognuno una piccola azienda a se stante. In questo modo si responsabilizza maggiormente i suoi possessori-lavoratori.

    Papa Pio XI ha inoltre affermato, ancora una volta nel Quadragesimo anno, «ogni attività sociale dovrebbe della sua stessa natura a fornire aiuto ai membri del corpo sociale, e non distruggere e assorbirlo». Per evitare grandi organizzazioni private dominanti il corpo politico, il distributismo applica questo principio di sussidiarietà economico e sociale e di azione politica tramite una regolamentazione fiscale tesa a favorire le aziende con numero basso di persone.

    Società di artigiani
    Il distributismo promuove una società di artigiani e della cultura. Questo è influenzato da un accento sulle piccole imprese, la promozione della cultura locale, e favorendo la nascita di piccole imprese anche nella produzione di massa. Una società di artigiani promuove nell'ideale di distributismo l'unificazione del capitale, della proprietà, e la produzione piuttosto che ciò che il distributismo vede come un'alienazione dell'uomo causata dal lavoro.

    Sicurezza sociale
    Il distributismo è contrario agli enti di sicurezza sociale, sulla base del fatto che essi alienano ulteriormente l'uomo, facendo di lui una dipendenza rispetto allo Stato.

    Il distributismo come Dorothy Day non crede nel sistema statale di sicurezza sociale fin da quando è stato introdotto dal governo degli Stati Uniti. Questo rifiuto di questo nuovo programma è stato a causa della diretta influenza delle idee di Hilaire Belloc sul distributismo americano. Questo in quanto in un sistema sociale distributista le differenze economiche tra persone sarebbero notevolmente appianate rispetto ad oggi, e quindi ad ognuno sarebbe semplice l'accesso a proprie spese ai sistemi privati di sicurezza sociale e sanitaria tramite assicurazioni private per le spese maggiori, e di tasca propria per le minori, e tramite il risparmio per il fondo pensionistico (il quale sarebbe rimpinguato dalla refusione del credito sociale al pari di una liquidazione).

    Teoria geopolitica
    Ordine politico
    Il distributismo teoricamente non favorisce un sistema politico su un altro, può andare da democrazia a monarchia. Tuttavia come è comprensibile, i poteri forti che caratterizzano i sistemi politici ottocenteschi sono avversi al distributismo, e quindi è assai difficile immaginare applicato il distributismo in un sistema democratico, oppure liberale, oppure monarchico. Il distributismo però non supporta gli ordini politici caratterizzati da individualismo o statalismo quali il capitalismo e il comunismo. Il distributismo non supporta nemmeno l'anarchismo, ma alcuni distributisti, ad esempio Dorothy Day, sono stati anche anarchici. In quanto secondo essi l'anarchia è la base ideale del liberalcapitalismo inteso come consuetudine antropologica.

    I partiti politici
    Il distributismo non prevede la regolamentazione della vita politica tramite partiti politici o sindacati (ma non esplicitamente proibiti), ma solo tramite le Corporazioni nell'elezione piramidale (democrazia organica) di uomini capaci conosciuti di persona via via ai livelli maggiori, determinando che ad ogni elezione i votanti siano fino ad un certo numero e non oltre.

    Ossia i lavoratori votano il loro rappresentante; esso vota assieme ai rappresentanti delle altre aziende della sua corporazione della sua città per il rappresentante cittadino; esso vota assieme ai rappresentanti delle altre città della sua corporazione per il rappresentante provinciale; esso vota assieme ai rappresentanti delle altre provincie della sua corporazione per il rappresentante regionale; esso vota assieme ai rappresentanti delle altre regioni della sua corporazione per il rappresentante statale (deputato, presidente, ministro, ecc); anche ruoli intermedi (questore, prefetto, regioni, province, ministeri, ecc) vengono aboliti e sostituiti dalle corporazioni. Essi sostengono ciò equivalga all'abolizione del concetto attuale di "Stato" (per questo a volte identificati come teorie anarchiche).

    Guerra
    Il distributismo è solito utilizzare la pragmatica per determinare se una guerra deve essere combattuta o meno. Ogni opinione è personale. Sia Chesterton che Belloc si opposero all'imperialismo britannico, in generale, così come specificamente contro le guerre boere, ma sostennero il coinvolgimento britannico nella prima guerra mondiale. Nella seconda guerra mondiale, invece, i distributisti furono tendenzialmente neutrali oppure favorevoli all'Asse non potendo idealisticamente schierarsi con il capitalismo e il comunismo degli Alleati.

    https://it.wikipedia.org/wiki/Distributismo
    Ultima modifica di Giò; 31-03-21 alle 20:55 Motivo: inserimento del link

  2. #2
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    Predefinito Re: Cosa ne pensate del principio del distribuzionismo?

    Distributismo, il ritorno al sistema economico medievale

    Il distributismo è un modello economico di matrice fortemente cattolica. Fu fondato dai due scrittori H. Belloc (1870-1953), nato in Francia naturalizzato inglese, e G.K. Chesterton (1874-1936), ,scrittore inglese. La nascita del movimento distributista può essere collocata nel 1926, con la pubblicazione dell’opera di Chesterton “Il profilo della ragionevolezza”, considerata il manifesto del distributismo. Tuttavia, la nascita della teoria in sé va collocata nel 1913, con la pubblicazione de “Lo stato servile” di Belloc. Si pone in contrapposizione con i due grandi modelli economici del tempo, comunismo e capitalismo. Belloc parte dall’idea che sia il capitalismo che il comunismo portano la maggioranza a vivere nella condizione che lui chiama stato servile. In uno ad opprimere il popolo è l’élite economica, nell’altro l’élite politica. Si deve tener conto del fatto che buona parte del ragionamento parte e si fonda sull’enciclica “Rerum novarum”, promulgata nel 1891 da Leone XIII. Nel distributismo si propone un modello nel quale la maggioranza possa essere proprietaria dei mezzi di produzione, il che richiederebbe un sostanziale ritorno alla vita rurale.

    Nello “Stato servile”, Belloc osserva come, nella storia dell’uomo, lo stato servile è sempre stato presente. Afferma, poi, che l’unica impostazione in grado di contrastare questa tendenza è stata quella dell’Europa cattolica medievale. Per Belloc, il medioevo è stato l’unico momento in cui c’erano i presupposti per porre fine allo stato servile dei popoli. La chiave starebbe nel fatto che, in un sistema del genere, non esiste un vero e proprio mercato, come lo intendiamo noi oggi. Nell’ottica di Belloc si dovrebbe ritornare, nei fatti, alla condizione nella quale ogni famiglia rappresenti di per sé un’entità economica indipendente. Per dirla in termini più moderni, si parla di una decentralizzazione estrema. Perché il sistema funzioni, ovvero senza che emergano degli oppressori che facciano ripiombare la società nello stato servile, è necessaria la Fede. Belloc usa la lettera maiuscola, riferendosi alla fede cristiana-cattolica, per esaltarne l’unicità. Solo grazie alla vera fede cristiana, sostiene Belloc, si può impedire che si compiano ingiustizie. Inoltre parla della chiesa di Roma come depositaria dell’autentica verità.

    Nel distributismo il governo centrale deve svolgere la funzione di giudice, per evitare che si generino situazioni di conflitto. Ovviamente, in questa teoria, il metro di giudizio migliore è dato come la morale cristiana cattolica. Questa include, come principi fondamentali la misericordia, ovvero l’empatia, la fede nella provvidenza, ovvero un atteggiamento di base stoico, e l’obbedienza verso le leggi.

    Il modello proposto da Belloc e Chesterton è stato anche chiamato “la terza via”, in quanto vuole proporre una nuova possibile soluzione ai problemi del capitalismo maturo. Il distributismo è stato pensato come alternativa al socialismo ed al capitalismo Keynesiano. Al problema dell’ingiustizia sociale, dovuta all’eccessiva concentrazione della ricchezza, il socialismo propone di abolire la proprietà privata, o ridimensionarne drasticamente l’importanza. Questo per Belloc, e per Leone XIII, è inaccettabile. Infatti l’individuo ha bisogno della proprietà per esprimersi appieno, ovvero per essere libero. Infatti, dice Belloc, la libertà c’è quando si è indipendenti. In un sistema centralizzato come quello proposto dal socialismo, le persone sono del tutto dipendenti dallo stato. Questa condizione porta necessariamente ad una ricaduta nello stato servile. Il capitalismo Keynesiano, invece, propone un sistema fiscale nel quale le imposte siano proporzionate al reddito. In questo modo, pur mantendendo la struttura base del capitalismo, con le ricchezze concentrate nelle mani di pochi, si eviterebbe l’oppressione, garantendo l’essenziale quasi a tutti. Questi servizi pubblici farebbero sì che la massa abbia sempre un potere d’acquisto, che non deve essere usato solo per i beni di prima necessità. Mantenere stabile il potere d’acquisto, come spiega Keynes, rende il sistema capitalista più stabile, riducendone il carattere ciclico. Anche questa teoria, per Belloc, è inaccettabile in quanto, di fatto, mantiene la condizione di dipendenza ed il conseguente stato servile.

    Distribuendo la proprietà dei mezzi di produzione ed obbedendo alle leggi si andrebbe a creare, dice Belloc, l’unico contesto nel quale sia possibile abbandonare progressivamente la condizione servile. Perché un sistema del genere funzioni, nell’ottica di Belloc e Chesterston, è fondamentale il rispetto della morale cattolica, la cui depositaria è la chiesa di Roma. Tuttavia sarebbe errato considerare il distributismo una teocrazia. Potere politico e religioso sono considerati separati. Entrambi gli scrittori sosterranno che la loro teoria andasse letta dal punto di vista filosofico, anche dai laici. Comunque, è innegabile la forte componente religiosa; basti pensare che, in effetti, è impossibile accettare il distributismo senza prendere per buona la morale cattolica.

    di Cosimo Volpe

    https://www.startingfinance.com/appr...ico-medievale/
    Ultima modifica di Giò; 31-03-21 alle 20:56

  3. #3
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    Predefinito Re: Cosa ne pensate del principio del distribuzionismo?

    Distributismo: unione tra capitale e lavoro

    Il distributismo è una visione economico, sociale, politica e anche finanziaria elaborata da G.K.Chesterton, H.Belloc e padre V. McNabb a partire dall’insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa.
    Tale visione è complessa ed articolata ma in essa è possibile individuare quattro punti cardine, paradigmatici che, insieme, ne configurano l’essenza.

    Un punto è la centralità, anche economico-sociale, della famiglia naturale, composta da un uomo ed una donna uniti nel matrimonio ed aperti alla procreazione ed educazione dei figli. Un altro punto è la necessità di superare la rappresentanza partitica, restituendo quanti più poteri concreti possibili ai vari comparti socio-lavorativi presenti sui territori, aggregando le persone intorno alla propria funzione lavorativa, al di là di ogni sterile e divisiva separazione per censo o classe. Tale aggregazione, basata sul senso comune, deve avvenire secondo i criteri di partecipazione e competenza, tra loro integrati.

    Un altro punto ancora è la necessità di adottare una moneta che rispetti la natura intrinseca della moneta stessa, e quindi non nasca più, come succede oggi, come debito verso il sistema bancario dell’intero corpo sociale e non nasca più gravata da interessi. Una moneta, secondo il distributismo, per essere veramente al servizio dell’economia reale e del bene comune, non può altro che essere prodotta dai poteri politici legittimi, qualsiasi essi siano, e priva di interesse.
    Infine esiste un ulteriore punto, l’unione tra capitale e lavoro.
    Mentre tutti e tre i punti precedenti si possono trovare, magari disgiunti tra di loro, nell’opera di pensatori anche lontani dal distributismo, l’unione tra capitale e lavoro ne rappresenta invece una specificità peculiare.

    Vale la pena quindi chiarire bene cosa si intende con questo termine.
    Per unione di capitale e lavoro i fondatori del distributismo, sopra menzionati, intendevano quella condizione della società in cui la proprietà produttiva è in maniera preponderante e varia suddivisa sul territorio piuttosto che concentrata in poche mani. Chesterton, Belloc e padre McNabb, in particolare Belloc, storico di un certo peso, sapevano bene che questa situazione era quella che si era realizzata, per il confluire di una serie di variabili, nell’Inghilterra della Cristianità precedente alla razzia dei territori “comuni” e della Chiesa, che avvenne con la riforma Anglicana da parte di un ristretto numero di proprietari terrieri. Sapevano anche bene che, nel periodo in cui vivevano loro, cioè nella prima metà del secolo scorso, la tendenza in atto era diametralmente opposta, era quella indotta sia dal liberalismo sia dal social-comunismo: concentrazione della proprietà produttiva nelle mani di pochi, siano questi pochi un gruppo sempre più ristretto di capitalisti od un’élite oligarchica di burocrati statali.

    Per i distributisti questo punto – il rapporto tra capitale e lavoro – era una questione centrale e dirimente, che li portava a considerare e denunciare come sostanzialmente complementari, piuttosto che opposti, liberal-capitalismo e social-comunismo. Il social-comunismo infatti fu considerato dai distributisti come una reazione al capitalismo, ma nello stesso segno, destinata ad evolvere a brevissimo nella fase successiva, lo Stato Servile, cioè quell’alleanza tra grande Stato e grande capitale che i distributisti profetizzarono con incredibile chiaroveggenza e di cui già osservarono i segni premonitori.

    I distributisti furono cioè in grado di esplicitare ciò che nella Dottrina Sociale della Chiesa ufficiale era contenuto in maniera implicita. Finchè infatti la società non conobbe la grande crisi sociale portata dalla rivoluzione industriale, finchè cioè la concentrazione dei capitali e la loro separazione dal lavoro rimase contenuta ad una parte minoritaria della popolazione e non impresse il proprio marchio su tutte le principali attività umane, non ci fu alcun bisogno, all’interno del pensiero sociale cattolico, di teorizzare quale dovesse essere il giusto rapporto tra capitale e lavoro. Ci si illuse, all’inizio, che sarebbe bastato “convertire” i capitani d’industria ad un sano spirito evangelico, lasciando inalterato il fossato tra capitale e lavoro, e tutte le cose sarebbero andate a posto.

    La Rerum Novarum di Leone XIII del 1891 e la Quadragesimo Anno di Pio XI del 1931 aprirono la strada ad una imponente riflessione. Il contributo del pensiero distributista fu poi decisivo, a questo proposito, per chiarire, sulla base di una sana filosofia tomista, che, per per risolvere il problema, non si trattava più di “evangelizzare” i capitalisti ma di ristabilire un ordine sociale, economico e politico che era stato distrutto e che questo ristabilimento poteva avvenire solo reintroducendo un giusto rapporto tra capitale e lavoro.

    Il distributismo infatti riprende da Aristotele e San Tommaso la centralità della proprietà privata, intesa non come proprietà assoluta, cioè svincolata da qualsiasi norma di morale sociale, ma soggetta a responsabilità e collegata ai principi di sussidiarietà, solidarietà e bene comune. Approfondendo il discorso, il distributismo chiarisce il rapporto inequivocabile che esiste tra proprietà produttiva e libertà economica e politica, affermando in maniera risoluta che libertà economica e politica sono parole vuote se non accompagnate dal possesso di proprietà produttiva. Per il distributismo inoltre non può esistere vera libertà lavorativa senza possesso dei mezzi di produzione e, poiché l’aspirazione ultima dell’uomo è quella alla libertà, una libertà intesa come massima espressione delle proprie potenzialità, è sensato ritenere che qualsiasi società che miri al bene comune non può altro che puntare alla massima possibile diffusione della proprietà produttiva. Il compito dello Stato, poi, non dovrà essere quello di imporre dall’alto con la forza tale distribuzione ma di emanare una serie di leggi, prevalentemente di natura fiscale, che facilitino l’evolversi di questo processo dal basso, in modo che chiunque voglia sviluppare le sue capacità lavorative sia messo nella condizione di farlo e di ottenere in cambio il giusto, incluso l’accesso alla proprietà dei mezzi di produzione.

    Avulsi da ogni tentazione demagogica, statalista od ideologica, i distributisti ritenevano che sarebbe bastato che lo Stato avesse favorito, con un adeguato regime fiscale, lo sviluppo della piccola e media impresa familiare, del piccolo artigianato, dei piccoli esercenti locali, dei piccoli proprietari terrieri in agricoltura, dei piccoli gruppi di professionisti, contro ogni indebita tendenza alla concentrazione ed al monopolio. In questo modo, cioè con la massima possibile diffusione della proprietà produttiva, si sarebbe creata quella stabilità e prosperità economica in cui ci sarebbe sempre stato chi poteva acquistare e chi poteva produrre. É chiaro che tutto questo, in una società distributista, va accompagnato dalla creazione delle gilde o corporazioni di arti e mestieri, a cui è conferito un forte potere politico-decisionale in ogni comparto lavorativo. Ciò spiega come ciascuno dei quattro punti fondanti del distributismo sia legato inestricabilmente all’altro e tutti siano ugualmente non negoziabili.

    Come distributisti, ci rammarichiamo quindi profondamente che questa importante intuizione del pensiero distributista – la necessità di unire capitale e lavoro e puntare alla massima possibile diffusione della proprietà produttiva – sia stata abbandonata, insieme al resto della Dottrina Sociale Cattolica, dai laici cattolici impegnati in politica, a partire dal dopoguerra.

    Tale rammarico dipende non da un vano protagonismo ma dalla consapevolezza che senza riprendere questa centrale tematica, legata al senso comune ed alla ragionevolezza, ogni tentativo di risolvere i gravi problemi economici-sociali che ci attanagliano rischia di finire in un buco nell’acqua. Se non si affrontano cioè in profondità quali sono le inconsistenze concettuali che accomunano capitalismo e social-comunismo e si continua a utilizzare, quando va bene, ibridi e derivati di questi o, peggio ancora, come succede nella maggior parte dei casi, ci si perde nelle sterili scaramucce partitocratiche, mirando a campare nella totale assenza di ogni proposta di largo respiro, temo davvero che le cose non potranno migliorare.

    Non capire che l’unione tra capitale e lavoro è il punto nodale che dobbiamo implementare per uscire dalla palude in cui ci troviamo è una mancanza che tutti, cattolici e non, oggi non ci possiamo permettere.

    https://www.ricognizioni.it/distribu...tale-e-lavoro/
    Ultima modifica di Giò; 31-03-21 alle 20:56

  4. #4
    Nazbol-Ciucé
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    Predefinito Re: Cosa ne pensate del principio del distribuzionismo?

    Non l'ho mai studiato quindi non mi esprimo, dico solo che mi sembra centrata la critica rivolta al capitalismo che finisce per, se vogliamo usare un'espressione di colore, andare così tanto a destra da ritrovarsi a sinistra. Lo vediamo anche oggi nel contesto americano, in cui i social network ordinano, decidono e manovrano il dibattito pubblico, sia USA che Europeo. Sintetizzato, c'è sempre da sospettare quando il potere finisce per accentrarsi eccessivamente nelle mani di poche persone, siano queste membri della burocrazia statale, sia che siano privati enormemente facoltosi. E la ragione, in primis, è che il problema è l'eccesso di potere in sè, non il suo essere governativo o non, e in secundis, che poi i due si incontrano. In questo momento, i social network americani agiscono di comune accordo con lo Stato Profondo Usraeliano, e non in autonomia.

    Citazione Originariamente Scritto da IlWehrwolf Visualizza Messaggio
    Essi sostengono che in futuro il lavoro salariato sarà visto così come oggi viene visto lo schiavismo.

    Beh, interessante. Nel medioevo, per esempio, si definivano "servi" i salariati, mentre "liberi" l'equivalente di una partita iva attuale. Cioè i primi ricevevano una quota di compenso fissa a prescindere dalla produzione, i secondi pagavano una percentuale.
    Dicono che viaggiare sviluppa l'intelligenza. Ma si dimentica sempre di dire che l'intelligenza bisogna averla già prima.-.G. K. Chesterton

  5. #5
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    Predefinito Re: Cosa ne pensate del principio del distribuzionismo?

    Non ho il tempo di leggere tutto il post iniziale ma devo dire che Chesterton era davvero un gigante.

  6. #6
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    Predefinito Re: Cosa ne pensate del principio del distribuzionismo?

    La cosa interessante è che si supera la dicotomia capitalismo/comunismo.
    Una nota da segnalare è che i distribuzionisti erano favorevoli all'Asse.

    Guerra
    Il distributismo è solito utilizzare la pragmatica per determinare se una guerra deve essere combattuta o meno. Ogni opinione è personale. Sia Chesterton che Belloc si opposero all'imperialismo britannico, in generale, così come specificamente contro le guerre boere, ma sostennero il coinvolgimento britannico nella prima guerra mondiale. Nella seconda guerra mondiale, invece, i distributisti furono tendenzialmente neutrali oppure favorevoli all'Asse non potendo idealisticamente schierarsi con il capitalismo e il comunismo degli Alleati.

  7. #7
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    Predefinito Re: Cosa ne pensate del principio del distribuzionismo?

    Si può anche ravvisare uno sorta di "corporativismo cattolico".

  8. #8
    ___La Causa del Popolo___
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    Predefinito Re: Cosa ne pensate del principio del distribuzionismo?

    Citazione Originariamente Scritto da IlWehrwolf Visualizza Messaggio
    Si può anche ravvisare uno sorta di "corporativismo cattolico".
    Credo che alla fine di questo si tratti, e lo dico senza voler dare con questo alcun giudizio negativo o positivo.
    "L'odio per la propria Nazione è l'internazionalismo degli imbecilli"- Lenin
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    "O siamo un Popolo rivoluzionario o cesseremo di essere un popolo libero" - Niekisch

  9. #9
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    Predefinito Re: Cosa ne pensate del principio del distribuzionismo?

    terza via che considero il migliore sistema possibile.Ne imprenditore padrone ne Stato padrone ma lavoratore padrone dei propri mezzi di produzione.Purtroppo non esistono partiti che aspirano ad esso

  10. #10
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    Predefinito Re: Cosa ne pensate del principio del distribuzionismo?

    Ho votato non so, perché ritengo bellissimi i propositi del distributismo, in gran parte sono mie idee, ma al tempo stesso non è molto chiaro come lo volevano applicare tecnicamente i suoi ideologi, a parte il sistema fiscale.
    FASCISMO MESSIANICO E DISTRUTTORE. PER UN MONDIALISMO FASCISTA.

    "NELLA MIA TOMBA NON OCCORRE SCRIVERE ALCUN NOME! SE DOVRO' MORIRE, LO FARO' NEL DESERTO, IN MEZZO ALLE BATTAGLIE." Ken il Guerriero, cap. 27. fumetto.

 

 

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