i Fabio Calabrese

Non è sufficiente un articolo, neppure un articolo “magico” come “Abracadabra” per chiudere i conti con il pensiero liberista, quello che nella visione oggi corrente in economia (ma l’economia non è mai separata dalla politica) si è affermato al punto da essere considerato IL PENSIERO UNICO, anche se certe magie si possono fare anche senza essere “maghi – o piuttosto apprendisti stregoni – della finanza” laureati alla Bocconi (o a Hogwarts, che in fondo è la stessa cosa).
E’ un discorso che è necessario riprendere per svariati motivi, non ultimo il fatto che una mentalità liberista o neo-liberista è purtroppo variamente diffusa anche nei nostri ambienti. Questo è uno strascico persistente dell’era della Guerra Fredda. Ai tempi della divisione del mondo in due blocchi contrapposti, non sembrava esserci altra prospettiva che quella di appiattirsi sul presunto male minore americano.
In tempi recenti, il nostro Maurizio Barozzi giovandosi della sua posizione di “memoria storica” derivante dall’essere curatore del sito della FNCRSI, ha portato alla luce un’ampia casistica che suggerisce che il MSI sia stato ampiamente infiltrato, manipolato o addirittura creato come esca per attrarre camerati, da ambienti atlantisti e/o addirittura dai servizi segreti americani.
Io – onestamente – non vorrei entrare in una polemica a questo riguardo, anche se riconosco nel nostro Maurizio una persona di grande competenza e serietà.
Senza dover per questo riaprire vecchi contenziosi, il punto davvero importante mi sembra un altro: UNA COSA era essere atlantisti e filo-occidentali allora, quando si viveva sotto la minaccia incombente del comunismo sovietico trattenuta solo dalla paura dell’olocausto nucleare, TUTT’ALTRA è continuare a esserlo oggi, quando l’Unione Sovietica, la Cortina di Ferro, la Guerra Fredda non esistono più da oltre vent’anni, e dimostra solo la vischiosità mentale di chi non si rende conto o non vuole rendersi conto che i tempi cambiano.
In “Abracadabra” ho evidenziato che nella prima parte del XX secolo si contrapponevano il capitalismo liberale e due modelli di socialismo antagonisti, quello con la falce e martello e il socialismo nazionale di matrice fascista. Il “socialismo deforme” con la falce e martello si è coalizzato con il capitalismo per distruggere l’altro. C’è voluto quasi mezzo secolo dalla seconda guerra mondiale, ma alla fine il disfunzionale socialismo sovietico ci ha offerto l’inedito spettacolo di un sistema elefantiaco che comprendeva svariati regimi estesi su un’ampia fascia del nostro pianeta e che penetrava in maniera capillare nella vita dei suoi sudditi a ogni livello, che crolla sotto il suo stesso peso.
Il fatto di aver vissuto per quasi mezzo secolo come “la normalità” una condizione anomala come era quella della Guerra Fredda, non aiuta di certo ad avere le idee chiare al riguardo, ma occorre evidenziare che fra comunismo sovietico e capitalismo “made in USA” si era ben lontani dall’esserci una contrapposizione assoluta, e che entrambi erano fra loro reciprocamente molto più affini di quanto ciascuno dei due lo fosse col “nemico fascista” che hanno concordemente distrutto.
Il fine di entrambi, infatti, era (nel caso dell’USA-capitalismo E’ tuttora) la creazione di un “uomo nuovo” mondializzato, sradicato dal suo nesso naturale in una comunità di appartenenza, in un sistema di valori, di tradizioni, di identità, che invece il fascismo tendeva e tende a rafforzare. Il fine era ed è lo stesso, solo i mezzi impiegati sono/erano diversi. “America come religione”, non a caso era uno slogan caro al leninismo, e certamente questa realtà incontestabile spiega come mai dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica la sinistra italiana e internazionale si è così prontamente piegata a fare da sostegno agli interessi del capitalismo mondialista, interessi che coincidono con i suoi “ideali” molto più di quanto non si pensi.
Noi non possiamo in ogni caso avere nulla a che fare con la “destra” vuoi liberale vuoi conservatrice, allo stesso modo in cui non possiamo essere di sinistra.
“Sinistra” significa egualitarismo, uguaglianza forzata degli uomini che uguali non sono, “destra” significa conservazione, immobilità sociale, accettazione degli status ascritti derivanti dal caso di nascita indipendentemente da competenze, capacità e meriti. A entrambe possiamo contrapporre la visione basata sulla selezione che già Platone aveva delineato nella “Repubblica”: l’uomo giusto al posto giusto nell’interesse e per il bene di tutti.
Il socialismo nazionale si basa su di un presupposto che è l’esatto contrario sia del capitalismo sia del “socialismo” marxista-leninista: ciò che occorre preservare, proteggere, far sviluppare sia economicamente-materialmente sia culturalmente-spiritualmente, è la comunità nazionale, la comunità di popolo, “Volksgemeinschaft”, che non è definita solo dal radicamento in un certo territorio, ma dalla comunità e continuità di sangue, “Blut und Boden”, soltanto qui l’uomo può trovare un’appartenenza, un’identità.


Questo implica parecchie cose, prima di tutto il potere dello stato di intervenire nell’economia, sia per fronteggiare le ingerenze del grande capitale apolide, sia per imporre politiche di equità sociale, perché se vogliamo creare una comunità solidale, non ci possono essere troppe disparità, figli e figliastri.
Questo non significa che la lotta di classe non esista: essa è insita nel fatto che gli interessi umani sono divergenti: se un uomo mangia un pezzo di pane, esso non è più disponibile per tutti gli altri, ma il discrimine, la vera linea di faglia soprattutto in un Paese come l’Italia che ha un tessuto industriale costituito prevalentemente da piccola e piccolissima impresa, non è fra lavoratori dipendenti e imprenditori il cui tenore e il cui stile di vita poco si distingue da quello dei primi, ma fra i ceti produttivi e il grande capitalismo bancario – finanziario parassitario e tendenzialmente apolide, apolidi di lusso che hanno molto più in comune con i loro congeneri di altra nazionalità che con i loro concittadini. Oggi e sempre più, costoro si mascherano dietro le istituzioni “europee”.


Specialmente oggi che la sinistra italiana ed europea (si fa per dire) è incantata dal “sogno” mondialista e multietnico che è poi la traduzione nella realtà dell’incubo disegnato dal piano Kalergy, è del tutto prona a queste istituzioni finto-europee, è dalla parte del nemico, E’ il nemico.
Per decenni la sinistra ha messo in difficoltà gli imprenditori, facilitando l’acquisto delle aziende da parte delle multinazionali e delle holding a loro volta possedute dal grande capitale finanziario e bancario. Oggi che il grande capitale apolide internazionale sta per lanciare l’attacco definitivo alla ricchezza prodotta dal lavoro degli Italiani come degli altri popoli europei, costoro proclamano che “la lotta di classe non esiste”.


Perché dovremmo stupircene? Alla fine tutto si tiene, ed è evidente l’estrazione borghese ed alto-borghese della maggior parte dei leader di sinistra e centrosinistra a partire dalla “mutazione genetica” del 1968. E’ un punto, questo, che ho evidenziato più volte, e non sarà necessario rispiegarlo. Questa sinistra ha ormai gettato anche l’ultima maschera, e di lavoratori, imprenditori, forze produttive della società, dimostra di non potersene infischiare maggiormente o fregare di meno: ormai si occupa solo di rom, nozze gay e immigrati.
Occorre leggerli i classici del pensiero liberista per rendersi conto di tutta l’inconsistenza che sta dietro quello che oggi si vuole gabellare per pensiero unico senza alternative possibili. La “mano invisibile” di cui parlava Adam Smith esiste e oggi non è poi più così tanto invisibile, solo che si dimostra assai più adatta a strangolare una società piuttosto che a indirizzarla verso il benessere comune.


Rileggendo John Locke e la sua giustificazione del diritto di proprietà “che nasce dal lavoro”, non è possibile trattenere un amaro sogghigno: se le cose stessero davvero così, allora l’erede del principale gruppo industriale italiano, Lapo Elkann, avrebbe molto meno non dico dei travestiti con cui è solito accompagnarsi, ma dell’ultimo dei suoi operai.
Va da sé che lo stato in grado di assumersi la direzione della vita economica non può essere lo stato democratico quale lo conosciamo da settant’anni. Nel dopoguerra fu costituita una commissione d’indagine sui profitti del regime fascista che dopo anni di inchieste non riuscì ad approdare a nulla: il fascismo non aveva mai messo illecitamente le mani nelle tasche degli Italiani.


Ai tempi che furono, Giorgio Almirante (per quanto possa essere stata deficitaria la sua linea politica sotto altri punti di vista) ebbe a dichiarare nel corso di una famosa tribuna politica, che quando Mussolini fu appeso per i piedi a piazzale Loreto, non gli uscì di tasca neppure il biglietto del tram, ma quel che più conta, nessuno dei rappresentanti dei partiti antifascisti presenti osò replicare.
La democrazia è globalmente un sistema di corruzione: ovunque si scavi si trova marcio, e più si scava, più marcio si trova.
Al di là degli episodi di corruzione, ciascuno dei quali però è come un albero in una giungla inestricabile, quella che è radicalmente differente nei due regimi, è la concezione dello stato: per i democratici esso è solo una vacca da mungere il più possibile, e non si ha in vista alcun principio più alto dell’interesse personale o di clan.
Prendete un telegiornale come “Striscia la notizia” che essendo un TG satirico è forse l’unico telegiornale serio che abbiamo in Italia, e vedetevi la lista quasi infinita delle incompiute, delle opere pubbliche mai portate a termine, denaro buttato per la collettività: scuole, ospedali, case popolari, carceri, tratti autostradali, impianti sportivi e chi più ne ha più ne metta. Queste non sono storture del sistema, questo è IL sistema con cui enormi quantità di denaro si trasferiscono dalle tasche dei cittadini a quelle della classe politica: si commissionano a delle ditte dei lavori pubblici di cui si conosce a priori l’inutilità, l’impresa incassa i soldi magari gonfiando da subito il preventivo, i politici ci fanno sopra “la cresta” di una lucrosa tangente e chi s’è visto s’è visto.


Occorre dire che oggi le economie dei Paesi europei sono sotto un vero e proprio attacco da parte di quelli che ormai sono indicati come gli euro-vampiri, ma la loro pressione compromette prima di tutto chi è più debole, e per quanto riguarda noi Italiani, essa va a sommarsi o agire su una serie di debolezze puramente endogene. Di debolezze, in settant’anni, sotto una “guida” politica democratica mai minimamente preoccupata del futuro dei propri concittadini, l’Italia ne ha accumulate tante: un debito pubblico spropositato, conseguenza diretta del saccheggio delle risorse nazionali compiuto dalla corruzione partitocratica, la mancata innovazione tecnologica diretta conseguenza della mancanza di investimenti nella ricerca di base che da noi è a livelli di Terzo Mondo: abbiamo puntato tutto sulle produzioni a bassa tecnologia con il risultato che oggi non siamo in grado di competere con il Terzo Mondo la cui produzione è favorita dai bassissimi costi della manodopera.


Quando in ossequio ai dogmi liberisti uno stato si priva dei mezzi per imporre la gestione dell’economia (e ricordiamo quel vero delitto che è stato la demolizione dell’IRI, “eredità fascista” distrutta da Romano Prodi), l’unico strumento che gli rimane per procurarsi risorse è la leva fiscale, ma è uno strumento che si trasforma facilmente in un boomerang. Quando sorpassa un certo limite che noi abbiamo da tempo oltrepassato, l’aumento della pressione fiscale non incrementa ma fa diminuire gli introiti nelle casse dello stato, perché diventa causa diretta di recessione: i contribuenti falliscono, finiscono sul lastrico e ovviamente smettono di produrre gettito. Solitamente ciò porta a ulteriori aumenti della pressione fiscale che, ben lungi dal produrre i risultati attesi, prosciugano ancora di più l’economia reale e peggiorano i conti pubblici in un circolo vizioso davvero diabolico. E’ un vero peccato che in genere gli economisti manchino di cultura storica: anche la disintegrazione dell’impero romano nel III secolo d. C. è cominciata così, con un’OPPRESSIONE fiscale smodata.
Credo, ma non ne sono sicuro, che sia stato John Maynard Keynes a dirlo: uno stato che cerchi di risollevare l’economia attraverso l’aumento della pressione fiscale fa esattamente come un uomo che cerchi di sollevarsi da terra tirandosi per le stringhe delle scarpe.
Semmai, incrementi anche forti del gettito fiscale senza deprimere i consumi e causare recessione, si potrebbero realizzare aumentando la tassazione sui ceti più elevati: è un discorso di equità e giustizia sociale, ma è anche il fatto che i redditi delle classi alte sono perlopiù capitalizzati, mentre quelli delle classi subalterne si traducono prevalentemente in consumi. Ma è chiaro che non è certo questa la direzione nella quale ci si sta muovendo, semmai in omaggio ai dogmi liberisti, si accresce la pressione fiscale sulle classi subalterne e la si alleggerisce su quelle elevate. Le moderne politiche fiscali ispirate al PENSIERO UNICO fanno degli stati dei Robin Hood al contrario, che rubano ai poveri per dare ai ricchi.
Quando si rileggono oggi i classici del pensiero liberale, John Locke in testa, “la proprietà che nasce dal lavoro”, si ha una singolare impressione di arcaismo: costoro avevano in testa un mondo sostanzialmente rurale di piccoli proprietari terrieri dove il problema più sentito era quello di sostituire gli “open fields” delle antiche comunità di villaggio con le proprietà individuali dei terreni mediante gli “enclosure acts”, un mondo che è scomparso con la rivoluzione industriale, se mai è davvero esistito.
A quei tempi, il problema era – forse – quello di difendere l’autonomia dei singoli contro uno stato che poteva facilmente diventare tirannico, ma oggi il problema è esattamente il contrario, quello di difendere le comunità nazionali da un potere economico, quello del grande capitale multinazionale, fortissimo e ubiquitario, e la libertà d’impresa, una libertà di cui può disporre solo un esiguo strato privilegiato, è un’arma in mano al nemico.
Il socialismo nazionale è più che mai l’unica strada praticabile.

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