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  1. #11
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    Predefinito Re: L'infinito di Leopardi tradotto in romanesco da Francesco De Gregori

    sul resto, mi allenerò ma è più facile il tedesco del milanese
    Se non hai il coraggio di mordere, non ringhiare.

  2. #12
    Supermod Viola
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    Predefinito Re: L'infinito di Leopardi tradotto in romanesco da Francesco De Gregori

    Giacomo Leopardi è il poeta per eccellenza, ma conosciamo il vero Giacomo… questo è difficile, ma possiamo comunque conoscere alcuni suoi segreti.

    Il suo nome completo era Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro il cognome Leopardi non ha nulla a che fare con il felino, ma è una forma in origine germanica che vuol dire ’amico forte’.

    Ad undici anni tradusse il primo libro delle Odi di Orazio ed a quattordici anni scrisse due tragedie la Virtù indiana e Pompeo in Egitto. Sin dalla tenera età, Giacomo Leopardi era affamato di conoscenza. Lo era al punto da imparare da autodidatta il greco antico, l’ebraico e l’aramaico antico, con l’aiuto di una Bibbia poliglotta presente in biblioteca, cosa che gli permise di approfondire sempre più lo studio dei classici. Basti pensare che a soli quindici anni scriveva una “Storia dell’Astronomia”.

    Egli, cresciuto con una madre davvero opprimente, Adelaide Antici, per fare una passeggiata doveva chiedere il permesso almeno una settimana prima e finì per rispettare in maniera ossessiva anche i consigli del medico: se gli si consigliava di stare a riposo qualche ora egli finiva per rimanere a letto intere settimane. Nei suoi diari racconta di come Adelaide non lo baciasse mai, neppure da piccino, e di come invitasse lui e i suoi fratelli a gioire di ogni sventura e sofferenza in quanto doni di Cristo.

    Non è vero che il suo aspetto fisico gli impedisse una certa autostima, egli era pieno di sé e lo manifestava in pubblico, disprezzando spesso chi lo circondava e attirandosi antipatie. Inoltre, odiava il nome Teresa, a suo dire inammissibile per una donna giovane bella, ed anche per questo ribattezzò l’amata Teresa Fattorini col nome di Silvia.

    In realtà le gobbe, quella posteriore sulla spalla sinistra e quella anteriore sul petto, insieme a tutta una serie sterminata di disturbi fisici, sono imputabili a una malattia ancora sconosciuta per l’epoca: la tubercolosi ossea, anche detta “Morbo di Pott”. La malattia gli aveva causato, a parte l’impotenza e i problemi di respirazione, anche una forte ipersensibilità alla luce, che lo costringeva a ridurre il tempo passato all’aperto nelle ore diurne.

    Sappiamo che Giacomo Leopardi era molto trascurato nel vestire, i suoi abiti puzzavano sempre di tabacco. Pare che la repulsione per le forme del suo corpo fosse tale da impedirgli anche di lavarsi: i suoi indumenti intimi richiedevano un lavaggio preventivo in casa prima di affidarli alla lavandaia, che diversamente non li avrebbe accettati.

    L’infinito: Il poeta compose il suo più famoso idillio a vent’uno anni. L’Infinito è una strofa unica di 15 endecasillabi sciolti in 11 sillabe senza rime, scritta durante il soggiorno nella natia Recanati. In passato è stata definita un’avventura della mente del poeta che su un colle solitario (ermo) e una siepe, che gli copre gran parte della visuale, lo spinge ad immaginare cosa ci sia al di là. Egli descrive uno stato d’animo in cui spicca la serenità derivante dalla contemplazione della natura circostante, ma anche un lieve inquietante confronto con l’eternità (spaura). Le prime stesure dell’Infinito risalgono al 1818, ma poi fu completato l’anno successivo. Il manoscritto originale viene conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli. Il Colle dell’Infinito si chiama Tabor precisamente come il Montesacro della Galilea dove ebbe luogo la trasfigurazione di Gesù. Particolarità nei 15 versi le “e” (congiunzione) sono ben 64 contro 36 “a” (preposizione). Il linguaggio del poeta in questo componimento spazia da quello letterario abitualmente, usato nella poesia, a quello colloquiale. Mischiarli è una scelta inusuale per l’epoca, ma Leopardi non riteneva l’Infinito una grande poesia, tanto che nella sua prima edizione non voleva inserirla, era convinto di raggiungere la fama con i suoi canti epici civili.

    Ma torniamo alle curiosità della sua persona. Aveva l’abitudine di far colazione il pomeriggio e il pranzo a mezzanotte, e ha lasciato un elenco di 49 piatti desiderati: dai maccheroni alle zucche fritte, dalle pastefrolle alle frappè, dai fegatini alle polpette. Antonio Ranieri scrisse di come Giacomo fosse una vera e propria enciclopedia di stranezze e vizi. Per esempio, faceva colazione nel pomeriggio e pranzava anche a mezzanotte, pretendendo che si cucinasse apposta per lui.

    Infatti, è stato il primo a scrivere un verso in onore di un pasticcere Vito Pinto i cui taralli e gelati erano la sua passione e così per un sonetto ha una cuoca Angelina di cui amava le lasagne. Del suo soggiorno a Napoli, la città in cui il poeta morì, egli ricordò “les glaces à la napolitaine”, i tarallucci zuccherati che lo mandavano in visibilio.

    Scrisse i famosi “Desiderata“: quarantanove cose richieste o desiderate, che compongono la lista dei piatti suggeriti da Giacomo Leopardi a chi si occupava di preparare i suoi pasti:

    Tortellini di magro – Maccheroni o tagliolini – Capellini al burro – Bodin di capellini – Bodin di latte – Bodin di polenta – Bodin di riso – Riso al burro – Frittelle di riso – Frittelle di mele o pere – Frittelle di borragine – Frittelle di semolino – Gnocchi di semolino – Gnocchi di polenta – Bignés – Bignés di patate – Patate al burro – Carciofi fritti, al burro, con salsa d’uova – Zucche fritte, ecc. – Carciofi – Fiori di zucca fritti – Selleri – Ricotta Fritta – Ravaiuoli – Bodin di ricotta – Pan dorato – Latte fritto, crema ecc. – Purée di fagiuoli, ecc. – Cervelli fritti, al burro, in cibreo – Pesce – Paste frolle al burro o strutto, pasticcetti ecc. – Paste sfogliate – Spinaci – Uova ecc. – Latte a bagnomaria – Gnocchi di latte – Erbe strascinate – Rape – Cacio cotto – Polpette ecc. – Chifel fritto – Prosciutto ecc. – Tonno – Frappe – Pasticcini di maccheroni o maccheroncini, di grasso o di magro – Fegatini – Zucche o insalate ecc. con ripieno di carne.

    Questi i Desiderata, ma la lista prosegue con altre cose apprezzate dal poeta come la crescia (una sorta di piadina), gli scrocca fusi, le frittelle e altre tipicità marchigiane che Leopardi rimpiangeva lontano da casa.

    È tanta la sua passione per il cibo che, seppur sappiamo che l’idropisia polmonare è la causa più accreditata della prematura morte di Giacomo Leopardi, così come si legge nel referto ufficiale diffuso dall’amico Antonio Ranieri, nacquero altre ipotesi meno accreditate che parlano di indigestione di confetti o addirittura di colera.

    Ma egli definì abominio assoluto per la minestrina. Noti sono i versi che il poeta recanatese le dedica in “A morte la minestra“:

    "Metti, o canora musa, in moto l’Elicona
    e la tua cetra cinga d’alloro una corona.
    Non già d’Eroi tu devi, o degli Dei cantare
    ma solo la Minestra d’ingiurie caricare.
    Ora tu sei, Minestra, dei versi miei l’oggetto,
    e dirti abominevole mi porta gran diletto.
    O cibo, invan gradito dal gener nostro umano!
    Cibo negletto e vile, degno d’umil villano!
    Si dice, che resusciti, quando sei buona, i morti;
    ma il diletto è degno d’uomini invero poco accorti!
    Or dunque esser bisogna morti per goder poi
    di questi benefici, che sol si dicon tuoi?
    Non v’è niente pei vivi? Si! Mi risponde ognuno;
    or via su me lo mostri, se puote qualcheduno;
    ma zitti! Che incomincia furioso un tale a dire;
    ma presto restiamo attenti, e cheti per sentire:
    “Chi potrà dire vile un cibo delicato,
    che spesso è il sol ristoro di un povero malato?”
    È ver, ma chi desideri, grazie al cielo, esser sano
    deve lasciar tal cibo a un povero malsano!
    Piccola seccatura vi sembra ogni mattina
    dover trangugiare la “cara minestrina”?

    Fonte: Pagina non trovata - Oltre i Resti News.
    Se non hai il coraggio di mordere, non ringhiare.

  3. #13
    Supermod Viola
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    Predefinito Re: L'infinito di Leopardi tradotto in romanesco da Francesco De Gregori

    Cosa si nasconde dietro una poesia così iconica come l’Infinito di Leopardi? Ecco le curiosità sul canto:

    1. il componimento poetico fu scritto da Leopardi quando aveva solo 20 anni;
    2. il colle a cui si riferisce Leopardi nella poesia è il Monte Tabor, a Recanati;
    3. la poesia fu scritta a Recanati, sua città natale e dove visse i primi anni della sua giovinezza.
    4. fa parte della raccolta Idilli ispirati alle composizioni dei poeti latini Virgilio, Calpurnio Siculo e Nemesiano;
    5. il linguaggio usato dal poeta spazia da quello letterario a quello colloquiale, scelta inusuale per l’epoca;
    6. il manoscritto si trova attualmente a Napoli, presso la Biblioteca nazionale;
    7. esistono diversi manoscritti de L’Infinito sparsi in diversi archivi nazionali.

    Fonte:L'Infinito di Leopardi: analisi, parafrasi e curiosita sulla poesia
    Se non hai il coraggio di mordere, non ringhiare.

  4. #14
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    Predefinito Re: L'infinito di Leopardi tradotto in romanesco da Francesco De Gregori

    Una (bella) interpretazione in musica de l'Infinito di Leopardi...



  5. #15
    Blue
    Ospite

    Predefinito Re: L'infinito di Leopardi tradotto in romanesco da Francesco De Gregori

    Il manoscritto autografo de L'Infinito leopardiano conservato presso l'Archivio Comunale di Visso (Macerata)...



  6. #16
    Blue
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    Predefinito Re: L'infinito di Leopardi tradotto in romanesco da Francesco De Gregori

    La testa perduta di Giacomo Leopardi

    I nostri moti generosi comportano qualche pericolo:
    ci fanno perdere la testa.
    A meno che non si sia generosi proprio per aver perso la testa,
    essendo la generosità una palese forma d’ebbrezza.

    Emil Cioran




    Leopardi sul letto di morte, 1837*


    (* Ritratto a matita di Tito Angelini, simile alla maschera mortuaria e quindi ritenuto molto realistico e verosimile)


    Il 14 giugno 1837, verso le cinque del pomeriggio, moriva Giacomo Leopardi a 39 anni non ancora compiuti. Si trovava a Napoli nella casa dell'amico Antonio Ranieri, al secondo piano di un palazzo di Vico Pero 2, nel quartiere Stella. Lo riporta lo stesso Ranieri nella sua biografia "Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi", testimone oculare del trapasso del poeta insieme a Nicola Mannella, il medico che ne stilò l'atto di morte:

    "E il mercoledì 14 di giugno, alle ore cinque dopo il mezzodì, mentre una carrozza l’attendeva per ricondurlo al suo casino, ed egli divisava future gite e future veglie campestri le acque, che già da tempo tenevano le vie del cuore, abbondarono micidialmente nel sacco che lo ravvolge, ed oppressa la vita alla sua prima origine, quel grande uomo rendette sorridendo il nobilissimo spirito tra le braccia di un suo amico che lo amò e lo pianse senza fine."

    Secondo la descrizione di Ranieri, Leopardi gli morì tra le braccia a causa di una pericardite acuta ("sacco che lo ravvolge", all'epoca definita "idropisia"), in un periodo in cui a Napoli imperversava una violenta epidemia di colera, morbo che da molti studiosi viene considerata la causa più probabile della sua morte. Stando a quanto scrive Ranieri, le spoglie di Leopardi non furono gettate in una fossa comune, come avrebbero richiesto le severe norme igieniche dell'epoca, ma sepolte in una chiesa:

    "... il cadavere fu salvato dalla confusione del camposanto cholerico ed assettato in una cassa di noce impiombata, e raccolto pietosamente in una sepoltura di ecclesiastichi sotto l’altare a destra della chiesetta suburbana di San Vitale; fu quindi, non meno pietosamente, trasferito a suo tempo nel vestibolo della medesima, dove gli fu posta la pietra ch’ora si vede."

    Stando alla testimonianza di Ranieri, il poeta fu dunque sepolto nella cripta della chiesa di San Vitale "sulla via di Pozzuoli". Alcuni anni dopo, nel 1844 e sempre a spese di Ranieri, la tomba fu spostata nel pronao della chiesa, dove venne posta una lapide con un'epigrafe scritta da un altro caro amico del poeta, lo scrittore Pietro Giordani. Nel 1897 la tomba di Leopardi fu dichiarata monumento nazionale e venne stabilita la ristrutturazione della facciata e del pronao della chiesa di San Vitale. Nel 1900 i lavori furono completati e due anni dopo venne inaugurato ufficialmente il monumento funebre del grande poeta. Per rendergli ulteriormente omaggio, si decise di cambiare il nome alla piazza in cui sorgeva la chiesa, che divenne così piazza Giacomo Leopardi. Quasi quarant'anni dopo, a seguito della decisione di demolire la chiesa di San Vitale, il 22 febbraio del 1939 i resti di Leopardi furono spostati nel Parco Vergiliano alle spalle della chiesa di Piedigrotta, chiamato così in quanto vi sorge la tomba di un altro grande poeta, Virgilio.

    La sepoltura di Giacomo Leopardi, comunque, è sempre stata avvolta da un alone di mistero e lo stesso Ranieri ne fornisce versioni diverse nei suoi scritti. Il sospetto è che Ranieri avesse inscenato un funerale con una bara vuota, allo scopo di nascondere la triste verità: ovvero, che il corpo del poeta fosse finito nelle fosse comuni del Cimitero delle Fontanelle o nel cimitero delle 366 Fosse, dove venivano sepolti i morti di colera. Infatti, è molto improbabile che il poeta abbia avuto un funerale, dato che tra i primi provvedimenti presi dal re per arginare l'epidemia di colera ci fu il divieto assoluto di seppellire i morti (anche se deceduti per qualsiasi altra malattia), oltre che nelle chiese, anche in qualsiasi altro punto della città, ma solo in due luoghi appositamente allestiti: uno a Poggioreale e l’altro in una vasta cava di tufo abbandonata, nella zona detta delle Fontanelle. A questo ordine rigoroso e alla fitta rete di controlli non sfuggì nessuno: morti di colera e non, tutti finivano nelle fosse comuni, nudi e nella calce viva... soprattutto perché, nel giugno 1837, i morti di colera erano arrivati a circa ventimila.

    Difficile credere che il corpo di Leopardi, come descrive Ranieri, avesse potuto avere in poche ore una cassa in noce con una targa d’ottone e delle scritte in oro, oltre a tre carrozze per accompagnarlo nell’ultimo viaggio. Per il trasporto della salma e per la sua tumulazione nella chiesa di S. Vitale era necessario un "permesso di tolleranza", una sorta di lasciapassare che veniva rilasciato solo dal ministro di polizia in persona, il severissimo generale Francesco Saverio del Carretto, che aveva fatto arrestare Ranieri cinque anni prima per atti sovversivi contro il Regno (e, all’epoca della morte del poeta, Ranieri era ancora un sorvegliato politico). Ranieri era tornato a Napoli grazie ad un indulto di Ferdinando II, a patto di risiedere entro le mura e di non lasciare la città.

    A confutare la descrizione di Ranieri c’è anche la ricognizione ufficiale delle spoglie del poeta, effettuata il 21 luglio 1900. Nella cassa, considerata troppo piccola per contenere lo scheletro di Leopardi (era lunga meno di un metro e mezzo, troppo corta persino per un uomo di bassa statura come lui) e troppo poco profonda per contenere le spoglie di un uomo con una doppia gobba (una posteriore lungo la spina dorsale, l’altra anteriore). Ma non è tutto: la cassa, bucata lateralmente come se fosse stata vandalizzata, conteneva solo i due femori, qualche osso e alcuni brandelli di vestiti; mancavano completamente il cranio, la cassa toracica e la colonna vertebrale, che avrebbero reso immediatamente riconoscibili le spoglie delpoeta. Nonostante i molti dubbi, però, la questione venne ben presto liquidata per non suscitare clamore e il caso fu chiuso velocemente, sostenendo che era plausibile che quelle nella cassa fossero parte delle spoglie di Leopardi.

    Dopo la ricognizione della tomba, anche la famiglia Leopardi iniziò a dubitare che quelle spoglie fossero davvero appartenute al poeta, ritenendo tuttavia inutile la riesumazione e preferendo non manomettere il monumento sepolcrale in suo onore. La stessa tesi è sostenuta anche nel libro della scrittrice e filosofa Loretta Marcon, studiosa di Leopardi, intitolato "Un giallo a Napoli, la seconda morte di Giacomo Leopardi" pubblicato nel 2012 da Guida Editore e presentato al Palazzo Leopardi, a Recanati. Nel suo libro , frutto di anni di ricerche nelle biblioteche e in antichi documenti, la Marcon smentisce completamente la versione data da Ranieri sulla morte di Leopardi, sostenendo che le spoglie custodite nel monumento funebre del Parco Vergiliano non sarebbero quelle del poeta. Secondo la scrittrice, con ogni probabilità la tomba del Parco Vergiliano, e ancor prima la Chiesa di San Vitale, hanno custodito per anni una scomoda verità: ovvero, che Giacomo Leopardi sia morto di colera e, dopo un'esistenza tanto sofferta, il destino non gli abbia neppure concesso una degna sepoltura.


    Fonti
    Il caso della morte di Giacomo Leopardi
    Giacomo Leopardi, le malattie ed i misteri sulla morte e sepoltura
    Il "giallo" delle spoglie di Leopardi custodite nel Parco Vergiliano
    Il giallo irrisolto della scomparsa di Leopardi: quel 14 giugno in cui la luna tramontò su Napoli
    Giacomo Leopardi: le verità sulla vita del Poeta di Recanati

  7. #17
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    Predefinito Re: L'infinito di Leopardi tradotto in romanesco da Francesco De Gregori

    Citazione Originariamente Scritto da Blue Visualizza Messaggio
    Il manoscritto autografo de L'Infinito leopardiano conservato presso l'Archivio Comunale di Visso (Macerata)...


    che bella grafia che aveva
    Se non hai il coraggio di mordere, non ringhiare.

  8. #18
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    Predefinito Re: L'infinito di Leopardi tradotto in romanesco da Francesco De Gregori

    Per il resto voglio continuare a credere che sia sepolto accanto a Virgilio.
    Anche se, sicuramente, non sarà cosi
    Se non hai il coraggio di mordere, non ringhiare.

  9. #19
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    Predefinito Re: L'infinito di Leopardi tradotto in romanesco da Francesco De Gregori

    Citazione Originariamente Scritto da Rachel Walling Visualizza Messaggio
    Per il resto voglio continuare a credere che sia sepolto accanto a Virgilio.
    Anche se, sicuramente, non sarà cosi
    Se vieni da queste parti ti accompagno a Casa Leopardi.

    Teniamoci stretti, che c'è vento forte.

    Io sono per la chirurgia etica: bisogna rifarsi il senno.

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  10. #20
    Supermod Viola
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    Predefinito Re: L'infinito di Leopardi tradotto in romanesco da Francesco De Gregori

    Citazione Originariamente Scritto da Malandrina Visualizza Messaggio
    Se vieni da queste parti ti accompagno a Casa Leopardi.
    Volentieri!
    Prima o poi ci verrò, è uno dei luoghi che vorrei visitare
    Se non hai il coraggio di mordere, non ringhiare.

 

 
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