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Discussione: L'altro Hitler

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    L'altro Hitler

    Indice

    La vicenda del quadro regalato a Hoffmann: il ladro giudica legittimo il furto - August Kubizek "Adolf Hitler, main Yugendfreund" - Un amore giovanile: Stefanie - La passione per la musica: Wagner " Das Reich" Gli anni di Vienna - L'opera Wieland il fabbro, libretto e musica di Adolf Hitler - Il periodo 1935-1945 nel libro Bis zum Ende (Fino alla fine) di Heinz Linge Gli attentati del 1939 e del 1944 Alcuni aneddoti - Conclusione

    ---

    Nella foto il Cancelliere del Reich Adolf Hitler durante la cena del Solstizio d'Inverno,data non identificata.waa

    In data 10 maggio 2001 compare sulla International Herald Tribune un articolo dal titolo Sull'arte di Hitler la guerra continua. Il pezzo è accompagnato dalla fotografia di un acquerello del Führer L'antico cortile - Monaco (1) da lui regalato all'amico e fotografo ufficiale Heinrich Hoffmann nel 1936.

    Riassumiamo brevemente le vicende storico-giudiziarie di quel quadro. Nascosto da Hoffmann per sottrarlo ai saccheggi dei «liberatori» viene però rintracciato e sequestrato dagli americani che se lo portano oltreoceano assieme ad altre innumerevoli opere d'arte razziate in Germania. Opere che, secondo una recente delibera del giudice ebreo Jeffrey Axelrad, devono tutte rimanere a Washington. La sottigliezza del pensiero giuridico anglo-giudaico emerge con chiarezza dalle motivazioni della sentenza: il bottino deve restare qui da noi «because we won the war» (perché abbiamo vinto la guerra).

    Appare opportuno segnalare in tale contesto che altre opere d'arte, regolarmente acquistate a Parigi negli anni '40-'43 da collezionisti tedeschi, sono oggi rivendicate da quegli stessi galleristi ebrei che da New York gestivano i loro affari nell'Europa occupata, ed avevano espressamente autorizzato le vendite incriminate. Siamo chiaramente nel filone delle intimidazioni ricattatorie cui da anni sono sottoposte assicurazioni, banche, imprese tedesche e svizzere con richieste di risarcimenti miliardari, come anche denunciato dallo scrittore ebreo Finkelstein nel suo notissimo libro L'industria dell'Olocausto.

    Ma torniamo al quadro di Hoffmann. Uscito di prigione nel 1950 dopo aver scontato i cinque anni che gli erano stati inflitti perché era stato il fotografo di Hitler, Hoffmann cercò di recuperare quanto gli era stato illegalmente sottratto. Ogni azione si rivelò però inutile.

    Alla sua morte, nel 1957, la battaglia fu ripresa dalla figlia Henrietta, la quale, nella speranza che un cittadino americano potesse avere maggiori probabilità di ottenere giustizia da una corte americana che non la figlia del fotografo di Hitler, prese contatto nel 1982 con un ricco collezionista americano, Billy F. Price, al quale cedette la proprietà del quadro.

    Billy F. Price è oggi l'autore di un libro che raccoglie centinaia di dipinti, acquerelli e disegni di Hitler, intitolato Adolf Hitler, the Unknown Artist (A. Hitler, L'Artista Sconosciuto). La povera Henrietta morì nel 1992 senza ottenere nulla. Il signor Price continua invece la sua battaglia legale ed ha presentato ricorso contro l'ennesima e più recente delibera del giudice Axelrad, il quale ha confermato che, pur non appartenendo il quadro al Terzo Reich, bensì al privato cittadino Price, l'opera deve considerarsi «preda bellica» e pertanto rimanere a Washington. Né può essere esibita. Già, perché il quadro è tenuto nascosto e deve restare nascosto, così dice il sottotitolo della International Herald Tribune. La sentenza, infatti, non solo stabilisce che gli Stati Uniti non restituiranno le opere di Hitler per motivi politici, ma che il quadro non può essere neppure mostrato perché potrebbe influenzare il giudizio dell'opinione pubblica su Hitler.

    Le ragioni dell'atteggiamento di Washington per perpetuare il sequestro del quadro ci vengono illustrate, nello stesso articolo, dalla signora Sybil Milton-jew.jpgSybil Milton (foto), esponente ebraica, ed esperta di «Olocausto». Essa dichiara che «tutti i quadri, fotografie ed oggetti che mostrano Hitler come individuo normale ed inoffensivo non devono essere esposti o commercializzati perché potrebbero distogliere il pubblico dagli orrori e dalla brutalità dei nazisti», ossia rischierebbero di fare diminuire l'odio (heatred) contro Hitler! Il rimettere in circolazione quell'innocente quadro, dipinto da uno squattrinato pittore all'inizio del secolo scorso, configurerebbe insomma l'imperdonabile delitto di leso «Olocausto».

    L'inesausta campagna giudaica tesa a creare complessi di colpa e ad introvertere il senso e la logica della giustizia al servizio di avide richieste economiche, mostra chiara, col suo isterico accanimento, la sottostante linea d'azione: lo scopo è quello di impedire l'emergere di qualsiasi elemento utile e necessario ad un giudizio storico sereno e obbiettivo.

    Occorre reagire a questa censura che si prefigge di circoscrivere ed omogeneizzare le fonti col fine di trasmettere e consolidare una versione di comodo della Storia. Documenti fatti sparire, diari manipolati o tradotti in maniera distorta, testimonianze cancellate sia nei luoghi che nelle cose, sono la prova del timore e della malafede dei vincitori.

    L'ufficialità vuol mettere a tacere chiunque si rifiuti di cantare nel coro. È noto il caso degli storici revisionisti e in particolare quello dell'inglese David Irving, la cui opera e la cui persona sono state ostracizzate - come ricorda Giordano Bruno Guerri su il Giornale del 19-2-2002 - «per aver sostenuto che la figura umana del Führer era lontana da quella del pazzo depravato e criminale tramandata dai vincitori».

    Ma nel mirino dei censori, oltre alle persone, finiscono anche i mattoni e gli oggetti. E la sorte toccata all'edificio della nuova Cancelleria del Reich a Berlino e alle residenze private del Führer a Monaco e a Berchtesgaden, rase al suolo dopo il conflitto. E la sorte toccata alla divisa che Hitler indossava il 20 Luglio 1944, quando miracolosamente si salvò dal vile attentato dei generali. Questo cimelio storico, gelosamente conservato da Eva Braun, venne sequestrato e bruciato dagli occupanti americani.

    L'indagine sugli aspetti sottaciuti della vita del Führer - aspetti più strettamente umani ma assai illuminanti della sua personalità - è dunque utile perché disturba la strategia dell'avversario, ed ha per di più il vantaggio di non presentare rischi, visto che non si riferisce né alla valutazione politica della Weltanschauung nazionalsocialista, né all'argomento legislativamente protetto dell' «Olocausto».

    Considerato che la Signora Milton cade in deliquio alla semplice prospettiva che un acquerello dello studente Hitler possa essere mostrato al pubblico, e ritiene che questa vista possa mitigare l'odio che è obbligatorio provare nei confronti del suo autore, è facile immaginare il suo orrore all'idea che si sappia che Adolf Hitler fu anche un bambino, un giovane, uno studente squattrinato come milioni di altri, che abbia potuto innamorarsi, che abbia nutrito profondi sentimenti verso la propria famiglia, verso gli amici di gioventù e verso i commilitoni, che abbia infine ammirato il passato della grande tradizione germanica cercando di rinverdirne le glorie nei musicisti, negli artisti, nei soldati, negli architetti del suo tempo.

    È la conferma del preconcetto nei confronti del nazionalsocialismo e del suo Capo, è la conferma dei livelli cui possono giungere i meccanismi di controllo e manipolazione dell'opinione pubblica propri di un sistema nel quale l'idea della sovranità popolare e della libertà di giudizio sono l'ultima delle preoccupazioni.

    È tuttavia possibile aggirare questa demonizzazione e farci un'idea non distorta della personalità di Hitler attraverso le testimonianze di chi lo conobbe e, in periodi diversi della sua vita, ebbe occasione di frequentarlo con assiduità.

    Di grande utilità, in questo sforzo per ripristinare una verità umana e porre le basi per un approccio non prevenuto alle vicende storiche e politiche del nazionalsocialismo, ci sono stati alcuni testi, quali il libro (foto) di August Kubizek Adolf Hitler, mein JugendfreundBis zum Ende (Fino alla fine)adolf-hitler-mein-jugendfreund.jpg che si riferisce al periodo 1935-1945. Riferimenti saranno anche fatti al testo Hitler's personal pilot di C. G. Sweeting ed alla recentissima versione italiana del libro di David Irving, La guerra di Hitler. (Adolf Hitler, il mio amico di gioventù) che riguarda il periodo 1904-1908, e quello di Heinz Linge

    August Kubizek «Adolf Hitler, mein Jugendfreund»

    Il libro di Kubizek è una fonte di grande interesse proprio perché l'autore è profondamente sincero, spontaneo, a volte sconcertante nella sua semplicità.

    È opera biografica e non politica: Kubizek fu coetaneo e grande amico di gioventù di Hitler a Linz e a Vienna nel periodo dal 1904 al 1908 e divenne più tardi professore di musica. Nel periodo 1951-1953 Kubizek riordinò i suoi ricordi e nel 1953 pubblicò la sua testimonianza giunta ora alla sua sesta edizione tedesca. Kubizek morì il 23 ottobre 1956. Il libro è stato tradotto in inglese, francese e spagnolo e pubblicato a puntate in America; non è mai stato tradotto in italiano. Da esso fu tratto un film nel 1975 per le televisioni tedesche e austriache ZDF e ORF dal titolo Un giovanotto del quartiere dell'Inn. Kubizek condivise con Hitler negli anni dell'adolescenza il comune amore per la musica, la cui passione divorava i due studenti, poveri in canna, capaci di saltare i pasti pur di mettere insieme i soldi del biglietto che dava diritto ad un posto in piedi all'Opera di Linz. Lì potevano assistere alle rappresentazioni dei grandi compositori, in particolare di Wagner, che già da allora entusiasmavano il giovane Hitler.

    Narra Kubizek che nello spazio riservato ai «posti in piedi» vi erano due colonne che permettevano ai fortunati che le raggiungevano per primi di appoggiarvisi durante le 4-5 lunghe ore delle opere wagneriane. Gli abitué dei posti in piedi lo sapevano, e Kubizek era di quelli. Egli era rapido a farsi strada, non appena si aprivano le porte, per conquistare quella strategica posizione. Solo che da un certo periodo in poi un «posto alla colonna» era sempre più spesso già occupato da un giovane della sua età, molto pallido, modestamente ma decorosamente vestito, e comunque riservato. Kubizek prese atto con fastidio di questa presenza senza però scambiare parola con l'intruso. Finalmente una sera, durante un'intervallo, nacque attraverso un commento sullo spettacolo l'occasione per conoscersi. I due ragazzi furono d'accordo su parecchi aspetti artistici della rappresentazione e Kubizek fu impressionato dalla vivace competenza del suo interlocutore. A livello musicale però Kubizek poteva dare al giovane Hitler dei punti perché era studente di musica.

    Questo fu l'inizio di un'amicizia che doveva costare a Kubizek, circa quarant'anni dopo, 16 mesi in una prigione americana. Da allora i due ragazzi si ritrovarono spesso. Un giorno Hitler estrasse dei fogli dalla tasca e lesse a Kubizek una sua poesia. Hitler scriveva abitualmente poesie e nella sua stanzetta vi erano diversi manoscritti assieme a disegni ed acquerelli sui più disparati soggetti, ma principalmente architettonici. Kubizek poté vederli e così descrive la sua impressione: «lo capii finalmente in quale direzione della vita il mio amico era orientato. Egli apparteneva a quella specie di uomini alla quale io stesso avevo a volte sognato di appartenere in alcuni dei momenti più arditi: egli era un artista. Egli disprezzava la lotta per il denaro per dedicarsi interamente alla Poesia, al Disegno, alla Pittura e all'adorazione della Musica».

    Kubizek e Hitler si recavano a volte, nella bella stagione, alla modesta abitazione che i genitori di Kubizek possedevano vicino a Linz, nel paesino di Walding. Vicino ad essa scorreva un piccolo fiume, il Rodel, dove i ragazzi andavano a fare il bagno, un corso d'acqua insidioso a causa di correnti ed improvvisi mulinelli. Kubizek ricorda che un giorno sua madre, che non sapeva nuotare, li accompagnò al fiume. Li seguiva seduta su di uno sperone di roccia ricoperto di muschio; ad un tratto la donna scivolò in acqua, il figlio era troppo lontano per intervenire, ma Hitler non esitò a tuffarsi e poté riportare la donna a riva. Da allora nacque una profonda amicizia fra Hitler ed i genitori di Kubizek. Questa amicizia durò negli anni a venire. Nel tardo 1944, in occasione dell'ottantunesimo compleanno della madre di Kubizek, Hitler le fece pervenire in regalo un pacco di generi alimentari.

    I rapporti del giovane Hitler con i professori della scuola di Linz e con i professori in genere non erano dei migliori. Egli aveva però fin d'allora l'istinto di distinguere nella massa gli uomini di valore. Per alcuni di questi egli nutrì stima ed ammirazione per tutta la vita; uno di questi fu il professore di storia Pötsch. La geografia e la storia erano le materie preferite dal giovane Hitler. Un giorno del 1938, dopo l'Anschluss con l'Austria, Hitler si trovava a Klagenfurt e rivide per caso, dopo più di 30 anni, il professor Pötsch, che ivi trascorreva gli anni della sua pensione. Hitler interruppe i suoi impegni di Cancelliere del Reich per intrattenersi coll'anziano insegnante, restando appartato con lui per oltre un'ora. Quando uscì disse al proprio seguito: «Voi non potete avere idea di quanto io debba a questo mio vecchio professore!»

    Stefanie

    Stefanie Rabatsch.jpg

    (Stefanie Rabatsch. La donna di cui si parla.waa) Gli anni dell'adolescenza sono gli anni degli innamoramenti più struggenti e assoluti. A questo destino non poté sottrarsi neppure il giovane Adolf. Oggetto dei suoi sentimenti era una certa Stefanie, ed a Kubizek l'innamorato si apriva, pur facendosi giurare che non ne avrebbe parlato ad anima viva. Kubizek mostra nel suo libro una fotografia di Stefanie scattata in occasione della maturità nel 1906 ed un'altra in abito da ballo, ma in nessuna parte del libro ne rivela il nome. Gli storici più tenaci hanno però accertato che la giovane si sposò, ebbe dei figli e che non seppe mai di essere stata l'oggetto della bruciante passione del futuro Führer (2).

    A Linz vi era una strada, la Landstrasse, che attraversava il paese, ed era luogo di incontro dei giovani nelle sere d'estate. Si passeggiava, ci si incontrava, ci si guardava. I giovani ufficiali nelle loro divise asburgiche scintillanti e ben stirate erano i protagonisti dei più ampi saluti e sorrisi alle ragazze che, rigorosamente accompagnate dalle loro madri, a volte facevano finta di non vedere, a volte abbassavano gli occhi arrossendo, a volte rispondevano con un sorriso. Questo gioco di sguardi, saluti e sorrisi era tutto ciò che poteva capitare sulla Landstrasse di Linz. I sentimenti venivano repressi nel più profondo dell'animo dalle ferree regole della società asburgica di provincia. Eppure l'intensità di quegli sguardi poteva lasciare indelebili ricordi negli animi ancora puri e inesperti delle vicende della vita. Tali sentimenti agitavano anche l'animo del giovane Adolf. Egli scorse per la prima volta Stefanie in compagnia della madre in una tarda serata di primavera del 1906 e ne rimase folgorato. Hitler non si sottrasse alla tentazione di trasferire in versi i suoi sentimenti.

    Tali versi vennero raccolti in un quaderno nero il cui titolo era Hymnus an die Geliebte (Inno all'Amata), ma non ci sono pervenuti. Dalla fedele testimonianza di Kubizek è però noto il modello wagneriano che Hitler vedeva in Stefanie: essa era a volte la Elsa di Lohengrin, la Brunilde dell'Anello dei Nibelunghi, la Eva dei Maestri Cantori di Norimberga. Il giovane Adolf la identificava con le eroine delle saghe germaniche. Non le rivolse mai la parola, nonostante Kubizek più di una volta lo avesse incoraggiato a farlo. La ragione che Hitler adduceva era la sua vergogna di presentarsi alla madre di lei, perché non aveva un lavoro e temeva l'umiliazione di un rifiuto. Un solo episodio di fugace contatto a distanza ebbe luogo in occasione di una «sfilata di fiori», tradizionale manifestazione di Linz. Hitler e Kubizek scorgono Stefanie e la madre su uno dei carri da dove le fanciulle del paese nei costumi tradizionali solevano gettare fiori alla folla in una semplice e gioiosa atmosfera di festa. Il carro era decorato con papaveri, margherite e fiordalisi. Ad un tratto Stefanie, che forse si era accorta di quali brucianti sguardi Adolf le rivolgeva da mesi, prende un mazzo di fiordalisi e glielo getta ridendo. Hitler lo afferra al colmo dell'agitazione, che non vorrebbe dimostrare, ma che non sfugge a Kubizek.

    Wagner

    Un'altra passione visse in Hitler per tutta la vita, quella per Wagner, le cui opere erano all'epoca ancora controverse tra il grande pubblico.

    Per Hitler furono la rivelazione del mondo eroico della mitologia germanica. Egli quasi si trasfigurava quando assisteva alle opere di Wagner. Si trasportava spiritualmente nei personaggi, nei luoghi e nelle leggende di quell'atmosfera mitica.

    A volte, dopo aver assistito ad un'opera, commentandone l'esecuzione, Adolf dissertava per nottate intere con Kubizek sulla profondità e bellezza della musica e della poesia wagneriana. Kubizek osserva che, mentre nel caso della passione per Stefanie, nei confronti della quale egli non poteva essere altro che un paziente e silenzioso ascoltatore, in tema di musica Hitler lo riconosceva quale un valido interlocutore dalla cui competenza egli sapeva trarre nuovi spunti che arricchivano la loro conversazione.

    I loro rapporti si interruppero poi per più di trent'anni, durante i quali nel mondo successe di tutto. Quando in seguito ad una lettera di Kubizek al Führer nel 1938 essi si rincontrarono, Hitler subito invitò Kubizek al festival di Bayreuth, e lo accolse coi famigliari nel palco riservato al Cancelliere del Reich. Forse entrambi ricordarono in quel momento i posti in piedi e la colonna dell'Opera di Linz.

    Dopo aver reincontrato Hitler negli anni del trionfo, Kubizek scriveva: «Adolf provava sempre un'immensa emozione quando si recava a Bayreuth e rivedeva Villa Wahnfried. Egli sostava in meditazione sulla tomba di Wagner e quindi assisteva nel teatro, da lui stesso fatto costruire, alla rappresentazione delle opere del Maestro. Sebbene molti dei grandi sogni della sua vita non si siano potuti avverare, quello di creare un teatro wagneriano è stato realizzato nella sua più assoluta completezza».

    Das Reich

    «Politicamente, Gustl, sei uno sprovveduto!» così giudicava Hitler il suo amico Kubizek in fatto di politica. Il nome di Kubizek era August, ma Hitler non amava quel nome, e pertanto decise di chiamarlo Gustav che, nel diminutivo del dialetto tedesco-austriaco, diventava «Gustl». Scrive Kubizek: «Io non avevo nessuna disposizione intellettuale che mi permettesse di interessarmi, e tantomeno di capire, la politica. Ero come un sordomuto di fronte ad un'orchestra sinfonica, che scorge i movimenti, e capisce che gli orchestrali stanno suonando, ma non ne riceveva nulla. Questa mia condizione portava Hitler alla disperazione!» Kubizek doveva tuttavia ascoltare molti discorsi del diciassettenne Hitler sui temi politici che, il più delle volte, erano attacchi feroci alla situazione esistente nello stato multi-etnico degli Asburgo.

    Kubizek era soprattutto colpito da una parola, sempre ripetuta dal suo amico Adolf, «das Reich», che egli riteneva un'invenzione politica, o meglio «fanta-politica» del suo amico. Il Reich era sempre alla base dei suoi ragionamenti e delle sue aspirazioni. Ogni qualvolta non sapeva quale spiegazione dare, o non sapeva rispondere ad un certo quesito, la risposta ultimativa era «Sarà il Reich a risolvere questo problema». Quando Kubizek gli chiedeva dove si sarebbero trovati i denari per ricostruire non solo l'Opera di Linz, ma interi quartieri in città austriache e tedesche e in pratica tutta la Germania e tutta l'Austria, rispondeva con distacco «Il Reich disporrà dei mezzi necessari». Kubizek non poteva capire cosa fosse il Reich al quale Hitler si riferiva. Era d'altronde difficile immaginare nel 1906 che cosa sarebbe stato il Reich che il diciassettenne Hitler, senza concrete previsioni di lavoro, di guadagni o di una qualsiasi carriera, aveva già così chiaramente fissato nella propria mente.

    Kubizek ritiene che Hitler abbia avuto l'intuizione di ciò che sarebbe stato il Terzo Reich, in una fredda notte del Novembre 1906, dopo aver assistito - ed essersi esaltato - all'opera di Wagner Rienzi (Cola di Rienzo). Wagner paragonava l'ansia di libertà che agitava il popolo romano nel 1347 con le rivoluzioni europee del 1848. Hitler rimase sconvolto ed estasiato dal tema e dalla musica di quell'opera. Dopo la rappresentazione fecero una passeggiata più lunga del solito nella fredda notte autunnale, salendo fino in cima al colle Freienberg, dissertando sulla liberazione dei popoli germanici, con argomenti che, più che convincere, incutevano sconcerto al povero Kubizek. Finalmente raggiunsero la strada di casa. Lì Hitler si congedò e con sorpresa di Kubizek, si diresse di nuovo verso il Freienberg. Alla domanda di Kubizek su dove volesse andare rispose: «Desidero rimanere da solo». Questo episodio rimase talmente scolpito nella mente di Kubizek che quando fu ospite di Hitler e di Wahnfried Wagner a Bayreuth, lo volle ricordare al Führer. Hitler, a sua volta, rammentava perfettamente quell'esecuzione del Rienzi, la passeggiata sul Freienberg, il freddo della notte, la visione del Reich, e volle alla fine sottolineare l'evento a Wahnfried Wagner. Ad essa che ascoltava estasiata quei lontani ricordi dei due «ragazzi», disse:

    «Fu in quel momento che tutto ebbe inizio».

  2. #2
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    Predefinito Re: L'altro Hitler

    Gli anni di Vienna



    Gli anni di Vienna furono i più duri della sua giovinezza. Alla insoddisfazione nei confronti del mondo si aggiunse la perdita dei genitori, entrambi scomparsi in quegli anni. La sorella Paula era ancora bambina. Rimaneva il ricordo di Stefanie, ma un giorno annunciò a Kubizek, che pure si era trasferito a Vienna per seguire gli studi al conservatorio, «Ho deciso di rinunciare a Stefanie!».

    Solo Kubizek poteva intuire di quale interiore lacerazione quella decisione fosse il frutto. Kubizek gli ricordò che proprio lui aveva in precedenza espresso l'intenzione di scriverle. Hitler si alterò. «Scrivere a Stefanie? La Signora Mamma (Frau Mama, come sarcasticamente la chiamava) avrà certo già provveduto a sposarla a qualche bellimbusto della sua cerchia sociale, dove tutti si coprono reciprocamente per godere degli immeritati privilegi che la società loro garantisce».

    Nel mini-appartamento che Hitler e Kubizek si spartivano alla Stumpergasse 29 vi era una stanza tutta occupata dal pianoforte, sul quale Kubizek studiava, e da un tavolo, dove Hitler leggeva e scriveva. Non vi era più posto per nulla. Un giorno Kubizek chiese a Hitler cosa stesse scrivendo. Hitler rispose: «Un'opera». Kubizek non osò chiedere altro. Non è rimasta traccia di quest'opera ma Kubizek nel suo libro ne ricorda la trama. La vicenda è collocata nelle Alpi Bavaresi ai tempi dell'introduzione del Cristianesimo. Gli abitanti di quelle vallate, però, non vogliono affatto convertirsi alla nuova religione e combattono gli inviati della Chiesa con tutte le forze e con tutte le armi a loro disposizione. Da questi contrasti si sviluppa la trama dell'opera.

    La vecchia capitale imperiale alla vigilia del crollo dell'Impero era etnicamente e socialmente caotica. Hitler era disgustato dalla mescolanza dei Viennesi con Cechi, Magiari, Slovacchi, Rumeni, Croati e con gli Ebrei delle più disparate provenienze, al punto che all'epoca Vienna era anche nota come la «Nuova Gerusalemme». In questo ambiente si maturarono le future convinzioni hitleriane.

    Egli attribuì infatti la caduta dell'Impero Asburgico,come anche quella dell'Impero Romano, alla multi-etnicità.

    Sul piano sociale lo disgustava poi l'estrema disuguaglianza che si rifletteva nei contrasti fra le splendide dimore patrizie ed i malsani quartieri dei poveri. Egli sosteneva che

    «Tutti hanno bisogno di luce, di aria, di giardini e di vedere almeno un pezzo di cielo! Guarda il retro della nostra casa: si vede appena un po' di sole sul tetto. Non parliamo dell'aria! Quanto all'acqua, gli inquilini di otto appartamenti devono andare a raccoglierla coi secchi all'unico rubinetto nell'androne. Un solo anti-igienico gabinetto per tutto un piano esige che ci si suddivida in turni per andarci. E infine, dappertutto le cimici! Io lavorerò per migliorare le condizioni di vita del popolo di Vienna!».

    Illustrava a Kubizek grandi progetti. Assegnava allo Stato grandi compiti. Sarebbero state costruite abitazioni igieniche, ariose e luminose per tutti, ognuna avrebbe avuto non solo un gabinetto, ma addirittura un bagno privato! Alla solita domanda di Kubizek, per sapere dove sarebbero stati reperiti i fondi per finanziare tutto ciò, Hitler rispose ancora una volta che tutto sarebbe stato risolto dal Reich. È noto dalla Storia quale alta priorità il Führer abbia poi dedicato all'urbanistica sociale del Terzo Reich.

    L'opera Wieland il fabbro. Libretto e musica di Adolf Hitler

    A Vienna continuò la passione di Hitler per la musica, soprattutto di Wagner, ma ora estesa anche agli altri grandi compositori tedeschi quali Bach, Beethoven, Brahms e Mozart. La cultura musicale di Kubizek abbracciava anche gli italiani, quali Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi, i quali lasciavano invece Hitler piuttosto freddo. Un giorno passeggiando per la Wienzeile sentono un organetto che strimpellava La donna è mobile; Hitler si rivolge sarcastico a Kubizek e gli dice «eccolo il tuo Verdi!» Kubizek risponde che nessun autore può essere al sicuro da una simile profanazione della propria opera. Al che Hitler scatta: «Ah sì? perché tu te le immagini le leggende del Graal suonate da un organetto?» Le notti insonni passate a leggere la mitologia germanica, rivissuta nella fantasia assieme alla musica wagneriana, ai miti di eroismo, di trionfi e di morte, finiscono per convincere il giovane Hitler che deve essere possibile anche per lui scrivere un'opera eroica, componendone la musica. Dopotutto aveva la fortuna di poter contare sull'aiuto del musicista Kubizek! Hitler, avido lettore della Edda, da lui considerato come il libro sacro della mitologia germanica, si entusiasma per una delle più truci saghe in essa contenuta, la saga del fabbro Wieland. Wieland sarebbe stato il figlio della dea Vidigoia, in una gerarchia al vertice della quale siede il re Vilkinus, il cui nome arieggia al latino Vulcanus. Già Tacito si era cimentato nei paragoni fra la mitologia greca e romana con quella germanica. Questi collegamenti furono poi studiati e descritti da Jacob Grimm nel libro Deutsche Mytologie del 1844, che probabilmente era noto a Hitler.

    Pare che anche Wagner avesse iniziato a scrivere un'opera su Wieland, ma non andò oltre la stesura di alcuni brani. «Gustl! Su Wieland scrivo un'opera!» furono le prime parole che stupirono Kubizek, che chiese a Hitler come pensava di realizzare un progetto del genere. Hitler rispose imperturbabile: «E molto. semplice: io compongo la musica al piano e tu ne scrivi le note». Scrive Kubizek che la sua funzione era solamente quella di portare sulla carta la creazione musicale di Hitler. La leggenda di Wieland il fabbro è terribile e confusa. Wieland, novello Saturno, ammazza i propri figli e beve da boccali costituiti dai loro crani. Viene quindi fatto prigioniero dai suoi nemici e tenuto in una grotta. A questo punto la leggenda narra che egli seppe forgiarsi delle ali con le quali volò verso la libertà. Wagner così commenta la fine della leggenda di Wieland «Oh splendido Popolo! Tu hai composto questo poema, e tu stesso sei Wieland: forgia le tue ali e sollevati al cielo!» Questa fase della leggenda è certamente quella che deve avere entusiasmato il giovane Adolf, inducendolo a comporre un'opera su questo tema.

    Il secolo XIX, appena terminato, era stato d'altronde ricco di rievocazioni mitologiche e di racconti dell'orrore. I racconti di Poe, il romanzo Dracula dell'irlandese Bram Stoker, comparso nel 1897 e subito rapidamente diffuso, il Ciclo di Ossian riscoperto dal poeta scozzese Macpherson e tradotto in varie lingue, la stessa mitologia germanica raccolta dal già citato Jakob Grimm e infine l'immensa opera wagneriana, avevano riportato alla luce saghe e leggende capaci di esercitare un forte potere evocativo sugli animi predisposti a ricevere questi messaggi eroici. Un giorno Kubizek propose a Hitler di provare a suonare al piano i brani già composti dell'Ouverture del Wieland e Hitler accettò. Kubizek, già esperto pianista, non era mai stato convinto delle qualità musicale del testo hitleriano. Tuttavia, interpretando quella musica, egli comprese che era tutt'altro che brutta, anzi spiccava per una sua originalità.

    Di questo lavoro musicale di Hitler non è rimasta traccia. Esso ebbe ad un certo punto termine, anche perché a Hitler era venuto in mente che la sua musica avrebbe dovuto essere eseguita dagli stessi strumenti usati dagli antichi Germani, tamburi, raganelle, flauti, luri (strumenti a fiato in bronzo lunghi due metri, usati per gli allarmi nei castelli). Il povero Kubizek avrebbe dovuto trascrivere per tali strumenti la musica composta al piano da Hitler!

    Ma già nasceva nella testa del futuro Führer l'idea della Reisende Reichsorchester (L'orchestra viaggiante del Reich) che, in un'epoca priva di mezzi di diffusione quali radio e televisione, sarebbe stato l'unico modo per portare nelle più remote contrade al Volk tedesco i tesori della grande musica germanica. Kubizek si beava nell'ascoltare questi progetti e pare che, per una volta, si sia astenuto dal chiedere come sarebbe stata finanziata una simile grandiosa attività, forse perché ne conosceva già la risposta.

    Nel suo libro Kubizek ci ha descritto il carattere e l'umanità del suo giovane amico Adolf Hitler, in modo privo di qualsiasi connotazione politica. Ci ha descritto i profondi sentimenti di Hitler verso i genitori di Kubizek, la struggente passione per Stefanie, il suo patriottismo, il suo amore per la musica. Abbiamo appreso che scriveva poesie e opere teatrali. Non solo manifestava talento nel campo pittorico ed architettonico, ma si cimentò anche nella composizione di un'opera musicale come Wieland. Se ne evince il quadro di un giovone appassionato e geniale, determinato in tutte le sue azioni, dotato di una forte volontà, capace di pensare in grande.

    Nel 1908 termina il periodo dell'adolescenza di Hitler trascorso tra Linz e Vienna assieme a Gustl Kubizek. Seguiranno gli anni di Monaco, la Iª Guerra Mondiale, il Putsch del 1923, la prigione, la lotta vittoriosa per il Cancellierato. Durante gli anni del trionfo e della tragedia, un'altra personalità ebbe quotidiani contatti con Hitler, non di natura militare e politica bensì personale e umana. Si tratta di Heinz Linge, Capo del Servizio Personale del Führer, autore del libro Bis zum Ende (Fino alla fine).

    Il libro Bis zum Ende (Fino alla fine) di Heinz Linge, periodo 1935-1945

    Heinz Linge.JPGHeinz Linge(nella foto in divisa nera SS) era un ufficiale delle SS che fu Capo del Servizio Personale del Führer nel periodo dal 1935 al 1945, «Fino alla fine», come dice il titolo del libro che scrisse dopo il ritorno dalla prigionia in Russia. Linge non aveva funzioni politiche né militari. Era ad un tempo attendente, guardia del corpo, capo del personale addetto al Führer. Era inoltre un lucido osservatore, legato da indissolubile lealtà verso Hitler, ma non per questo incapace di pensare con la propria testa, o di osservare il mondo del Terzo Reich in un'ottica obiettiva. Numerose ed acute sono le sue osservazioni sugli eventi, sui luoghi, sulle persone che ebbero relazioni con il Führer.

    Il primo incontro di Linge con Hitler avvenne nell'estate del 1934 al Berghof, sull'Obersalzberg. Linge vi era stato convocato assieme ad altri 24 giovani ufficiali, che il Führer volle passare in rassegna intrattenendosi con ognuno di essi su aspetti della loro vita personale, quali la famiglia, la provenienza, l'attività di servizio. Linge fu profondamente impressionato da quel primo incontro, ed ancora di più lo fu quando gli fu comunicato di essere stato prescelto per il servizio personale del Führer. Hitler aveva disposto che uno di questi ufficiali dovesse essergli sempre nelle vicinanze, un altro avrebbe dovuto invece accompagnarlo solo nei viaggi mentre un terzo sarebbe stato responsabile dell'economia della casa. L'ufficiale prescelto da Hitler per le sue immediate vicinanze fu Linge. Egli fu fra l'altro incaricato di assicurare che gli abiti di Hitler, le uniformi e gli abiti civili, nonché le stanze da lui occupate, fossero sempre in ordine, disponendo per tali funzioni di un nutrito gruppo di cameriere, sarte e stiratrici.

    Questa funzione era particolarmente impegnativa in occasione dei viaggi nel corso dei quali erano previste cerimonie che richiedevano abiti diversi. Anche se Hitler era totalmente avverso a qualsiasi forma di esibizionismo, quali le sgargianti uniformi che tanto piacevano a Göring, era inesorabile su quanto concerneva la perfetta pulizia, stiratura e sull'impeccabilità in generale.

    Gli attentati del 1939 e del 1944

    Linge si accorse subito che Hitler non aveva alcun timore degli attentati e che era per lui del tutto naturale muoversi liberamente in mezzo alle folle, a piedi o in automobile. Ma Hitler era anche fortunato, anche se preferiva parlare di Provvidenza. La sera dell'8 Novembre 1939, si trovava a Monaco per il tradizionale anniversario del Putsch del 1923. Poiché egli doveva trovarsi a Berlino già nella mattinata successiva (3) e doveva quindi viaggiare tutta la notte, decise di congedarsi dai camerati e dalla folla presente prima del previsto. Il giorno dopo si poté leggere sui giornali che, nello stesso luogo della riunione, alle ore 21.20 aveva avuto luogo un'esplosione che aveva provocato sette morti e sessantatré feriti.

    Il Führer aveva da poco lasciato la sala. Fu posta una taglia sull'attentatore e fu scatenata una caccia all'uomo. Due settimane dopo un trentaseienne, Johann Elser, fu arrestato e ammise di aver voluto uccidere il Führer. Himmler annunciò trionfante questo successo investigativo a Hitler, in presenza di Linge. Il Führer chiese a Himmler quali motivi potessero aver spinto Elser ad un tale gesto. Gli fu risposto che si trattava di un maniaco, di un novello Erostrato, che voleva legare il proprio nome ad un grande delitto, senza particolari motivi politici. Hitler non si mostrò convinto, e volle vedere una fotografia di Elser.

    Rimase a lungo in silenzio. Poi disse a Himmler «Guardi che non è così. Noti i tratti del viso duri e intelligenti. Questo non è un maniaco. Può darsi che non abbia complici, ma non è privo di una sua visione del mondo. Cerchi di sapere di più sulla sua provenienza, sulle sue attività, sulle sue idee politiche». Himmler, imbarazzato, promise di riferire al più presto. Risultò quindi che Elser era stato falegname, meccanico nonché orologiaio ed esperto di serrature; aveva inoltre lavorato alla fabbrica di aerei Dornier a Wilhelmshafen e si era distinto nel reparto delle eliche. Si era costruito da solo la bomba che aveva piazzato al Bürgerbraükeller. Era stato membro dei combattenti comunisti e frequentava assiduamente la Chiesa.

    Hitler sbottò contro Himmler: «E Lei crede ancora che quest'uomo non abbia avuto dei motivi politici per tentare di ammazzarmi?» e ordinò di rinviare il processo a Elser e di mandarlo invece al campo di concentramento di Sachsenhausen, facendolo lavorare, questa volta, al servizio del Reich. Così fu. Elser si trovò in compagnia del capo comunista Thälmann, un altro nemico che Hitler non aveva fatto fucilare perché ne aveva apprezzato il coraggio e la determinazione.

    Di grande calma e capacità di intuizione, Hitler dette prova anche in occasione dell'attentato di Stauffenberg il 20 luglio '44. Subito dopo lo scoppio, a chi affacciava l'ipotesi della responsabilità di qualche elemento della Todt che lavorava nei pressi, ebbe a dire con fermezza: «Nessun operaio tedesco avrebbe mai fatto una cosa simile!».

    La responsabilità dell'attentato risaliva infatti a quella cricca di ufficiali che già aveva cercato di sabotare le operazioni militari.

    Squalificati, questi uomini, oltre che dal tradimento, da una assoluta incapacità di valutazione politica. Si erano infatti «bevute», gli «aristocratici», tutta la propaganda alleata contro il nazionalsocialismo, e non avevano capito che la coalizione democomunista - anche se Hitler fosse scomparso - avrebbe unicamente puntato alla debellatio dell'Europa e alla spartizione della Germania.

    Scrive Piero Sella ne L'Occidente contro l'Europa:

    «I ribelli della congiura di von Stauffenberg, sfociata nell'attentato al Führer del luglio '44, convinti che una volta eliminato Hitler sarebbe stato possibile porre fine alla guerra, avviarono contatti col nemico, pensando, nella loro militaresca ingenuità, che gli alleati stessero davvero battendosi per annientare il solo nazionalsocialismo. I congiurati non avevano compreso che questo era soltanto un falso scopo propagandistico da agitare di fronte alla pubblica opinione e che il vero obiettivo di Occidentali e Sovietici era la Germania sic et simpliciter, di cui la coalizione voleva assicurarsi il controllo in funzione anti europea. L'apparizione sulla scena degli oppositori del nazismo fu considerata quindi un intralcio, una seccatura. Le loro precise proposte ebbero repliche imbarazzate ed evasive».

    Interessante a questo proposito anche quanto riferisce Joachim Fest: «Nel maggio 1941 Goerdeler presentò al governo inglese un piano di pace approvato dal generale Brauchitsch. Il governo inglese però rifiutò categoricamente di prendere in considerazione il documento e dette istruzioni a chi teneva il collegamento di diffidare il latore del piano dal cercare ulteriori contatti».

    «Un'altra serie di contatti ebbe luogo attraverso Stoccolma. Nel maggio 1942 il vescovo Bell di Chichester si incontrò con il prelato Dietrich Bonhoeffer ed il confratello Hans Schdnfeld. Costoro recarono al vescovo Bell il piano di pace dei congiurati e volevano soprattutto ricevere una risposta da parte del governo inglese a questa domanda: "L'atteggiamento degli Alleati nei confronti della Germania sarà diverso nel caso ci si liberasse di Hitler?" Il vescovo Bell sottopose i documenti e la domanda al ministro inglese per gli affari esteri Antony Eden. Costui gli rispose per iscritto "di essere lieto, nell'interesse nazionale, di non dover dare nessun tipo di risposta, comunque formulata, ad una domanda del genere».

    «Quando poi il vescovo Bell si rifece vivo con Eden, il ministro non lo ricevette ed annotò al bordo della lettera "non vedo alcuna ragione per dare spago a questo pestifero prete”

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    Predefinito Re: L'altro Hitler

    Alcuni aneddoti

    Attraverso la lettura del libro di Linge si ha anche l'occasione di imbattersi in alcuni aneddoti «dietro le quinte» che ci aiutano ad individuare i tratti caratteriali - così poco conosciuti - dell'uomo Hitler. Oltre ai quadri, evidentemente, anche la vita privata del Führer è proibita, giacché la sua conoscenza potrebbe «distogliere il pubblico dagli orrori e dalla brutalità dei nazisti».

    ***

    Nella parte seminterrata del Berghof era stata allestita una sala di ginnastica che comprendeva, fra l'altro, una pista per birilli (Kegelbahn). La sala era chiamata pomposamente Hitler's Sportzentrum (Centro sportivo Hitler). Solo che Hitler non praticava nessuno sport.

    ***

    Unico suo hobby, in tale campo, il gioco dei birilli. Linge non solo assisteva, ma partecipava alle partite a birilli del suo Führer. Vigeva però per i partecipanti una condizione assoluta: non fare mai cenno con nessuno al fatto che il Führer giocasse ai birilli. Fu fatto un giorno rispettosamente osservare a Hitler che non vi sarebbe stato nulla di male se il pubblico avesse conosciuto questa sua passione per i birilli, ciò avrebbe anzi contribuito a renderlo ancora più popolare. Hitler fulminò l'incauto proponente sibilando «Ma si rende conto che se i Clubs dei birilli, che in Germania sono legioni, venissero a sapere che io ogni tanto gioco ai birilli, sarebbero capaci di nominarmi Presidente Onorario dei Clubs dei Birilli del Reich?»

    ***

    Nella sua inesauribile fantasia per i miti germanici, per i rituali runici, per i giuramenti, per l'esaltazione dell'Homo Germanicus, Heinrich Himmler un giorno concepisce l'idea che le donne del Reich che intendono sposare un eminente personaggio del Reich, un ufficiale delle SS o una simile autorità, debbano prima conquistare delle medaglie nel campo dello sport! Quando Hitler apprende questa novità sobbalza e chiede a Linge: «Linge, mi dica! Sua madre ha mai partecipato a gare sportive?» Linge rispose: «No, Mein Führer!» Hitler commenta: «In verità neanche mia madre ha mai vinto i 100 piani. Ciò non ha impedito, comunque, che io diventassi un buon tedesco!». Il piano «sportivo» di Himmler per le donne fu così bloccato sul nascere.

    ***

    Hitler non abbandonò mai le abitudini spartane acquisite in famiglia, durante gli anni di Linz, di Vienna, di Monaco e, soprattutto, durante i durissimi anni della la Guerra Mondiale. La grandiosità degli edifici del Reich dovevano essere dedicati al prestigio del Reich, e non alla comodità dei suoi capi.



    Nel Quartier Generale detto «Wolfsschanze» (Tana del lupo) compare una volta in visita il Feldmaresciallo von Bock che, accompagnato da Linge, visitò gli «appartamenti» del Führer, dove anche Linge viveva. Von Bock non si trattenne dall'esclamare a Linge che «neppure nei campi di concentramento esistono tali condizioni di vita».

    Poi aggiunse, vedendo la branda di ferro su cui dormiva il Führer «i nostri soldati al fronte dovrebbero vedere queste cose!» Linge ammise di trovare le condizioni di vita nei Quartieri Generali del Führer così spartane da avere più volte richiesto il trasferimento al fronte, che gli fu naturalmente negato. Una sera, tornando tardi nel proprio cubicolo, accanto allo stanzino del Führer, Linge sente degli strani rumori provenire dalla stanza accanto. Data la tarda ora ciò era insolito, e Linge decide di aprire la porta per vedere se Hitler avesse bisogno di qualcosa. Con suo sbalordimento la luce del comodino era accesa, il tavolo da lavoro era stato spostato nel centro della stanza e su di esso stava in piedi il Führer intento a cambiare la lampadina della luce centrale che si era fulminata. Linge esclama: «Mio Führer, ma perché non mi avete chiamato per fare questo lavoro?» Hitler lo guarda e dice: «Avrei forse dovuto svegliarla per cambiare una lampadina? Come vede, lo so fare benissimo da solo».

    Numerose pagine del libro di Linge sono dedicate ad Eva Braun, l'unica persona, secondo Linge, a cui Hitler dava del tu oltre ai membri della famiglia Wagner, in particolare a Wahnfried con la quale l'intesa fu sempre perfetta. La relazione che lo lega ad Eva Braun, conosciuta nel 1932 nello studio del fotografo Hoffmann dove la ragazza lavorava, durò per tutta la vita. Nella vita privata non solo le dava del tu ma la chiamava con intraducibili nomignoli quali «Schnacksi» e «Patscherl».

    Durante la prigionia in Russia, Linge dovette sostenere innumerevoli interrogatori, a volte anche pesanti, incentrati sui rapporti fra Hitler ed Eva Braun.

    Egli dovette riferire più volte sempre le stesse cose, e cioè che i due avevano da sempre regolari rapporti sessuali di cui egli, come addetto alle stanze, alla biancheria e ad altri effetti personali del Führer, aveva inequivocabili prove. Ai Russi questo non garbava, volevano altro, in modo da poter attribuire a Hitler ogni possibile aberrazione, pur di non dover riconoscere in Hitler la normalità nella sua vita di uomo e di amante.

    Nei rapporti con Hitler vi erano aspetti sui quali Eva Braun tentava di imporre la sua volontà, non sempre con successo. Uno di questi era l'abbigliamento del Führer, per il quale Eva chiedeva l'appoggio di Linge, il qualè doveva barcamenarsi fra le opposte tendenze. Eva Braun gli diceva: «Ma non potrebbe il Führer vestirsi in modo più informale? Dovremmo evitare che vada sempre in giro vestito come un gendarme!» Una volta Linge si lasciò convincere a sostituire l'abituale berretto di Hitler con uno analogo, ma, secondo Eva Braun, di taglio meno rigido. Hitler se ne accorse subito e gli disse: «Linge, fuori subito il mio vecchio "coperchio" (Deckel)! Sono io che devo portarlo, non Lei!».

    ***

    Hitler era infastidito dalle manie di grandezza di Göring, ma raramente si lasciava andare a qualche critica. Ciò era dovuto all'estremo rispetto che Hitler nutriva verso i camerati della prima ora. Con ogni probabilità Hitler era conscio dei limiti di Göring, ma capiva che la situazione che si era determinata nella Luftwaffe, specie dopo Stalingrado, non dipendeva tanto dal Reichsmarschall quanto dalla schiacciante superiorità industriale della coalizione che aveva aggredito la Germania. Quanto alla personalità altamente intelligente ma eccentrica di Göring, essa veniva tollerata per l'estrema popolarità di cui godeva, presso il popolo tedesco, il Reichsmarschall.

    ***

    Questo atteggiamento di fondo non impedì tuttavia a Hitler di togliersi qualche soddisfazione nei confronti delle manie del Reichsmarschall. Per ognuna delle sue numerose cariche, da quella di Guardiacaccia del Reich, a quella di Capo della Luftwaffe, Göring vestiva una diversa uniforme, da lui stesso disegnata. Usava arricchirla con tutte le possibili medaglie e decorazioni, fra le quali spiccava l'Ordine spagnolo del Vello d'Oro, ricevuto per il ruolo della Luftwaffe nella Guerra di Spagna. Fra le cariche che Göring occupava vi era quella di Comandante dei Paracadutisti. Ciò richiedeva ovviamente un'uniforme speciale. In questo caso Göring se la progettò tutta bianca, con stivaloni pure bianchi che risalivano fin sopra il ginocchio. Pare che l'effetto complessivo di quella «mise» rasentasse il grottesco, ciò nonostante egli così vestito si presentò ad una riunione governativa presieduta da Hitler, alla quale in qualche angolo della stanza presenziava anche Linge. Hitler non si associò ai sogghigni ed alle gomitate d'intesa scambiate nascostamente fra i partecipanti alla riunione, ma fece di peggio. Disegnò su di un cartoncino le insegne di un fantasioso ordine cavalleresco e scrisse accanto: «da portarsi esclusivamente sulla camicia da notte». Hitler, a riunione ultimata, lo fece pervenire a Göring.

    ***

    L'8 Giugno 1940 l'Ambasciatore Dino Alfieri consegna a Hitler una lettera di Mussolini che annuncia l'imminente entrata in guerra dell'Italia. Hitler va su tutte le furie. È noto che l'Italia, nonostante il Patto d'Acciaio firmato il 22 Maggio 1939, appena tre mesi dopo, e mancando alla parola data, non era scesa in campo contro Inghilterra e Francia che avevano aperto le ostilità contro la Germania.

    Quando però l'Italia si rese conto che, dopo la Polonia e la Norvegia, anche la Francia stava oramai soccombendo alle armate germaniche, ecco nascere precipitosa la decisione di intervenire.

    «Ora che tutti i progetti degli Italiani sono andati in fumo, ecco che vogliono almeno partecipare alla divisione delle spoglie!» sbottò Hitler.

    «Nel 1939 mi sarei contentato di una dichiarazione italiana di solidarietà con la Germania. Ma non fecero neppure questo! E sono certo che ciò avrebbe tenuto i Francesi e gli Inglesi fuori dalla guerra! Allora dichiarai a Mussolini che avevo comprensione per la sua astensione dalla guerra, a causa del ritardo nel riarmo dell'Italia. Gli suggerii di scendere in campo solo quando tale preparazione fosse stata completa! Evidentemente ora non ha più tempo per aspettare. Ho cercato anche di dirgli che sarebbe stato più sicuro per l'Italia attendere che noi tedeschi avessimo occupato gli aeroporti nel Sud della Francia, ma mi ha detto che era troppo tardi perché il Re aveva già firmato la dichiarazione di guerra!»

    Linge riporta fedelmente questa lucidissima sfuriata del Führer che, più calmo, e dotato di enorme ottimismo e fiducia nel suo amico Mussolini, così continuò: «Ma forse non è un male. Probabilmente chiuderanno il passaggio di Gibilterra e con la loro Marina ridurranno tutto il Mediterraneo ad un «calderone delle streghe» (Hexenkessel). Occuperanno Malta e porteranno tutto il Mediterraneo sotto il loro controllo».

    ***

    Di un altro episodio riguardante il Duce si occupa in dettaglio C.G. Sweeting nel suo libro Hitler's personal pilot. The life and time of Hans Baur. Nell'agosto 1941 Mussolini si recò a Grozny in Polonia per incontrarsi con Hitler. Era prevista un'ispezione congiunta delle truppe italiane e tedesche schierate sul fronte russo in Ucraina. L'aereo di Hitler, il nuovissimo quadrimotore Condor «Immelmane III», era pilotato, come sempre, dall'unico pilota nel quale Hitler avesse illimitata fiducia sia professionale che politica, ossia da Hans Baur(foto).Adolf Hitler mit Flugkapitän Hans Baur.JPG È noto che Mussolini aveva il brevetto da pilota, ma non aveva mai visto un aereo simile e tanto meno l'aveva pilotato. Mussolini si fa spiegare tutti i comandi da Baur e infine chiede a Hitler di poter pilotare l'aereo. Baur rivolge uno sguardo terrorizzato a Hitler, che però non vuole deludere il suo ospite. Dopo il decollo Mussolini inizia entusiasticamente a manovrare il quadrimotore, e cede i comandi, molto a malincuore, dopo tre ore di volo, solo per l'atterraggio sull'aeroporto di Uman. Terminata la visita, Mussolini si piazza subito al posto del co-pilota per il volo di ritorno, intendendo di nuovo pilotare l'aereo. Stavolta Hitler però, che aveva nervosamente seguito la manovra, lo prega di volerlo raggiungere nella cabina di riunione per discutere i temi della visita. Mussolini lascia i comandi del Condor e ...ubbidisce. Darà però istruzioni all'ambasciatore Alfieri a Berlino di scrivere nel suo rapporto che «...per una considerevole parte del volo il Duce stesso ha pilotato il quadrimotore del Führer».

    ***

    La sera del 14 marzo 1939 Hitler, dopo essersi rilassato guardando il film Ein hoffnungsloser Fall (Un caso senza speranza) riceve alle 23.00 il presidente cecoslovacco Emil Hàcha che era da ore in attesa. Si trattava di fargli firmare una nuova costituzione riguardante le antiche regioni tedesche della Boemia e della Moravia. Scrive Goebbels nei suoi diari «Credo che il tutto si risolverà senza eccessivo spargimento di sangue. Poi il Führer si concederà una pausa. Amen. Non posso crederci. Tutto è così bello da non sembrare vero». Hàcha inizia nervosamente la riunione con un lungo monologo nel corso del quale illustra la propria carriera come avvocato nella pubblica amministrazione di Vienna, si dichiara ammirato dalle idee di Hitler, si dichiara certo che la Cecoslovacchia sotto la protezione del Reich sarebbe stata al sicuro ecc., ma non si decideva a firmare il documento preparato da Hitler. A questo punto il Führer, che aveva pazientemente ascoltato il monologo di Hàcha, lo informa che alle 06.00 di quella stessa mattina la Wehrmacht avrebbe invaso la Cecoslovacchia. Come per caso compare il maresciallo Keitel che chiede rapidamente a Hitler di confermare certi movimenti di truppe, allontanandosi subito, ma ritornando poco dopo. Hàcha segue allibito sia i discorsi di Hitler che le apparizioni di Keitel. Verso le tre del mattino Hàcha viene colpito da un lieve attacco cardiaco, prontamente curato dal medico personale di Hitler, Dott. Morell. Appena ripresosi, Hàcha ritorna alla sala di riunione, dove stavolta compare Göring che informa Hitler, facendo finta di non accorgersi della presenza di Hàcha, che la Luftwaffe sta partendo per bombardare Praga. Hitler chiede a Hàcha se ha inteso le parole di Göring e Hàcha finalmente cede e l'accordo viene firmato alle 04.00 del 15 Marzo 1939.

    A questo punto, narra David Irving nel suo libro La guerra di Hitler, Hitler entrò nell'ufficio in cui per tutta la notte erano rimaste a disposizione le due segretarie Christa Schroeder e Gerda Daranowsky e, con gli occhi che brillavano, scoppiò in una risata: «Ragazze! Una da questa parte e l'altra dall'altra» disse toccandosi le guance «Un bacio ciascuna!» Le stupitissime segretarie ubbidirono «Questo è il più bel giorno della mia vita! Ho appena realizzato quello che altri per secoli si sono sforzati invano di poter ottenere. La Boemia e la Moravia fanno di nuovo parte del Reich! e senza muovere un solo soldato né sparare un sol colpo».

    La confidenza di Hitler con le segretarie comportava pranzi e cene in comune e ogni pomeriggio il the coi pasticcini e le torte di cioccolato di cui il Führer era particolarmente ghiotto. Al the non parlava mai di politica. A Berchtesgaden, l'atmosfera era ancora più informale. Alle merende erano ammessi anche bambini e cani.

    ***

    Il segretario privato di Ribbentrop, Reinhard Spitzy, fu testimone di quest'episodio che sfata il presunto carattere isterico del Führer e spiega alcune delle sue scenate. Alla fine di un ottimo pranzo alla Cancelleria, un ufficiale annuncia l'arrivo di un importante emissario britannico; Hitler che lo aveva convocato per esprimergli una dura protesta si alza bruscamente ed esclama agitatissimo: «Got im Himmel! Non fatelo passare, ho bisogno di qualche minuto, sono troppo di buon umore!». Si concentrò quindi, corrugando la fronte e assumendo uno sguardo torvo per raggiungere un apparente stato di rabbia. Si recò quindi dal povero inglese nella stanza attigua e si produsse nella recita preventivata a voce così alta da essere udibile dalla stanza da pranzo. Dopo dieci minuti ritornò nel salone, chiuse accuratamente la porta dietro di sé e con una risatina disse: «Signori ho bisogno di un thè. Quello pensa che io sia furioso!».

    ***

    Un ultimo episodio, tratto ancora dal libro di Linge, è significativo per capire la calma e lo spirito col quale Hitler sapeva reagire alle situazioni impreviste. È probabile tuttavia che al momento in cui è avvenuto, nessuno abbia pensato di ridere. La scena è il Quartier Generale alla fine del '44, dove Hitler si trova col suo stato maggiore. Uno dei suoi ufficiali deve parlare col furiere per banali questioni logistiche. Nello stesso tempo Hitler chiede una comunicazione col ministro degli armamenti Speer che si trova a Berlino. Per combinazione i due collegamenti vengono stabiliti contemporaneamente e Hitler viene messo erroneamente in comunicazione col furiere. Hitler al telefono non diceva mai l'equivalente di pronto ma sempre «Hier spricht der Führer» (Qui parla il Führer). Così disse anche quella volta, convinto di parlare con Speer. Solo che dall'altra parte c'era il sottufficiale di servizio. I presenti rabbrividiscono ascoltando attraverso il microfono una grassa risata seguita dalle parole «Ma tu devi essere impazzito!» Mentre tutti, irrigiditi nella tensione del momento, prevedono chissà quali reazioni nei confronti di chi aveva passato la comunicazione, nonché del povero furiere, Hitler, impassibile, passa il microfono a Linge dicendo: «Linge, prenda Lei la comunicazione. Qui ce n'è un altro che sostiene che sono pazzo».

    Conclusione

    Lo squattrinato pittore che nel 1914 dipinse quell'acquerello che ancora oggi, nell'anno di grazia 2002, è sotto sequestro a Washington perché potrebbe diminuire l'odio verso Hitler come chiaramente ha spiegato la Signora Milton, percorse tutti gli stadi del destino umano, dalla miseria alla suprema potenza ed infine alla tragedia.

    Non è questa la sede per formulare dei giudizi frettolosi a fronte dell'imponente bibliografia già dedicata a quest'uomo. Chi scrive si è limitato a mettere in rilievo alcuni episodi tratti da libri non tradotti in italiano o comunque meno noti al grande pubblico. Essi riguardano fasi diverse della sua vita, ossia dell'adolescenza e della pienezza del potere, identificando in esse, oltre che grande continuità caratteriale, una costante disponibilità al dialogo e doti di sensibilità ed umorismo. Ci siamo volutamente concentrati sugli aspetti umani ed emotivi di Hitler piuttosto che sulle doti dello statista e del politico.

    Nessuno di questi aspetti di cui ci siamo occupati, ne siamo sicuri, riuscirà gradito ai suoi viscerali nemici, i quali quasi 100 anni dopo che fu dipinto, si dimostrano impauriti dagli effetti taumaturgici che un suo quadro potrebbe produrre! Questo a 57 anni dalla sua morte, ossia dopo un periodo uguale all'intero arco della vita del Führer.

    Giandomenico Bardanzellu

    (1) Lo stesso acquerello è riprodotto nel libro «Volkslexikon Drittes Reiches» di L. Peters, edizioni Grabert, con il titolo e la data: Der Hof der alten Residenz in München.1914.

    (2) La giovane si chiamava Stefanie Rabatsch, si fidanzò nel 1908 con un capitano del Reggimento Hessen, di stanza a Linz, che in seguito sposò.

    (3) Il recente libro dello storico inglese Martin Allen (Edizioni Mac Millan, Londra 2000) dal titolo (nella versione tedesca) Lieber Herr Hitler..., «Caro Sig. Hitler...» e dal sottotitolo 1939-1940 chiarisce il motivo di questo impegno. Il Führer aveva un appuntamento con l'uomo di fiducia del duca di Windsor, l'industriale miliardario Carles Eugene Bedaux. Costui, arrestato nel '43 dai francesi e consegnato agli americani si suicidò in carcere in Florida nel '44. Bedaux doveva consegnare a Hitler la documentazione ricevuta dal duca di Windsor sulle difese francesi, da Calais alla Linea Maginot, raccolta dallo stesso duca nel corso delle ispezioni compiute col grado di Generale del Corpo di spedizione britannico in Francia.

    Bedaux aveva promesso al duca che avrebbe consegnato questa importantissima documentazione solo al Führer in persona.

    L'incontro ebbe luogo come previsto, e fu molto cordiale. Risulta che Hitler, in questa occasione, chiese a Bedaux un piacere personale.

    Voleva aiutare un ufficiale, il tenente Rosenbusch (un ebreo al 100 per 100, un Hundertprozentiger volljude come Hitler stesso lo definì) che era stato suo comandante durante la prima guerra mondiale, e si trovava in difficoltà in Germania a causa delle vigenti leggi razziali. Bedaux fu felice di venire incontro al desiderio del Führer e non ebbe difficoltà a collocare il Rosenbusch in una delle sue ditte in Turchia (Bedaux Associates di Istanbul). (Questi particolari sono contenuti nel Dossier N°100-49001, rapporto Wenger-Valentine, dell'Archivio dell'F.B.I. in Washington D.C.).(Fonte)

    ps://pocobello.blogspot.com/search/label/Biografie%20-%20L%27altro%20Hitler

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    Predefinito Re: L'altro Hitler

    LA BIBILIOTECA DI HITLER

    Di Giandomenico Bardanzellu

    Sedicimila volumi: saccheggi e dispersione – Guerra e cultura – L’ammirazione per Shakespeare – Una trilogia incompiuta – Nel cuore della formazione: Schopenhauer


    “Chi dice la verità prima o poi viene scoperto”

    Oscar Wilde


    Nei primi giorni del gennaio 2009 il mio interesse fu attratto da una recensione comparsa sulla pagina letteraria della International Herald Tribune dal titolo Hitler’s private library – The books that shaped his life di Timothy W. Ryback (La biblioteca privata di Hitler – i libri che formarono la sua vita). Autore della recensione è Jacob Heilbrunn (il nome è al di là di ogni sospetto), uno dei fondatori del movimento neo-conservatore americano, che ha prodotto i vari Bush, Cheney, Rumsfeld ecc… Heilbrunn si affretta a prendere posizione per tamponare una falla che potrebbe portare ad un’alluvione. E’ possibile che egli sapesse dell’esistenza della biblioteca, ma in tal caso si era ben guardato dal parlarne. Ora è troppo tardi: un libro documentato ed obiettivo ne informa il mondo. Scegliere ancora il silenzio o cercare di stroncarlo? La comunità ebraica sceglie stavolta una via di mezzo: parlarne è inevitabile e stroncarlo è impossibile. Ecco Heilbrunn ricorrere all’ironia, alla battuta: “Sebbene Hitler sia più conosciuto per bruciare i libri, possedeva 16.000 volumi”, “Essere un topo da biblioteca non esclude che si possa essere un assassino di popoli” e così via. Ora noi lasceremo il povero Heilbrunn ad arrampicarsi sugli specchi ed esamineremo più da vicino il sorprendente libro di Ryback.

    Ryback premette che l’analisi storica degli eventi può aver luogo solamente quando il loro corso è compiuto, e cita Hegel: “La civetta di Minerva spande le sue ali soltanto quando scende il crepuscolo”.


    * * * *

    Il mondo delle scoperte è sempre affascinante, sebbene per certi aspetti, e per certe persone, sia ancora sconvolgente. Esso può abbattere dalle fondamenta idee, teorie, istituzioni intorno alle quali l’umanità si era per secoli modellata. Si pensi alla tormentata elaborazione e alla definitiva conferma della teoria eliocentrica, si pensi alla scoperta dell’America, la cui esistenza anche dopo i viaggi di Colombo veniva tassativamente negata dai teologi della regina Isabella in quanto la Bibbia non faceva menzione dell’esistenza di un simile continente. Forse anche Colombo, fervente cattolico, condizionato da queste censure, rimase convinto fino alla morte, dopo quattro viaggi, di non avere scoperto un nuovo continente, ma di avere raggiunto “el levante para el poniente”, ossia di essere giunto sulle coste orientali dell’Asia.

    Il concetto di “scoperta” significa l’acquisizione alla coscienza dell’umanità di terre, di leggi fisiche, di ritrovamenti archeologici, di documenti, che non erano ancora a conoscenza del mondo. In alcuni casi vi furono personaggi, nonché governi, che, pur essendo al corrente delle scoperte, non diffusero le notizie in loro possesso. Ciò avvenne per ignoranza, per opportunismo politico o per paura. Riprendendo l’esempio del Continente americano è oggi noto che i Vichinghi vi sbarcarono casualmente, intorno all’anno 1000, sotto la guida di Leif Eriksson, figlio di quell’Erik il Rosso al quale, secondo le Saghe islandesi, è attribuita la scoperta della Groenlandia. I Vichinghi chiamarono “Vinland” quella terra strana ed inospitale che è l’attuale isola di Terranova in territorio canadese. Gli studi più recenti indicano che il nome Vinland non ha nulla a che fare con il vino, come talvolta si legge, fantasticando che mille anni fa il Canada avrebbe avuto un clima temperato e sarebbe stato ricco di frutta ed in particolare di uva, da cui i Vichinghi avrebbero tratto il vino. La sillaba “vin” nell’antica lingua norvegese significa “pascolo, prateria”. La costa dove i Vichinghi sbarcarono era abitata da eschimesi selvaggi, da loro chiamati Skrelinghi, nonché da alcune tribù indie del Nord-America. Talmente scarse erano le prospettive di sviluppo che, dopo due anni, i Vichinghi l’abbandonarono definitivamente lasciandovi solo primitive tracce di insediamenti, oggi in parte ricostruiti, nella località chiamata “Anse aux Meadows” (Baia delle Praterie). Tale baia è difficilmente accessibile, si trova nell’estremo lembo nordorientale dell’isola di Terranova e fu recentemente visitata da chi scrive. I Vichinghi non sapevano dove erano sbarcati, e dunque non seppero mai tornarvi. Nessuno nel mondo di allora ebbe cognizione di quell’evento. “I Vichinghi conobbero l’America, ma non la scoprirono”, come scrive Paolo Emilio Taviani nella sua monumentale opera Colombo.

    Quattro secolo dopo i Cinesi, con tutt’altra preparazione tecnica e culturale, costeggiarono il continente americano da ciò che oggi è l’Alaska fino alla Terra del Fuoco, superarono lo Stretto di Magellano e, attraverso l’Atlantico e l’Oceano Indiano, rientrarono in Cina. Tutto ciò avveniva fra il 1421 ed il 1423 sotto il segno dell’imperatore Ciu Di della dinastia dei Ming. Egli sviluppò le costruzioni navali ad un livello del tutto sconosciuto nel resto del mondo, e riuscì ad allestire una flotta immensa che chiamò “La flotta del tesoro”.

    In quattro diverse spedizioni i Cinesi circumnavigarono il pianeta prima di Magellano, percorsero il passaggio di Nord-Est, costeggiarono le Americhe, l’Africa e l’Australia. Gli ammiragli, tutti eunuchi di alto rango, informarono solamente l’Imperatore e i suoi ministri dei loro favolosi viaggi, che furono nel massimo segreto descritti e cartografati. Essi assicurarono all’Imperatore che oramai “tutti gli abitanti del mondo erano diventati suoi sudditi!” Nessuna delle grandi potenze del pianeta ebbe cognizione di questi spettacolari viaggi, in particolare della circumnavigazione della Terra, né l’Impero di Bisanzio, né il Sacro Romano Impero, né il Papato o i Re di Francia, Spagna, d’Inghilterra, né il Doge di Venezia.

    Sono stati scritti importanti testi su questo tema, fra cui il libro dello storico inglese, nato in Cina, Gavin Menzies. Egli ha compiuto ricerche in 120 Paesi e il titolo del libro è 1421, the year Cina discovered the world, Bantam Press, Londra (1421, l’anno in cui la Cina scoprì l’America, pubblicato in Italia nel 2002 da Carocci). I motivi principali dei Cinesi per tenere segrete le conoscenze acquisite coi loro viaggi possono essere così riassunti: la sicurezza dell’Impero e, soprattutto, il disprezzo perso i popoli occidentali ritenuti barbari e ignoranti, pertanto indegni di avere accesso a simili importanti informazioni.

    Come noto, l’America fu infine scoperta, nel senso storico e scientifico della parola, da tre italiani, seppure per conto di governi stranieri: Colombo, Vespucci e Caboto (il John Cabot degli Inglesi!) che, a mezzo della cartografia e della dettagliata descrizione delle coste esplorate, permisero ai naviganti il ritorno e la successiva colonizzazione di quelle Terre, contribuendo a cambiare irreversibilmente la storia del mondo.

    * * * *

    In conclusione: i Vichinghi non comunicarono la loro “scoperta” per ignoranza. I Cinesi non la comunicarono per disprezzo.

    Ma anche nel mondo della ricerca storica sono stati nascosti importanti ritrovamenti, per un motivo ancora meno nobile dei precedenti: per paura.

    E’ il caso del 16.300 volumi della biblioteca di Adolf Hitler sottratti dai Russi e dagli Americani nel 1945 nei luoghi dove il proprietario li custodiva: nella Cancelleria, nel Bunker di Berlino, nella residenza dell’Obersalzberg e nel primo appartamento occupato dal Fuhrer a Monaco, in Tierschstrasse 41. I volumi rapinati furono tenuti rigorosamente nascosti per evitare di urtare la suscettibilità di certi ambienti interessati a conservare l’esclusiva sui giudizi da loro stessi forniti sul Nazionalsocialismo e sul suo Capo.

    La biblioteca viene fatta conoscere soltanto ora, 63 anni dopo, grazie alla coraggiosa e laboriosa ricerca di un giovane storico, Timothy W. Ryback. Dell’esistenza di questa massa di libri di innegabile valenza storica erano fino ad oggi al corrente pochissimi “addetti ai lavori” che ben si guardarono dal comunicarne l’esistenza, ossia l’FBI, il quale a suo tempo fu incaricato della presa in consegna e del trasferimento dei volumi in America, e gli archivisti incaricati di conservarli in oscuri locali, inaccessibili al pubblico.

    Ryback, che è ben lungi dall’essere un nazista, si è concentrato solo sui libri di sicura appartenenza al Fuhrer da lui certamente letti ed annotati, perché sono quelli che permettono di gettare uno sguardo furtivo sulla sua intima personalità. Solo nel 2008 Ryback riesce a pubblicare il libro Hitler’s private library – The books that shape his life, Alfred A. Knopf, New York, 2008, oggi disponibile anche nella traduzione italiana La biblioteca di Hitler – Che cosa leggeva il Fuhrer, Mondadori. Si noti che la corretta traduzione in italiano del sottotitolo originale inglese “the books that shaped his life” è “i libri che formarono la sua vita” e non già il più banale “che cosa leggeva il Fuhrer”. Si ritiene che l’eccellente traduttrice lo abbia ben saputo, ma evidentemente ha prevalso la circospetta politica dell’editore.

    I libri del Fuhrer furono tenuti preclusi al pubblico a causa del devastante impatto che essi avrebbero avuto sulla falsa immagine di Adolf Hitler che la letteratura e la stampa politicamente corretta avevano per più di mezzo secolo gabellato al mondo. Sarebbe risultato che Hitler non ebbe soltanto eccezionali capacità politiche, ma fu anche dotato di singolare sensibilità nel campo delle arti figurative, architettoniche e musicali (per citare caratteristiche che nessuno ha mai potuto constatare), e fu anche una personalità ricca di cultura storica, letteraria e filosofica, oltre che militare, alla quale, grazie ad una prodigiosa memoria, poté attingere in ogni istante della sua vita.

    Tutto ciò doveva rimanere rigorosamente nascosto! Come spiegare che “l’imbianchino”, “il caporale austriaco”, “l’artista fallito”, “il prete mancato” e soprattutto “il Prolet” (che in tedesco significa “proletario”, ma che è anche il velenoso insulto riservato al Fuhrer da certi strati dell’aristocrazia tedesca), avesse anche raccolto e classificato personalmente 16.300 volumi, di cui la massima parte reca inequivocabili tracce di lettura, come testimoniano sottolineature, commenti e annotazioni manoscritte?

    Mentre nel caso di altri grandi uomini della Storia le umili origini vengono universalmente riconosciute come un merito e ciò a causa delle difficoltà che hanno aggiunto alla loro vita sociale e culturale, nel caso di Hitler le umili origini vengono considerate un’ulteriore vergogna! La massima parte dei suoi biografi si sofferma con supponenza delle modeste condizioni della sua famiglia, addirittura esagerando la miseria materiale e morale in cui il piccolo Adolf sarebbe nato e cresciuto. Essi vogliono vedere un’ulteriore prova per la sua demonizzazione: è chiaro, lasciano intendere con spocchia, che “da parte di chi nasce e cresce in un certo ambiente non c’è da aspettarsi niente di buono!”. Nella delirante ricerca per individuare anche nell’infanzia di Hitler le radici della sua “politica criminale” nessun biografo è però riuscito a battere lo scrittore ebreo Norman Mailer che nel suo ultimo (per fortuna) libro The castle in the forest, Little Brown, 2007, ha superato ogni limite di volgarità e di malafede. L’autore presenta il libro come una biografia dei primi 15 anni di vita di Hitler. Da una piccolissima nota prima del titolo si apprende che il libro è “opera di finzione, strettamente basata su dati storici”!. Con questa premessa ogni infamia diviene lecita, l’importante è che sembri vera! Mailer immagina che i primi 15 anni della vita di Hitler gli vengano narrati dal diavolo incaricato da Satana di instillare nel giovane Adi tutti i germi del male. Il libro fu criticamente recensito in Svizzera con un articolo Des Teufels Antwort (La risposta del diavolo) comparso sulla Neue Zurcher Zeitung del 23 settembre 2007.

    L’”idillio” fra Norman Mailer e Hitler comincia ancora prima della nascita del pargoletto. Mailer sostiene che la madre di Hitler, Klara Polzl, non fosse la moglie del padre di Hitler, Alois, bensì…sua figlia! Dall’accoppiamento incestuoso fra padre e figlia nei fienili di un misero e sperduto villaggio austriaco, sarebbe nato il “mostro”!. La sua infanzia e l’adolescenza vengono descritte come una ininterrotta serie di complicate masturbazioni, di accoppiamenti omosessuali e di atteggiamenti paranoidi. Il giovinetto cresce in un mondo di totale abiezione economica, culturale e morale. “Insomma”, fa capire il Mailer: “dall’alba si vede il giorno”. D’altronde, ci racconta il Mailer, già in famiglia vi erano esempi di perversioni di ogni tipo: un nonno di Hitler si sarebbe accoppiato con una puledra. Da buon cattolico il vecchio andò poi a confessarsi dal parroco, il quale però non se la prese più di tanto. Si fosse trattato di un adulterio o comunque di una relazione illecita con una donna, gli disse il parroco, si sarebbe trattato di un peccato gravissimo. Ma da una cavalla, si sa, non avrebbe potuto nascere un essere umano! Così il nonno se la cavò con qualche Ave Maria.

    Mailer, nato nel 1923 a Long Beach, era forse l’esponente più sordido dell’intellettualismo ebraico americano, corrotto, carico di denaro e di odio, esaltato da premi letterari pilotati politicamente, come il premio Pulitzer, alcolizzato, definito “Maiale dell’anno” da un’Associazione Americana per l’Emancipazione. Sposato sei volte, produce alla fine dei suoi giorni uno dei più ripugnanti testi pseudo-storici che siano mai stati scritti. E’ un vero peccato che sia morto poco dopo averlo pubblicato, perché forse il colpo di grazia glielo avrebbero dato la scoperta da parte di Ryback della biblioteca del suo “beniamino”, Adolf Hitler.


    * * * *

    Ryback osserva che il critico tedesco del XIX secolo, Walter Benjamin, appassionato bibliografo, sosteneva che si può giudicare un libro dalla sua copertina ed un bibliografo dalla sua collezione. Benjamin sosteneva inoltre che “non sono i libri che vivono nel bibliografo bensì è lui che vive in loro. Un collezionista può essere compreso soltanto dopo la sua morte”. Dal 1945 per più di mezzo secolo, gran parte dei libri di Hitler rimase nell’oscurità climatizzata della Rare Books Division della biblioteca del Congresso, edificio Thomas Jefferson, dirimpetto alla US Supreme Court. Questi libri, una volta appassionatamente conservati, spostati, combinati per argomento da Hitler stesso, sono ora accumulati senza alcun criterio. Accanto alle edizioni originali di Clausewitz si trova, ad esempio, un libro di cucina francese dedicato “à monsieur Hitler, végétarien”. Vi si trovano le prime edizioni del Mein Kampf, un’analisi del Parsifal, una monografia di Nostradamus, le Deutsche Schriften (Scritti tedeschi) di Paul Lagarde (1934) dove sono sottolineati concetti come il “il trasferimento di tutti gli ebrei d’Austria e di Germania in Palestina” e “gli ebrei sono come un’acquatica pestilenza che deve essere sradicata dai nostri fiumi e dai nostri laghi”. Paul Anton Lagarde era un orientalista, nato a Berlino il 2 novembre 1827 e morto a Gottinga il 22 dicembre 1891 dove era professore dal 1869. Insegnava glottologia semitica, copto, persiano, armeno. Tradusse e pubblicò in tedesco tutte le opere di Giordano Bruno. Nel 1903 furono pubblicati postumi gli Scritti Tedeschi sui rapporti fra Stato e Chiesa.

    Tra i volumi di Hitler prelevati a Berchtesgaden figurano le opere complete di Shakspeare, in nove volumi rilegati in cuoio, con incise le sue iniziali in oro. Egli riteneva che Shakespeare fosse superiore, sotto ogni aspetto, a Goethe e Schiller, perché mentre Sakhespeare ha esplorato con la sua immaginazione le forze primordiali che avrebbero condotto all’edificazione dell’Impero Britannico, i due autori tedeschi si sono concentrati sulla crisi della vita e sulle rivalità fra fratelli. “Come si spiega” si chiede Hitler “che l’Illuminismo tedesco (lessing) abbia prodotto un “Nathan il Saggio”, la storia di un rabbino che riconcilia cristiani, mussulmani ed ebrei, mentre fu Sakhespeare a dare al mondo “Il mercante di Venezia” e “Shylock”?”. Tra i libri del Fuhrer, scrive ancora Ryback, fu ritrovata la traduzione in tedesco del testo di Henry Ford L’ebreo internazionale – il principale problema del mondo, ma sul suo comodino Hitler teneva anche testi più leggeri come un’edizione dei divertenti e dispettosi personaggi di Wilhelm Busch Max und Moritz (simili ai nostri Bibì e Bibò).

    Lo storico inglese Jan Kershaw definisce Hitler come “una delle personalità più impenetrabili della Storia moderna” e scrive che “le fonti per ricostruire la vita privata e personale del dittatore tedesco sono straordinariamente scarse in paragone, ad esempio, alle fonti relative a Churchill e Stalin”.

    Non siamo per nulla d’accordo con questo parere. La presunta assenza di fonti sulla vita privata e personale del Fuhrer ha fatto comodo per decenni ai suoi detrattori lasciandoli liberi di diffamarlo come meglio credevano opportuno.

    In aggiunta al ben noto libro di Kubizek Er war mein Jugendfreund (Era il mio amico di gioventù) mai tradotto in italiano ma fatto conoscere da l’Uomo libero n. 53, la fantasia di chi si lamenta della scarso materiale sulla vita di Hitler deve fare i conti con altri tre pilastri documentali:

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    Predefinito Re: L'altro Hitler

    1) Hitler’s Tischgesprache (Conversazioni intorno ad un tavolo) raccolte nel 1941 e 1942 da Henry D. Picker, avvocato e giurista, incaricato da Hitler di trascrivere tutte le conversazioni che il Fuhrer conduceva con i suoi invitati sui più disparati argomenti, dalla storia alla pittura, dalla società alla politica e così via. Il libro fu proibito per lungo tempo in Germania.
    2) I velbali di Hitler – Rapporti stenografici di guerra 1942-1945, a cura di Helmut Heiber, resoconti delle sedute con i suoi generali sulla situazione militare, da cui risulta con quanta attenzione egli ascoltasse tutte le opinioni, anche quelle diverse dalle proprie, e dove con calma e serenità esprimesse le proprie posizioni, lungi dal comportarsi in modo isterico e villano, come la letteratura fasulla e i film di Hollywood da decenni ce lo presentano. Il primo volume dei Verbali è comparso in italiano solo nel 2009. I testi sopravvissuti all’arbitraria distruzione rappresentano un centesimo del totale.
    3) Il libro sulla sua biblioteca, di cui ci stiamo occupando.

    La biblioteca di Hitler costituisce innegabilmente una valida fonte di informazione sulle sue più personali opinioni, che ci vengono consegnate attraverso i titoli, le sottolineature, i commenti attraverso punti esclamativi o interrogativi su certe frasi, le dediche dei donatori, i segni dell’uso ripetuto di un dato libro attraverso le orecchie alle pagine, gli appunti, le macchie, nonché attraverso tutti i segni che ad un bibliografo esperto permettono di individuare il carattere del collezionista, così come l’esperto fisiognomico può risalire all’essenza del carattere di una persona attraverso i tratti del volto.

    * * * *

    Nel primo conflitto mondiale Hitler era di servizio sul fronte occidentale in Francia nei pressi di Fournes/Fromelles, nelle Fiandre, come “Meldeganger” ossia some portaordini, del 16° Reggimento di Fanteria Bavarese di Riserva. La lotta contro gli Inglesi consisteva nel difendersi dagli attacchi dei gas (nuova, terribile arma nel 1915), ma anche contro la pioggia e il fango che riempivano le trincee. La squadra di Hitler, inizialmente di 8 uomini, dopo la battaglia di Wytschaete, nell’autunno del 1914, si era ridotta alla metà. Nell’autunno 1915 Hitler era l’unico sopravvissuto. I messaggi avevano un ordine di priorità stabilito dal numero crescente delle X, che variava da uno a tre per i messaggi urgentissimi. Il servizio durava 24 ore su 24 al fronte, con tre giorni di rientro nelle retrovie ogni settimana. Hitler non mancò di notare che spesso semplici cartoline di saluto erano classificate con 3 X.

    Fra i libri appartenenti a Hitler ritrovati da Ryback vi è 4 anni sul fronte Occidentale – Storia del reggimento List RIR 16 – Memorie di un Reggimento Tedesco, rilegato in cuoio marrone. Nel libro sono descritti i sacrifici e la disperazione di quelle settimane di pioggia, di fango e di gas.

    Uno dei libri più emblematici di quel periodo è una guida di Berlino che il ventiseienne Hitler acquistò per 4 marchi in una gelida mattinata del novembre 1915 a Fournes, ritrovata nel Bunker di Berlino trent’anni dopo.

    Il 21 ottobre 1915 il generale Petz manda Hitler a Valenciennes a requisire dei materassi. Al ritorno a Fournes Hitler acquista in una libreria il libro di Max Osborn sulla storia architettonica di Berlino, con 179 figure, edizioni Seemann, Lipsia. Ottant’anni dopo il libro testimonia il servizio al fronte del suo proprietario. Nella prima pagina all’interno c’è una piccola iscrizione A. Hitler, Fournes, 22 novembre 1915”. Scrive Ryback: “Quando aprii questo fragile volume nella sala di lettura dei ‘Libri Rari’ della biblioteca del Congresso una polvere finissima fuoriuscì dalle sue pagine, come fango ormai secco delle trincee dell’epoca”.

    Lo stesso Osborn, autore del libro, famoso critico e giornalista dell’epoca visitò il fronte occidentale in quell’autunno del 1915. Invia i suoi articoli a Berlino, dai quali si evince la sua inorridita meraviglia per un’arma che egli considera terribile, micidiale e risolutiva: la bomba a mano, causa di stragi impensabili prima del suo impiego nei combattimenti ravvicinati. Orsborn è anche inorridito dell’uso che gli inglesi fanno dei gas. Dal campanile della cattedrale di Ypres, rimasto miracolosamente in piedi in mezzo alle rovine, egli vede un soldato a cavallo attraversare al galoppo una zona bersagliata dall’artiglieria nemica. Sia il cavaliere che il cavallo portano una maschera antigas. Osborn paragona questa visione alle demoniache creature dipinte da Hieronymus Bosch.

    In un simile inferno, il fatto che nelle ore di libertà un caporale spendesse quattro marchi per comprarsi un libro di architettura, quando tutti i suoi compagni ne approfittavano per spendere i pochi soldi disponibili con donne, Schnaps e tabacco, è considerato da Ryback come un atto di trascendenza estetica, la fuga da un mondo in cui bellezza e la raffinatezza si sono irrimediabilmente perdute. Lo provano le impronte delle dita di Hitler sulle illustrazioni – Rubens, Diana assalita dai satiri; Botticelli, scene della Divina Commedia -, le orecchie alle pagine e le sottolineature sui vari passaggi.

    Il sergente della Compagnia Max Amann racconta che quando riscontrava un sovrappiù di fondi nel budget del reggimento, sapendo quanto poco possedesse il caporale austriaco glieli offriva, ottenendo però sempre un cortese rifiuto: Hitler gli diceva di dare quei soldi a chi ne avesse più bisogno di lui. Quando alle tre di notte occorreva un portaordini e Amann chiedeva chi si presentasse volontario, era sempre Hitler a farlo. Amann esclamava: “ancora voi!” e Hitler rispondeva: “lasciate dormire gli altri – a me non importa”. Questi episodi sono parte del libro scritto dall’ufficiale veterano, Adolf Meyer, sulle memorie di guerra e intitolato Con Adolf Hitler nel Reggimento della Riserva di Fanteria Bavarese 16 List. Meyer nel 1934 offrì il libro a Hitler che lo conservò nella sua libreria.

    Il giovane Hitler non era mai stato a Berlino, ma se ne era entusiasmato attraverso il libro di Osborn (L’antica Grecia sul suolo di Prussia). Era tuttavia critico su alcuni aspetti architettonici della città (“Guglielmo II aveva certamente gusto, purtroppo si trattava di un gusto orribile”). Hitler prevedeva che un giorno Berlino sarebbe stata “la Capitale del Mondo”. Un altro libro ritrovato è la guida di Bruxelles. Si ritiene che Hitler ne sia entrato in possesso nel luglio 1916, dopo la battaglia nella Foresta delle Argonne. Egli riuscì ad andare a Bruxelles per una settimana, seguendo le visite indicate nella guida. Da Bruxelles inviò una cartolina ad un camerata dell’RIR16: “Questa è la più bella visita che io abbia mai fatto, nonostante la pioggia che è caduta ininterrotta”.

    Nell’ottobre del 1916, dopo 18 mesi nei pressi di Fournes (la cui cascina adibita a caserma egli fissò nei suoi acquerelli) il reggimento fu trasferito sulla Somme. Subito ebbe 250 morti, 855 feriti e 90 dispersi. Hitler fu ferito alla gamba da uno shrapnel e ricoverato nell’ospedale militare di Beelitz, presso Potsdam. Scrisse: “Che cambiamento dal fango della Somme ai bianchi letti di questo miracoloso edificio!”.

    Ebbe per la priva volta l’occasione di visitare Berlino e ne rimase affascinato. Fu impressionato dalla statua equestre di Federico il Grande, opera dello scultore Christian Daniel Rauch, e vi colse il “perfetto equilibrio fra classicismo e prussianesimo”.

    Nel settembre 1918 viene rimandato al fronte e, nel pieno dlel’offensiva inglese con i gas viene gravemente ferito agli occhi. Viene trasportato nell’ospedale di Pasewalk in Prussia Orientale. Nel novembre, in quello stesso ospedale, apprende la notizia della capitolazione della Germania.

    La storia del libro di Osborn è avventurosa. Nella primavera del 1945 il libro, assieme ad altri, venne messo al riparo in una miniera di sale presso Berchtesgaden, dove cadde nelle mani degli americani della 101° Divisione Aerotrasportata che se lo portarono oltre-Atlantico. Finì alla libreria del Congresso col N. 6885.07.

    Ryback trova fra i libri del Fuhrer una copia popolare, in cattive condizioni, del Peer Gynt di Ibsen (“questo Faust Nordico”). Dietrich Eckart vi testimonia la sua amicizia per Hitler con la dedica: “Seinem lieben Freund Adolf Hitler gewidmet. Dietrich Eckart, Munchen 22 oktober 1921” (dedicato al suo caro amico Adolf Hitler. Dietrich Eckart, Monaco 22 ottobre 1921). Dietrich Eckart era l’ideologo della Thule Gesellschaft ed è considerato il mentore di Hitler. Pubblicista, ideologo, drammaturgo, inventore dello slogan che mobilitò le masse “Deutschland erwache” (Germania, ridestati!). Nacque da ricca famiglia il 23 marzo 1868 a Neumarkt nel Palatinato. Ebbe il suo primo successo con una riedizione teatrale del Peer Gynt di Ibsen che fu rappresentata nel 1914 a Berlino nel Teatro Reale. La traduzione che egli fece dal norvegese divenne la traduzione ufficiale, e sostituì la traduzione fatta dall’ebreo Christian Morgenstern, che Eckart definì “buona per una gazzetta da birreria”. La versione di Eckart fu rappresentata 183 volte.

    Hitler era un ammiratore di Ibsen e identificò una parte di se stesso in Peer Gynt che, nel primo atto, grida alla madre: “Io voglio raggiungere la grandezza. Voglio fama e onori per te e per me!”. Peer Gynt parte per il mondo per realizzare i suoi sogni, attraversa l’Europa, attraversa il mare, incontra esseri umani e animali, veri e mitologici, percorre i deserti del Nord-Africa, si stabilisce in Marocco dove vive in ricchezza e splendore. Alla fine della vita ritorna in patria dove si ricongiunge a Solvejg, l’amore della sua vita. Nel catalogo dei dischi di Hitler sono elencate tre diverse registrazioni dell’opera di Edvard Grieg, che musicò il Peer Gynt negli anni 1874-1875.

    Hitler attribuisce a Eckart il merito di aver identificato il collegamento fra giudaismo e bolscevismo. Da una Conversazione (un’intervista a Hitler fatta da Eckart nel 1923) si evince che Hitler attribuisce agli ebrei gli eccessi della Chiesa cattolica: la vendita delle indulgenze era un’evidente “pratica” di ispirazione giudaica. Egli ritiene inoltre che le Crociate sarebbero state orchestrate dagli ebrei per sottrarre la Palestina al dominio islamico e che sarebbero costate alla Germania 6 milioni di morti! Tale cifra è palesemente esagerata, eppure la cifra di 6 milioni era già popolare a quell’epoca: in un articolo apparso sul The American Hebrew dal 31 ottobre 1919, a firma Martin H. Glynn, già Governatore dello Stato di New York, viene addirittura usata la parola “olocausto”. Si parla di persecuzioni nei Paesi dell’Est dell’Europa e ripetutamente si indica in 6 milioni il numero di vittime ebraiche. L’articolo, torniamo a dirlo, è datato 31 ottobre 1919! Nasce il dubbio che in qualche linguaggio segreto, simbolico, la cifra di 6 milioni voglia soltanto dire “molti”. La usa il giornalista Glynn nel 1919, la usa Hitler nel 1923, e ancora oggi, nel 2009, suona stranamente familiare.


    * * * *

    Scrive sempre Dietrich Eckart che Lutero si espresse già molto chiaramente sugli ebrei: “Lutero ci ha incoraggiato a bruciare le sinagoghe e le scuole ebraiche, e a buttare terra sulle loro macerie in modo che nessun essere umano possa più vedere una pietra, o le ceneri di esse”.

    Hitler su tali misure aveva delle riserve: “Bruciare le loro sinagoghe non darebbe un gran vantaggio. La realtà è che, anche se non fosse mai esistita una sinagoga, o una scuola giudaica, o un Vecchio Testamento, o un Talmud, lo spirito giudaico continuerebbe ad esistere e ad avere i suoi effetti. Questo rotolarsi nello sporco, quest’odio, questa malizia, quest’arroganza, quest’ipocrisia, questo cavillare, questo incitamento all’inganno e al delitto, è forse una religione? Allora nessuno sarebbe più religioso del demonio stesso! L’essenza del giudaismo è il carattere dell’ebreo!”.

    Hitler aveva negli scaffali della sua libreria il Don Chisciotte, i racconti di Fenimore Cooper, il Robinson Crusoe di Daniel Defoe, il Viaggio attraverso il deserto di Karl May e i resoconti dei viaggi avventurosi del grande esploratore svedese Sven Hedin in Asia Centrale, Cina, Tibet. La sorella di Hitler, Paula, scrive che nella sua gioventù Hitler menzionava spesso con ammirazione il nome di Sven Hedin. Il destino volle che, negli anni successivi, tale ammirazione si dovesse sviluppare un una sincera amicizia tra i due uomini.

    Sven Hedin dedicò a Hitler una copia del suo libro L’America nella lotta dei continenti. Se ne può comprendere l’influenza dalla lettera calorosa che Hitler scrisse a Sven Hedin il 20 ottobre 1942 per ringraziarlo, e che è giunta con la documentazione ritrovata da Ryback. Nel libro sopra citato egli raccomandava agli Stati Uniti di non lasciarsi coinvolgere nelle guerre europee e sosteneva che era stato proprio Franklin D. Roosevelt nel 1939 a far precipitare l’Europa nella guerra, e non certo Hitler. Nella lettera citata Hitler lo ringrazia per le sue affermazioni sulla responsabilità della guerra, e tuttavia si dice felice che la Polonia non abbia accettato le sue condizioni, perché ciò avrebbe concesso alla Russia più tempo per riarmarsi contro la Germania. Hitler invitò ripetutamente Sven Hedin al Reichstag ed ebbe sempre di lui il massimo rispetto.


    * * * *


    Otto Dickel era un professore di filosofia ad Augusburg ed è l’autore del libro La Rinascita dell’Occidente, scritto anche per contrastare le tesi del ben più noto Il Tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler, pubblicato nel 1918 (1° volume) e nel 1922 (2° volume). Dickel sosteneva che il Nazionalsocialismo, assieme al socialismo economico e all’antisemitismo poteva far risorgere la cultura europea. La “tirannia degli ebrei”, sosteneva Dickel “è la più grande minaccia non solo per la Germania, ma per tutto il continente europeo. La questione ebraica non può essere più importante per alcune persone e meno importante per altre. E’ una questione fondamentale per tutto l’Occidente perché i giudei controllano la stampa, le arti, le università, e influenzano così l’anima del popolo (la “Volksseele”)”. La soluzione proposta da Dickel è quella di “liquidare questi meccanismi di controllo degli ebrei”; “sono gli Ariani che devono informare ed istruire gli altri Ariani”. Il giornale Valkischer Beobachter raccomandava che La Rinascita dell’Occidente sia letto da tutti i veri nazionalisti tedeschi. Il libro di Dickel era parte della biblioteca di Hitler, che però l’aveva dichiarato “spazzatura”. In effetti il libro giudicava Karl marx un “idealista”, difendeva la Repubblica di Weimar e proponeva una forma assai blanda di antisemitismo, suggerendo che l’economia tedesca dovesse rimanere in mani ebraiche! Hitler era pronto ad abbandonare un Partito che accettasse tali idee. Nel nascente Partito di allora si pose la scelta: Hitler o Dickel. Il 13 luglio 1921 Anton Drexler, allora Presidente del partito, incaricò Eckart di convincere Hitler a rientrare. Eckart era irremovibile nel suo appoggio a Hitler e pubblicò un veemente articolo sul Volkischer Beobachter in suo favore. Il 10 settembre 1921 Hitler divenne presidente del Partito al posto di Drexler ed espulse Dickel dal Partito Nazionalsocialista.

    Fin da quegli anni l’interesse bibliografico di Hitler è testimoniato da varie fotografie scattate dal futuro fotografo ufficiale del Reich, Heinrich Hoffmann, nell’appartamento di Hitler in Thiersch Strasse 41 a Monaco, dove il Fuhrer è ripreso di fronte agli scaffali pieni di libri della sua biblioteca. Ancora più significativi sono i libri stessi. Delle migliaia di libri di Hitler attualmente a Washington, Providence e altrove, Ryback ne ha trovati almeno 40, datati ai primi degli anni Venti: biografie di Giulio Cesare, di Federico il Grande, di Immanuel Kant, un’edizione del 1919 del testo di Heinrich Class Storia della Germania, documenti sulle responsabilità dell’Inghilterra nello scatenamento della Prima Guerra Mondiale, una traduzione del 1918 del testo Nazionalismo dell’indiano Rabindranath Tagore, premio Nobel per la letteratura nel 1915.

    Non mancano i classici dell’antisemitismo: I fondamenti del 19° Secolo di H. S. Chamberlain, la traduzione in tedesco del testo di Henry Ford L’ebreo internazionale – il principale problema mondiale, e ancora, Lutero e gli ebrei, Goethe e gli ebrei, Schopenhauer e gli ebrei, Wagner e gli ebrei, nonché antologie dell’antisemitismo da Lutero a Emil Zola, Il mio risveglio politico di Anton Drexler, il testo di Gottfried Feder Manifesto per combattere la schiavitù dell’interesse da capitale.

    Fra i libri appartenenti a Hitler attualmente nella biblioteca del Congresso di Washington si trovano anche 12 copie del Mein Kampf. L’edizione più antica è del 1926: si tratta di due volumi rilegati in cuoio con incisioni in oro e con la scritta “Vi sono 500 copie di questa edizione di lusso firmate dall’autore”. Altre edizioni numerate sono del 1927 e non mancano sei copie del Mein Kampf in alfabeto Braille, per i ciechi, in sei volumi. Sono grandissime e ogni volume deve essere sollevato con due mani. Le copie del Mein Kampf giunte a Washington sono state con ogni probabilità prelevate dagli americani nell’estate del 1945 dal Centro Editoriale del Partito Nazionalsocialista, che era l’ufficio di Dietrich Eckart alla Tierschstrasse 11, e sono stati erroneamente attribuite alla biblioteca di Hitler. Solo due copie del Mein Kampf sono certamente appartenenti alla sua biblioteca, un’edizione del 1930 e una del 1938, con annotazioni manoscritte del Fuhrer. Assieme ad esse, prelevato nel Fuhrerbunker da Albert fresson, si trovano anche il testo dello storico svizzero Jacob Burckhardt Riflessioni sulla storia del mondo con la dedica della moglie di Burckhardt “al mio amico e Fuhrer – 24 dicembre 1934”. La presenza di questi libri nella biblioteca di Hitler suggella il concetto di Ryback, ossia che l’autore preserva se stesso in un libro che è, a sua volta, preservato nella propria biblioteca.

    E’ noto che Hitler scrisse il Mein Kampf durante la detenzione nella prigione di Landsberg. Ivi lesse Schopenhauer, Marx, Nietzsche, lo storico von Treitschke e Otto von Birmarck, ma nessuno di questi libri è stato ritrovato da Ryback tra i libri sottratti dalla biblioteca di Hitler.

    Non amava Gandhi. Disse: “Secondo me l’ammirazione per Gandhi è una perversione razziale”.

    Fu ritrovato il testi Zur freude del chirurgo-scrittore Karl Ludwig Streich, su felicità, bellezza, creatività, genialità e immortalità con molte annotazioni di Hitler. In particolare sottolineò la frase “I geni sono riconosciuti soltanto dopo la loro morte, specialmente in Germania”.

    Si è speculato molto sulle fonti del Mein Kampf. A parte le influenze di Dietrich Eckart, di Houston Stewart Chamberlain, di Lagarde, di Rosemberg e di altri, si possono con più evidenza rinvenire nel Mein Kampf le tracce dell’opera Tipologia razziale del popolo tedesco dell’antropologo razzista-nazionalista Hans F. K. Gunther (noto come “Rassen-Gunther”).

    Certamente ebbe influenza anche la traduzione del libro di Henry Ford The International Jew. Ryback cita l’articolo del New York Times del dicembre 1922: “Sulla parete dietro la poltrona di Hitler vi è una grande fotografia – si tratta di Henry Ford”. “Nell’anticamera vi è un grande tavolo ricoperto di pubblicazioni, molte delle quali sono traduzioni dei libri di Henry Ford”. Il primo testo di Ford tradotto in tedesco, disponibile in Germania fu L’ebreo internazionale – un problema mondiale. Baldur von Schrach lo lesse da ragazzo e dichiarò di essere subito divenuto un convinto antisemita.

    Hitler scrive che Ford era un genio creativo che si opponeva all’emergere degli ebrei negli USA: “Ogni anno gli ebrei si presentano come i capi di una forza lavorativa di un popolo di 12° milioni di uomini. Un solo uomo rimane indipendente e si oppone ad essi, con loro grande rabbia”. Ford a sua volta scrive: “La Germania, con la possibile eccezione degli Stati Uniti, è la nazione al mondo più minacciata dagli ebrei. Essi detengono le principali industrie, le finanze, il futuro della Germania. Questa presa non si è allentata. E’ rimasta inamovibile”.

    Quando dissero a Ford che i Protocolli dei Savi Anziani di Sion dovevano essere considerati come uno studio romanzato e non come vera storia, egli disse che non importava nulla, perché ciò non alterava la verità del contenuto. Hitler era dello stesso parere: “E’ del tutto indifferente da quale cervello ebraico i Protocolli siano nati. La cosa importante è che, con terrificante realismo, essi svelano la natura e le attività dei giudei ed espongono i loro fini ultimi”.

    Nella prima fase del Mein Kampf è romanticamente riassunta la visione politica del Fuhrer: “Una sorte benevola ha voluto che il Destino mi assegnasse come luogo di nascita la cittadina di Braunau-an-der-Inn. Essa si trova alla frontiera fra due Stati tedeschi, la cui riunificazione, almeno a noi più giovani, appariva fin d’allora come la missione della nostra vita, da raggiungersi con ogni possibile mezzo”. Da notarsi che in una prima bozza scritta nel carcere di Landsberg e ritrovata da Ryback, Hitler usò l’insolita parola “Vorbedeutung” per definire la “circostanza” del suo luogo di nascita. La parola significa “premonizione”, “predestinazione”.

    “La Riunificazione”, scrisse Hitler poche righe dopo, “non è da intendersi in senso economico o sociale, bensì razziale. Lo stesso sangue deve ritrovarsi nello stesso Stato”.

    Il manoscritto del primo volume del Mein Kampf fu completato il 16 ottobre 1924 con la dedica a Dietrich Eckart “per essersi votato al risveglio della nostra gente con gli scritti, col pensiero, con le azioni”.

    Nella biblioteca dell’Università di Harvard, reparto “libri rari”, Ryback ha trovato tre copie con dedica manoscritta di Hitler, inclusa una copia (n.144) dell’edizione originale, datata novembre 1942.

    La successiva opera letteraria di Hitler fu dedicata alle sue esperienze durante la Prima Guerra Mondiale, ma il libro non giunse mai al termine. Ernst Junger nel 1926 gli mandò una copia di Feuer und Blut (Fuoco e Sangue) con la dedica “al Fuhrer nazionale Adolf Hitler”. Junger era l’autore di Tempeste d’acciaio – La guerra come esperienza interiore e aveva dimostrato che il veterano era la voce più forte del soldato di prima linea, in contrasto con la letteratura pacifista di quegli anni come Niente di nuovo sul Fronte Occidentale di Erich Maria Remarque.

    Del testo di Hitler, mai giunto alla pubblicazione, abbiamo però testimonianze nelle lettere che egli inviò all’amico di Monaco Ernst Negg, dove descrive le sue esperienze di ventiseienne al battesimo del fuoco, le marce notturne, l’artiglieria nemica, gli inglesi che “sbucano come formiche, e quelli che non si arrendono vengono uccisi”. Hitler ha sottolineato inoltre molti passaggi del libro di Junger. E’ possibile che i testi di Junger, magistralmente scritti sul tema della guerra, possa aver indotto Hitler a rinunciare ad aggiungere un suo libro su questo argomento. E’ altrettanto importante osservare che la carriera politica stava ormai assorbendo tutto il suo tempo. Come scrisse a Sigfried Wagner nonché nella prefazione del Mein Kampf, egli era “un uomo di azione politica e non di parola scritta”.

    Nella primavera del 1945 Hitler inviò il suo aiutante Julius Schaub a Monaco con l’incarico di distruggere tutti i propri manoscritti, lettere, documenti privati, ecc. Christa Schroder, segretaria di Hitler, ricorda di avere visto Schaub distruggere i documenti “con l’aiuto di due taniche di benzina”, cancellando così la maggior parte della vita privata di Hitler,…ma non tutta! Hitler aveva dimenticato (e Schaub non poteva saperlo) che quindici anni prima aveva dato una copia del suo quarto progetto di scrittore (Mein Kampf 1° e 2° volume, e Ricordi di Guerra) all’editore Eher Franz (Eher Verlag) di Monaco. Si tratta di un testo ingiallito di 324 pagine manoscritte.

    Il memorandum del Capitano Paul M. Leake dell’esercito americano (American Signal Corp) precisa che il testo fu ritrovato alla Tierschstrasse 11 e venne identificato come “Target No. 589”. Inoltre: “Il Sig. Joseph Berg, che abita alla Scheubner-Richter-Strasse No. 35 di Monaco, e che era il direttore tecnico della casa editrice, ci consegnò il manoscritto di un testo non pubblicato di Hitler, scritto circa 15 anni prima e tenuto in cassaforte. Il Sig. Berg disse di avere ricevuto precisi ordini di non stamparlo né di mostrarlo ad alcuno”.

    Ciò significa che alla data del 1928 Hitler, trentanovenne, aveva già maturato quattro anni di esperienza come autore di scritti politici. In questo testo la prima frase è: “Nell’agosto 1925, scrivendo la Seconda Parte del “Mein Kampf”, espressi i principi fondamentali di politica estera della Germania nazionalsocialista, sebbene in forma piuttosto concisa”. Hitler intendeva fornire in questo libro una visione più ampia sul ruolo della Germania nel mondo, così trasformando il Mein Kampf in una trilogia integrata: il primo volume su Hitler stesso, il secondo volume sul Partito Nazionalsocialista in Germania, il terzo volume sul ruolo della Germania nel mondo.

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    Predefinito Re: L'altro Hitler

    Nelle elezioni del 1928 il Partito nazionalsocialista subì un’amara sconfitta, raccogliendo meno del 3% del voto nazionale. Nei suoi diari Goebbels definì quella situazione nella primavera del 1928 come “trostlos” (desolante). La ragione di ciò scava nella intelligente politica del Ministro degli Esteri della Repubblica di Weimar, Gustav Stresemann. Nel 1924 egli negoziò il cosiddetto “accordo Dawes” che di fatto eliminava l’obbligo delle assurde riparazioni che la Germania avrebbe dovuto pagare secondo il Trattato di Versailles e che condusse alla disastrosa inflazione del 1923. In queste complesse trattative Stresemann fu assistito dal Presidente della Banca del Reich, Hjalmar Schacht, futuro Ministro delle Finanze di Hitler. (L’autore di questo articolo, allora studente universitario, ricorda di aver conosciuto Hyalmar Schacht a Torino nel 1954).

    L’anno successivo Stresemann firmò il Patto di Locarno, favorendo la riconciliazione della Germania con i suoi ex nemici, in particolare con la Francia, e per questa zione gli fu assegnato il premio Nobel per la pace.

    Nel suo terzo libro Hitler sviluppa il concetto che la sopravvivenza dello spirito presuppone la continuazione e la selezione della razza, in pieno accordo con il pensiero darwiniano.

    Quando compì il 39° anno ricevette il libro scritto da Maria Grunewald La visione della Germania di Fichte, dedicato al “riverito Fuhrer”. Il libro descrive vite di fanciulle ariane e di indomiti guerrieri, con titoli come Sulla Bellezza, Gli Dei della Luce combattono le Forze delle Tenebre e riflette la visione di Fichte sul ruolo dell’individuo nella società. Si riscontra l’influenza della Grunewald nel terzo volume. Quando lo completò nel luglio 1928, Hitler andò in vacanza all’isola di Helgoland, assieme alla sorella Angela, alla nipote Geli e a Goebbels. Quando ritornarono Max Amann andò a Monaco col manoscritto e lo rinchiuse nella cassaforte della Tierschstrasse 11, dove sarebbe rimasto per 17 anni.

    Gli eventi cambiarono radicalmente nel 1929: Stresemann subì un attacco di cuore il 3 ottobre e tre settimane dopo la borsa di New York crollò causando la grande depressione, con conseguenze anche sulla Germania. Hitler non si dedicò più alla scrittura, ma solo alla politica e tre anni dopo divenne il Cancelliere della Germania.


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    L’accrescimento della biblioteca di Hitler, dapprima lento, perché entravano nella biblioteca solo i libri da lui acquistati, fu poi più rapido, specie quando divenne Cancelliere e si trasferì alla Prinzregentenplatz 16/11 di Monaco.

    Nel 1927 Goring gli regalò una sua biografia Goring – Riassunto di una vita con la dedica “in stima e lealtà”. Himmler gli diede due suoi libri: uno nel 1934 Voci dei nostri Antenati e un altro nel 1938 Morte e immortalità nella visione del mondo indo-germanico. Quest’ultimo fu un dono natalizio, ma Himmler, per evitare nella dedica di scrivere la parola “Natale”, scrisse la data come “Julfest”, festività pagana!

    Per il 44° compleanno del Fuhrer, Baldur ed Henriette von Schirach gli regalarono un libro di antiquariato in due volumi sulla sua città natale di Braunau-an-der-Inn. Henriette von Schirach, nata Hoffmann, era la figlia del fotografo di Hitler ed egli la conosceva fin da bambina quando la chiamava “il mio raggio di sole”. La ragazza sposò più tardi Baldur von Schirach e rimase sempre in amichevoli rapporti con Hitler, fino al noto episodio che anche Ryback riporta: in una serata al Berghof, Henriette von Schirach, reduce dall’Olanda, dice al Fuhrer di aver assistito al rastrellamento di ebrei olandesi e aggiunge: “Sono sicura, mio Fuhrer, che voi non potete sapere nulla di ciò…”. La faccia di Hitler si irrigidì, si alzò e le disse: “Voi siete una sentimentale, signora von Schirach! Cos’hanno a che fare con voi quegli ebrei olandesi?” Henriette lasciò la sala e le fu consigliato di lasciare subito il Berghof. Non incontrò mai più Hitler. Per comprendere il livello della sua fede nazionalsocialista è il caso di ricordare che quando il marito venne condannato a 20 anni di reclusione a Norimberga, Henriette chiese subito il divorzio.


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    Leni Riefenstahl dedicò a Hitler due volumi di fotografie tratte dai suoi documentari Il trionfo della volontà, la cronaca cinematografica del Congresso di Norimberga del 1934, e Olympia sulle Olimpiadi di Berlino del 1936, uno in occasione del Natale 1936 e l’altro in occasione del Natale 1937. Ryback ha inoltre ritrovato un terzo volume dedicato a Hitler “con gratitudine ed eterna lealtà”, rilegato in cuoio rosso, intitolato La bellezza nei Giochi Olimpici con inquadrature degli atleti più belli, sia uomini che donne, e con una grande fotografia di Jesse Owens con la scritta “L’uomo più veloce del mondo”. E’ questa l’ennesima riprova che Hitler non aveva alcuna avversione verso questo atleta nero americano, perché altrimenti l’attentissima Riefenstahl non avrebbe incluso la sua foto in un libro dedicato al Fuhrer. Il contributo più importante alla biblioteca del Fuhrer fu però dato dalla Riefenstahl con il dono dell’opera completa del filosofo tedesco Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) così dedicatagli in data 20 giugno 1933: “Al mio caro Fuhrer con la più profonda stima”.


    * * * *


    Hitler disse una volta al suo caro amico e confidente Hans Frank di avere avuto sempre con sé nelle trincee della guerra il libro di Schopenhauer Il mondo come volontà e rappresentazione. Che Hitler conoscesse Schopenhauer risulta anche dalla citazione che egli ne fece nel Mein Kampf quando riporta la definizione fatta da Schopenhauer dell’Ebreo: “Il gran maestro della menzogna”. Ryback ha ritrovato nella biblioteca di Hitler un testo di Schopenhauer, ristampato nel 1931. Un’ulteriore conferma della devozione di Hitler verso Schopenhauer è data dal busto del filosofo che egli teneva sulla scrivania al Berghof.

    Hitler possedeva la prima edizione delle opere di Nietzsche, 8 volumi pubblicati fra il 1903 e il 1909, ma solo un libro fu ritrovato nel Bunker; il testamento politico di Nietzsche.

    Secondo Dietrich Eckart, Nietzsche sostituì Schopenhauer sempre più nei concetti come “La volontà di potere di Herrenvolk” (Popolo di Dominatori), la lotta per la vita eroica, la lotta contro l’educazione reazionaria, contro la filosofia cristiana e contro l’etica basata sulla compassione.

    La Riefenstahl riporta invece una conversazione con Hitler che suggerisce una diversa interpretazione. Egli diceva “Nella mia gioventù non ho avuto modo di procurarmi un’istruzione adeguata. Ora ogni notte leggo uno o due libri, anche quando vado a letto molto tardi. Quando una persona “dà”, deve anche “ricevere”, e io ricevo ciò di cui ho bisogno dai libri che leggo”. La Riefenstahl gli chiese a questo punto quali autori preferisse, e Hitler disse: “Schopenhauer”. E lei: “non Nietzsche?”. Hitler rispose: “Non posso veramente trarre molto da Nietzsche. Egli è più un artista che un filosofo. Non possiede l’intelligenza chiara come il cristallo di Schopenhauer. Naturalmente stimo Nietzsche. Egli impiega la più bella lingua tedesca di tutta la nostra letteratura, è un genio, ma non è la mia guida!”. Dietrick Eckart ha identificato in Fichte, Schopenhauer e Nietzsche il triunvirato filosofico del Nazionalsocialismo.


    * * * *


    La biblioteca di Hitler include circa quaranta volumi dedicatigli fra il 1919 ed il 1935 dall’editore Julius Friedrich Lehmann, uno dei più generosi donatori della biblioteca ed altresì l’architetto della scienza nazionalsocialista del razzismo biologico. Nelle sue dediche Lehmann definisce questi libri “e pietre miliari del movimento nazionalsocialista”. Essi sono in effetti il compendio dell’ideologia etica, estetica, sociale, politica, legale ed economica del Nazionalsocialismo. Nel primo volume di una serie intitolata Dottrina dell’eredità umana e dell’igiene razziale la dedica a Hitler è la seguente: “Ad Adolf Hitler, come importante contributo all’approfondimento delle sue conoscenze. Con amicizia J. F. Lehmann”. Secondo Eckart, Lehmann fu uno dei primi sostenitori dei movimenti nazionali a riconoscere il potenziale politico di Hitler. Lehmann ha fornito libri con dedica a Hitler anno per anno, per più di un decennio, riempiendo i mobili-libreria sia dell’appartamento alla Tierschstrasse che della successiva residenza al Prinzregentenplatz. Fra di essi Ryback ha ritrovato la traduzione del classico trattato di Madison grant del 1916 La base razziale della Storia d’Europa. La copia di Hitler, del 1925, reca la dedica di Lehmann “con amicizia”. Seguono i libri di Hans F. K. Gunther sull’identità ariana.

    In conclusione, il compendio dei libri donati dall’editore Lehmann costituisce non solo la parte centrale della biblioteca di Hitler e la base del suo mondo intellettuale, ma anche il fondamento ideologico del Terzo Reich. Per il suo contributo al successo dell’ideologia nazionalsocialista Hitler decorò Lehmann col distintivo d’oro del Partito, il massimo riconoscimento politico dell’epoca.

    Un’interessante notizia storica è legata alla scoperta dell’espressione “Terzo Reich” (Das dritte Reich). Essa proviene dal titolo di un libro di Arthur Moeller Bruck precisamente Das dritte Reic, dedicato a Hitler nel novembre 1924, nel primo anniversario del fallito putsch di Monaco. E’ stato altresì ritrovato da Ryback un volume di Paul Lagarde, ristampato nel 1934, costituito da una raccolta di scritti antisemiti del XIX secolo, con un centinaio di pagine cariche di annotazioni manoscritte di Hitler.


    * * * *


    Hitler era capace di assimilare prodigiose quantità di informazioni e di richiamarle alla memoria, su di una serie sconfinata di argomenti che spaziavano dalla produzione di carri armati alle opere teatrali. Una sera, dopo aver ascoltato Hitler dissertare sulla qualità delle opere di Schiller in paragone a quelle di G. B. Shaw, Goebbels scrisse nel suo diario: “Quest’uomo è un genio!”. L’amico di gioventù Kubizek (vedi L’Uomo Libero n. 53), impressionato dalla capacità di lettura e di assimilazione di Hitler, scrisse che Hitler non leggeva per distrarsi o per piacere, ma che per lui la lettura era un lavoro “estremamente serio”.

    Uno strumento di consultazione era la Grande Enciclopedia Brockhaus in 20 volumi, pubblicata fra il 1928 e il 1934. Egli consultava anche l?enciclopedia Meyer’s. Per acquistare la certezza su di una informazione, sia sulla lunghezza di un fiume, o su di un episodio della vita di Napoleone, consultava sempre entrambe le fonti per vedere se vi erano discrepanze. Questo fu raccontato a Ryback dall’ultima segretaria di Hitler, Christa Schroder. Nel testo di Lagarde (520 pagine) è riportato con enfasi il concetto di Fichte che “gli ebrei non possono essere assimilati”. E sottolinea la frase: “Poiché io conosco i tedeschi non posso immaginare che agli ebrei sia permesso di vivere in mezzo ad essi”. Scrive ancora Lagarde: “Nonostante il loro desiderio di essere equiparati ai Tedeschi non esitano a mostrare la loro estraneità anche nelle costruzioni delle sinagoghe. Cosa vuol dire costruire in stile pseudo-moresco i luoghi di culto, se non per sottolineare l’appartenenza alla razza semitica e asiatica?”. Hitler sottolinea il concetto di Lagarde sulla responsabilità di essere Tedeschi: “Ognuno di noi diviene un traditore della nazione se non realizza e non rispetta la propria responsabilità verso l’esistenza, la felicità ed il futuro della Patria in ogni istante della vita. Ognuno di noi è un eroe ed un liberatore se invece agisce in tal modo”.

    Si può dire che dopo il 1933 le annotazioni di Hitler sui libri donatigli da Lehmann assunsero la rilevanza di una Dottrina di Stato.


    * * * *


    Nel 1936 il vescovo austriaco Alois Hudal scrisse il libro I fondamenti del Nazionalsocialismo. Due copie con la dedica a Hitler furono ritrovate nella sua biblioteca. Uno solo di questi libri sembra sia stato letto, almeno per le prime sedici pagine, ed è privo di annotazioni a margine.

    Questo libro è la testimonianza di un dilemma spirituale nel mondo dei cattolici tedeschi. La tesi ivi sostenuta da Hudal, con dottrina e intelligenza, era quella di dimostrare l’affinità, se non addirittura l’identità ideologica e spirituale, tra Cattolicesimo e Nazionalsocialismo. Entrambe le dottrine includono il concetto di obbedienza incondizionata all’Autorità, poiché il “Fuhrerprinzip” costituisce l’aspetto secolare del dogma dell’infallibilità del Papa. Inoltre sia i Cattolici che i Nazionalsocialisti provano una profonda avversione per gli ebrei. Hudal osserva che già nel XIII Secolo S. Tommaso d’Aquino nel suo trattato De regimine judaeorum ammonisce le genti sulla tendenza degli ebrei a dominare il mondo. Hudal sostiene che se i nazionalsocialisti potessero essere persuasi a sostituire il loro “antisemitismo” con l’”antigiudaismo”, ossia di avversare gli ebrei per la loro religione e non per la loro razza, l’unione del Cattolicesimo col nazionalsocialismo costituirebbe su tutto il Continente Europeo il più forte baluardo contro la minaccia del Bolscevismo. Hudal cita l’allora Ministro degli Esteri sovietico Molotov che avrebbe detto che “la più grande minaccia per il Comunismo sarebbe costituita dalla fusione del Fascismo col Cattolicesimo” (come noto nel linguaggio sovietico non viene mai usata la parola “Nazionalsocialismo” bensì solo la parola “Fascismo”, per non dare ai compagni sovietici una bieca visione del “Socialismo”).

    Nell’autunno del 1934 Hudal si recò nientemeno che dal Papa Pio IX in vaticano per sottoporgli il manoscritto. Il Papa disse a Hudal, senza mezzi termini, che stava commettendo un errore immenso poiché “non vi era nulla di spirituale nel Nazionalsocialismo, che altro non era che colossale materialismo”. Il Papa gli disse che non credeva ad un accordo fra il cattolicesimo ed il Nazionalsocialismo, ma non gli vietò la pubblicazione del libro ed, anzi, gli avrebbe augurato “buona fortuna” per la sua iniziativa.

    Un altro personaggio che credeva di conoscere Hitler era Franz von Papen (Cancelliere del reich nel 1932, Vice-Cancelliere nel 1933-34, Ambasciatore ad Ankara fino al 1944). In quanto cattolico praticante e, come Hitler, austriaco. Von Papen era già allora una specie di democristiano ante-litteram. Hudal si rivolge a lui per sondare la posizione del Partito sul suo testo, nella speranza di ottenerne l’appoggio ufficiale. Von Papen fu entusiasta del progetto di Hudal. L’8 giugno 1936 lo presenta a Hitler e a Goebbels raccomandandone caldamente l’ufficializzazione da parte del Partito. Mentre in un primo momento Hitler sembrò essere positivamente interessato al progetto, il sottile, diffidente, intelligentissimo e sospettoso Goebbels non lo fu affatto. Suggerì diplomaticamente al Fuhrer di richiedere diverse modifiche, sottolineando che un compromesso fra il Nazionalsocialismo ed il Cattolicesimo avrebbe fortemente “annacquato” l’ideologia nazionalsocialista che ha le sue radici nel “razzismo scientifico”. Hitler comunque non vietò la pubblicazione del libro ed il 3 novembre 1936 Hudal gli dedicò la prima copia con la scritta: “Al Fuhrer della Resurrezione Germanica, al Sigfrido della speranza e della grandezza tedesca”. Alle critiche di Goebbels si unì ora anche Bormann e von Papen si lamentò in seguito che le opportunità per una aperta discussione ed una sponsorizzazione del libro sarebbero state “sabotate”. Nello stesso tempo il vaticano si distanziò nettamente dal suo contenuto, dichiarando che si trattava di una personale iniziativa del vescovo Hudal. Sembra addirittura che Pio XI abbia avuto la tentazione di metterlo all’Indice, e che non lo abbia fatto perché sarebbe stata la prima volta nella Storia della Chiesa che il libro di un Vescovo cattolico finiva all’Indice. Hudal si disperò, cadde in depressione, cercò di farsi ricevere dal Papa, ma senza successo. Gli stessi vescovi tedeschi definirono Hudal “il vescovo nazista”, il Cardinale Faulhaber lo definì “il teologo di corte di Hitler”. Dopo la Seconda Guerra Mondiale Hudal fu mandato in un remoto monastero dove si consolò col motto latino “habent sua fata libelli” (i libri hanno un loro destino).


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    In quegli stessi anni Hitler dovette occuparsi anche di un altro libro, di stampo opposto rispetto al Cristianesimo, il quale vi veniva combattuto in ogni suo aspetto. Si tratta de Il mito del XX Secolo di Alfred Rosemberg. Il libro sosteneva la sterilizzazione, la poligamia e la propagazione del 5° Vangelo secondo il quale Gesù sarebbe stato un profeta fanatico, volto alla distruzione e alla vendetta. Rosemberg sostiene che San Paolo fosse un agente degli ebrei, che operava al fine di schiavizzare i popoli d’Europa sotto il manto del Cristianesimo. In effetti, Saul, o Paolo di Tarso, noto infine come San Paolo, era un ebreo ortodosso, intelligente e cosciente, il quale vide nella nuova, ultima setta ebraica, detta cristiana, lo strumento più potente per compiere la “missione” del popolo ebraico, ossia quella di regnare sugli altri popoli, di asservirli moralmente, sfruttandoli anche economicamente. Paolo di Tarso, come scrive Nietzsche, “diede un senso nuovo ai misteri antichi”. Questo tema è trattato sul quotidiano Rinascita del 4 settembre 2009 nell’articolo Paolo di Tarso o del Cristianesimo Giudaico che riporta lo studio di Savitri Deri Mukerji (1905-1982), scritto al Cairo nel 1957 e presentato da Mauro Likar.

    Il sorprendente libro di Rosemberg, da cui il Fuhrer stesso prese le distanze e che sarcasticamente definì “impenetrabile”, è in realtà un libro originalissimo, ricco di concetti storici, filosofici e culturali della massima profondità, scritti purtroppo in forma complessa e di difficile lettura. Hitler ebbe addirittura una discussione aperta col Cardinale di Monaco Faulhaber, che si lamentò che il testo di Rosemberg venisse adottato come testo di lettura nelle scuole. Il Fuhrer, per non umiliare il cardinale Faulhaber, che era in sostanza un suo amico e sostenitore, si arrampicò sugli specchi dicendo che aveva delle riserve sul libro, ma non sul suo autore Alfred Rosemberg. Aggiunse che anche la Chiesa era responsabile dell’enorme diffusione del libro perché l’aveva messo all’Indice! E’ da rilevare che Pio XI non mise all’indice il Mein Kampf perché l’autore era un Capo di Stato, e la Chiesa non intendeva aprile le ostilità col Terzo Reich su questo tema. Non mise all’indice il libro di Hudal perché, come detto, era il libro di un vescovo cattolico. Ma non esitò a mettere all’indice Il mito del XX Secolo, consacrandone così l’immensa popolarità (due milioni di copie, superate solo dal Mein Kampf). Rosemberg sostiene che la prima sconfitta dell’umanità è stata causata dal Cristianesimo, seguita quindi dal suo “figlio illegittimo”, il Bolscevismo. Essi hanno una comune matrice storico-religiosa: l’Ebraismo. Egli si chiede ancora: “Come si spiega che vi siano al mondo più di 2 miliardi di uomini (secondo le stime degli anni Trenta) e più di 170 religioni differenti? La Chiesa ha sfruttato l’esigenza dell’uomo di comprendere le forze della Natura, e ne dà la propria interpretazione, allo stesso tempo minacciando tutti coloro che non credono a ciò che essa comanda”.


    * * * *


    Hitler aveva interesse, come già si è visto, in innumerevoli campi della scienza, della letteratura, della filosofia, e non gli furono estranei neppure i soggetti spiritualistici e occultistici, come testimoniano i molti libri ritrovati nella biblioteca su questi soggetti. Dediche e iscrizioni si trovano sui seguenti testi: Il Regno di Dio e il Mondo Contemporaneo di Peter Maag, 1915; l’Anulus Platonis del XVII secolo, ritrovato nel settore “Scienze Occulte”; e ancora I Morti vivono nel settore “Fenomeni paranormali” del 1914, dedicato a Hitler.

    Questi ultimi libri furono ritrovati nel Bunker e si trovano oggi in parte alla Brown University e altri alla Libreria del Congresso.

    Negli scritti di Carl Ludwig Schleich si trovano segni a matita sul tema “relazioni fra la biologia cellulare, l’immortalità e la conoscenza umana”. Nel testo La Legge del mondo di Max Riedel, dedicato a Hitler nel 1939, è sottolineata la frase: “Nel nostro corpo risiede tutta la storia dell’umanità, a partire dalla nascita della prima stella. Attraverso il nostro corpo passa l’energia dell’universo, dall’eternità all’eternità”.

    Un personaggio al servizio di Hitler, responsabile per cene, serate di gala e decorazioni delle sale, Willy Kannemberg, così gli dedicò il libro Schlieffen del Dott. Hugo Rochs, pubblicato nel 1921: “Dedicato al mio Fuhrer “ col motto “so-oder-so – Sieg Heil – 19/05/1940” Questo motto si può tradurre “con tutti i mezzi, a ogni costo”. La dedica non sarebbe stata gradita dal Fuhrer per la sua eccessiva confidenzialità da parte di un subordinato. Il libro è assai interessante e quasi profetico per quanto sarebbe poi avvenuto nella Seconda Guerra Mondiale. Il Dott. Rochs era il medico personale del Conte Alfred Schlieffen, autore del famoso piano applicato nel corso della Guerra Franco-Prussiana. Schlieffen non bombardò Parigi nel 1870 per risparmiare i civili e mise la Germania insistentemente in guardia contro il pericolo di una guerra su due fronti. Nel libro ci sono 32 annotazioni di Hitler a margine, tutte relative ai futuri eventi della campagna di Francia. In particolare si nota una spessa sottolineatura di Hitler su una frase di Schlieffen relativa a Federico il Grande, il quale era dell’avviso che in un attacco alla Francia sarebbe stato vantaggioso attaccare dal Nord attraverso i Paesi bassi e assediare Dunkerque!

    Schlieffen vedeva la Germania minacciata da Francia e Inghilterra a Ovest e dalla Russia a Est. Egli era dell’avviso che si dovesse ad ogni costo evitare la guerra su due fronti, al punto che, citando nuovamente Federico il Grande, Schlieffen sostiene che occorrerebbe essere pronti a sacrificare un’importante regione come la Prussia Orientale, cedendola, se necessario, alla Russia, pur di sconfiggere Francia e Inghilterra sul Fronte Occidentale. Una volta ottenuto questo risultato sarà possibile per la Germania riprendersi le regioni cedute. Schlieffen scrive ancora: “L’esercito russo è da considerarsi comunque un esercito nemico”. Questa frase è stata pesantemente sottolineata da Hitler, e Ryback ha voluto scorgere in questa sottolineatura, su un libro ricevuto il 19 maggio 1940, il primo segno dell’intenzione di Hitler di attaccare la Russia.


    * * * *


    Al corrispondente da Berlino della United Press negli anni Trenta,Frederick Oechsner, già scriveva che la collezione di libri di Hitler ammontava a 16.300volumi, stima confermata recentemente da due studiosi citati da Ryback, Philip Gassert e Daniel Mattern. Oechsner scrisse a suo tempo che circa la metà dei 7.000 volumi dei quali aveva conoscenza tratta di argomenti militari. In particolare tutte le campagne napoleoniche venivano commentate da Hitler con ampie sottolineature, così come le guerre prussiane, la guerra ispano-americana scritta da Theodore Roosevelt ed il libro del Generale F. W. von Steuben, consigliere militare di George Washington nella Rivoluzione Americana, ancora oggi celebrato in America come un importante protagonista della guerra d’indipendenza dall’Inghilterra.

    L’interesse di Hitler per gli argomenti militari nacque già nella prima giovinezza, quando lesse il libro di Heinrich Gerling sulla Guerra Franco-Prussiana. Scrive Hitler nel Mein Kampf: “Quell’eroica lotta divenne la mia più grande esperienza interiore. Da allora mi entusiasmai sempre di più per tutti gli argoment collegati alla guerra ed agli eserciti”. Quando lasciò la prigione di Landsberg si dedicò all’acquisto dei più vari tipi di trattati militari sugli aspetti della storia, della strategia e delle armi. Specifici trattati sui carri armati (Heigl’s Taschenbuch der Tanks, del 1935) nonché sulle navi da guerra e sugli aerei fanno parte della sua biblioteca. “Almanacchi Militari” pubblicati ogni anno dai vari Paesi venivano raccolti, letti e confrontati. Sono stati ritrovati dozzine di almanacchi inglesi, francesi e russi. Il più vecchio testo militare è quello del patriota tedesco Ernst Moritz Arndt, del 1815, un trattato sul “Guerriero Teutonico” dedicato a Hitler dalla pronipote dello stesso Arndt.
    Dozzine di libri su Federico il Grande facevano parte della biblioteca, incluse le biografie di eroi militari Prussiani delle guerre napoleoniche, quali Karl von Stein e Friedrich von Bulow.

    Hitler aveva memorizzato tutti i dati tecnici sulle varie armi dedotti dagli almanacchi. Conosceva i nomi e le caratteristiche di tutte le navi da battaglia del mondo. Era aggiornato su tutte le produzioni di aerei, navi, carri armati.

    A differenza dei suoi generali era appassionato di Karl May e aveva studiato le guerre indiane. Egli apprezzava l’abilità tattica e l’astuzia del capo indiano Winnetou, maestro del mascheramento e nella sorpresa per sopraffare l’avversario.

    Possedeva molti libri sul grande Federico II, fra cui la monumentale biografia di Thomas Carlyle, 2.100 pagine scritte fra il 1858 ed il 1865. Gli fu regalata da Goebbels l’11 marzo 1945 e gli fu effimero conforto quando ebbe notizia della morte di Roosevelt il 12 aprile. Hitler ebbe allora la breve illusione, alimentata da Goebbels, che la morte di Roosevelt avrebbe avuto per la Germania le stesse conseguenze che la morte di Caterina la Grande ebbe per la Prussia nella Guerra dei Sette Anni.

    Nel bunker fu ritrovata un’edizione economica delle profezie di Nostradamus del 1628. Ryback la rintracciò alla Brown University. Si tratta di un testo curato da Carl Loog e pubblicato nel 1921. La 57° Quartina profetizza per i successivi 290 anni, ossia dal 1628 al 1918, le guerre degli inglesi contro i francesi prima e contro i tedeschi poi, quando gli inglesi si saranno alleati ai francesi. Mentre la profezia sembra includere solo la Prima Guerra Mondiale, una diversa interpretazione delle date parrebbe includere il riferimento anche alla Seconda Guerra Mondiale. Ryback esamina il libro in dettaglio e nota che non mostra segni di lettura, commenti a margine o sottolineature. I fogli sono tagliati solo fino alla pagina 42, 26 pagine prima del riferimento alla Seconda Guerra Mondiale.


    * * * *


    Scrive Walter Benjamin: “Lo scopo ultimo dei libri sarà quello di raccontare il collezionista, una volta che questi sia scomparso. Non solo il collezionista viene preservato dai suoi libri, ma in quelle pagine c’è l’essenza della sua stessa vita”.


    Giandomenico Bardanzellu

    Articolo tratto da L’UOMO LIBERO n. 68 Anno XXX del novembre 2009 pagine 63-87

    Italia Sociale

 

 

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