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  1. #101
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    Predefinito Re: Sostituzione etnica - come gestire il cambiamento

    Citazione Originariamente Scritto da Kavalerists Visualizza Messaggio
    Io non sto sostenendo che deve essere dato a tutti in modo uguale ( a parte l'eguaglianza delle condizioni di partenza ), io sto sostenendo che tutti quelli che molti a destra si dilettano ad etichettare altezzosamente con termini che variano da "plebaglia" a "popolaccio", debbano avere una vita dignitosa, e nessuno deve essere abbandonato ad una esistenza di miseria.
    Questo non è un diritto, o solo un diritto, ma a mio modo di vedere è una condizione senza la quale non vi può essere coesione e unità nel corpo stesso della comunità e solidità nell'organizzazione statale, altro che parlare di stato organico tanto per parlare.. a meno che per Stato Organico non si voglia sottintendere la solita dicotomia oppressi/oppressori, servi/padroni, in fondo tanto cara a certa destra. A mio parere più è distante il vertice dalla base della piramide e meno solida risulta la struttura nel suo insieme...
    Che poi, come sempre è successo nella storia, queste stesse persone così "inadatte ai destini della nazione"<cit.>, che quindi quasi meritano la miseria in cui soffrono, in caso di guerra vengono reclutate e mandate al fronte a difendere la nazione allo stesso modo e pure prima degli "adatti" ( anzi magari tra questi ultimi ci sarebbero molti che troverebbero il modo di farsi esentare e congedare... ), tanto per fare un esempio... e però queste stesse persone, definite con disprezzo "plebe", secondo una certa visione "aristocratica" ( e uso questo aggettivo volutamente con scherno verso l'atavica infatuazione destrorsa verso pizzi, merletti, e parrucche incipriate ), sembrerebbe che debbano essere gravati solo di doveri ma mai essere titolari di diritti.
    Sarà mai che a destra l'unico diritto che interessa realmente è quello di proprietà? Magari anche proprio sulle persone stesse?
    Non sarò di certo io a negare che lo Stato debba intervenire o direttamente o indirettamente in aiuto delle fasce sociali più deboli ed in difficoltà. Ma resta il fatto che, non essendo possibile un'uguaglianza assoluta (di cui tu stesso, giustamente, neghi la realtà e la possibilità), sarà sempre inevitabile che ci sia chi ha di meno e chi ha di più e non solo per colpa di qualche padrone sfruttatore, ma a causa del fatto che ci sono persone più brillanti e meno brillanti, più talentuose e meno dotate, più intelligenti e meno intelligenti, più forti e più deboli, ecc. Su questo lo Stato non può intervenire e se anche lo facesse si voterebbe al fallimento. L'importante è che queste disuguaglianze non diventino oppressive e causa di ingiustizie, ma finché restano nei loro limiti sono persino benefiche.
    In una visione autenticamente aristocratica, l'aristocrazia è tale perché ha più privilegi di altri ceti sociali ma anche più doveri e responsabilità. Non te ne parlo da un punto di vista meramente teorico, ma anche storico: questa è stata la realtà delle aristocrazie europee per secoli. Nel Medioevo, il nobile rischiava la pellaccia in battaglia ogni volta, mentre il servo della gleba praticamente mai, dato che l'uso delle armi non gli era proprio. Quel mondo è tramontato a causa di una sclerotizzazione interna che ne ha segnato la fine e sarebbe ridicolo pretendere di restaurarne le forme passate. Tuttavia, al netto di feticismi per esso da respingere, fu un mondo che in tanti secoli di storia si dimostrò molto più umano di quello del liberalcapitalismo moderno che gli è succeduto.
    Ultima modifica di Giò; 08-03-21 alle 11:17
    Credere - Pregare - Obbedire - Vincere

    "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17, 5).

  2. #102
    Nazbol-Ciucé
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    Predefinito Re: Sostituzione etnica - come gestire il cambiamento

    Citazione Originariamente Scritto da Vero Socialismo Visualizza Messaggio
    Sei solo un liberalconservatore con 'venature' reazionarie.
    Mi raccomando allora, continua a credere che "siamo tutti uguali". Cosa molto Nazionalsocialista, ahahahha.


    Citazione Originariamente Scritto da Kavalerists Visualizza Messaggio
    Io non sto sostenendo che deve essere dato a tutti in modo uguale ( a parte l'eguaglianza delle condizioni di partenza ), io sto sostenendo che tutti quelli che molti a destra si dilettano ad etichettare altezzosamente con termini che variano da "plebaglia" a "popolaccio", debbano avere una vita dignitosa, e nessuno deve essere abbandonato ad una esistenza di miseria.
    Questo non è un diritto, o solo un diritto, ma a mio modo di vedere è una condizione senza la quale non vi può essere coesione e unità nel corpo stesso della comunità e solidità nell'organizzazione statale, altro che parlare di stato organico tanto per parlare.. a meno che per Stato Organico non si voglia sottintendere la solita dicotomia oppressi/oppressori, servi/padroni, in fondo tanto cara a certa destra. A mio parere più è distante il vertice dalla base della piramide e meno solida risulta la struttura nel suo insieme...
    Che poi, come sempre è successo nella storia, queste stesse persone così "inadatte ai destini della nazione"<cit.>, che quindi quasi meritano la miseria in cui soffrono, in caso di guerra vengono reclutate e mandate al fronte a difendere la nazione allo stesso modo e pure prima degli "adatti" ( anzi magari tra questi ultimi ci sarebbero molti che troverebbero il modo di farsi esentare e congedare... ), tanto per fare un esempio... e però queste stesse persone, definite con disprezzo "plebe", secondo una certa visione "aristocratica" ( e uso questo aggettivo volutamente con scherno verso l'atavica infatuazione destrorsa verso pizzi, merletti, e parrucche incipriate ), sembrerebbe che debbano essere gravati solo di doveri ma mai essere titolari di diritti.
    Sarà mai che a destra l'unico diritto che interessa realmente è quello di proprietà? Magari anche proprio sulle persone stesse?
    Non rilevo alcun punto di disaccordo con quello che affermi qui. Per questo ritengo che molto di ciò che ci divide sul tema abbia più a che fare con le "sensazioni" che con i concetti. Nessuno Stato Organico rettamente inteso può funzionare escludendo e marginalizzando nella miseria più nera larghe (o piccole, anche) fasce della propria popolazione, alienandole e smembrando, in loro, ogni senso di dignità. Il punto però non è questo, perchè qui non si tratta di sfruttare o ignorare chi patisce, né di non curarsene. Questo è un tratto tipico dell'aristocrazia decadente, che giustamente perisce sotto i colpi inferti dalle masse che altro non sono se non il prodotto del loro fallimento storico. Qui si tratta di ri-affermare un pensiero sacrosanto che è aderente alla realtà, alla quale non possiamo che costantemente far riferimento contro le fantasie crudeli della modernità politica, che un conto è agire secondo equità, cioè dare a ciascuno il suo, un altro è confondere quest'ultima con la forzatura di un uguaglianza che è pura e semplice menzogna.
    Nel contesto contemporaneo non c'è equità nell'immonda disuguaglianza che va creandosi, facendo di larghe fasce della popolazione che sarebbero capacissime di vivere delle proprie (seppur scarse) competenze dei veri e propri scarti sociali, però è anche vero che in un contesto più rettamente informato di giustizia queste stesse larghe fasce non prospererebbero in egual misura a chi invece, sia per ragioni organiche che per ragioni morali, si eleva al di sopra di loro. Ed è su questo sottilissimo filo che bisognerebbe muoversi, cioè discernere ciò che può, e anzi deve, essere riequilibrato secondo giustizia e ciò che invece rappresenta un eccesso volto all'uniformizzazione di ciò che non può essere uniformato. E' un operazione straordinariamente difficile, che proprio perchè non può essere sintetizzata dal pensiero umano necessita, invece, di una dialettica tra i gruppi sociali, con dei decisori politici equidistanti.
    E' ovvio che il contesto contemporaneo sia improntato allo strapotere del capitalismo finanziario e alle plutocrazie di mussoliniana memoria, ma secondo me non ci si deve far prendere troppo dall'ostilità verso questi mostri col rischio di scadere poi nell'eccesso contrario, e nelle sciocche fascinazioni comunistarole, vera e propria piaga dell'ambiente.
    Dicono che viaggiare sviluppa l'intelligenza. Ma si dimentica sempre di dire che l'intelligenza bisogna averla già prima.-.G. K. Chesterton

  3. #103
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    Predefinito Le nascite sono crollate per l’austerità tedesca


  4. #104
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    Predefinito Re: Le nascite sono crollate per l’austerità tedesca

    Le nascite sono trent'anni che crollano.Negli anni cinquanta gli italiani erano poveri in canna e facevano 3-4 figli a famiglia. LA gente non fa figli perchè oggi giorno i figli sono un 'peso': le donne lavorano e vogliono fare carriera, vogliono le vacanze due volte l'anno, l'estetista ecc.ecc. .
    Ultima modifica di Giò; 22-03-21 alle 19:08
    Bazooka!!!

  5. #105
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    Predefinito Re: Le nascite sono crollate per l’austerità tedesca

    Dopo il 2008 c'è stata un accelerazione improvvisa che non è spiegabile culturalmente. Le due cose non si escludono a vicenda. Senza decadenza economica avremmo più figli, sebbene non in numero sufficiente da garantire sostituzione demografica.
    Dicono che viaggiare sviluppa l'intelligenza. Ma si dimentica sempre di dire che l'intelligenza bisogna averla già prima.-.G. K. Chesterton

  6. #106
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    Predefinito Istat, crollo delle nascite nel 2019. E ci snobbano anche gli stranieri


  7. #107
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    Predefinito Re: Istat, crollo delle nascite nel 2019. E ci snobbano anche gli stranieri

    CROLLO DELLE NASCITE E FINE DELL'ITALIA

    http://www.accademianuovaitalia.it/i...ne-dell-italia

  8. #108
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    Predefinito Re: Istat, crollo delle nascite nel 2019. E ci snobbano anche gli stranieri

    Il crollo demografico italiano e l’esempio russo

    http://sakeritalia.it/europa/italia/...esempio-russo/

  9. #109
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    Predefinito Re: Istat, crollo delle nascite nel 2019. E ci snobbano anche gli stranieri

    Immigrazione: all’origine di un problema – Umberto Bianchi

    C’ è chi dice che, quello delle cosiddette migrazioni, è un inarrestabile fenomeno storico; una specie di nemesi che fa pagare alla ricca e benestante Europa i peccati di un passato coloniale e dunque, giù con buonismi, accettazioni, solidarietà a iosa, alla cieca. C’è invece, chi, nel fenomeno, vede un’invasione che mette a pericolo il proprio benessere ed il proprio quieto vivere e pertanto, preconizza una chiusura tout court delle frontiere. C’è poi, chi dice che “immigrazione sì, ma sino ad un certo punto”; ovvero più controlli alle frontiere, ma sino ad un certo punto, tanto per non turbare la propria perbenistica coscienza. Tutti e tre questi atteggiamenti, non portano da nessuna parte e lasciano aperto il problema, in quanto difettano di un’analisi di base, senza la quale , non si potrà mai effettuare una corretta lettura del fenomeno. La mia generazione ha vissuto, dagli anni’60, sino alla metà degli anni ’80, all’insegna della litania dell’autodeterminazione del Terzo Mondo. Erano gli anni ruggenti del guevarismo, delle rivolte giovanili, ma anche del blocco dei “non-allineati”, ovverosia di tutto quell’assieme di nazioni del Terzo Mondo che, fresche di decolonizzazione dall’odioso Occidente, avevano deciso di non farsi mettere sotto tutela da nessuno dei due allora grandi blocchi geopolitici, animati da altrettante narrazioni ideologiche occidentali, ovverosia gli Usa capitalisti e l’Urss marxista. La Cina maoista, l’India di Indira Gandhi, l’Indonesia di Suharto, al pari di molte nazioni dell’Africa e dell’America Latina, aderirono entusiasticamente all’idea di poter costruire modelli di sviluppo, adeguando i parametri delle ideologie occidentali, alle realtà locali. Furono i ruggenti anni dell’Egitto populista di Nasser e della Rau, delle rivendicazioni dell’Olp palestinese, delle suggestioni del Peronismo argentino e del Sandinismo in Nicaragua, del modello di Nkrumah in Guinea, di Kenneth Kaunda in Zambia. Erano anni di rivolta e guerriglia, ma anche di crescita improvvisa ed impetuosa di molti paesi del Terzo Mondo. Paesi come Brasile, Argentina, Venezuela, Messico, ma anche Libano, Sud Africa, Costa d’Avorio, al pari di molte altre nazioni del Terzo Mondo, conobbero una crescita che sembrava preconizzare per gli anni a venire, il sorpasso economico della vecchia e stanca Europa e la creazione di un solido bastione geopolitico ed economico alle aspirazioni imperialiste in primis degli Usa e secondo poi, di quell’Unione Sovietica che da paesi come la Jugoslavia titoista o dall’Albania maoista di Enver Hoxha, aveva ricevuto i primi calci in bocca. Al di là di slogan, banalità e menzognere distorsioni, non pochi giovani di quell’area della destra radicale, spesso accusata di ottusità e di esser portatrice di un becero razzismo, accarezzarono con simpatia ed interesse il progetto di un blocco “terzaforzista”, che vedesse una sinergia tra l’emergente Terzo Mondo non allineato ed un’ Europa che, a detta delle parole di un Jean Thiriart, si sarebbe dovuta estendere dall’Atlantico agli Urali, nel nome di un rinnovato Stato imperiale. A

    nni di kefiah e kalashnikov, anni di aspirazioni nazionaliste e di toni forti che, ben presto, si spensero davanti alla dura realtà di un debito estero che cresceva a dismisura. La corruttela delle classi dominanti, sempre più asservite ai centri di potere economico e finanziario globale, unite ad una manifesta incapacità a gestire quei tanto impetuosi cambiamenti, determinarono il “default” del sogno terzomondista. Furono i difficili ’80 e ’90, furono gli anni delle moratorie dei debiti esteri, dei ricatti e dei definitivi asservimenti ai diktat di quell’Fmi, divenuto ancor più potente, grazie alla caduta del fatidico Muro. Grazie a quell’evento, molte nazioni del Terzo Mondo, furono costrette ad adottare le ricette neoliberiste dei Chicago Boys di Rudiger Dornbsuch e compagnia bella, che accelerarono non poco il disastro. Se, da una parte, è vero che la cosiddetta “immigrazione” è frutto di questa situazione, dall’altra, in base a questa considerazione, è necessario effettuare un più che doveroso e necessario chiarimento. Nella stramaggior parte dei casi, quello della cosiddetta “immigrazione”, è un fenomeno indotto, eterodiretto. Andrebbe anzitutto ricordato che, sino a poco tempo fa e ad oggi ancora, la maggior parte degli abitanti di questi paesi aveva una scarsissima e pressoché nulla conoscenza del Primo Mondo, se non un generico e vago affastellarsi di immagini e racconti. Con l’arrivo dei mezzi di comunicazione e della rivoluzione informatica, tale livello di conoscenza è aumentato in maniera assolutamente irrilevante. Molti di questi paesi hanno vissuto per lo più all’interno di vere e proprie “cortine di ferro” di natura politica ed economica, per cui, raggiungere Europa o Nord America, era ed è, ad oggi, per un abitante del Terzo Mondo molto difficile ed oltremodo dispendioso. A svolgere un ruolo principe in questa storia, sono state e sono, tuttora, tutte quelle organizzazioni “umanitarie”, o presunte tali, dalle varie Ong, all’Onu ed alla Fao, alle missioni cattoliche ed evangeliche, alle rappresentanze di alcune multinazionali, che hanno negli anni svolto una mefitica opera di persuasione occulta tra queste popolazioni, facendo loro balenare l’idea che il Primo Mondo fosse il paradiso in terra, una specie di Bengodi, in cui avrebbero potuto vivere e prosperare senza problema alcuno. A questa silenziosa opera di indottrinamento, ne è seguita una ulteriore, ancor più deleteria e criminale: quella della vera e propria organizzazione di “viaggi della speranza”, in gran parte foraggiati da quelle medesime menti, che fanno trovare ai “profughi” in gommone, delle imbarcazioni di fronte alle coste libiche o in pieno Mediterraneo, pronte ad accoglierli ed a traghettarli, a mò di taxi, verso gli italici lidi, tanto per cambiare. Il problema, dunque, non sta all’arrivo in pieno Mediterraneo, bensì in quel del Terzo Mondo, ove loschi figuri si muovono per persuadere, istigare masse di illusi, sbandati, criminali d’ogni sorta e risma ed organizzare per costoro, grazie ad occulti sponsor, i famosi “viaggi della speranza”. In base a quali prove, effettuiamo queste considerazioni? Anzitutto, la maggior parte dei livelli di reddito, di determinate aree del Terzo Mondo, non permettono di poter impunemente pagare cifre che vanno dai tremila ai cinquemila dollari come nulla fosse. Pertanto, è inutile girarci attorno, siamo di fronte ad una precisa volontà politica, volta a fomentare ed a foraggiare l’immigrazione. Fondazioni cosiddette “no profit”, Ong ad alto livello ed i loro coordinatori, tra cui molti nomi sconosciuti ma, su tutti uno arcifamoso, il solito immarcescente George Soros, brigano per fare dell’Europa e dell’Occidente intero, un mercato di poveri schiavi, diseredati e sfruttati, atti a consumare codinamente tutto ciò che a loro venisse offerto.



    Prove per queste asserzioni? I racconti dei “rifugiati”, anzitutto. Seguiti dalle testimonianze e dai troppi “si dice” di una variegata umanità: si va dall’operatore economico europeo in loco, a qualche funzionario di ambasciata, non senza passare per quegli stessi operatori umanitari in buona fede, sino a qualche rappresentante della stampa estera o locale; tutte fonti la cui attendibilità viene subito messa a tacere dal muro di silenzio che i media “embedded” gettano su queste storie. Non sappiamo esattamente quante persone tra i rappresentanti delle categorie che abbiamo poc’anzi citato, siano state uccise per quel che sapevano o stavano per rivelare. Fatte sovente passare per vittime del terrorismo, di qualche criminale comune, di una mina antiuomo o di strani e mai verificati incidenti, questa silenziosa massa di testimonianze, deve ancora fuoruscire dal forzoso anonimato, in cui sono state relegate. Ed a riprova che, in tutto questo, “gatta ci cova”, la strana impunità di cui le Ong godono. La violazione del confine di un Paese, il far entrare persone senza passaporto, il sostituirsi praticamente alla pubblica autorità, costituiscono dei flagranti “vulnus” all’integrità territoriale di uno stato, ma tant’è. Tutto Tace. Il problema, come si può vedere, è molto più esteso di quanto si potrebbe credere e dovrebbe prevedere una serie di soluzioni ad ampio respiro e non solo timidi e goffi tentativi. Il blocco navale sì, ma anche una più decisiva azione contro chi, come il famigerato Fmi, continua a strangolare questi paesi, proponendo delle suicide ricette economiche. Secondo poi. Non si possono continuare a mandare soldi a raggiera per cooperazioni e pagliacciate varie, a paesi caratterizzati da paurose sperequazioni sociali. Ove i soldi arrivano ai pochi ricchi, che li utilizzano per scatenare orride guerre etniche o per metterseli al riparo in Svizzera, lasciando i propri paesi in braghe di tela. Altra nota dolens. Non si può permettere a paesi come Cina, Francia o Usa di comperarsi interi continenti , come nel caso dell’Africa e spingere le popolazioni locali all’abbandono delle proprie terre. Una politica di dure sanzioni e di rinnovato protezionismo, scoraggerebbe certe forme di colonialismo economico e finanziario. Un’ Europa “altra”, un’unione di nazioni libere e decise, dovrebbe però, affacciarsi sul proscenio.



    Un’Europa che sappia battere il pugno sul tavolo. E tanto per guardare alle cose di casa nostra. Se un auspicabile blocco navale, potrebbe avere i suoi effetti nell’immediato, ancor più potrebbero dei mezzi di dissuasione economica come, per esempio l’idea dell’introduzione di una bella e pesante tassa sull’immigrazione da far pagare ai “migrantes”, oltrechè a chi da loro lavoro. Una seconda iniziativa, ancor più incisiva nel medio e lungo termine, sarebbe quella di far proibire il business dell’uscita del denaro dei “migrantes”, verso i paesi d’origine. Se gli slogan urlati e le parole forti, sortiscono un effetto molto limitato, il più delle volte reso inefficace dal pronto intervento delle prefiche del buonismo d’accatto, senza urli né strilli, con determinate iniziative, toccando ciò che per certe persone è più sacro e cioè il portafoglio, “immigrare” qui da noi, potrebbe divenire un affare davvero poco conveniente e molto anti economico. Tutto questo, per rispondere a quelli che cerca ancora di convincere qualcuno della “ineluttabilità” del fenomeno “migratorio”, oppure a tutti coloro che ci parlano di un’ immigrazione “controllata”. Non finiremo mai di dirlo: l’immigrazione fa il gioco del grande capitale finanziario e depriva il Terzo Mondo delle sue migliori risorse umane, contribuendo a creare miseria, sperequazione sociale e destabilizzazione in Europa. Libano, Bosnia, Ruanda ed altri ancora, sono scenari oramai non più così lontani, dalla nostra quotidianità. In Occidente il fallimento della società multietnica è sotto gli occhi di tutti: quartieri ghetto, emarginazione sociale, criminalità, terrorismo a getto continuo, prima unicamente da parte degli “immigrati” o dei loro figli, ora anche da parte degli autoctoni, come a Cristchurch o l’altro giorno in quel di Halle, in Germania…Dateci retta: siamo ancora in tempo per evitare che la Storia d’Europa ripercorra i tragici scenari a cui, nei secoli, troppo spesso ci ha abituato. Basta solo ritornare al buon senso ed alla chiara e lucida coscienza che, così, non si può più andare avanti. “Historia magistra vitae”. E con questo antico e sempre attualissimo proverbio, speriamo di sollecitare una positiva riflessione in tutti. Anche in chi non la pensa come noi.

    UMBERTO BIANCHI

  10. #110
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    Predefinito Re: Istat, crollo delle nascite nel 2019. E ci snobbano anche gli stranieri

    Demografia, la scienza incomoda – Roberto Pecchioli


    La demografia è una scienza trascurata e non di rado negletta perché incomoda. Sa dire sul futuro la sua parte di verità, ma è messa da parte per ragioni ideologiche, calcoli indicibili, probabilmente per scelte criminali di lungo termine che devono restare celate ai popoli. Una scienza, quella demografica, fortemente interdisciplinare e di grande capacità predittiva, a cavaliere tra l’antropologia, la sociologia, la biologia e la statistica matematica, poco popolare, tranne forse in circoli di esperti di geopolitica ed in pensatoi riservati, eppure indispensabile per capire quale futuro attende il nostro mondo ed il modello di società in cui viviamo. Nel presente intervento non intendiamo esprimere valutazioni o pareri personali, bensì esporre le convinzioni di alcune personalità intellettuali di primo piano.

    Iniziamo ricordando uno sfogo di Giuliano Amato, risalente alla triste stagione del suo governo, allorché sbottò nei confronti degli italiani contrari all’immigrazione, ricordando loro che non si poteva dire no all’entrata di stranieri e contemporaneamente non avere figli. Discorso complesso, ma che aveva almeno il pregio di richiamare, da parte di un responsabile politico, all’elementare necessità della riproduzione sociale anche attraverso la catena generazionale. Amato, e l’intera classe dirigente nazionale ed occidentale di cui egli è membro da almeno quarant’anni, peraltro non solo non hanno fatto nulla per evitare la denatalità e ribaltare l’inverno demografico, anzi hanno costruito un sistema – politico, civile, culturale – assolutamente sfavorevole alla ripresa della natalità.

    Nello stesso periodo – i flussi migratori erano già iniziati, ma erano imparagonabili per ampiezza alla situazione presente – si scomodò Sua Altezza Eugenio Scalfari, in una delle sue torrenziali omelie settimanali sul quotidiano da lui fondato. Forse non del tutto dimentico dei suoi esordi su fogli di guerra in difesa della razza (ohibò!) giudicò la nazione italiana autoctona degna di sussistere e di attraversare altri secoli di storia. Bontà sua. Più recentemente, Ettore Gotti Tedeschi, altissimo esponente della finanza cattolica, apprezzato saggista, legato al Vaticano, amico personale e confidente del Papa emerito Benedetto XVI, ha scritto quanto segue: “l’immigrazione è un mezzo pianificato e giustificato (un fine dichiarato dal segretario dell’ONU) dalla crisi economica. La crisi non è causa, ma effetto dell’ignoranza delle leggi naturali della demografia. La causa di questa ignoranza è il pensiero neomalthusiano ambientalista che considera l’uomo cancro della natura. “

    Tutto assolutamente vero, tranne per un punto, ovvero la responsabilità degli ecologisti, che è largamente inferiore a quella degli ambienti economici e finanziari di vertice, come rileva un intellettuale senza paraocchi come Marco Della Luna. Di lui, economista monetario, ma anche sociologo e psicologo autore di numerosi libri di grande importanza, citiamo un brano di Oltre l’agonia, un testo che, in una situazione culturale e politica normale sarebbe conteso dalle grandi case editrici, contenente un’intuizione notevole. “Per la prima volta nella storia recente, si prevede che le condizioni di vita delle nuove generazioni saranno peggiori di quelle delle precedenti. Ciò mi suggerisce che la corrente replacement immigration, ossia immigrazione sostitutiva (di noi), finanziata coi soldi delle nostre tasse, voluta e progettata dalle élite cosmopolite (come era ben evidente nella campagna per delegittimare Donald Trump abbia lo scopo di sostituire le popolazioni bianche, divenute pessimiste e poco prolifiche, quindi poco adatte a sostenere l’ordine del capitalismo finanziario, con popolazioni che, partendo da una condizione attuale pessima, hanno al contrario forti e realizzabili aspettative di miglioramento per il futuro, quindi fanno molti figli e domani molti investimenti, a sostegno del sistema”.

    Sia Gotti Tedeschi sia Della Luna, poi, ricordano che la scarsa propensione a mettere al mondo figli fu fortemente diffusa ed incoraggiata negli anni 60 e 70 del secolo trascorso dalle medesime élite con argomenti relativi alla produttività e all’incremento della ricchezza che si sarebbe arrestato se gli europei avessero continuato ad essere genitori prolifici. Su quelle posizioni si distinse Henry Kissinger, uomo di vertice dell’establishment americano ed occidentale.

    Pochissimi giorni fa abbiamo letto con attenzione e stupore, per le tesi che vi sono sviluppate e per l’importanza del medium coinvolto, il prestigioso quotidiano madrileno di area liberale El Mundo, una lunga intervista al professor Alejandro Macarròn, cattedratico di ingegneria delle telecomunicazioni, direttore della fondazione Rinascimento demografico. Il suo libro più noto, Suicidio demografico in Occidente sarà presto disponibile in lingua inglese; dubitiamo invece raggiunga gli scaffali delle librerie italiane.

    Per l’ampiezza delle conoscenze, capacità di sintesi, profondità di analisi e per la trattazione davvero organica dei fenomeni collegati all’inverno demografico dell’Occidente, ne tracciamo un ampio riassunto, con l’avvertenza che Macarròn ha studiato ed elaborato innanzitutto i dati concernenti la sua patria, la Spagna, il cui andamento demografico ed il cui rapporto con l’immigrazione extraeuropea sono assai simili a quelli italiani, specialmente per la non casuale circostanza che l’ondata migratoria si è abbattuta in entrambi i paesi durante – e nonostante – il persistente ciclo economico negativo ed in presenza di una disoccupazione autoctona molto pesante.

    Macarròn inizia citando uno dei massimi economisti spagnoli contemporanei, Juan Velarde, con il suo avvertimento “andando avanti così, la Spagna sparisce, ma sparisce per davvero”. Il problema della natalità non è urgente come una crisi economica. Ciononostante, è un fatto inesorabile che se proseguirà una natalità tanto bassa, Spagna (ed Italia) spariranno. C’è ancora tempo, i giochi non sono fatti del tutto, ma è pura matematica. Non è cosa opinabile, se non si inverte la rotta si va verso l’estinzione, che tarderà ancora un paio di generazioni, ma intanto dovremo vivere in una società scompensata, senza bambini. Impressiona il poco caso che si fa ad un argomento tanto decisivo per il futuro.

    Assistiamo ad una vera e propria ondata di invecchiamento generalizzato. I dati sono desolanti, l’età con popolazione più numerosa è in Spagna quella di chi, nato nel 1970, ha 47 anni. E’ interessante notare che la natalità italiana comincia a calare un po’ prima, nel 1964, che resta l’anno più prolifico; questo si spiega con l’impatto dei nuovi paradigmi culturali dominanti, che hanno raggiunto noi con qualche anticipo sui cugini iberici. In Francia, Germania ed Inghilterra, la curva della natalità comincia ad inclinare al basso alla fine degli anni 50 per identici motivi, ma le statistiche successive risentono delle enormi ondate migratorie in quelle nazioni, e, per la Francia, si è verificata una inversione importante a seguito di forti interventi sociali e fiscali pubblici.

    L’inverno demografico è divenuto drammatico nell’Europa dell’Est a seguito dell’abortismo diffuso negli ultimi dieci – vent’anni del comunismo e poi per la povertà susseguente all’impianto violento del capitalismo dopo il 1989. Solo la Russia di Putin, consapevole della natura vitale e storica del tema, sta faticosamente risalendo la china, tanto che la popolazione russa è in lenta, ma confortante risalita da alcuni anni. In Spagna, osserva Macarròn, nascono meno bimbi che nel Settecento, anche al netto della diminuzione della mortalità infantile. Ogni anno, se i ritmi sono quelli attuali, nascerà il 2% in meno di spagnoli. Alcune province spagnole hanno superato Genova e Trieste nel desolante primato dell’eccedenza delle morti sulle nascite: a Zamora, nel 2016, per ogni nato ci sono stati tre decessi, due in Galizia. La verità è che alcuni popoli europei si stanno riducendo di numero ogni anno, a depurare le statistiche dagli stranieri in entrata e dai loro figli.



    Anche l’opinione comune secondo la quale lo spopolamento è un problema di mancanza di opportunità viene smontata con argomenti matematici: non ci sono bambini sufficienti per mantenere costante la popolazione neppure nelle città, non solo nelle aree rurali o in quelle più sfavorite. In più, avanza una componente di psicologia sociale: “Se vivi in una località dove ci sono quasi solo vecchi, vuoi andartene. A tutte le età, ci piace la gioventù. Se ti circondi solo di anziani, vedi la morte, la decrepitezza.” Demoralizzante, ma assolutamente vero. Inoltre, nelle zone che si spopolano, la qualità della vita diminuisce. Il dilemma morale che rilancia il professore spagnolo è angosciante soprattutto in quanto inconfessato, non ammesso, anzi rimosso dal dibattito pubblico: “Ce ne prendiamo cura (degli anziani) ed in quel caso ci roviniamo economicamente, o li abbandoniamo? Tanto i bambini che gli anziani costano denaro. Però i bimbi sono un investimento che produrrà futuro ed agli anziani diamo una qualità della vita. Tuttavia, la ricchezza che utilizziamo per loro, si consuma e non produce nel futuro”. Ogni giorno sperimentiamo quali risposte dà, anzi nega, la società di mercato che ci è toccata in sorte. La gioventù è essenziale: lo è nella sfida demografica, ma anche per intraprendere ed innovare. Il giovane osa per natura, mette in forse i tabù, le verità precostituite, ha minori rigidità. Da giovane, puoi sbagliare e recuperare il tempo perduto, perché c’è un domani.



    Un argomento tipico di chi nega l’importanza della crisi demografica è che il mondo è sin troppo popolato e pieno di giovani. Argomento davvero facilone, ribatte Mazarròn, che lamenta come nella sua regione natale, le Asturie che furono culla della nazione spagnola da cui partì, con il re Pelayo, la Reconquista del territorio contro gli invasori arabi, oggi nasca un terzo dei bambini rispetto a mezzo secolo fa. Anzi, la terra celtica delle cornamuse iberiche e delle miniere, sarà la prima regione d’Europa a scomparire per assenza di popolazione. Non mi consola, afferma, che in Nigeria cresca molto la popolazione.



    Storicamente, del resto, il numero era decisivo per lo sviluppo di un popolo. Poi, la tecnologia ha cambiato le cose, la produttività non è più questione di braccia utilizzate o di fanteria in marcia, ma di scienza e tecnica. Per questo l’Occidente domina il mondo. Siamo però ad un tornante ineludibile: il Terzo Mondo sta emergendo, la produttività media si avvicina alla nostra, pertanto il numero della popolazione torna ad essere decisivo. La prognosi è brutale “quando la Cina uguaglierà in produttività gli Usa, avrà quattro o cinque volte il suo PIL e noi europei tenderemo all’irrilevanza”. C’è di più, poiché la storia degli uomini è una vicenda di volontà di potenza, e Macarròn non si nasconde dietro il fumo politicamente corretto. “Se i nuovi leader mondiali saranno democratici, nessun problema. Però in Cina c’è stata una eliminazione massiccia di neonate solo per essere femmine. Pensiamo poi al mondo mussulmano, dove c’è una maggioranza pacifica ma una minoranza aggressiva. Se fanno una transizione verso la non aggressività, bene. Ma se non succede… “



    Il punto dolente è l’individualismo assoluto dell’Occidente, che rende inattuabile un concetto che era vissuto come naturale sino a mezzo secolo fa, riassunto dal demografo in una frase che sconcerta il senso comune dei più: “Dobbiamo pensare che avere figli è un dovere verso la comunità e l’umanità. Non importa se alcuni non ne hanno, ma la maggioranza deve averli”. In Spagna, un’ idea simile fu esposta da un sacerdote controverso ma importante, il fondatore dell’Opus Dei, José Marìa Escrivà de Balaguer, canonizzato da Papa Wojtyla.

    In Occidente, ci stiamo abituando all’idea che l’immigrazione sostenga la demografia in tempi di abbondanza; nella storia ci sono state migrazioni virtuose che hanno aiutato a costruire grandi civiltà, ma ce ne sono state altre, come quelle dei popoli che chiamiamo barbari, che furono invasioni, portarono guerre, desolazione, crollo civile, morale, economico, demografico. Oggi facciamo i conti con l’estremismo islamico e, più ampiamente, con una parte di immigrati, anche di seconda o terza generazione, che odia il paese e la cultura dove si è installata.



    I dati rivelati da Macarròn per il suo paese, non diversi peraltro, nella sostanza, da quelli che emergono dalle statistiche italiane, dimostrano che in Catalogna, quasi il venti per cento delle nascite è di figli di magrebini. Una scelta precisa, quella di privilegiare l’immigrazione nordafricana, da parte delle classi dirigenti di Barcellona, che rende ridicolo, in prospettiva, il loro ossessivo micro nazionalismo antispagnolo. La Catalogna di domani probabilmente non sarà più spagnola, ma tanto meno sarà catalana. Ed è incredibile che proprio i nazionalisti non si preoccupino della loro discendenza!

    Un altro tema collegato è quello dello Stato sociale, che non fa nulla per la famiglia, ma spesso concede diritti agli stranieri in cambio di nulla. Nonostante una crisi devastante, solo pochi immigrati sono tornati in patria, qui come in Spagna. Diciamolo senza paura, facendo nostra un’osservazione del professor Macarròn. L’immigrato tradizionale aveva un piano A: lavorare. Adesso c’è anche un piano B, farsi mantenere dai sussidi pubblici e dalle reti sociali, a partire da quelle della Chiesa. Per quanto alcune convinzioni siano circondate dallo sdegno ufficiale, la verità è che l’immigrazione, se non se ne regolano i flussi ed i numeri, costituisce un gradito (dal sistema) eccesso di manodopera che compete con quella locale, abbatte i salari, specialmente quella dei ceti medio bassi, proprio coloro che vengono poi accusati di fascismo, razzismo e populismo perché non ci stanno. Un altro effetto è l’entrata illegale di “migranti”, che, una volta diventati troppo numerosi per essere poter essere espulsi, vengono regolarizzati. In Europa, le regolarizzazioni sono state 200 (duecento !!) in vent’anni.



    Anche noi riteniamo errato contrastare quei segmenti di immigrazione che vanno a rimpiazzare posti di lavoro vacanti, ma il modello vigente non è affatto questo, tanto più in uno scenario in cui migliaia e migliaia di connazionali emigrano per motivi economici. Poi, naturalmente, lorsignori ed il clero mediatico ed intellettuale di servizio urlano “al lupo!“ contro il populismo.

    Un’ ulteriore spunto di riflessione che ci viene dall’intervista al Mundo riguarda la circostanza che tra i governanti occidentali, l’unico ad avere una famiglia numerosa è proprio l’odiatissimo Trump: cinque figli da tre donne diverse, ma quello è un altro tema. Ben dieci paesi europei hanno primi ministri o presidenti senza figli, a cominciare dal nostro Gentiloni, proseguendo con la britannica May, la tedesca Merkel, che pure in patria chiamano Mutti, mammina, e naturalmente il giovin signore della finanza Macron, la cui moglie ha un quarto di secolo più di lui. Macarròn osserva, non senza far correre qualche brivido lungo la schiena, che negli anni Trenta, gli unici due capi di governo senza prole erano il suo connazionale Azana, che ebbe gravi responsabilità nel clima che condusse alla tragedia della guerra civile del 1936/1939, e Adolf Hitler. Sin troppo ovvio, che, con responsabili politici ostili e personalmente estranei al problema, la famiglia resti esclusa dallo spazio pubblico, dove incede trionfante la sua scimmia, ovvero la beatificazione dell’esperienza e dell’unione omosessuale, programmaticamente sterile.

    La storia recente è quella della passività, nel migliore di casi, oppure della negazione pura e semplice di un problema demografico di riproduzione della comunità, e, dai pulpiti più elevati, addirittura l’accordo e la propaganda di tale modello. C’erano economisti che dicevano che l’aumento della popolazione avrebbe significato un minore reddito pro capite. Il futuro di popoli interi, dunque, è stato lasciato nelle mani di personaggi la cui unica competenza – non di rado sopravvalutata e comunque non comprovata dai fatti – era di ambito matematico-economico. Popoli e nazioni sono ora demograficamente in ginocchio per responsabilità loro e dei loro mandanti, tra i quali, lo ripetiamo, spiccano le idee di Henry Kissinger. Sotto quel profilo, ha ragione Gotti Tedeschi ha chiamare in causa i ricorrenti rigurgiti malthusiani tra le élite riservate, diventati disgraziatamente sostrato culturale di massa. Ricordiamo che Thomas Robert Malthus, pastore protestante inglese ed economista cosiddetto “classico” teorizzò che ad ogni aumento di popolazione sarebbe cresciuta irrimediabilmente la povertà.

    Altro grande responsabile è il “pensiero unico”, il quale rimuove i problemi scomodi e quelli a cui non è in grado di fornire una risposta immediata. Riportiamo il pensiero del professor Macarròn: “Alle persone piace vivere su una base di certezze (la mia casa, il mio lavoro, la mia famiglia). Quando qualcuno mette in dubbio lo status quo dicendo che la società ha un problema in quanto non nascono bambini, crea fastidio. L’Occidente è molto orgoglioso per ciò che ha conseguito negli ultimi duecento anni. Eppure, quando si mettono in questione determinate verità, la gente ti salta al collo; non è lo Stato che ti censura, è un altro tipo di censura “. Si tratta della dittatura del politicamente corretto, che dilaga specialmente sulle reti sociali. Democrazia, tuttavia, significa confronto, contrasto, critica. Winston Churchill sosteneva che la critica è un regalo, ed è paragonabile al dolore nel corpo umano, che avverte dei problemi. Il tema demografico è dei più sensibili, di quelli che “chi tocca i fili muore”. Non si accetta il dialogo, neppure si riconosce l’esistenza di distinti ceppi etnici e razziali, poiché questo contraddice il dogma di un’uguaglianza insostenibile, che è indistinzione, l’esatto contrario, oltretutto, dello spirito di conoscenza e di ricerca della verità che è stato un faro della civiltà europea.

    El Mundo ha infine chiesto all’intervistato di fare proposte concrete. Non si deve nascondere che se anamnesi, diagnosi e prognosi sono chiare, la terapia è molto meno definita. Il primo passo, al quale contribuiscono in modo determinante studiosi come Mazarròn, è la presa di coscienza del fatto e la sua assunzione come problema. Siamo lontani dalle soluzioni, ma non ci troviamo più all’anno zero. Dobbiamo guardare la realtà senza false illusioni: la modernità (e la modernizzazione) ha portato meno natalità. La prima cosa è prenderne coscienza. La seconda è ridare valore al prestigio dell’essere genitori, mostrare il bello che rappresentano i nostri piccoli, i cuccioli di uomo. Ci incantano sempre, è qualcosa di istintivo, iscritto nella natura, come sorridere loro appena li vediamo. Poi occorre trasmettere senza paura il messaggio duro del fatto che il paese ha bisogno di figli, come è stato fatto in Francia pochi anni fa. Quindi, attivare misure economiche diffuse.

    Sul punto Mazarròn dice cose assai serie ed equilibrate: “Bisogna compensare alle famiglie una parte significativa di ciò che costa avere figli. Non tutto, però, poiché allora ci sarebbe gente che avrà figli solo per denaro. Questo è capitato ed è stato moralmente un disastro. Gli aiuti devono centrarsi sulla donna, ma non solo. E bisogna stare attenti a favorire soltanto la donna che lavora fuori casa, come capita adesso. Se vogliamo incentivare la natalità, è a tutte le donne che dobbiamo rivolgerci, non solo ad alcune in funzione di ideologie. “. Noi aggiungiamo, riprendendo la lezione di Claudio Risé, ed in parte persino di un Massimo Recalcati, ridare senso, ruolo, prestigio al padre, il grande espulso, lo sconfitto principale del tempo nostro.

    Dobbiamo invertire dal punto di vista culturale e civile i valori dominanti ostili alla natalità in genere ed alle famiglie numerose in modo particolare. Ci sono persone che liberamente decidono di avere molti figli: in un continente che ha bisogno di bambini dovremmo applaudirli, non solo aiutarli. Interessante e suggestiva è l’ultima domanda dell’intervistatore, che ha ipotizzato come lo sviluppo dell’intelligenza artificiale possa indurre a lasciare in secondo piano il dibattito sulla natalità, per affidare il nostro futuro ai robot.

    La risposta è quella di ogni uomo o donna di buon senso: oltre l’enorme questione dell’affettività che dà senso alla vita, è bello riportare per esteso il pensiero dell’ingegnere asturiano: “Misero panorama, una società invecchiata che confida nei robot anaffettivi … Una società disseccata. Zavorrata nell’economia e negli affetti. Gli anziani costano caro ed è pesante aver cura di loro. Vedremo cose moralmente indesiderabili. La pressione verso l’eutanasia attiva (cioè la soppressione farmacologica di soggetti non necessariamente consenzienti n.d.r.) sarà crescente perché le risorse sono scarse “. Soprattutto, ci permettiamo di aggiungere, perché il clima è contrario alle nascite, inclina alla morte e ragiona esclusivamente in termini di partita doppia.

    E’ comunque già un successo insperato (a questo siamo giunti) che tesi normali e correnti sino a una generazione fa, oggi proscritte ed espulse per indegnità morale (di quale moralità, di grazia?) vengano diffuse su un grande quotidiano d’opinione. Aspettiamo che il problema demografico venga finalmente sdoganato anche in Italia, a partire dalla imminente campagna elettorale.

    E’ urgente, è vitale, è imprescindibile suscitare un nuovo senso comune favorevole alla vita. Il volto il sorriso, persino il pianto di un neonato figlio nostro è il simbolo potente di un popolo che non vuole morire ostaggio di un mondo usuraio. Vide giusto Ezra Pound nel canto XLV: usura soffoca il figlio nel ventre / arresta il giovane amante/ cede il letto a vecchi decrepiti/si frappone tra giovani sposi.

    ROBERTO PECCHIOL

 

 
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