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    Predefinito Quando il sistema economico tedesco del "baratto" mise fuori gioco le banche

    Terzo Reich. Quando il sistema economico tedesco del "baratto" mise fuori gioco le banche


    Joaquin Bochaca (Trad. Alfio Faro)



    La Gran Bretagna e gli USA, campioni del liberismo, si indignarono perché la Germania, vendendo le proprie merci più a buon mercato, strappava ad essi i loro mercati tradizionali



    Nell'ottobre 1938 Walter Funk, ministro economico del Terzo Reich, fece un viaggio nei Balcani durante il quale concluse importantissimi affari con la Jugoslavia, la Turchia, la Bulgaria. La Romania non era incline a seguirle all'epoca a causa della opposizione di Re Carol, ossequiente ai desideri della sua amante, la fulva avventurosa ebrea Elena Lupescu (meglio nota come Magda Lupescu), per seguire la quale aveva abbandonato, da principe ereditario, moglie e figlio e le pretese (temporaneamente) sulla corona. Ciò che segue descrive quanto accadde.

    Il 15 novembre 1938 Re Carol di Romania giunse a Londra e fu acclamato da "antinazisti" a Hyde Park. Ma nessuno si figurava che il monarca fosse venuto a Londra giusto per il piacere di prestare la sua presenza ad una manifestazione filo-ebraica. Carol rappresentava la rara resistenza alla espansione economica della Germania nell'Europa del sudest. Carol era venuto a Londra per incontrare i banchieri della "City" e per combatterne la forza (della Germania, n.d.r.).

    Lo scopo del viaggio fu indirettamente rivelato da Robert S. Hudson, membro del Consiglio della Corona e segretario del Dipartimento del commercio estero, in un discorso pronunciato alla Camera dei Comuni due settimane più tardi, il 30 novembre. Fu un discorso di importanza capitale, che costituì una virtuale dichiarazione di guerra contro la Germania. La guerra economica, ai giorni nostri, precede sempre la guerra guerreggiata.

    Fu un discorso che indicava che una parte importante della "City", che in precedenza vedeva Hitler come uno "stopper" di Stalin, si era ultimamente evoluta nella direzione pre-bellica vagheggiata da Churchill (foto). Ecco un frammento rivelatore del discorso brutalmente franco di Hudson:

    «… La Germania non agisce in senso sfavorevole ai mercati britannici in Germania; questo dobbiamo riconoscerlo. Ma ciò di cui ci lamentiamo è che con i suoi metodi (in maiuscolo nel testo), essa rovinerà il commercio in tutto il mondo. Siamo in grado di affermare che la ragione della influenza economica della Germania risiede nel fatto che essa paga ai Paesi produttori dell'Europa centrale del sud-est prezzi molto più alti di quelli corrisposti dal mercato mondiale... Abbiamo esaminato tutte le procedure che ci sarebbe possibile applicare. L'unico mezzo consiste nell'organizzare le nostre industrie in modo tale che esse possano opporsi all'industria tedesca e dire a Hitler ed al suo popolo: "Se non metterete fine al vostro attuale modo di procedere e non raggiungerete un accordo con noi, in base al quale prometterete di vendere le vostre merci ad un prezzo che vi assicurerà un ragionevole guadagno, vi combatteremo e sconfiggeremo con i vostri stessi metodi (In realtà, fin dal 1870 la Gran Bretagna non era stata in grado di competere con la Germania nel commercio, che nel 2005 ha esportato mille miliardi di dollari di merci in tutto il mondo. È stata il massimo esportatore mondiale negli ultimo quattro anni di fila, nonostante il chiasso occidentale sulla Cina). Da un punto di vista strettamente finanziario, la nostra Nazione è infinitamente più forte di qualsiasi altro Stato del mondo – in ogni caso, più forte della Germania; e per questa ragione godiamo di grandi vantaggi che ci condurranno a vincere la battaglia».

    Dopo il discorso di Hudson, l'Inghilterra ritirò il suo status di "nazione più favorita" dalla Germania, una posizione che i suoi trattati commerciali esteri avevano mantenuto con la medesima dal 1927. Gli Stati Uniti la seguirono - curiosa coincidenza di tempo e azione.

    La Gran Bretagna e gli Stati Uniti, campioni del liberismo, sia politico come pure economico -le due cose sono indissolubilmente legate- si indignarono perché la Germania, vendendo le sue merci più a buon mercato, strappava ad essi i loro mercati tradizionali.

    Il loro sdegno è oltraggioso - dov'era la famosa libertà di commercio tanto sacra agli anglo americani? Hudson parlò di competizione commerciale scorretta.

    Perché scorretta? La Germania era in grado di vendere i propri prodotti più a buon mercato per una ragione, ed una soltanto: perché non dipendeva dal "Gold Standard" come base per la sua valuta, ed i suoi prodotti non erano appesantiti ad ogni stadio della produzione dai pesanti interessi praticati dagli angloamericani e dai loro banchieri e finanzieri. Questo è il vero motivo per il giro a 180° che stava materializzandosi nel tardo 1938 fra gli influenti banchieri della "City" di Londra. Una vera economia organica, naturale, adottata dalla Germania nazionalsocialista, aveva messo in crisi, per ragioni puramente aritmetiche, la classica economia liberale che regnava in Inghilterra e che aveva schiavizzato le Nazioni più deboli.

    Ma ecco un altro fatto che in seguito portò al parossismo l'irritazione di banchieri, commercianti, armatori, assicuratori e capitani d'industria che si aggiravano intorno allo Strand, la "City" e Whitewall.

    Il 10 dicembre 1938 il Governo messicano firmò un accordo con il Reich in virtù del quale avrebbe consegnato a quest'ultimo, durante il corso del 1939, petrolio per il valore di diciassette milioni di dollari. Questo petrolio proveniva dalle trivellazioni che il Governo nazionalista di Mexico Ciudad aveva espropriato agli ebrei americani della Standard Oil di New York (SONY) (Dopo che gli Stati Uniti ebbero occupato il Giappone battuto nel 1945, curiosamente, un gigante apparve con un nome non giapponese: Sony).

    Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso ("The straw that broke the camel's back"). Fu un accordo-baratto: il Reich avrebbe pagato questo petrolio con le esportazioni del suo proprio apparato di irrigazione, macchine agricole, materiali per ufficio, macchine per scrivere ed equipaggiamenti fotografici. Per giunta, l'accordo fu raggiunto sulla base di un prezzo molto più basso di quello mondiale corrente.

    La conseguenza di quanto sopra: la Germania avrebbe ottenuto il petrolio senza sborsare alla Royal Dutch, controllata dall'ebreo inglese Samuel Deterding, né alla Standard Oil, gestita dal clan americano dei Rockefeller. L'affare si sarebbe concretizzato senza che alla "City" toccasse un misero scellino per mezzo di operazioni di credito, finanziamento, garanzie, opzioni, noli marittimi e premi di assicurazione.

    Sarebbe stato un semplice baratto, garantito dal Governo germanico stesso, ed il trasporto sarebbe stato effettuato su navi tedesche. Per i pezzi grossi della "City", gli intermediari del mondo, questo era un vero sgomento.

    Pazienza che Hitler usasse simili procedure nei Balcani e con la Turchia. Andasse come andasse che i vicini della Germania nell'Europa centrale fraternizzassero con essa – ma estendere il baratto diretto con l'America latina avrebbe condannato la City ad un certo inevitabile declino (L'America latina avrebbe cessato di essere "proprietà privata degli inglesi". L'esito fu la bancarotta dovuta alla Seconda guerra mondiale e l'emergere degli "Yanquis".

    Più ancora, sembrò imminente che il ministro del Reich Walter Funk si stesse preparando per un viaggio importante a Buenos Aires, Montevideo e Santiago del Cile. Per la City era l'inizio della fine. Come conseguenza, nuovi ed importanti segmenti della plutocrazia anglosassone trasmigrarono nel campo di Churchill (il "partito della guerra", n.d.t.)

    Un colpo dopo l'altro caddero sulla City nel 1938-39: Il viaggio d'affari di Funk nell'Europa del sudest. La conquista di Canton e Hankou, dominate dall'Inghilterra, da parte del Giappone. L'accordo germano-messicano sui petrolio. L'annuncio del viaggio d'affari in Sud America. L'indebolimento della posizione filo-britannica di Re Carol. La perdita dell'intero mercato cinese a causa della conquista giapponese. L'occupazione dell'Albania da parte dell'Italia.

    Ciascuno di questi avvenimenti provocò la diserzione delle forze pacifiste su cui contava Chamberlain per la sua politica di "Appeasement" nell'Accordo di Monaco di settembre (1938). Quando queste forze agirono apertamente a beneficio del ministro degli Esteri polacco Beck, Stalin si distese. Il progresso tedesco verso l'Est "Drang nach Osten" -quel progresso che allo stesso tempo dava la terra agli aratri tedeschi ed avrebbe eliminato il potenziale pericolo comunista per l'Europa ed il Mondo- si sarebbe arrestato.

    In verità, all'inizio di dicembre 1938 restavano ancora alcuni uomini d'affari britannici che facevano da baluardo all'interno della "City" contro le montanti forze guerrafondaie. Ma la loro resistenza sarebbe stata spazzata via dall'offensiva sionista da New York, rappresentata dal "Brain Trust" del presidente Franklin Delano Roosevelt.



    Joaquin Bochaca (Trad. Alfio Faro)

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    LA NOTA di Maurizio Barozzi



    Questo articolo di J. Bochaca, riesuma una pagina non molto conosciuta della storia recente. È di importanza fondamentale e va assolutamente letto e approfondito nello studio. L'articolo mette in rilievo i motivi principali (anche se non sono i soli) che portarono al Secondo conflitto mondiale. È una disamina a cui andrebbe aggiunta quella riportata nella monumentale opera di Gianantonio Valli "La fine dell'Europa - Il ruolo dell'ebraismo", Edizioni Effepi.

    Oggi abbiamo la certezza che la prima e la seconda guerra mondiale, infatti, sono state un unico cruento episodio svoltosi in due atti, alla cui base ci sono ragioni di ordine geopolitico, ma soprattutto vi era dietro una volontà di dominio mondiale da parte di ben individuate famiglie dell'alta finanza, una International Banking Fraternity, consolidatesi nei secoli attraverso un progetto ideologico di dominio mondiale, animato da una pervicace volontà di potenza.

    La realizzazione di questo progetto, che al termine della prima guerra mondiale e la fine degli Stati espressione di "Trono e Altare", sembrava oramai prossimo -a tal fine si presero immediatamente a costituire Istituti e Organizzazioni mondialiste atte a condizionare e bypassare le nazioni- fu rimessa in discussione dall'avvento degli Stati nazional-popolari, cosiddetti "fascisti", di Italia e Germania. Stati in cui l'etica e la politica davano la preminenza agli aspetti economici e finanziari. Una prospettiva quindi, che portava a forme di governo dirigista, le quali rappresentavano un vero colpo mortale per gli interessi dell'Alta Finanza.

    Solo questi Stati nazional-popolari, infatti, potevano concretamente indirizzarsi verso il controllo statale delle Banche Centrali, verso il controllo sulla emissione della moneta e verso forme di "baratto" negli scambi internazionali.

    Il "baratto" di cui si parla nell'articolo, sostanzialmente prevedeva che al posto dell'oro e della liquidità monetaria, controllate dalla finanza mondiale e in possesso di poche nazioni, si sostituisse il "lavoro" ovvero l'acquisto di materie prime in cambio di prodotti tecnologici finiti. Un "baratto" che, oltretutto sottraeva, al sistema bancario internazionale, le ricche provvigioni derivanti dalle loro intermediazioni.

    Era il principio della FINE, non solo per il potere finanziario della International Banking Fraternity, ma anche per i sogni massonico mondialisti della "Grande Opera" quella che, in senso profano, non era altro che la realizzazione di una Repubblica Universale in grado di sottomettere e uniformare culturalmente ed esistenzialmente tutto il pianeta.

    Solo oggi, osservando quanto accade nel mondo, ovvero nel momento in cui il sistema di usura internazionale sta spazzando via ogni residuo di indipendenza nazionale, ci rendiamo conto di quanto veramente accadde negli anni '30 e '40.

    Fu così che si scatenò una volontà di distruzione totale dell'Europa, tale da impedire per sempre che forme di "Fascismo" potessero mettere in pericolo i progetti mondialisti.

    Consorterie massoniche e lobby di potere trasversalmente operanti sull'asse Londra-New York, riuscirono persino ad impedire che le divergenze geopolitiche tra Inghilterra e Germania trovassero una loro soluzione "Euro Atlantica", nel senso auspicato da Hitler, e sicuramente favorevole ai britannici (in tal modo, avrebbero conservato l'Impero), una soluzione imperniata su di una egemonia tedesca nel centro Europa e di una egemonia inglese nell'Impero, perfettamente cooperanti.

    L'analisi di tutte le strategie belliche della seconda guerra mondiale ci dimostra come, dietro la gestione strategica Alleata, vi fosse un coordinamento e un condizionamento che riuscì sempre ad imporre strategie militari (mondialismo operante), anche quando queste andavano contro gli interessi settoriali delle singole nazioni alleate.

  2. #2
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    Predefinito Re: Quando il sistema economico tedesco del "baratto" mise fuori gioco le banche

    Per una pedagogia politica: il caso nazionalsocialista

    Autore: Luca Leonello Rimbotti


    La pedagogia platonica ebbe un preciso inveramento durante il Terzo Reich, quando, ancor più radicalmente che non nel Fascismo italiano o in altri esperimenti nazionalpopolari del Novecento, si crearono le condizioni per un nuovo primato della comunità sull’individuo. Ma secondo un’eguaglianza gerarchica. I membri del popolo sono tutti uguali, ma anche tutti diversi, solo la qualità decidendo le gerarchie di comando e l’onore di rango.

    Questo approccio totalitario alla formazione del popolo costituisce uno scandalo soltanto oggi, nell’era grigia dell’uniformità globale e del rinnegamento dei valori di legame etnico-territoriali. Per la verità, la storia della pedagogia europea ha lungo i secoli puntato sempre al medesimo doppio obiettivo: supremazia del bene comune su quello individuale e, al tempo stesso, selezione delle individualità migliori. Per questo, la pedagogia eroica e comunitaria – dalla paideia greca alla Bildung tedesca – ha sempre avuto nella storia europea un ruolo centrale nella formazione delle giovani generazioni. Si tratta non solo di istruire, ma di educare: pensiamo al semplice fatto che durante il Fascismo si aveva un Ministero dell’Educazione Nazionale, mentre oggi se ne ha uno della Pubblica Istruzione. Le parole hanno un senso: nel primo caso si punta alla formazione della personalità e del carattere secondo la cultura e la tradizione della nazione; nel secondo, quando va bene, alla semplice informazione ad uso di un mondo giovanile avvertito banalmente come “gente”, come “pubblico”.

    Il Terzo Reich fu un regime simile alla Grecia antica in molti campi, da quello sociale a quello politico, fino a quello razziale, militare e educativo. Come ci ricorda la vicenda di Socrate, ad Atene un’accusa di “corruzione dei giovani” attraverso la divulgazione di idee individualiste e anarcoidi portava semplicemente alla condanna a morte. La gioventù, considerata il fulcro della comunità popolare, non doveva essere distolta dalla via della tradizione, ma anzi continuamente rinsaldata nei principi di devozione alla cultura, alla religione, alla società e alla stirpe dei padri. La morale aristocratica ellenica e l’educazione eroica avevano il fine di porsi al servizio del popolo: le due tensioni, quella verso l’individualità eroica e quella verso la comunità, si conciliavano nella pratica gerarchica. Pericle, come sappiamo, fu l’artefice politico di tale equilibrio. Ora, all’articolo 2 della legge del dicembre 1936 sull’istituzione della Hitlerjugend, si leggeva che «Tutta la gioventù tedesca, fuori della famiglia e della scuola, deve venir educata nella Hitlerjugend fisicamente, spiritualmente e moralmente nello spirito del nazionalsocialismo per servire il popolo e la comunità popolare». Quest’idea del servizio era il centro della concezione tanto greca quanto nazionalsocialista: il politico precede il privato, dato che l’uomo è essenzialmente un «animale politico», come diceva Aristotele. Un concetto che ad esempio Alfred Baeumler ripeteva, duemilatrecento anni dopo, definendo l’uomo per l’appunto ein politischen Wesen, un essere politico. Baeumler fu uno dei principali educatori del Terzo Reich, un famoso studioso di Nietzsche che, quando fu chiamato alla cattedra di Pedagogia Politica di Berlino nel 1933, non mancò di trasporre le categorie del carattere e della personalità, presenti nel pensiero di Nietzsche, nei programmi scolastici del nuovo regime, al fine di realizzare quello che già la Grecia dorica conosceva: la valorizzazione dell’uomo come soldato politico.

    Ritroviamo alcune considerazioni sul progetto educativo di Baeumler e di altri teorici nazionalsocialisti nel recente libro di Sabine Koesters Gensini Parole sotto la svastica. L’educazione linguistica e letteraria nel Terzo Reich (Carocci), in cui proprio la figura di Baeumler viene affiancata a quelle di quanti fecero “tendenza” pedagogica nella Germania dell’epoca, a cominciare da Hitler (il cui Mein Kampf è pieno di riferimenti all’educazione dei giovani), fino a Ernst Krieck, a Rosenberg o ad altri personaggi, professori e accademici, di minor fama. Circa Baeumler, la Gensini rimarca che il suo ideale educativo non era «di sottomettere la pedagogia alla politica, ma di realizzare una pedagogia compiutamente politica». In questi contesti, infatti, per “politico” non dovrebbe intendersi tanto “ideologico”, come si tende a fare modernamente, quanto piuttosto “sociale”. La socializzazione dell’uomo, la sua responsabilizzazione nei confronti del prossimo, era infatti il fine della pedagogia nazionalsocialista, non meno di quella greca antica, che tendeva a fare di ogni aspetto della vita un momento sociale e di confronto pubblico. Tale politicizzazione era dunque più di tipo tradizionale che ideologico in senso moderno. A riprova di ciò, e nonostante che studi come quello della Gensini puntino molto a stigmatizzare la pratica nazista di inculcare “ideologia”, stanno importanti testimonianze. Ne forniamo una. Nel suo libro Nazismo e società tedesca 1933-1945 pubblicato da Loescher nel 1982, e da tempo un classico in materia, basato soprattutto su documentazione d’epoca, Enzo Collotti inserì la testimonianza post-bellica di un allievo delle Scuole Adolf Hitler – la massima istituzione educativa del regime, la sua punta di diamante “ideologica”, si direbbe – nel proposito di dimostrare l’indottrinamento, la coercizione e l’omologazione dei giovani praticata radicalmente nel Terzo Reich. Sorprendentemente, e non colta dal curatore, ne scaturiva un’affermazione sbalorditiva. Il giovane nazionalsocialista, infatti, che aveva vissuto l’amosfera, immaginiamo, molto surriscaldata di un centro di formazione dei migliori allievi d’élite, se ne usciva tranquillamente con l’affermazione che «non ricordo un indottrinamento ideologico. Alla fine del corso ci fu letto un giudizio in cui si parlava soprattutto di cameratismo, di impegno e di senso dell’onore». Ma come, nelle Scuole Adolf Hitler non si insegnava l’ideologia hitleriana senza discussioni, magari col pugno di ferro? Evidentemente, proprio no.

    C’è una spiegazione. Ciò che noi oggi intendiamo per “ideologia” – la formulazione razionale di una dottrina precostituita – in determinati contesti di tipo tradizionale non viene affatto avvertita con questo significato. La cultura politica nazionalsocialista pensava se stessa, più che come “ideologia” rigida e dogmatica, come Weltanschauung e come Bildung, come concezione del mondo e come formazione. Questo viene attestato anche da una pubblicazione come quella della Gensini, che pure si ripromette sin dalle prime pagine di operare la più dura critica al cosidetto autoritarismo della pedagogia nazionalocialista. Quando si tratta di dare conto di una tale ferrea e prevaricante pratica, che ci si immagina come la più dogmatica possibile, si viene a sapere che le cose stavano all’opposto: «non esiste una sola teoria educativa nazionalsocialista: analizzando le opere dei più noti rappresentanti della pedagogia ufficiale degli anni Trenta e Quaranta, infatti, si notano importanti differenze…». Così importanti, che lo stesso Hitler, che si considerava il primo teorico della politica formativa tedesca, cui aveva dedicato interi paragrafi del Mein Kampf, di fatto non aveva il monopolio delle scelte in materia: «il leader politico… era certamente considerato un’autorità anche in campo pedagogico, ma è altrettanto certo che la discussione teorica non si fermava alle sue indicazioni».

    Ma come, non era il Terzo Reich un monolitico regime basato sull’indottrinamento di massa? Niente “pensiero unico”? Esisteva dunque una dialettica interna, la possibilità di scambiare opinioni, di misurare tra loro i vari punti di vista? Ma non è il contrario di quanto viene detto dalla retorica storiografica circa il feroce regime repressivo?

    La Gensini, che scandaglia a fondo libri di testo, programmi, scuole e corsi legati soprattutto allo studio della lingua tedesca – dai nazisti considerata un bene fondamentale del popolo e in quanto tale da difendere da ogni imbarbarimento – ci assicura che il materiale didattico in uso negli anni del Terzo Reich presentava «testi di notevole valore storico». Non ne dubitiamo. Inoltre, ci tiene a sottolineare che la pedagogia nazista non inventò nulla, ma agì semplicemnte sulla scorta della tradizione nazionale precedente. Lo sforzo educativo e scolastico per plasmare il carattere del popolo, e in particolare quello dell’élite dirigente, era già all’opera, con all’incirca i medesimi intendimenti, già ben prima del 1933: «il pathos di rinnovamento nazionale con cui si presentava il movimento hitleriano non era affatto nuovo, neanche nel clima culturale e pedagogico degli anni Venti e Trenta», poiché «una parte della concezione pedagogica adottata come ufficiale durante il nazionalsocialismo era stata sviluppata già parecchi anni prima del 1933». Allora noi di nuovo ci chiediamo: ma non fu il Terzo Reich un monstrum di tutte le nefandezze? Come si concilia questo dogma col fatto che la gran parte del suo pensiero politico ed educativo era già all’opera da un pezzo, in epoche magari “democratiche” come la Repubblica di Weimar?

    Oltre a ciò lo studio della Gensini, pur non volendolo e anzi attestandosi su un’acuta demonizzazione della materia trattata, apre la porta a ulteriori revisioni di certezze artefatte. La germanistica, la linguistica, la letteratura tedesca, su cui si appunta l’attenzione della studiosa, appaiono come uno dei terreni su cui si dispiegò la volontà della dirigenza nazionalsocialista di proteggere e potenziare l’identità popolare. A questo compito non presero parte fanatici o esaltati, come si potrebbe pensare, ma il meglio dell’intellettualità tedesca dell’epoca. Anzi, si direbbe che l’ideale gramsciano di un primato della cultura politica venisse realizzato proprio dove meno ce lo aspetteremmo: «una quantità enorme di intellettuali – nel senso ampio, gramsciano, del termine – a loro modo e secondo le loro possibilità si sono mossi all’interno delle coordinate ideologiche nazionalsocialiste e ne hanno fatto la sostanza dei loro studi e delle loro attività». “A loro modo e secondo le loro possibilità”: quindi proprio nessuna coercizione dell’individuo e nessuna imposizione di un “sapere esterno”… e il tutto in ossequio – testimonia ancora la Gensini – agli storici presupposti della Sprachpflege, cioè la protezione della lingua già preconizzata da personaggi del calibro di un Leibniz o di un Humboldt.

    Il fatto è che un regime politico come il Terzo Reich – esclusivista verso l’esterno, ma fortemente solidaristico verso l’interno – non fece che riproporre in chiave moderna i medesimi presupposti della cultura europea tradizionale. Come in Grecia, come a Roma, anche in Germania il giovane era visto come il bene più prezioso per un popolo, di cui rappresenta il futuro. L’educazione ai valori comunitari non intendeva spegnere la personalità del singolo, ma esaltarla incanalandone le potenzialità non verso l’affermazione egoistica dell’Io, ma verso il benessere comunitario. Davvero non si potrebbe immaginare caso più lontano dagli attuali programmi di allevamento di moltitudini di giovani abbandonati alla solitudine sociale e addestrati a rinnnegare le proprie radici.

    * * *

    Tratto da Linea del 22 maggio 2009.

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    Predefinito Re: Quando il sistema economico tedesco del "baratto" mise fuori gioco le banche

    https://www.mediafire.com/download/dze9b3lu3356olx

    A proposito del miracolo economico nella Germania nazionalsocialista.

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    Predefinito Re: Quando il sistema economico tedesco del "baratto" mise fuori gioco le banche

    Vedremo come saranno i futuri Reich.

 

 

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