Originariamente Scritto da
Giò
L'attuale legge 194 ammette nei fatti solo poche limitazioni alla possibilità di abortire: entro i primi 90 giorni della gravidanza, è permessa l'interruzione volontaria della gravidanza se il parto o la maternità o la prosecuzione della gravidanza possono comportare "un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica" (cito dal testo della legge) per la donna. Questa ovviamente sembrerebbe una limitazione non da poco. Ma se la determinazione del serio pericolo menzionato dalla legge in relazione alla salute fisica è relativamente facile o comunque lascia pochi margini di incertezza, il problema degli ampi margini concessi emerge nella valutazione della "salute psichica". Tale serio pericolo viene infatti valutato in relazione alle "condizioni economiche, o sociali o familiari" della donna o "alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento" (cosa potenzialmente estendibile, e di fatto estesa, ben al di là del caso di gravidanza conseguente a violenza sessuale). Il che rende un'apparente limitazione priva di sostanziale efficacia. Motivo per cui, entro il termine dei novanta giorni, abortiscono tutte le richiedenti senza alcun problema legale e, se non lo fanno, è solo perché magari trovano qualche anima pia nei consultori che persuade la donna che vorrebbe abortire a non farlo e a considerare altre opzioni. Limiti più stringenti effettivamente vi sono nel caso in cui vengano superati i 90 giorni. Però non è esatto dire che in Italia c'è un divieto d'aborto salvo quelle eccezioni menzionate. Detto questo, ricordati della finestra di Overton: le forze della sovversione fanno sempre così, volutamente o meno. Prima introducono piccoli cambiamenti che sembrano "ragionevoli" o dettati da particolari necessità del momento, poi aspettano il momento opportuno per radicalizzare i cambiamenti precedentemente introdotti e così via fino ad arrivare a conseguenze sempre più estreme. In altri paesi più secolarizzati e liberali del nostro è un film che è già stato visto e che, col tempo, noi rischiamo di subire, se non porremo un argine.
Gli aborti clandestini prima dell'approvazione della legge 194 non erano così tanti come la propaganda abortista ha voluto far credere all'epoca. Anzi, il fatto che gli aborti non fossero permessi e che per interrompere la gravidanza fosse necessario correre dei rischi sia personali e fisici che legali era sicuramente un disincentivo all'interruzione volontaria della gravidanza.
Inoltre, detto sinceramente, non vedo perché lo Stato debba tutelare una persona che, pur con tutte le attenuanti del caso, decide di eliminare fisicamente la vita di un innocente e, nello specifico, del proprio stesso figlio. Certamente posso avere più comprensione per una donna che decide di abortire in seguito ad uno stupro che per una donna che abortisce semplicemente perché ha avuto rapporti sessuali occasionali con disinvoltura, ma il tasto dolente è sempre lo stesso: permettere l'eliminazione fisica del concepito o, comunque, interrompere un processo che porta oggettivamente, naturalmente e spontaneamente, salvo complicazioni non volute o non previste, alla nascita di un bambino fatto e finito. Se domani ammettissimo l'aborto solo in limitati e circoscritti casi faremmo dei passi avanti notevoli, ma solo perché oggi abbiamo una legislazione troppo permissiva (ed altrove è pure peggio). Nel caso del divorzio, sono d'accordo sul fatto che si debba avere un particolare riguardo per tutti i casi in cui la convivenza fra i coniugi diventa impossibile e possiamo fare - come dicevo anche prima - tutte le leggi che vogliamo per tutelare i figli della coppia in crisi, soprattutto se minorenni. Però perché serve proprio lasciare la possibilità di risposarsi, soprattutto se si ha contratto matrimonio religioso e non meramente civile? Una risposta positiva a questa domanda è solo ammissibile in una logica liberale ed individualista che vede il matrimonio solo o principalmente nella sua dimensione contrattualista o, cosa per certi versi persino peggiore, sotto una luce puramente sentimentalistica, che confonde l'amore coniugale e famigliare con l'inevitabile mutevolezza dei sentimenti e delle emozioni dei coniugi nel tempo. Se ammettiamo, anche solo per un tratto, la logica dell'individualismo liberale in ciò che ha di falso e pernicioso, permettiamo alla finestra di Overton di aprirsi.
Perché ciò (mi riferisco alla tua prima affermazione) non fa che generare il caos: se un matrimonio contratto validamente e legittimamente è potenzialmente revocabile, allora dove finisce la stabilità famigliare e coniugale necessaria sia all'educazione della prole che all'aiuto reciproco che devono darsi i coniugi, ciascuno ovviamente nel proprio ruolo? Una quota di matrimoni "falliti" purtroppo è inevitabile che ci sia perché siamo esseri umani tutt'altro che infallibili, ma in una società forte, coesa, consapevole dei principi che professa, solidale (nel senso migliore del termine) ed attaccata alle proprie tradizioni questa quota tende ad essere minima o addirittura irrilevante. Quanti matrimoni male assortiti in passato riuscivano ad andare avanti grazie alla consapevolezza di entrambi i coniugi di avere dei doveri da compiere e di dover restare fedeli alla parola data davanti a Dio e alla propria comunità? È chiaro che oggi, con la leggerezza con la quale certe persone si sposano, tornare ex abrupto al passato potrebbe avere effetti ulteriormente deleteri (infatti, io sarei e sono per un approccio graduale). Ma il problema è cambiare la mentalità imperante, opporsi strenuamente ad essa, senza cedere o fare sconti sul piano dei principi. Se accettiamo la mentalità moderna, che è poi la mentalità della modernità figlia del protestantesimo, dell'illuminismo, del liberalismo e del razionalismo occidentale, anche solo per un lato, come possiamo pretendere poi di combatterla senza scadere prima o poi in palesi contraddizioni?
Non ho capito il riferimento alla Corea del Nord, però se vuoi sviluppa pure il ragionamento.
Qualcosa sarebbe cambiato? Sì, ma tutto dipende da "cosa" sarebbe cambiato. Gli usi ed i costumi di un popolo possono mutare nel tempo e, in una certa misura, è giusto che sia così. Il problema però è quando il progresso si emancipa dalla tradizione e dall'ordine morale oggettivo, decidendo di andare per conto suo, indipendentemente dal resto: questo è stato ed è uno dei drammi degli ultimi 400 anni di storia, soprattutto se prendiamo in considerazione gli ultimi due secoli. Se ammettiamo che la morale può legittimamente cambiare col mutare dei tempi perché non esiste una verità alla quale dobbiamo aderire, come facciamo poi a dire che l'illimitatezza dei diritti individuali è un errore?
p.s.: scusa la lunghezza delle risposte, spero che non ti renda poco agevole la replica.