Nel 2021 ricorrono i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri – era il 1321. Quale occasione migliore per ricordarlo in questo topic, anche se il divino poeta non era esattamente un buongustaio? Pare, infatti, che non fosse affatto ghiotto e saldamente convinto che bisognasse mangiare per vivere, non viceversa. Per Dante era disdicevole abbandonarsi smisuratamente ai piaceri della gola... almeno, stando alla descrizione che di lui ci ha lasciato Boccaccio:
Nel cibo e nel poto fu modestissimo, sì in prenderlo all'ore ordinate e sì in non trapassare il segno della necessità… né alcuna curiosità ebbe mai più in uno che in uno altro: li dilicati lodava e il più si pasceva di grossi, oltre modo biasimando coloro, li quali gran parte del loro studio pongono e in avere le cose elette e quelle fare con somma diligenza apparare, affermando questi cotali non mangiare per vivere, ma più tosto vivere per mangiare.
Dante, quindi, non amava la ricercatezza nel cibo; al contrario, si nutriva con sobrietà e in modo semplice, rispettando le regole canoniche (non mangiare fuori pasto, evitare ricercare cibi prelibati, non eccedere nelle quantità e nei condimenti, e così via). Del resto, viveva in un'epoca in cui dominavano le indicazioni dei Padri della Chiesa e la gola era uno dei sette vizi capitali. Il poeta sembra attenersi a queste indicazioni, così come all'abitudine medioevale di mangiare due volte al giorno: la mattina fra le 9 e le 10 (il desinare) e la sera, al tramonto (il cenare). Solo i nobili e i ricchi potevano permettersi tre pasti al giorno, e spesso anche la merenda, insieme alla raffinatezza dei cibi e delle stoviglie, allietando i pasti con l'allegra compagnia di buffoni, giullari e suonatori... tutti artifici che Dante disapprovava.
Il poeta fiorentino adorava però il pane, specie quello toscano senza sale, sciapo, definito col termine toscano di "sciocco", probabilmente dal latino exsuccus, "privo di succo, di sugo"... proprio come uno sciocco è una persona senza sale in zucca. In Toscana, l’ipotesi sull'origine del pane sciocco viene fatta risalire al XII secolo, all'epoca della guerra tra Firenze e Pisa, alla quale lo stesso Dante fa riferimento nel XXXIII canto dell'Inferno:
Ahi Pisa, vituperio de le genti
del bel paese là dove 'l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti.
(vv. 79-81)
I versi fanno riferimento al periodo in cui Pisa controllava i porti facendo pagare caro ai fiorentini le quantità di sale che sbarcavano. Firenze decise così di non utilizzare più il sale iniziando una produzione di pane sciapo.
Altro riferimento al pane lo troviamo, ancora nella Commedia, nel XVII canto del Paradiso, in cui Cacciaguida profetizza a Dante l'esilio:
Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.
(vv. 58-60)