Dove finisce la carne che importiamo? Con l’inchiesta “Troppa carne a buon mercato” di Alessandro Macina, PresaDiretta è andata ad indagare proprio sulla filiera europea di importazione delle carni. Tra i paesi europei, l’Italia, con oltre 1 milione di tonnellate, è il primo importatore europeo di carne bovina dal Brasile. La maggior parte di questa finisce nei prodotti trasformati che alimentano ristoranti, mense, hotel e catering. Eppure nel sistema di allarme rapido per alimenti dell’Unione europea, secondo i dati dell’ultimo anno, è possibile risalire a 30 segnalazioni di allarme su carni non conformi alle normative provenienti dal Sud America, e altrettante segnalazioni per pratiche commerciali scorrette.

Il “problema” viene soprattutto dalla legge sull’etichettatura che dà ampi margini di manovra ai produttori. Per questo il mercato è poco trasparente nonostante la carne bovina sia stata la prima ad avere una normativa europea, nel 2000, dopo lo scandalo mucca pazza. Il legislatore all’epoca aveva obbligato a dichiarare l’origine sulla carne fresca, per questo nelle etichette oggi troviamo il Paese dove l’animale è nato, allevato e macellato. Ma il legislatore non aveva normato il mondo dei preparati a base di carne, un mondo enorme: la pasta ripiena, i sughi pronti al ragù e i brodi di carne, i surgelati, gli insaccati di vario tipo, ma anche i prodotti per l’infanzia. Sono centinaia di prodotti diversi che ancora oggi non hanno l’obbligo di legge di indicare al consumatore l’origine della carne.

Il problema è che tutto può diventare un “preparato a base di carne”, anche la carne fresca. Un’indagine sul campo condotta con Altroconsumo nelle 8 principali catene di grande distribuzione presenti in Italia ha dimostrato che basta davvero poco per far diventare un taglio di carne un preparato, quindi senza obbligo di dichiarare l’origine della materia prima. Basta l’aggiunta di un ingrediente: grani di pepe piuttosto che il ramo di rosmarino o una marinatura a base di senape. Per la stessa ragione rientrano nei cosiddetti “preparati a base di carne” anche spiedini e fettine impanate. Aggiungere un ingrediente consente di non dichiarare più l’origine.

“Con la carne che viene dal Brasile abbiamo due problemi. Primo sono stati rintracciati alti livelli di pesticidi. Secondo, la produzione di carne in Brasile ha un effetto molto alto sulla deforestazione di quel paese. Su questo ci vorrebbe una legislazione europea”, ha dichiarato Anna Cavazzini, responsabile commercio internazionale Gruppo Verdi Europei.

Ma pochi sanno che la carne brasiliana viene utilizzata anche per realizzare un importante marchio italiano, la bresaola. Proprio quella a marchio IGP – indicazione geografica protetta – può essere fatta – e spesso lo è – con la materia più lontana: la carne dello zebù, il bovino allevato in Brasile, portato in Italia sottovuoto e congelato, con un viaggio in navi container lungo un mese e poi in camion a solcare le nostre strade fino a raggiungere la provincia di Sondrio, dove il prodotto viene trasformato e stagionato.

Ma in questo processo non c’è nulla di irregolare, anzi lo prevede il protocollo IGP. Le materie prime non necessariamente devono essere italiane. Basta che sia rispettato il disciplinare che indica la zona di produzione, i tagli da utilizzare e il processo produttivo. Perché allora non dichiararlo? La concorrenza delle materie prime sta mettendo in crisi anche le migliori filiere italiane, costrette a competere intorno all’unica variabile del prezzo. Una competizione al centesimo che sta strozzando chi ancora lavora su una filiera sostenibile e di qualità. Un viaggio in Piemonte e le testimonianze inedite di alcuni insider dell’industria della carne svelano le dinamiche della carne a buon prezzo e di quanto è diffuso il risparmio sulle materie prime di carne.


Italia primo importatore in Europa di carne brasiliana: dove finisce e perche non viene dichiarato. L'anticipazione di PresaDiretta - Il Fatto Quotidiano

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