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Discussione: Su Francisco Franco

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    Predefinito Su Francisco Franco

    di Daniele Bernava

    Francisco Franco Bahamonde, noto gli appellativi di Generalissimo e “Caudillo de Espana” (capo e guida della Spagna), è un personaggio storico non conosciuto molto bene.

    Detestato dai democratici, dai comunisti, dai socialisti, dai fascisti, dalla Massoneria (sua nemica mortale) e da tutta la marmaglia politicamente corretta, compresa quella “cattolica”, ma anche da molti che si ritengono fuori da certi schemi. Pochi conoscono davvero la figura del piu’ grande spagnolo del XX° secolo, che diventò il piu’ giovane generale d’Europa a soli 33 anni, il cui coraggio è riconosciuto persino dai suoi avversari (Arturo Barea e Indalecio Prietro), insignito della piu’ alta onorificenza dell’ordine equestre pontificio, l’Ordine Supremo del Cristo. Quasi tutte le sue promozioni furono per meriti di guerra. Egli difese la Spagna e la Chiesa dal caos in cui rischiarono di precipitare negli anni 30. Quando mori’ (20 Novembre 1975) le file successive per rendere omaggio alle sue spoglie mortali erano di chilometri, con attese fino a 14 ore (come riportato dal quotidiano ABC). Un gigante della storia, che non appartiene solo agli spagnoli, ma a tutti gli uomini che si identificano nei tre Sacri valori: Dio, Patria e Famiglia.

    Nacque il 4 Dicembre 1892 a Ferrol, cittadina nota fino al 1982 come “El Ferrol del Caudillo” in suo onore, in Galizia, territorio nel nord-ovest della Spagna. Fin da piccolo mostrò una fede cattolica fortissima, fu adoratore notturno del Santissimo Sacramento. Una Fede professata fedelmente che lo guidò fino alla morte. Di carattere estremamente prudente, ciò gli è valso spesso la cattiva interpretazione di opportunista e di pavido nel campo decisionale, invece come dimostra la storia, gli permise spesso di prendere decisioni sagge senza farsi guidare dall’istinto, cosciente del fatto che dalle sue azioni dipendeva la vita di un popolo. Quando l’Alzamiento (sollevazione) del Luglio 1936 fu percepito come l’unico rimedio per evitare che la Spagna finisse tra le grinfie del mostruoso anarco-comunismo, egli non si tirò indietro Attese fino all’ultimo per via della sua proverbiale lealtà alle istituzioni, prerogativa e limite dei militari. Il titolo di Generalissimo e condottiero dell’Alzamiento gli fu imposto, non fu un’autoproclamazione, egli fu lontanissimo dalle “autocelebrazioni”.

    Il cosiddetto Franchismo (1939-1975) fu un regime autoritario basato sulla Dottrina Sociale Cattolica. Non fu una dittatura la sua, né tantomeno può essere definito come una replica del Fascismo italico, come una certa storiografia vuole far credere, visto che in lui mancò la componente socialista e “statolatrica” e non vi fu nemmeno una sottomissione statale ad un partito, si verificò l’esatto opposto. Ebbe forti frizioni con i falangisti che vennero contenuti al massimo. Alcuni di essi tentarono di ucciderlo. Sintetizzò tutte le forze nazionali nel Movimiento Nacional. L’Autorità fu al di sopra del potere. Non mancò di certo la politica sociale, cosa che dovrebbero apprendere certuni che vedono solamente come reazionario e militaresco questo governo. Si possono riportare alcuni dati e fatti, per smentire quest’ultima approssimazione menzognera. Franco incaricò dei tecnocrati per avviare lo sviluppo della nazione, che portarono risultati eccellenti, tanto da poter parlare di “miracolo spagnolo”, il cosiddetto “Desarrollo” (1959-1973), anche se ciò comportò l’emarginazione dei falangisti e l’apertura a tendenze liberali in senso economico. A causa dell’isolamento internazionale, la scelta può dirsi che fu obbligata.

    Nel 1973 fu dato alla Spagna l’Oscar d’oro delle nazioni, occupò l’8° posto al mondo tra le potenze industrializzate, raggiunse il pieno impiego e il secondo posto per crescita al mondo in quel periodo, le esportazioni aumentarono di 10 volte. C’è chi parlò addirittura di “marxismo” di Franco , come nel caso di una testimonianza di una persona che lottò contro Franco durante la guerra civile spagnola (1936-1939), che parlò di come impiegò il denaro dello stato per le opere comunitarie presso Vega de Arriba (nelle Asturie), della fondazione dell’Opera di Educacion y Descanso (Educazione e Riposo) e delle “Scuole di Qualificazione sociale”, definite copie delle opere sovietiche della “gioia del lavoro”, citando anche la creazione di 8000 alloggi per i lavoratori nella residenza di Murias, presso Oviedo. La Spagna dal 1940 al 1970 crebbe di 8 milioni di abitanti, la rendita per ogni spagnolo aumentò di 4 volte, aumentò la superficie forestale di ben 2960 volte (2.350.000 ettari), dalle 32.000 case costruite nel 1940 si arrivò a 3.121.931 abitazioni nel 1970, l’assistenza sanitaria passò da 81000 assistiti (1940) a 25.134.956 (1970), ovvero 81 volte di più. Nello stesso periodo (1940-1970) furono creati 3.897.000 posti di lavoro, l’analfabetismo e la criminalità furono quasi azzerati, il turismo aumentò di 290 volte e la produzione editoriale di quasi cinque volte.

    Risultati e numeri che dovrebbero fare riflettere anche i piu’ scettici antifranchisti, visto ciò si ebbe nonostante un clima di parziale isolamento internazionale, che il Caudillo tentò di scardinare intraprendendo la politica del recupero della “Hispanidad” con le relazioni con l’America Latina e persino con la Cuba castrista, dimostrando una sorprendente elasticità diplomatica e un acume geopolitico ragguardevole, che lo fece accettare anche dagli USA (solo a livello funzionale e non ideologico), visto che mantenne sempre la sua visione anticomunista.


    Non si può parlare di Francisco Franco senza soffermarsi sulla guerra civile spagnola, che fece circa 300.000 vittime. Non fu solo uno scontro politico, tra coloro che furono abbagliati dall’Anarchia e dal Comunismo e coloro che si sollevarono a difesa della civiltà e della Tradizione. Si scontrarono due essenze metafisiche, una tradizionale e cristiana e l’altra sovversiva (rasentò il demoniaco), pur con le dovute sfumature da tenere in conto a causa della limitatezza della giustizia dell’operato umano, difficilmente esente da errori anche quando è dalla parte “giusta”. I prodromi già si ebbero negli anni precedenti, in cui le infiltrazioni massoniche e anarco-comuniste deviarono la politica dei governi repubblicani successivi alla deposizione di Re Alfonso XIII (1931). Leggi inique diedero il via alla persecuzione delle tradizioni cristiane spagnole, che culminò nella guerra civile, scoppiata a causa della legittima reazione della Spagna sana, che fu davvero una Crociata, visto che 13 Vescovi, 4317 sacerdoti, 2489 religiosi, 283 suore e 249 seminaristi furono assassinati, per non citare le innumerevoli profanazioni e distruzioni di monumenti e chiese dettate da una ferocia anticristiana inaudita. Migliaia di attentati furono compiuti. Questa fu l’essenza della rivoluzione rossa, nemica della Chiesa e della Patria. Si sparò alle statue di Cristo, alle statue della Vergine, all’Eucarestia nei Tabernacoli. I corpi dei Santi ( San Narciso, San Bernardo Calvò) riesumati e dileggiati, venivano riesumati i cadaveri di ecclesiastici a cui venivano legati i prigionieri per lasciarli morire di stenti a cui toccò la comune decomposizione all’aria aperta, per non parlare di altre indicibili torture, l’espianto degli occhi, sventramenti, sepolture, bruciature, tutte azioni compiute su persone in vita. La sorte peggiore toccava ai membri della Chiesa.

    I sostenitori rivoluzionari gridavano “Viva la Russia”, prima sostenitrice della sovversione con finanziamenti e forniture di armamenti ai repubblicani, che affidarono i comandi militari a russi, praticamente consegnando la propria nazione in mano straniera. Da evidenziare il sostegno del governo messicano laicista, responsabile anch’esso di persecuzioni religiose in Messico a cui si opposero i “Cristeros” messicani. Cosa dire delle democrazie liberali. Europee? Ufficialmente neutrali ma di fatto appoggiarono la sovversione anarco-comunista, anche nel concreto, d’altronde come potevano parteggiare per la difesa della Tradizione essendo anch’esse antitradizionali per definizione?

    Ecco cosa affermò Winston Curchill:
    “Franco ha ragione perché ama la sua Patria. Egli difende l’Europa dal pericolo comunista. Però io preferisco la causa avversaria e il trionfo dei suoi nemici. Infatti Franco può essere una minaccia per gli interessi inglesi, gli altri no” (2).

    Francisco Francò combattè e vinse contro tutto ciò, nessuna propaganda avversaria può toglierli un merito cosi’ grande. Grazie a lui la Chiesa rifiori’ e con essa l’anima cristiana della Spagna.
    Si potrebbe obiettare sulla faziosità di tale giudizio, ma come non credere alle affermazioni di personaggi insospettabili come Salvador De Madariaga, storico spagnolo repubblicano? “Nessuno che abbia insieme buona fede e buone informazioni può negare gli orrori di quella persecuzione: per anni bastò il solo fatto di essere cattolico per meritare la pena di morte, inflitta spesso nei modi più atroci”. Cosa dire sulle affermazioni dello storico liberale Hugh Thomas? “Non si era mai visto niente del genere dai tempi di Diocleziano. Più di sedicimila tra preti, vescovi, suore, seminaristi vennero massacrati nei modi più atroci. Oltre a un imprecisato numero di laici credenti. Vennero vietati i nomi cristiani e anche il saluto adios, che conteneva la parola Dio. Profanati e incendiati chiese e conventi, fucilate anche le statue religiose, sterminati anche i parenti degli ecclesiastici” Non serve aggiungere altro se non un terribile quesito: cosa c’entrava tutto ciò con il benessere del proletariato?

    Coloro che si opposero a tale schieramento e presero parte all’Alzamiento venivano da una pluralità di ambienti, monarchici, falangisti, carlisti, semplici soldati, tutti uniti per la difesa della Spagna. Non esenti da errori e da efferatezze (furono uccisi ecclesiastici sospettati di essere favorevoli alla separatismo basco), neanche lontanamente si macchiarono di barbarie come i repubblicani, nelle zone controllate da essi vigeva l’ordine e si combatteva portando spesso reliquie addosso e inneggiando a Cristo Re. Ovviamente il culto religioso era libero ed
    incoraggiato, al contrario delle zone rosse dove si veniva uccisi per esso. Furono supportati massicciamente dall’Italia fascista, mentre il contributo del Reich hitleriano fu limitato all’invio della “Legione Condor,” divenuta celeberrima a causa del bombardamento di Guernica, ingigantito dalla propaganda repubblicana e da un Pablo Picasso opportunista e mercenario (3).

    La figura del Generalissimo, non si limitò alle realizzazioni sociali, ma tese soprattutto al Metafisico, alla Spiritualità. Cattolico, fu educato fin da piccolo alla pratica religiosa, incentrò tutto il suo governo al servizio della Chiesa Cattolica e della Patria. Egli ripristinò la religione di stato, per l’appunto quella Cattolica Romana e rispettò la Chiesa nell’esercizio delle sue funzioni. Passava diverso tempo davanti il Santissimo Sacramento, riconosciuto come Adoratore Notturno Attivo, soprattutto durante scelte difficili da prendere. Durante la guerra d’Africa, verso il 1915-1916, egli, allora capitano, difendeva una compagnia a Melilla (Africa del Nord-ovest).

    Una testimonianza riporta il suo raccoglimento davanti il Tabernacolo interrotto da un soldato che disse: “Signor capitano, che sarà di noi?“, Franco gli rispose: “Avendo qui il Signore, non abbiamo nulla da temere”.

    Non interrompeva mai la contemplazione del Santissimo neanche quando veniva sollecitato da comunicazioni urgenti.

    Interessante è l’episodio riguardo l’ultimatum di 48 ore dato dall’ambasciatore tedesco Von Moltke nel 1942, che esigette per conto di Hitler l’intervento della Spagna a fianco dell’Asse, per evitare un’invasione della stessa, Gli Alleati , saputa la cosa, fecero la medesima richiesta. Il Caudillo si chiuse in preghiera davanti al Tabernacolo in Cappella, pregando intensamente. Dopo 24 ore arrivò la notizia della morte dell’ambasciatore tedesco per un’improvvisa appendicite fulminante, quindi l’ultimatum non ebbe risposta, il momento critico passò e la Spagna restò neutrale come lo stesso Franco volle. Un evento del genere sicuramente influi’ sulla decisione del Generalissimo. Riguardo al mancato intervento spagnolo nella Seconda Guerra Mondiale sono molte le ipotesi speculatrici, tra cui quella di un cospicuo pagamento in denaro da parte alleata, decisamente contestabile sia per il fatto appena menzionato sia per il fatto che la Spagna era a pezzi (solamente una pazzia poteva trascinare un Paese devastato dalla passata guerra civile in un conflitto immane), inoltre il Franchismo fu lontano dalla ideologia hitleriana, ferocemente antiebraica.

    Documentato è l’apporto a favore di numerosi Ebrei perseguitati, secondo il Mossad 40000. Non ci fu alcun bisogno di corromperlo e la stessa corruzione sarebbe andata in contrasto con la possibilità che diede a molti falangisti di combattere a fianco dell’Asse con la “Division Azul ”, composta da circa 50000 volontari, ciò fu fatto per ricambiare l’aiuto tedesco e italiano nella guerra civile. Le trattative e la rassicurazioni tra gli Alleati e Franco sulla non belligeranza spagnola in ogni caso ci furono, dettate da esigenze tattiche, la Spagna era un vaso di terracotta in mezzo a vasi di ferro. Egli di fatti siglò con il Portogallo di Salazar il “Patto Iberico” per rafforzare la neutralità.

    Franco diede prova della sua onestà e della sua fedeltà alla Chiesa, rifiutò pure un cospicuo aiuto economico, in tempi difficilissimi,in cambio della concessione di più ampie libertà religiose, per restare fedele alla Chiesa “preconciliare”. Successivamente, per obbedienza, conformò le leggi in materia di libertà religiosa secondo il Concilio Vaticano II. Papa Giovanni XXIII nel 1960 disse di lui: ” Franco promulga leggi cattoliche, è un buon cattolico, cosa si può desiderare di più?” Dopo il Concilio Vaticano II la posizione di molti ecclesiastici nei confronti del Franchismo cambiò, incentivando l’influenza verso la democratizzazione liberale. La necessità di “dialogare” del Vaticano con il mondo comunista ebbe grande effetto sul raffreddamento dei rapporti nei confronti del Franchismo, come la virulenza del clero progressista spagnolo. Una componente di esso sostenne il separatismo basco. Un comportamento che danneggiò la Chiesa spagnola stessa, falcidiata da guerre intestine e che trascurò l’attività pastorale per farsi trascinare, sull’onda del progressismo dilagante, politicamente a sinistra. Essa si rese invisa agli spagnoli, di fatti con l’avvento della Democrazia perse il suo ruolo di protagonista in Spagna. Paolo VI, che non comprese a pieno la realtà spagnola, contribui’ purtroppo a tutto ciò.

    Franco era consapevole di essere una transizione, designò infatti come suo successore Juan Carlos, restaurando la Monarchia, che doveva essere guidato dal suo uomo di fiducia Carrero Blanco, ucciso in un attentato dell’ETA (1973). Se dovessimo analizzare la decisione di Franco, alla luce del successivo operato di Juan Carlos, il quadro risulterebbe decisamente negativo, visto che proprio l’ex Re (ha abdicato di recente) ha contribuito in maniera fondamentale alla laicizzazione della Spagna, che tra l’altro è sul punto di frantumarsi a causa delle forze separatiste, catalane su tutte. La situazione economica è disastrosa, la disoccupazione è alle stelle, mentre quando ereditò la nazione dal Franchismo essa aveva un’economia solida. Con il senno di poi è facile giudicare e la
    tentazione di affermare che le cose sarebbero andate diversamente, se la scelta fosse ricaduta sul ramo legittimista carlista dei Borbone-Parma, è fortissima. Cosa dire, si è concessa agli spagnoli la “Movida”, anestetico potente per non fare sentire il dolore di un sistema politico iniquo e antinazionale.

    Il Caudillo ci ha lasciato un monumento a testimonianza della Fede, “El Vallo de los Caidos” (la valle dei caduti) nei pressi di Madrid. Un abbazia sormontata dalla Croce piu’ alta del mondo (150 m visibile da oltre 40 km di distanza), in cui riposano le sue stesse spoglie mortali, quelle di José Antonio Primo de Rivera (fondatore della Falange Spagnola) e quasi 40000 caduti di entrambi gli schieramenti della guerra civile (nazionalisti e repubblicani). Simbolo di pacificazione nazionale libero da rancori. Recentemente il governo laicista di Zapatero ha tentato la chiusura del sito, d’altronde la “democrazia” è maestra di tolleranza, mentre il dibattito sulla “scomoda” Valle dei Caduti tiene sempre banco in terra iberica. Molti si recano presso l’abbazia , chiedendo persino intercessioni a Franco e c’è chi parla addirittura di grazie ricevute. In essa si trovano le casse con la documentazione sull’operato del Caudillo, tutto con testimonianze comprovate. Franco operò fino all’ultimo in Cristo e la Spagna.

    Un giorno ci sarà la completa riabilitazione del Generalissimo.

    Riferimenti bibliografici: Francisco Franco, Cristiano Esemplare, di Manuel Garrido Bonaño , Effedieffe.

    Riferimenti e note:

    1) Intervista a La Naciòn, Buenos Aires, 14 /8/ 1938

    2) Pablo Picasso ricevette indirettamente l’equivalente di un milione di Euro dall’Unione Sovietica per modificare il quadro “En muerte del torero Joselito”, divenuto in seguito “Guernica”. Per completezza d’informazione le vittime furono qualche centinaio, non migliaia, persino il Municipio è in piedi assieme ad altri edifici giunti fino ad oggi, inoltre è falso il presunto bombardamento sul mercato, in quanto il Venerdi’ pomeriggio a Guernica non ci fu.

  2. #2

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    Predefinito Re: Su Francisco Franco

    CHE COSA VUOLE IL «FALANGISMO» SPAGNOLO

    di Julius Evola

    Mentre le fasi della guerra civile spagnola vengono seguite da tutti con vivo interesse, non altrettanto note sono le idee che precisamente animano l’insurrezione delle forze nazionali spagnole contro il comunismo: anche perché molti credono che la fase ideologica positiva, nelle rivoluzioni, si svolge sempre in un periodo successivo.


    Noi non siamo di questa opinione. Crediamo che il miglior soldato sia quello che si batte con precisa cognizione della sua causa e che le idee, anche se idee presentite o confusamente intuite, più che nettamente formulate, siano la realtà primaria in ogni rivolgimento storico davvero importante. Siamo quindi grati ad Alberto Luchini per averci fatto conoscere il programma dottrinale di una delle principali tendenzialità nazionaliste spagnole, quelle della cosidetta «falange española», rendendone vivi e balzanti i termini con le risorse di uno stile di traduzione veramente stupefacente e quasi diremmo neoromantico per vigore, precisione e felice improvvisazione (I Falangisti spagnoli, Beltrami, Firenze, 1936). Si tratta di una professione generale di fede politica, la cui formulazione sembra esser dovuta a José Antonio Primo de Rivera ovvero allo scrittore Giménez Caballero. Il programma, per ricchezza di contenuto spirituale, ci ha quasi sorpresi, tanto che crediamo assai opportuno segnalarlo al pubblico italiano col dare, in sintesi, il senso di esso.

    Primo punto. Né l’unità linguistica, né quella etnica o territoriale sono considerate sufficienti a dare all’idea di nazione il suo vero contenuto. «Una nazione è una unità predestinata, cosmica». Tale – si afferma – è anche la Spagna: una unità, un destino, «una entità sussistente al di là di ogni persona, classe o collettività in cui si attua», non solo, ma altresì al disopra «della quantità complessa che risulta dalla loro aggregazione». Si tratta cioè dell’idea spirituale e trascendente della nazione, opposta ad ogni collettivismo – di destra o di sinistra – e ad ogni meccanicismo. «Entità vera d’una verità sua e perfetta, realtà viva e sovrana, la Spagna tende, di conseguenza, verso proprie mete definite». Nel riguardo, non solo si parla di «un ritorno in pieno alla collaborazione spirituale mondiale», ma altresì di una «missione universale della Spagna», di una creazione, da parte dell’«unità solare» che essa rappresenta, «di un mondo nuovo». Certo, a quest’ultimo proposito, le buone intenzioni a parte, resta un punto interrogativo.

    Che cosa la Spagna possa oggi, ed anche domani, dire in sede di idea universale, è infatti poco chiaro. Ma la realtà è che qui si ha l’effetto di una logica precisa. Non si può infatti assumere spiritualmente l’idea di nazione senza esser istintivamente portati a sorpassarne il particolarismo, a concepirla come principio di una organizzazione spirituale supernazionale, con valore dunque di universalità: anche quando si abbia ben poco a disposizione per dar forma concreta e fattiva ad una tale esigenza. E viceversa: ogni restrizione particolaristica di una idea nazionale va sempre ad accusarne un latente materialismo o collettivismo.

    Passiamo alla parte più propriamente politica del programma. I falangisti dicono di no allo Stato agnostico, spettatore passivo della vita pubblica nazionale o, al più, agente di polizia in grande stile. Lo Stato deve essere autoritario, Stato di tutti, totale e totalitario, giustificantesi però, in questa sua forma, sempre con riferimento alla nozione ideale e perpetua della Spagna, indipendente da qualsiasi interesse meramente di classe o di parte.

    L’estirpazione dei partiti e dell’annessa palestra parlamentaristica segue naturalmente da tale veduta. Ma i falangisti, sotto la forza di tradizioni secolari della loro patria, sembrano anche stare in guardia contro quegli eccessi del totalitarismo, che, nel loro lavoro di livellamento e di uniformizzazione, minacciano di far di alcune tendenzialità nazionaliste, malgrado tutto, dei fac-simili nazionalizzati di bolscevismo. E così che i falangisti insistono sulla necessità, che gruppi umani organici, vivi e vitali, articolino il vero Stato e siano le sue salde fondamenta; essi perciò intendono difendere l’integrità familiare, cellula dell’unità sociale; l’autonomia comunale, cellula dell’unità territoriale; infine, le unità professionali e corporative, cellule di una nuova organizzazione nazionale del lavoro e organi per il superamento della lotta di classe.

    A quest’ultimo riguardo, l’adererenza dei falangisti all’idea corporativa fascista è completa. «Le categorie sindacali e corporative, fin qui nell’impossibilità di partecipare alla vita pubblica nazionale, avranno a dover assurgere, abbattuti i diaframmi artificiali del parlamento e dei partiti politici, ad organi immediati dello Stato». La collettività dei produttori quale totalità organica e una sarà da concepirsi «totalmente cointeressata e impegnata nell’impresa comune, unica e altissima»: impresa in cui all’interesse generale nazionale deve restar sempre assicurato il primato.

    Forse non e a caso che il capitolo che segue immediatamente a questo tratta della personalità umana, e che in esso si denuncia il pericolo, che una nazione si trasformi tutta in una specie di «laboratorio sperimentale», come secondo le conseguenze logiche del bolscevismo e del meccanicismo. Il rilievo dato alla dignità della personalità umana, da distinguersi nettamente dall’arbitrio individualistico, ci sembra anzi uno dei tratti più salienti e caratteristici del programma falangista spagnolo e l’effetto di una visione sanamente tradizionale. Citiamo il passo che, a questo riguardo, è il più significativo: «La falange spagnola discerne nella personalità umana, al di là dell’individuo fisico e dell’individualità fisiologica, la monade spirituale, l’anima ordinata alla vita perpetua, strumento di valori assoluti, valore assoluto in sé». Da qui, la giustificazione di un rispetto fondamentale per «la dignità dello spirito umano, per l’integrità e la libertà della persona: libertà legittimata superiormente, di natura profonda; che non si può tradurre mai nella libertà di cospirare contro la convivenza civile e di minarne le basi». Con questa dichiarazione, vien superato decisamente uno dei maggiori pericoli delle controrivoluzioni antimarxiste: il pericolo, cioè, di ledere i valori spirituali della personalità nel momento di colpire giustamente l’errore liberalistico e individualistico in sede politica e sociale.

    Il simbolo della Falange, il giogo con cinque frecce su bandiera rossa e nera, fu mutuato da quello delle Juntas de Ofensiva Nacional-Sindicalista (JONS) di Ramiro Ledesma Ramos. A sua volta, il simbolo di giogo e frecce (el yugo y las flechas) era stato ripreso da quello dei cd. Re Cattolici di Spagna, Isabella I di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona (1479-1504)

    Che, con queste premesse, ogni interpretazione materialistica della storia venga respinta dei falangisti; che lo spirito sia da essi concepito come l’origine di ogni forza veramente determinante – vale appena rilevarlo. Ed è parimenti naturale una professione cattolica di fede; l’interpretazione cattolica della vita è, storicamente parlando, la sola che sia «spagnola» e ad essa deve riferirsi ogni opera di ricostruzione nazionale. Ciò non significherà una Spagna, che debba di nuovo subire le ingerenze, gli intrighi e l’egemonia del potere ecclesiastico, ma una Spagna nuova, animata da quel «senso cattolico e universale» che già la guidò, «contro l’alleanza dell’oceano e della barbarie, alla conquista di continenti ignoti»: una Spagna, compenetrata dalle forze religiose dello spirito.

    Per queste idee lottano dunque i falangisti, come un «volontariato guerriero», inteso a «conquistare la Spagna per la Spagna». Sono idee che, nelle loro linee generali, ci sembrano perfettamente «in ordine», esse presentano un volto già preciso e possono aver valore di saldi punti di riferimento.

    Se il movimento nazionale spagnolo ne sarà davvero compenetrato, abbiamo una doppia ragione per auguragli sinceramente una vittoria piena, rapida e definitiva: non solo per il lato negativo anticomunista e antibolscevico, ma altresì per quel che di positivo potrà seguirne nell’insieme di una Europa nuova, gerarchica, delle nazioni e della personalità.

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    Predefinito Re: Su Francisco Franco

    DE RIVERA

    (Heliodromos ) -«Bisogna riscattare i popoli da se stessi», diceva Eugenio d’Ors, formulando così uno dei principi di quel che egli chiamava la «politica della missione». Queste parole potrebbero riassumere il destino tragico e la vita missionaria di quel grande poeta della vita e del combattimento politico che fu José Antonio Primo de Rivera, il cui tentativo di riscattare il popolo spagnolo condusse al martirio.

    Nato a Madrid il 24 aprile del 1903, figlio del Generale Primo de Rivera, Marchese d’Estella e Grande di Spagna, instauratore della Dittatura che resse la Spagna nel periodo che va dal 1923 al 1930 e che la sottrasse alla prostrazione in cui l’aveva gettata il regime parlamentare della Monarchia Costituzionale. Egli eredita dal padre i doni di una marcata attitudine al comando e un portamento aristocratico, che contribuirono decisivamente a formare il suo futuro ruolo di capo. È il maggiore di sei figli, la maggior parte dei quali giocherà un ruolo fondamentale nella gestazione del movimento falangista (basti pensare ai casi di sua sorella Pilar o dei suoi fratelli Miguel e Fernando). La sua infanzia e la prima giovinezza trascorrono ad Algésiras, città andalusa dov’era originario suo padre. Fa i suoi studi universitari all’Università Centrale di Madrid, dove si laurea in Diritto nel 1923. In questo stesso anno, accompagna suo padre nel viaggio che egli fa in Italia, coi Reali di Spagna, e a Roma è presentato a Mussolini, che eserciterà sul giovane aristocratico un incontestabile fascino. Nel 1925, José Antonio apre uno studio a Madrid, consacrandosi interamente alla sua professione d’avvocato, che esercita brillantemente e per la quale prova un’autentica passione. Sotto la Dittatura, non occupa alcuna carica politica di qualunque tipo, vivendo senza ostentazione, ritirato dalla politica e consacrandosi alla propria attività professionale. In nessuna occasione cerca di servirsi del suo nome — della posizione del padre — per ottenere vantaggi o prebende che non derivassero dal suo impegno. Bernd Nellessen ci presenta José Antonio come «un giovane dai sentimenti delicati, intelligente, che s’interessava molto alla letteratura, fedele alla tradizione cattolica della sua famiglia dedicata al servizio dello Stato».

    Nel 1930 muore il Generale Primo de Rivera a Parigi, dove viveva in esilio dopo la caduta del suo regime. Come primogenito, José Antonio eredita il titolo di Marchese e diviene Grande di Spagna. È allora che inizia il suo impegno politico, soprattutto centrato, all’inizio, sulla difesa della memoria del padre. Egli porta a compimento quest’impresa con veemenza e una lealtà filiale esemplare, che non gli impedisce tuttavia di riconoscere, con quella visione serena ed equilibrata che lo caratterizzerà sempre, gli errori e le carenze di cui soffriva la Dittatura. Nel 1931, milita, fedele alla tradizione familiare, sebbene timidamente e sempre in secondo piano, nei ranghi monarchici, che provano a riorganizzarsi. Entra nell’Unione Monarchica Nazionale, tentativo di creazione di un blocco unitario destinato a riunire le due branche borboniche, carlisti e alfonsiani. Nel settembre di quest’anno, fa irruzione per la prima volta sulla scena pubblica e si presenta come candidato alle Cortes per Madrid. I temi della sua campagna elettorale ruotano sempre intorno alla difesa di suo padre. Non viene eletto e non tarderà molto a perdere le sue illusioni sull’attivismo monarchico costatandone i dissensi, l’inefficacia e la mancanza di visione che regnano nel campo monarchico spagnolo. Comincia a studiare il fascismo, nel creatore del quale egli vede l’uomo politico geniale che fu l’amico di suo padre e il suo maestro in un certo senso (non è un caso se il colpo di Stato del Generale Primo de Rivera avviene un anno dopo la “marcia su Roma”, quasi un tentativo di ripetere in Spagna l’azione salvifica del Duce e delle sue “camice nere”). Nel 1932, in seguito al fallimento del sollevamento monarchico di Sanjurjo, viene arrestato a San Sebastian, e rimesso in libertà non avendo alcun legame col tentativo di colpo di Stato.

    Il 1933 è un anno chiave della vita di José Antonio. Esso segna la sua entrata definitiva nell’arena politica, alla quale egli farà dono di tutta la sua energia e della sua stessa vita. Comincia a organizzare quello che diventerà più tardi il movimento falangista con dei tentativi appena abbozzati come quello del “Fronte Spagnolo”, quello del “Fascismo Spagnolo” o quello del “Movimento Spagnolo Sindacalista”. Il 16 marzo 1933 esce il primo (e unico) numero d’El Fascio, periodico edito da Manuel Delgado Barreto, la cui intera tiratura sarà sequestrata dalle autorità democratiche. José Antonio collabora alla nuova (e abortita) pubblicazione con diversi articoli, fra i quali “Orientamenti per un nuovo Stato”, dove si profila già una parte di quella che sarà l’ideologia falangista. Inizia col dire che «lo Stato liberale non crede in niente, nemmeno in se stesso», e conclude con la seguente affermazione: «Tutte le aspirazioni del nuovo Stato potrebbero riassumersi in una parola: Unità. La Patria è una totalità storica, in cui ci fondiamo tutti, superiore a ognuno dei nostri gruppi». In un altro dei suoi contributi, che usciva col titolo “Distinzioni necessarie”, egli dichiara, traendo le opportune lezioni dall’esperienza paterna e dissipando ogni malinteso: «Noi non ci proponiamo una Dittatura», che è sempre qualcosa di transitorio e non tocca il fondo del problema, ma «un’organizzazione nazionale permanete», «uno Stato forte» su una base corporativa. Il 13 ottobre dello stesso anno, fa visita a Mussolini, col quale ha una conversazione cordiale. Nella sua premessa alla traduzione spagnola dell’opera del capo italiano Il Fascismo, ricorderà quest’incontro col Duce, nel quale vede l’«immagine dell’Eroe fatto Padre, che veglia vicino alla sua piccola luce permanente sul lavoro e sul riposo del suo popolo».

    Il 29 ottobre 1933, pronuncia il celebre discorso del Teatro della Commedia, d’una tale altezza poetica e d’una tale novità radicale da riuscire a impressionare Unamuno e che resterà come uno dei capolavori, una delle più belle testimonianze dell’arte oratoria spagnola di questo secolo. Con questo discorso, la Falange e il suo fondatore entrano sulla scena storica della Spagna. Questa riunione segna la nascita della Falange. Allora comincia la sua febbrile attività politica, che niente ormai potrà fermare e che, giorno dopo giorno, guadagna in intensità e in elevazione. Alcuni mesi dopo viene eletto deputato alle Cortes per la provincia di Cadiz, e fonda il settimanale F.E., di cui le forze marxiste contrastarono la diffusione con tutti i mezzi violenti a loro disposizione.

    Febbraio 1934: ha luogo la fusione della Falange Spagnola e delle J.O.N.S., che vede così riunire le forze di quello che è già indiscutibilmente il movimento nazional-rivoluzionario più importante di Spagna. Alla testa della nuova organizzazione si trova un triunvirato formato da Primo de Rivera, Ledesma e Ruiz de Alda. Lo stesso anno è anche creata la “Sezione Femminile” del movimento, alla testa della quale si trova Pilar Primo de Rivera. José Antonio è vittima, a Madrid, d’un attentato ch’egli affronta con coraggio, pistole alla mano, mettendo in fuga i suoi assalitori. Nel maggio dello stesso anno, viaggia in Germania, per studiare sul campo il regime nazional-socialista. Durante la sua visita, il fondatore della Falange ha un incontro con Alfred Rosenberg, principale ideologo del nazional-socialismo, il quale, secondo quanto egli riporta nelle sue Memorie, manifesta a José Antonio la sua simpatia per il movimento falangista e sconsiglia al giovane leader spagnolo la traduzione delle sue opere, pensate solo per la Germania, ricordandogli che «la Spagna ha le proprie tradizioni originali» e «nel caso in cui aspirasse allo stabilimento di nuove e giuste forme di vita sociale dovrebbe ricollegarle alle proprie tradizioni»: un punto sul quale José Antonio si mostra pienamente d’accordo. Nel settembre del 1934, prende contatto con Francisco Franco, con una lettera nella quale richiama l’attenzione del giovane e già allora brillante generale sul pericolo della bolscevizzazione e della disintegrazione che incombe sulla Spagna. Nei primi giorni d’ottobre è convocato il primo Consiglio Nazionale della Falange Spagnola delle J.O.N.S., durante il quale José Antonio è eletto Capo Nazionale. La sua prima decisione è l’adozione della camicia azzurra, colore «netto, serio, intero e proletario», come uniforme del movimento. Il 1934 è un anno durante il quale José Antonio svolge un’intensa azione di proselitismo, percorrendo le varie regioni della Spagna e pronunciando discorsi e conferenze che tracciano il contorno dottrinale della Falange.

    Nel 1935 cresce il clima di tensione in tutto il paese. La sanguinosa tragedia della guerra civile si annuncia già. José Antonio intensifica la sua campagna di reclutamento e di diffusione delle nuove idee nelle principali capitali spagnole. Il 21 marzo, fonda il periodico Arriba, che sostituisce F.E., interdetto dal regime nel luglio del 1934. In questo periodico pubblica articoli e saggi di grande importanza dottrinaria, collaborando contemporaneamente al settimanale studentesco Haz. In giugno ha luogo nella Sierra di Gredos una riunione clandestina della Giunta politica, nel corso della quale si decide che la sola via d’uscita per evitare la sovietizzazione, lo smembramento e la rovina della Spagna, sia la lotta armata. Francisco Bravo prospetta la prossima vittoria delle sinistre, sostenendo che piuttosto che attendere la persecuzione, sarebbe meglio preparare l’insurrezione. A partire d’allora, l’attitudine combattentistica dell’organizzazione si accentuerà potentemente, i suoi sforzi essendo indirizzati verso la preparazione di una ribellione militare e popolare.

    Verso la metà di dicembre di questo così critico 1935, José Antonio partecipa al congresso fascista di Montreux, al quale sono presenti, tra gli altri, Léon Degrelle (capo del rexismo belga), Marcel Bucard (leader del “Francismo”), Sir Oswald Mosley (leader dei fascisti inglesi), Corneliu Codreanu (capitano della “Guardia di Ferro” rumena), il colonnello Fonjallax (uno dei principali dirigenti del fascismo svizzero), Vidkung Quisling (capo del Nasjonal Samling norvegese), il Principe Stahremberg (fondatore e ispiratore della Helmwehr austriaca), Anton Mussert (capo dell’ N.S.B. olandese) e Owen O’Duffy (leader delle Blue shirts, le “camicie azzurre” irlandesi. Durante questo congresso, il capo della Falange si mostra ostile alla costituzione d’una sorta di internazionale fascista, proposta da alcuni dei partecipanti, perché egli considera questo progetto incompatibile con il carattere eminentemente nazionale del movimento che dirige.

    Dopo la vittoria del Fronte Popolare alle elezioni del febbraio 1936, la persecuzione della Falange e dei suoi dirigenti si accentua. Il 14 marzo, la Direzione Generale della Pubblica Sicurezza ordina la chiusura di tutte le sedi del movimento e l’arresto dei principali dirigenti, José Antonio viene arrestato al suo domicilio e il giorno appresso entra nel Cárcel Modelo di Madrid. Nella sua cella, redige la sua «lettera ai militari di Spagna», circolare clandestina nella quale chiama alle armi i militari d’onore affinché impediscano l’ «invasione dei barbari» e fermino la rovina della Patria. In questa circolare egli definisce l’esercito «guardia del permanente» e, nei paragrafi intitolati «L’ora è suonata», chiede ai militari spagnoli di non lasciare senza risposta «le campane di guerra che s’avvicinano». Il 20 maggio, ordina il lancio della pubblicazione clandestina No Importa, di cui qualche numero uscirà prima del 18 luglio.

    Il 6 giugno, dopo il fallimento di numerosi tentativi d’evasione, viene trasferito nella prigione di Alicante, con suo fratello Miguel. Da lì da l’ordine ai falangisti di tutta la Spagna di collaborare al sollevamento militare che si prepara. Il 17 luglio, un giorno prima dell’Alzamiento, lancia il suo ultimo manifesto. Egli vi afferma che nella lotta armata che sta per scoppiare non si deciderà nient’altro che «la perennità della Spagna», la realtà d’«una Patria grande, una, libera, rispettata e prospera». Nei mesi seguenti falliscono diversi tentativi di liberazione, intrapresi da gruppi falangisti della regione. Di fronte al pericolo d’evasione, il Capo della Falange e suo fratello vengono isolati. Nel novembre di quest’anno chiave per la Spagna e per l’Europa, José Antonio viene processato davanti a un “Tribunale Popolare”, che lo condanna a morte. «Piaccia a Dio che il mio sangue sia l’ultimo sangue spagnolo che sia versato in discordie civili», dice nel suo testamento. Il 20 novembre, il fondatore della Falange viene fucilato insieme ad altri quattro giovani, due militanti falangisti e due requetés (“berretti rossi” carlisti), che poco prima di morire incoraggia dicendo loro: «Coraggio, ragazzi, non si tratta che d’un attimo. Avremo una vita migliore!».

    Durante la guerra civile, nella Spagna nazionale che non voleva credere alla sua scomparsa definitiva, viene chiamato «L’Assente», finché nel novembre 1938 il “Caudillo”, Francisco Franco, dichiara pubblicamente la sua morte.

    A guerra finita, le sue spoglie saranno solennemente traslate, sulle spalle dei falangisti della “Vecchia Guardia”, da Alicante all’Escurial, nel celebre Monastero dove riposeranno temporaneamente, prima d’essere condotte, venti anni dopo, nel loro luogo di riposo definitivo nella monumentale basilica della Valle de los Caidos, eretta dal Generale Franco per commemorare le gesta della “Crociata” e accogliere i resti dei morti di entrambi i due schieramenti.

    José Antonio è, senza alcun dubbio, uno dei dirigenti fascisti europei il cui ricordo e la cui eredità dottrinaria esercitano la più forte attrazione sulla giovinezza dei nostri giorni. Contribuendovi in modo decisivo il suo portamento nobile e giovanile, la sua posizione classica e profondamente religiosa, il suo atteggiamento sempre sereno e misurato, la sua lingua chiara e tagliente, la sua attitudine rivoluzionaria e combattiva, la bellezza e il carattere contundente delle sue espressioni, l’esempio della sua vita e della sua morte («egli ha sempre ritenuto il suo esempio superiore alle sue parole», scrisse Luys Santa Marina, uno dei suoi fedelissimi fino all’ultimo), l’autenticità della sua devozione all’azione, che s’intensifica continuamente e viene sigillata col suo sangue. Come diceva Lain Entralgo nel suo periodo di fervore falangista, il José Antonio degli ultimi istanti, frutto maturo di una lenta evoluzione — o se si preferisce di una trasformazione interiore — è l’uomo d’azione esemplare, «il capo rivoluzionario, in grado di unire un’irrinunciabile devozione alla forma e all’intelligenza con le urgenze demagogiche dell’eroe politico»; il capo popolare, «allo stesso tempo agitatore e aristocratico, stilista e rivoluzionario». Robert Brasillach, il giovane poeta francese innamorato della Spagna, fucilato nell’euforia della “liberazione” democratica del 1945, considerava il «Giovane Cesare» — come lo chiamavano nella Spagna nazionale che rinasceva al calore del suo verbo — come l’eroe più grande e più puro del fascismo, questo «mal du siècle» ch’egli stesso ha definito «la poesia del XX° secolo».

    Ma la forza attuale del messaggio josé-antoniano è soprattutto determinata dall’eccellenza e dalla profondità delle sue formulazioni dottrinali, che si elevano al di sopra delle circostanze del momento e che si caratterizzano per il loro profondo realismo, lungi da ogni demagogia e dalle meschine passioni che provocano la lotta dei partiti e la politica delle masse. Si trova in pochissimi uomini politici e in pensatori di questo secolo un’analisi così lucida e una diagnosi così giusta del male che affligge l’umanità, il tutto unito a una precisa e incoraggiante formulazione di rimedi da applicare.

    José Antonio Primo de Rivera, non dispiaccia ai nemici della sua dottrina, ai recalcitranti dell’antifascismo, s’è conquistato di diritto un posto eminente nella storia del pensiero spagnolo. E, questo posto, nessuno glielo può ancora togliere. Come scriveva Azorin, il maestro della “generazione del 98”, José Antonio «s’allontana nel profondo della storia, e la sua persona diviene sempre più leggera; egli ha la leggerezza dell’immortale (…). Man mano che s’allontana (…) una luce pura, una sorte di lume increato, avvolge la sua persona».

    La sua opera comprende molto più che una semplice idea politica. È tutta una visione del mondo e della vita che vi è tracciata. Una visione del mondo e della vita del più alto valore poetico, d’una novità radicale e allo stesso tempo d’una netta ispirazione tradizionale, d’una potente forza trasformatrice e rivoluzionaria, autenticamente spagnole ma ugualmente d’un valore universale. Ciò che gli occhi di José Antonio abbracciano col loro geniale sguardo poetico-filosofico, ciò che si trova al centro del suo pensiero e della sua dottrina, è il male del mondo moderno, il terribile problema della decadenza dell’Occidente e della cultura europea, la grave crisi dell’umanità occidentale — crisi di cui il liberalismo, il comunismo, il capitalismo, l’anarchismo, la disintegrazione della Patria, le lotte sociali, e tanti altri fenomeni non sono che espressioni parziali.

    José Antonio è un autentico poeta della politica; un’autentica personificazione dell’ideale che lui stesso formulerà in un’espressione chiaroveggente. In altre parole: un uomo d’azione e di pensiero che ha epurato la politica dell’edulcorazione di cui aveva sofferto nei tempi moderni, che l’ha liberata dalla sua scorie d’impurità, dalle meschinerie e dalle bassezze alle quali l’aveva mischiata l’era borghese, e l’ha rivestita del profilo sacro, dello splendore dorato e solare dell’antica tradizione imperiale. Un “guerriero del divino” — per usare un’espressione medievale spagnola —, il cui sguardo va al di là dei problemi del momento e delle frontiere della sua patria, per diventare una visione profetica e divinatoria d’un valore permanente e universale. Un uomo politico che si eleva al di sopra della politica, che va al di là di quello che questa significa oggi e che trasforma l’azione ordinatrice della società in un’alta impresa spirituale, orientata verso il mantenimento dell’ordine divino dell’universo. «José Antonio, per la sua condotta e la sua dottrina — ha scritto Per Engdahl, grande pensatore svedese — fu un capitano nell’armata degli eroi dello spirito (…). José Antonio, più che un uomo, fu un vangelo, una dottrina — il Nazional-Sindacalismo — che dopo la sua morte rimane non solamente per gli Spagnoli, ma anche per tutte le forze nazionali d’Europa, come un testamento sacro». «L’ultimo grande pensatore occidentale della nazione», lo ha chiamato Jesus Fueyo y Feravia. E Eurdiaga lo considera l’ultimo dei pensatori tradizionali spagnoli. Anche se queste definizioni sono pienamente giustificate in una visione retrospettiva, io penso che lo si potrebbe piuttosto considerare, con lo sguardo rivolto al futuro — quel futuro che, come indica la dottrina islamica, si trova nelle mani di Dio —, come il pensatore e il poeta anticipatore dell’Impero in pieno XX° secolo, come uno dei primi araldi della restaurazione tradizionale imperiale, ariana e solare dell’Occidente. «Sognatore dell’Impero», lo chiama Victor de la Serna. E anche se sicuramente l’idea d’Impero presente nell’ideologia falangista non è proprio l’idea autentica e tradizionale, perché essa non riuscì a superare la limitazione nazionale comune a tutti i movimenti fascisti degli anni trenta e quaranta — l’Impero è concepito come il risultato della più grande espansione del potere d’una data nazione, e non come una realtà posta al di sopra della nazione —, tuttavia, il ripudio del nazionalismo (proclamato, almeno, teoricamente e in modo esplicito) e la vocazione all’universalità implicita nel pensiero josé-antoniano aprono la via a un’autentica formulazione del principio imperiale, adattato ai tempi attuali. Per di più, il concetto chiave dell’«unità del destino nell’universale», applicato all’idea di Patria, si presta in modo insuperabile a un’estensione sovranazionale, divenendo in questo senso perfettamente applicabile all’edificazione dell’Impero: unità sovranazionale, universale, integrata da unità minori che trovano in quello il loro senso compiuto e il posto adatto alla realizzazione del loro destino particolare. Come ha fatto notare un commentatore portoghese dell’opera josé-antoniana, José Miguel Alarcao Judice, in questa la nazione è concepita «come una tappa sul cammino dell’universale», «come momento d’una evoluzione che porterà al futuro superamento della realtà nazionale attraverso organismi d’un più grande grado integrativo»: «un progetto la cui realizzazione e la cui perfezione segnerà l’inizio di un nuovo processo di tipo sovranazionale, per il quale, nella nostra epoca, non sembrano però esserci ancora le condizioni».

    Per la sua vita e per la sua opera, José Antonio figura certamente all’avanguardia storica della futura rivoluzione tradizionale dell’Occidente. Noi possiamo vedere il lui uno di quegli uomini illuminati, che, nella congiuntura critica degli Anni Trenta, ebbero l’intuizione della possibilità di un risveglio e che, con tutte le insufficienze che si vuole, avvieranno attraverso la loro azione e il loro pensiero la Rivoluzione integrale che doveva rinnovare la vita dei popoli europei e che, reinserendoli nell’ordine cosmico, dovrà farli ritornare all’ordine e alla pace.

    Antonio Medrano

  5. #5
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    Predefinito Re: Su Francisco Franco

    Cosa ne pensate di Franco ? E della Falange ? Franco fu fascista?

  6. #6
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    Predefinito Re: Su Francisco Franco

    una grande ammirazione per Franco, un esempio di cosa poteva essere l'Itaia se Mussolini fosse stato meno impulsivo, piu' riflessivo, meno geloso di Hitler e del suo regime che era tutt'altra cosa rispetto al fascismo

  7. #7
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    Predefinito Re: Su Francisco Franco

    Citazione Originariamente Scritto da IlWehrwolf Visualizza Messaggio
    Cosa ne pensate di Franco ? E della Falange ? Franco fu fascista?
    Franco fu alla base un militare che si servi' della falange per certi periodi, mentre quando il vento cambio' nel 1942 si servi' di militari piu' moderati e filoinglesi

  8. #8
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    Predefinito Re: Su Francisco Franco

    Citazione Originariamente Scritto da FrancoAntonio Visualizza Messaggio
    una grande ammirazione per Franco, un esempio di cosa poteva essere l'Itaia se Mussolini fosse stato meno impulsivo, piu' riflessivo, meno geloso di Hitler e del suo regime che era tutt'altra cosa rispetto al fascismo
    Mussolini era invidioso di Hitler e la sua invidia lo portò al baratro.

  9. #9
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    Predefinito Re: Su Francisco Franco


  10. #10
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    Predefinito Re: Su Francisco Franco

    Non tutte le forze che appoggiarono la Cruzada del 1936 erano mosse da nobili fini, ma tutte le forze sane della Spagna vi presero parte. Dall'altro lato invece c'era la putrefazione, la stessa che ha poi vinto nel 1945.

 

 
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