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Discussione: I Signori del web

  1. #1
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    Predefinito I Signori del web

    L'espulsione di Trump dai maggiori social web ha confermato il potere che il loro proprietari hanno e che stanno gestendo in funzione del Gran Reset.
    Cosa serve fare politica se basta un click per essere resettati e cancellati dagli Eletti con la stella a 6 punte?

  2. #2
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    Predefinito Re: I Signori del web

    Come reagire a censure ed esclusioni?




    Mezza Italia, mezza Europa o mezza America si sente oppressa, esclusa, censurata, offesa. Si sente oppressa per le restrizioni che subisce a causa della pandemia, anche se in gran parte ne comprende la necessità, ma non intravede sbocchi, vede precipitare la situazione sociale e reputa folle il modo in cui si abbattono le misure, inefficaci alla prova dei dati e schizofreniche nello psicodramma a colori che stiamo vivendo.

    Poi metà dell’opinione pubblica si sente censurata ed esclusa perché vede chiudersi ogni giorno spazi di libertà e di libero pensiero, vede sempre più allineati e conformi gli organi di informazione – che diventano sempre più organi di riproduzione del pensiero unico e organi adatti solo alla minzione; vede che persino strumenti privati e considerati neutrali, come i social media, adottano censure, espulsioni, sospensioni, oscuramenti (l’ultimo, Parler). Sempre e solo da un versante, il nostro.

    Infine, metà opinione pubblica si sente offesa perché assimilata alle frange più estreme ed esagitate: chi ha opinioni diverse o difformi viene schiacciato sulle posizioni dei negazionisti, dei no vax, dei fanatici i che hanno invaso il Senato per un quarto d’ora di sovranità e per scattarsi le foto-ricordo. È come se riducessimo le opinioni dem o progressiste alle posizioni estreme degli antifa, dei black lives matter, di chi abbatte statue, degli anarco-insurrezionalisti o dei fanatici eversivi, terroristi o residui del comunismo.

    Potremmo chiamarla reductio ad sciamanum, la riduzione di chi non la pensa come il Potere comanda alla figura caricaturale del cosiddetto sciamano (il caso Meloni è esemplare). Sarebbe interessante approfondire e chiedersi: se davvero come dicono i media lo “sciamano” guidava gli insorti di Washington perché ha agito indisturbato e in favore di telecamere, perché non è stato arrestato subito anziché consentirgli di fare quel lungo e assurdo show? Hanno perfino ucciso donne disarmate… Serviva un testimonial così per ridicolizzare chi sostiene Trump? Ma non perdiamoci nella dietrologia, guardiamo avanti.

    Questa metà dell’opinione pubblica italo-occidentale (alla quale sentiamo di appartenere) si sente oppressa, censurata, esclusa e offesa e avverte l’impossibilità di cambiare le cose perché il suo voto è sottoposto a una serie di pressioni, ricatti, deviazioni, modificazioni che annullano i verdetti delle urne. E quando riesce a prevalere col voto avverte che è quasi impossibile governare senza subire sanzioni, conventio ad excludendum, empeachment, campagne di allarme e mobilitazione. Ha riguardato Trump, ha riguardato di striscio Salvini al governo, riguardò Berlusconi, riguarda Orban ma anche Johnson e altri leader eletti e rieletti con voto libero e democratico, che mai hanno aperto scenari di guerra o disastri sociali, dittature o persecuzioni, pur continuamente annunciati dal sistema globale. Dall’altra parte il mondo occidentale si inginocchia all’unica gigantesca dittatura che c’è sul pianeta, la Cina comunista…

    Ora, bando al vittimismo e alle giaculatorie, cosa resta da fare? Innanzitutto l’autocritica è necessaria, per capire e non ripetere gli errori, per isolare i fanatici che sono ai margini estremi di ogni posizione; e per giudicare le cose con senso critico. Abbiamo sempre detto che Trump alla fine era preferibile ai suoi nemici, e lo confermiamo; ma senza risparmiarci di criticare i suoi errori, le sue colpe, il suo egotismo, le sue esagerazioni e la sua pacchianeria. Lo dicevamo ieri quando era al potere, lo diciamo oggi. Superate il trumpismo.

    C’è chi propone di ritirarsi nei propri accampamenti: se i social censurano passiamo a quelli alternativi, dicono i passaparola, adottiamo social alternativi (Telegram, Signal, Rumble o piattaforme come MeWe.com, Parler). Ma sarebbe un’autoghettizzazione magari funzionale allo stesso potere dominante; può valere se si tratta di ristrette aristocrazie ma ha esiti inibitori se si rivolge a tutti e vuol incidere sulle masse. Sarebbe giusto aprire posizioni alternative ma senza escludersi da quelle dominanti (Facebook, Twitter, Instagram, WhatsApp, YouTube); finché è possibile.

    C’è chi viceversa ritiene necessaria l’azione diretta, il conflitto aperto: ma l’abisso che si è scavato tra i due schieramenti, e l’assenza o il tradimento di chi dovrebbe essere superpartes o almeno extra partes, porta a una forma di guerra civile fredda, o tiepida. L’odio reciproco ha raggiunto livelli che solo una “guerra” o una rivoluzione può risolvere, in un modo o nell’altro. Ma la violenza è un male in sé, non è un rimedio e produce alla fine danni peggiori di quelli che vuole evitare. E non vince chi ha ragione, ma solo chi è più forte o ha più mezzi.

    Le soluzioni che restano a questo punto sono di due tipi: una è quella di caldeggiare una risposta politica e culturale, realistica e strutturata e incalzare le opposizioni e chiamarle alle loro responsabilità; e dove il dissenso vada in piazza, preferire una forma di resistenza civile di tipo gandhiano, non violenta ma tenace; l’unica possibile quando ti opponi all’Apparato di un Impero.

    L’altra, comprensibile soprattutto per i più anziani, è ritirarsi dalla vita pubblica, ripiegare nella propria vita, nei propri affetti, ideali e interessi, mantenere magari un giudizio e un atteggiamento di distanza e di critica, ma occupandosi d’altro e frequentando cenacoli ristretti in cui sentirsi a proprio agio. Altre soluzioni sono gradazioni intermedie tra queste due risposte, ma non fuori di esse. Ho provato a fare un discorso per adulti; se invece volete fiabe per bambini, tra mostri e war games, rivolgetevi ad altri.

    MV, La Verità 12 gennaio 2021

    Come reagire a censure ed esclusioni? - Marcello Veneziani

  3. #3
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    Predefinito Re: I Signori del web

    Cosa c'entra la silicon valley con la censura di Donald Trump e la scomparsa dei bambini nel mondo?

    https://www.ariannaeditrice.it/artic...bini-nel-mondo

  4. #4
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    Predefinito Re: I Signori del web


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    Predefinito Re: I Signori del web

    La dittatura fintech, gelido inverno della libertà

    https://www.ariannaeditrice.it/artic...-della-liberta

  6. #6
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    Predefinito Re: I Signori del web

    Nessun privato può attentare alle libertà collettive e individuali. Nemmeno se si chiama Twitter

    https://www.ariannaeditrice.it/artic...chiama-twitter

  7. #7
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    Predefinito Re: I Signori del web

    Stranamente i Grandi Eletti appartengono tutti o quasi ad un popolo...

  8. #8
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    Predefinito Re: I Signori del web

    La Dittatura perfetta? Il mondo ha potuto vedere in azione l'anima tirannica dei proprietari della Rete. Dovremo abituarci a una doppia partita a scacchi ed animare "nuove reti" per costituire spine nel fianco di quelle esistenti

    di Roberto Pecchioli


    LA DITTATURA DIGITALE


    Dittatura digitale, la dittatura perfetta.

    di Roberto Pecchioli

    0 INCAZZATO PC

    Chiediamo al lettore un esercizio di pazienza: seguirci in un ragionamento complesso, probabilmente troppo lungo per i tempi frenetici del presente. Il titolo è già una tesi: dittatura digitale, dittatura perfetta. Al tempo di Primo de Rivera, in Spagna si instaurò un regime autoritario che somigliava a una dittatura senza mostrarne il volto feroce. La chiamarono “dictablanda”, anziché “dictadura”. Il gioco di parole è perfettamente comprensibile anche in italiano. Bigtech, il partito di Silicon Valley, che qualcuno comincia a chiamare Silicon Bullies, i bulli tecnologici, ha perfezionato e reso scientifica la tendenza: colpa degli algoritmi e della chiusura mentale a cui ci hanno assoggettato.

    Bisogna prendere fiato, ragionare e tentare la controffensiva. Non resta molto tempo. Diventa sempre più difficile scrivere una pagina onesta, dinanzi all’egemonia dell’ottimismo obbligato nel mezzo di una catastrofe assoluta, il rigore del politicamente corretto come condizione della tirannia democratica, l’imposizione di celebrare la rovina e la desolazione come l'alba di un nuovo mondo. Non c'è niente da celebrare, di cui essere orgogliosi, niente che meriti applausi o elogi, eppure la nuova Verità irradia il suo bagliore sullo schermo delle nostre coscienze rischiarate.

    Al presidente degli Stati Uniti è stato decretato l’ostracismo dai gestori universali dell'opinione, messo a tacere dai proprietari del Verbo. I media presentano il presidente della Russia come un fascista rosso o uno Zar redivivo: la sua legittimità non è legittima, anche se è maggioritaria. Al contrario, ci sono i Buoni e i Giusti, di cui non è necessario contare i voti perché la loro immagine afferma di per sé un’immensa popolarità. Questa è la Verità officiata da chi governa la nostra soggettività, i mediatori del linguaggio democratico, fraterno ed egualitario.

    Le forze capaci di impedire l'ultima libertà - morire odiando la loro verità - ci educano nella giusta opinione e nei buoni sentimenti, per cui finiamo per amare il Grande Fratello. I contumaci e gli impenitenti sono ricondotti in seno alla verità dal potere della seduzione illuminata e dell'unanimità integrata. Non dobbiamo resistere alla felicità di appartenere al coro della Verità senza dissonanze. I padroni di Big Data sono il Grande Fratello e non c’è vita oltre i loro algoritmi. Il mercante infinito, il mercante del nulla, è il signore della grande democrazia realizzata. Sorridi e ricevi la tua merce in tempo reale, mentre diventi tu stesso un sorriso commerciale, il venditore del tuo cuore, felice tenutario delle tue catene. Fai clic su like e ricevi applausi in forma di icona, baci virtuali senza contatto. Il pollice in posizione verticale dà gioia, riempie di benessere online, la soave convinzione di essere stimati, brillanti opinionisti, padroni dei nostri gesti virtuali.

    Viviamo con la certezza inattaccabile, salvo pochi bastian contrari, di abitare il migliore dei mondi. Resistono pochi residui del passato bisognosi di rieducazione. Avanziamo lungo la via della felicità. Affrontiamo gli accidenti del destino (la pandemia che ci sfugge) ma sappiamo combattere con la Scienza e le sue tecnologie liberatrici la morbilità di un virus insolito, percorrendo la via della retta opinione e di una vita piena di felicità. Qualsiasi opposizione è resistenza ostinata, follia fanatica. Il dissidente sarà rieducato finché non imparerà ad amare la Verità e restituire il bene ricevuto. Pessimismo e amarezza sono indizi di sabotaggio, segni di errore o follia.

    Preghiamo di perdonare la lunga premessa, che, se non condivisa, permetterà al lettore di risparmiarsi il resto della riflessione. Che fare, dunque, se il panorama è quello descritto? L'uso della forza non è il principio della vitalità del potere ma della sua disperazione. La forza è sempre l'ultima risorsa. Per questo la nozione di egemonia spiega molto meglio la vitalità del potere. Antonio Gramsci definì lo Stato l'egemonia blindata dalla coercizione. Ciò che intendeva era che sono i processi egemonici, intesi come dominio culturale, a stabilizzare il potere. La coercizione opera laddove il consenso non è sufficiente. Il potere perfetto non è quello che frusta, ma quello che accarezza.

    Ciò che sta accadendo con il mondo digitale può essere analizzato in questa chiave. La censura della rete non è una novità; da tempo è in atto un'escalation diretta per ragioni ideologiche contro siti, pagine e profili “di destra”. Lo ammise senza reticenze Mark Zuckerberg alcuni anni fa davanti al Senato degli Stati Uniti: l’ideologia di Silicon Valley è il progressismo tecnoscientifico. Di qui la guerra contro chi non la condivide.

    La sistematicità della censura, tuttavia, è un effetto. La sua causa si trova nella sistematicità della resistenza. Michel Foucault disse che dove c'è potere c'è resistenza. La resistenza può mettere a disagio il potere; la censura è il risultato del disagio. Quando il potere censura, mostra la sua forza ma rivela anche una debolezza. Quella debolezza è stata sfidata, costringendolo ad abbandonare la maschera democratica per rivelare le sue pulsioni repressive. Ecco perché l'approvazione di Trump è cresciuta dal 47% al 51% dopo la censura di Twitter e le azioni della società sono precipitate in borsa.

    La destra è censurata perché, in fondo, ha fatto bene il suo mestiere. Isolata dai media tradizionali, ha saputo rifugiarsi nelle reti. Da lì ha lanciato la sua battaglia culturale, la guerriglia digitale. La debolezza delle strutture organizzative è stata compensata da un'ingegnosità praticamente infinita. Assedio di memi; innumerevoli video virali; controinformazione, controcultura digitale; giornali alternativi; dibattiti; resoconti seguiti da milioni di persone affamate di opinioni immuni dalla correttezza politica. La sinistra è stata ampiamente aggirata nell'arena online, restando aggrappata ai giornali che raccolgono la polvere nei bar, e alla TV generalista sempre meno guardata.

    Tutto questo deve finire. I proprietari del sistema non permettono che l'egemonia continui ad essere sfidata. Trump è stato un baco del sistema; la destra popolare è un malfunzionamento da riparare. Devono stroncarla sul nascere. Internet voleva essere il punto di arrivo della democrazia, e così la rete ci è stata raffigurata per trent’anni. Alla fine, diventa la levatrice della dittatura perfetta: totale privatizzazione dello spazio pubblico e totale pubblicità della vita privata attraverso la sorveglianza perpetua e onnipresente.

    La rimozione degli account di Donald Trump segna un evento, il disvelamento della perfetta dittatura del digitale, poiché l'eliminazione dell'esistenza online implica l'eliminazione dell'esistenza offline. Non serve uccidere, come fecero con Kennedy. Nella nostra società, la politica è mediatica e digitale. Ciò significa che al di fuori delle piattaforme digitali la politica è morta. E’ impossibile fare politica senza esistere digitalmente: uccidere qualcuno digitalmente equivale a ucciderlo politicamente.

    La notizia di oggi è Trump, ma la censura raggiunge potenzialmente tutti i dissidenti. Bigtech ha dimostrato di avere più potere del presidente del paese più importante del mondo, che è anche un uomo d'affari miliardario. Twitter, Facebook, Instagram, YouTube, SnapChat, lo hanno rimosso dalle loro reti. Il commercio online, le piattaforme di pagamento come Stripe, PayPal e Shopify guidano il boicottaggio delle sue aziende. Mentre i finti libertari di sinistra giustificano la censura e il boicottaggio monopolistico, Ron Paul, il più importante uomo politico libertario americano, è stato bandito da Facebook per aver pubblicato un'opinione ritenuta errata dalle “norme comunitarie".

    Tutto questo segna la morte della democrazia. E’ la fine dello spazio pubblico come spazio aperto a tutti per il libero dibattito, base del sistema democratico. Non c’è più la piazza pubblica, l’agorà, sostituita da piattaforme digitali private. Non ci sono più cittadini ma utenti. La differenza è evidente: i primi hanno diritti e libertà politiche, i secondi no. L'utente entra in uno spazio pubblico privatizzato decisivo per il processo politico, in cui non vige alcuno Stato di diritto, ma “norme comunitarie” private, ineffabili, elastiche, sulle quali decidono insindacabilmente i padroni delle reti sociali e i loro “sistemi intelligenti”. Uno spazio pubblico monopolizzato da un pugno di colossi contro cui è impossibile competere.

    Alcuni tentativi ci sono stati: Parler, ad esempio, network conservatore rapidamente rimosso da Google Play, il sistema delle applicazioni Android, e da Apple Store, l'equivalente per iPhone. Poiché queste misure non sono state sufficienti a distruggerlo, Amazon ha disconnesso i server su cui si appoggiava. La migrazione di utenti doveva essere fermata: Bigtech stava perdendo l’egemonia. Parler ha riferito che nessun provveditore di servizi vuole accoglierla, quindi non può più esistere. Possiamo continuare a parlare di libero mercato?

    I dissidenti hanno un difficile compito, raddoppiare le presenze: essere attivi nelle reti alternative, ma restare nelle reti egemoniche. E’ lì che si raggruppa la maggioranza, il terreno di combattimento dove si possono raggiungere milioni di indecisi e di migranti delle idee, ai quali, nonostante la censura, bisogna continuare ad offrire la nostra visione del mondo. Abbondano i sedicenti liberali che non vedono alcun problema. In fin dei conti, sostengono, i Bigtech sono società private, alle quali andrebbe riconosciuta la libertà di censurare. Li paragonano con i giornali o con qualsiasi altra azienda. Patetico confronto ed eccentrico liberalismo. La caratteristica essenziale del mondo digitale è che, oltre a costituire un oligopolio, ha colonizzato lo spazio pubblico, imponendo le proprie regole, lasciandoci privi di reali libertà politiche. C’è di più: il mondo online colonizza la totalità della nostra esistenza, in un folle processo di privatizzazione del pubblico e pubblicizzazione del privato.

    Tutte le nostre attività vengono assorbite dalle piattaforme online. Non parliamo più di comunicazione e intrattenimento, ma di lavoro, religione, istruzione, fornitura di servizi pubblici, finanza, acquisti, vendite, politica, sessualità. Da ciò che è tipico della sfera pubblica a ciò che è tipico della sfera privata e intima. La distinzione pubblico -privato si è dissolta. Internet è la sintesi di mondi prima separati. Big Data memorizza la nostra privacy per scopi commerciali e politici, mentre i sistemi di censura e i revisori dei contenuti sopprimono le opinioni dissenzienti.

    La dittatura digitale è la dittatura perfetta. Sembra inevitabile. Disattivare il mondo online equivale a disattivare il mondo offline, per la totale interdipendenza delle due dimensioni. Non invano la sociologia afferma che dati e informazioni costituiscono la vera infrastruttura strategica del XXI secolo.

    Cosa fare allora? L'isolazionismo è la decisione peggiore. Dovremo mantenere la presenza nelle reti dove si raggruppa il pubblico indeciso, da conquistare con la battaglia culturale. L’azione deve essere cauta, tesa ad eludere, per quanto possibile, la censura, in attesa e nella speranza che veda la luce qualche nuova rete sociale dotata di propri server. Non possiamo rinchiuderci in una bolla, il ghetto dei già convinti, in cui parleremmo tra di noi. La censura avrebbe vinto definitivamente e la battaglia culturale si ridurrebbe a un raduno di amici.

    Quando tutto sembra perduto, tutto è possibile. Possiamo perdere solo le catene che ci hanno imposto. Qualche voce si leva. Angela Merkel considera problematico che i profili del Presidente degli Stati Uniti siano stati definitivamente bloccati perché la libertà di opinione non deve essere determinata dai responsabili delle piattaforme online. Auspica che Stati e parlamenti istituiscano un quadro normativo con cui regolare l'utilizzo delle reti sociali. La cancelliera può piacere o no, ma descrive il quadro e non le piace quello che vede.

    I bulli di Silicon Valley, ubriachi di onnipotenza, non ascolteranno. Sono un'orda sfrenata che non fa giocare Trump perché il pallone è il loro, brucia il campo e chiede alla polizia di sequestrare tutti gli altri palloni, anche quelli fatti di stracci o di carta. E’ una spirale di follia che può avere risvolti negativi. La buona notizia è che i capricci dei bulli digitali hanno portato alla luce molte applicazioni che vivevano ai margini. La migrazione dei nostri messaggi e delle nostre comunicazioni genera una sensazione di abisso; dobbiamo ricominciare da capo, umiliati e indifesi ma svegli.

    Se si può mettere a tacere un presidente, significa che il potere sta altrove. Il potere sono loro, Bigtech e Fintech, ed è stato il governo più potente della terra a fornire gli strumenti giuridici. Non parliamo dell’evidente alleanza tra finanza, cupole tecnologiche e apparato militare industriale americano, ma di un regolamento statale. Si tratta della Sezione 230 del Communications Decency Act del 1996, nato per combattere la pornografia, diventata l'arma con cui Bigtech ha attivato la censura. La norma esenta le reti sociali dalla responsabilità legale per qualsiasi azione intrapresa in buona fede (il giudizio di buona fede è rimesso alla fata turchina) per limitare l'accesso o la disponibilità del materiale che considera osceno, violento, molesto o altrimenti discutibile, indipendentemente dal fatto che tale materiale sia protetto costituzionalmente o meno. Il potere pubblico della patria della libertà ha fornito le forbici per tagliare le opinioni sgradite alla plutocrazia digitale!

    Dobbiamo mantenere i nervi saldi e imparare a giocare su più tavoli. Non è opportuno abbandonare le grandi piattaforme. Davide può battere Golia, ma non in campo aperto. Non dobbiamo fare l’errore di rinchiuderci in quelle che vengono chiamate "camere dell'eco" e ritrovarci in reti che parlano a se stesse. Le nuove aziende, per offrire ciò che milioni di utenti resi orfani dai giganti digitali cominciano a chiedere, devono avere coperture che ancora non esistono. È una strada lunga e difficile, ma è il momento di intraprenderla. Il mondo ha potuto vedere in azione l'anima tirannica dei proprietari della Rete. Dovremo abituarci a una doppia partita a scacchi: attivare ed animare nuove reti e costituire spine nel fianco di quelle esistenti, essere volpi e leoni, come insegnava Nicolò Machiavelli.

    Nulla sarà gratis, servito su vassoi d’argento: la libertà si dovrà riconquistare passo dopo passo, pagandola di tasca. Il tiranno digitale potrà essere abbattuto, con perseveranza e coraggio, nche se la sua dittatura sembra perfetta, inattaccabile. Per combatterla, per vincerla, occorre crederci e accettare il rischio. Chi non è disposto a correre qualche rischio per le proprie idee, ha idee che non valgono nulla, oppure è lui a non valere nulla.


    Del 16 Gennaio 2021

    http://www.accademianuovaitalia.it/i...atura-digitale
    Ultima modifica di Eridano; 21-01-21 alle 17:44

  9. #9
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    Predefinito Re: I Signori del web

    Citazione Originariamente Scritto da IlWehrwolf Visualizza Messaggio
    La Dittatura perfetta? Il mondo ha potuto vedere in azione l'anima tirannica dei proprietari della Rete. Dovremo abituarci a una doppia partita a scacchi ed animare "nuove reti" per costituire spine nel fianco di quelle esistenti

    di Roberto Pecchioli

    LA DITTATURA DIGITALE

    Dittatura digitale, la dittatura perfetta.

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    Chiediamo al lettore un esercizio di pazienza: seguirci in un ragionamento complesso, probabilmente troppo lungo per i tempi frenetici del presente. Il titolo è già una tesi: dittatura digitale, dittatura perfetta. Al tempo di Primo de Rivera, in Spagna si instaurò un regime autoritario che somigliava a una dittatura senza mostrarne il volto feroce. La chiamarono “dictablanda”, anziché “dictadura”. Il gioco di parole è perfettamente comprensibile anche in italiano. Bigtech, il partito di Silicon Valley, che qualcuno comincia a chiamare Silicon Bullies, i bulli tecnologici, ha perfezionato e reso scientifica la tendenza: colpa degli algoritmi e della chiusura mentale a cui ci hanno assoggettato.

    Bisogna prendere fiato, ragionare e tentare la controffensiva. Non resta molto tempo. Diventa sempre più difficile scrivere una pagina onesta, dinanzi all’egemonia dell’ottimismo obbligato nel mezzo di una catastrofe assoluta, il rigore del politicamente corretto come condizione della tirannia democratica, l’imposizione di celebrare la rovina e la desolazione come l'alba di un nuovo mondo. Non c'è niente da celebrare, di cui essere orgogliosi, niente che meriti applausi o elogi, eppure la nuova Verità irradia il suo bagliore sullo schermo delle nostre coscienze rischiarate.

    Al presidente degli Stati Uniti è stato decretato l’ostracismo dai gestori universali dell'opinione, messo a tacere dai proprietari del Verbo. I media presentano il presidente della Russia come un fascista rosso o uno Zar redivivo: la sua legittimità non è legittima, anche se è maggioritaria. Al contrario, ci sono i Buoni e i Giusti, di cui non è necessario contare i voti perché la loro immagine afferma di per sé un’immensa popolarità. Questa è la Verità officiata da chi governa la nostra soggettività, i mediatori del linguaggio democratico, fraterno ed egualitario.

    Le forze capaci di impedire l'ultima libertà - morire odiando la loro verità - ci educano nella giusta opinione e nei buoni sentimenti, per cui finiamo per amare il Grande Fratello. I contumaci e gli impenitenti sono ricondotti in seno alla verità dal potere della seduzione illuminata e dell'unanimità integrata. Non dobbiamo resistere alla felicità di appartenere al coro della Verità senza dissonanze. I padroni di Big Data sono il Grande Fratello e non c’è vita oltre i loro algoritmi. Il mercante infinito, il mercante del nulla, è il signore della grande democrazia realizzata. Sorridi e ricevi la tua merce in tempo reale, mentre diventi tu stesso un sorriso commerciale, il venditore del tuo cuore, felice tenutario delle tue catene. Fai clic su like e ricevi applausi in forma di icona, baci virtuali senza contatto. Il pollice in posizione verticale dà gioia, riempie di benessere online, la soave convinzione di essere stimati, brillanti opinionisti, padroni dei nostri gesti virtuali.

    Viviamo con la certezza inattaccabile, salvo pochi bastian contrari, di abitare il migliore dei mondi. Resistono pochi residui del passato bisognosi di rieducazione. Avanziamo lungo la via della felicità. Affrontiamo gli accidenti del destino (la pandemia che ci sfugge) ma sappiamo combattere con la Scienza e le sue tecnologie liberatrici la morbilità di un virus insolito, percorrendo la via della retta opinione e di una vita piena di felicità. Qualsiasi opposizione è resistenza ostinata, follia fanatica. Il dissidente sarà rieducato finché non imparerà ad amare la Verità e restituire il bene ricevuto. Pessimismo e amarezza sono indizi di sabotaggio, segni di errore o follia.

    Preghiamo di perdonare la lunga premessa, che, se non condivisa, permetterà al lettore di risparmiarsi il resto della riflessione. Che fare, dunque, se il panorama è quello descritto? L'uso della forza non è il principio della vitalità del potere ma della sua disperazione. La forza è sempre l'ultima risorsa. Per questo la nozione di egemonia spiega molto meglio la vitalità del potere. Antonio Gramsci definì lo Stato l'egemonia blindata dalla coercizione. Ciò che intendeva era che sono i processi egemonici, intesi come dominio culturale, a stabilizzare il potere. La coercizione opera laddove il consenso non è sufficiente. Il potere perfetto non è quello che frusta, ma quello che accarezza.

    Ciò che sta accadendo con il mondo digitale può essere analizzato in questa chiave. La censura della rete non è una novità; da tempo è in atto un'escalation diretta per ragioni ideologiche contro siti, pagine e profili “di destra”. Lo ammise senza reticenze Mark Zuckerberg alcuni anni fa davanti al Senato degli Stati Uniti: l’ideologia di Silicon Valley è il progressismo tecnoscientifico. Di qui la guerra contro chi non la condivide.

    La sistematicità della censura, tuttavia, è un effetto. La sua causa si trova nella sistematicità della resistenza. Michel Foucault disse che dove c'è potere c'è resistenza. La resistenza può mettere a disagio il potere; la censura è il risultato del disagio. Quando il potere censura, mostra la sua forza ma rivela anche una debolezza. Quella debolezza è stata sfidata, costringendolo ad abbandonare la maschera democratica per rivelare le sue pulsioni repressive. Ecco perché l'approvazione di Trump è cresciuta dal 47% al 51% dopo la censura di Twitter e le azioni della società sono precipitate in borsa.

    La destra è censurata perché, in fondo, ha fatto bene il suo mestiere. Isolata dai media tradizionali, ha saputo rifugiarsi nelle reti. Da lì ha lanciato la sua battaglia culturale, la guerriglia digitale. La debolezza delle strutture organizzative è stata compensata da un'ingegnosità praticamente infinita. Assedio di memi; innumerevoli video virali; controinformazione, controcultura digitale; giornali alternativi; dibattiti; resoconti seguiti da milioni di persone affamate di opinioni immuni dalla correttezza politica. La sinistra è stata ampiamente aggirata nell'arena online, restando aggrappata ai giornali che raccolgono la polvere nei bar, e alla TV generalista sempre meno guardata.

    Tutto questo deve finire. I proprietari del sistema non permettono che l'egemonia continui ad essere sfidata. Trump è stato un baco del sistema; la destra popolare è un malfunzionamento da riparare. Devono stroncarla sul nascere. Internet voleva essere il punto di arrivo della democrazia, e così la rete ci è stata raffigurata per trent’anni. Alla fine, diventa la levatrice della dittatura perfetta: totale privatizzazione dello spazio pubblico e totale pubblicità della vita privata attraverso la sorveglianza perpetua e onnipresente.

    La rimozione degli account di Donald Trump segna un evento, il disvelamento della perfetta dittatura del digitale, poiché l'eliminazione dell'esistenza online implica l'eliminazione dell'esistenza offline. Non serve uccidere, come fecero con Kennedy. Nella nostra società, la politica è mediatica e digitale. Ciò significa che al di fuori delle piattaforme digitali la politica è morta. E’ impossibile fare politica senza esistere digitalmente: uccidere qualcuno digitalmente equivale a ucciderlo politicamente.

    La notizia di oggi è Trump, ma la censura raggiunge potenzialmente tutti i dissidenti. Bigtech ha dimostrato di avere più potere del presidente del paese più importante del mondo, che è anche un uomo d'affari miliardario. Twitter, Facebook, Instagram, YouTube, SnapChat, lo hanno rimosso dalle loro reti. Il commercio online, le piattaforme di pagamento come Stripe, PayPal e Shopify guidano il boicottaggio delle sue aziende. Mentre i finti libertari di sinistra giustificano la censura e il boicottaggio monopolistico, Ron Paul, il più importante uomo politico libertario americano, è stato bandito da Facebook per aver pubblicato un'opinione ritenuta errata dalle “norme comunitarie".

    Tutto questo segna la morte della democrazia. E’ la fine dello spazio pubblico come spazio aperto a tutti per il libero dibattito, base del sistema democratico. Non c’è più la piazza pubblica, l’agorà, sostituita da piattaforme digitali private. Non ci sono più cittadini ma utenti. La differenza è evidente: i primi hanno diritti e libertà politiche, i secondi no. L'utente entra in uno spazio pubblico privatizzato decisivo per il processo politico, in cui non vige alcuno Stato di diritto, ma “norme comunitarie” private, ineffabili, elastiche, sulle quali decidono insindacabilmente i padroni delle reti sociali e i loro “sistemi intelligenti”. Uno spazio pubblico monopolizzato da un pugno di colossi contro cui è impossibile competere.

    Alcuni tentativi ci sono stati: Parler, ad esempio, network conservatore rapidamente rimosso da Google Play, il sistema delle applicazioni Android, e da Apple Store, l'equivalente per iPhone. Poiché queste misure non sono state sufficienti a distruggerlo, Amazon ha disconnesso i server su cui si appoggiava. La migrazione di utenti doveva essere fermata: Bigtech stava perdendo l’egemonia. Parler ha riferito che nessun provveditore di servizi vuole accoglierla, quindi non può più esistere. Possiamo continuare a parlare di libero mercato?

    I dissidenti hanno un difficile compito, raddoppiare le presenze: essere attivi nelle reti alternative, ma restare nelle reti egemoniche. E’ lì che si raggruppa la maggioranza, il terreno di combattimento dove si possono raggiungere milioni di indecisi e di migranti delle idee, ai quali, nonostante la censura, bisogna continuare ad offrire la nostra visione del mondo. Abbondano i sedicenti liberali che non vedono alcun problema. In fin dei conti, sostengono, i Bigtech sono società private, alle quali andrebbe riconosciuta la libertà di censurare. Li paragonano con i giornali o con qualsiasi altra azienda. Patetico confronto ed eccentrico liberalismo. La caratteristica essenziale del mondo digitale è che, oltre a costituire un oligopolio, ha colonizzato lo spazio pubblico, imponendo le proprie regole, lasciandoci privi di reali libertà politiche. C’è di più: il mondo online colonizza la totalità della nostra esistenza, in un folle processo di privatizzazione del pubblico e pubblicizzazione del privato.

    Tutte le nostre attività vengono assorbite dalle piattaforme online. Non parliamo più di comunicazione e intrattenimento, ma di lavoro, religione, istruzione, fornitura di servizi pubblici, finanza, acquisti, vendite, politica, sessualità. Da ciò che è tipico della sfera pubblica a ciò che è tipico della sfera privata e intima. La distinzione pubblico -privato si è dissolta. Internet è la sintesi di mondi prima separati. Big Data memorizza la nostra privacy per scopi commerciali e politici, mentre i sistemi di censura e i revisori dei contenuti sopprimono le opinioni dissenzienti.

    La dittatura digitale è la dittatura perfetta. Sembra inevitabile. Disattivare il mondo online equivale a disattivare il mondo offline, per la totale interdipendenza delle due dimensioni. Non invano la sociologia afferma che dati e informazioni costituiscono la vera infrastruttura strategica del XXI secolo.

    Cosa fare allora? L'isolazionismo è la decisione peggiore. Dovremo mantenere la presenza nelle reti dove si raggruppa il pubblico indeciso, da conquistare con la battaglia culturale. L’azione deve essere cauta, tesa ad eludere, per quanto possibile, la censura, in attesa e nella speranza che veda la luce qualche nuova rete sociale dotata di propri server. Non possiamo rinchiuderci in una bolla, il ghetto dei già convinti, in cui parleremmo tra di noi. La censura avrebbe vinto definitivamente e la battaglia culturale si ridurrebbe a un raduno di amici.

    Quando tutto sembra perduto, tutto è possibile. Possiamo perdere solo le catene che ci hanno imposto. Qualche voce si leva. Angela Merkel considera problematico che i profili del Presidente degli Stati Uniti siano stati definitivamente bloccati perché la libertà di opinione non deve essere determinata dai responsabili delle piattaforme online. Auspica che Stati e parlamenti istituiscano un quadro normativo con cui regolare l'utilizzo delle reti sociali. La cancelliera può piacere o no, ma descrive il quadro e non le piace quello che vede.

    I bulli di Silicon Valley, ubriachi di onnipotenza, non ascolteranno. Sono un'orda sfrenata che non fa giocare Trump perché il pallone è il loro, brucia il campo e chiede alla polizia di sequestrare tutti gli altri palloni, anche quelli fatti di stracci o di carta. E’ una spirale di follia che può avere risvolti negativi. La buona notizia è che i capricci dei bulli digitali hanno portato alla luce molte applicazioni che vivevano ai margini. La migrazione dei nostri messaggi e delle nostre comunicazioni genera una sensazione di abisso; dobbiamo ricominciare da capo, umiliati e indifesi ma svegli.

    Se si può mettere a tacere un presidente, significa che il potere sta altrove. Il potere sono loro, Bigtech e Fintech, ed è stato il governo più potente della terra a fornire gli strumenti giuridici. Non parliamo dell’evidente alleanza tra finanza, cupole tecnologiche e apparato militare industriale americano, ma di un regolamento statale. Si tratta della Sezione 230 del Communications Decency Act del 1996, nato per combattere la pornografia, diventata l'arma con cui Bigtech ha attivato la censura. La norma esenta le reti sociali dalla responsabilità legale per qualsiasi azione intrapresa in buona fede (il giudizio di buona fede è rimesso alla fata turchina) per limitare l'accesso o la disponibilità del materiale che considera osceno, violento, molesto o altrimenti discutibile, indipendentemente dal fatto che tale materiale sia protetto costituzionalmente o meno. Il potere pubblico della patria della libertà ha fornito le forbici per tagliare le opinioni sgradite alla plutocrazia digitale!

    Dobbiamo mantenere i nervi saldi e imparare a giocare su più tavoli. Non è opportuno abbandonare le grandi piattaforme. Davide può battere Golia, ma non in campo aperto. Non dobbiamo fare l’errore di rinchiuderci in quelle che vengono chiamate "camere dell'eco" e ritrovarci in reti che parlano a se stesse. Le nuove aziende, per offrire ciò che milioni di utenti resi orfani dai giganti digitali cominciano a chiedere, devono avere coperture che ancora non esistono. È una strada lunga e difficile, ma è il momento di intraprenderla. Il mondo ha potuto vedere in azione l'anima tirannica dei proprietari della Rete. Dovremo abituarci a una doppia partita a scacchi: attivare ed animare nuove reti e costituire spine nel fianco di quelle esistenti, essere volpi e leoni, come insegnava Nicolò Machiavelli.

    Nulla sarà gratis, servito su vassoi d’argento: la libertà si dovrà riconquistare passo dopo passo, pagandola di tasca. Il tiranno digitale potrà essere abbattuto, con perseveranza e coraggio, anche se la sua dittatura sembra perfetta, inattaccabile. Per combatterla, per vincerla, occorre crederci e accettare il rischio. Chi non è disposto a correre qualche rischio per le proprie idee, ha idee che non valgono nulla, oppure è lui a non valere nulla.


    Del 16 Gennaio 2021
    .
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

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    Predefinito Re: I Signori del web

    «Liberi, finché lo dico io». La "socialcrazia" è un problema

    Se un soggetto privato, di natura aziendale e commerciale, privo di legittimazione democratica e investitura popolare, interviene a gamba tesa nel godimento di diritti garantiti dagli ordinamenti giuridici nazionali e internazionali, significa che bisogna interrogarsi seriamente sulla natura della Rete e sulle regole necessarie per impedire altre prove di forza da parte dei giganti del web. Il caso Trump, bloccato da Facebook e Twitter, apre a un dibattito sul ruolo dei social. Censori o pubblicitari? Guardiani o editori? Anche un'autority sarebbe un rischio, però il fenomeno va affrontato con equilibrio virtuoso.




    Nelle democrazie sono le leggi a garantire e limitare le libertà. La comunità internazionale si ispira a dichiarazioni solenni che riconoscono i diritti inviolabili dell’uomo, come la libertà d’espressione, che è propedeutica alla fruizione di molti altri diritti di libertà.
    Nel web, per lungo tempo celebrato come il regno delle vere libertà, si stanno verificando restrizioni, limitazioni e censure che a lungo andare rischiano di contaminarne fortemente il carattere democratico.

    Il caso più eclatante si è verificato l’8 gennaio, con la decisione di Twitter e Facebook di sospendere i profili attraverso i quali il presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump interagiva con i propri follower. Da lì una escalation di polemiche e di reazioni che, a prescindere dal colore politico, hanno messo in evidenza l’ambiguità del ruolo dei social nelle dinamiche della libertà d’espressione. Si tratta di guardiani e censori delle opinioni difformi da quelle dominanti o di soggetti privati pienamente rispettosi della libertà d’espressione e interessati solo ai risvolti commerciali e pubblicitari del traffico che si genera sulle loro piattaforme?

    Il dibattito è solo agli inizi, ma ieri si sono registrate alcune autorevoli prese di posizione che contribuiranno a scaldarlo non poco.

    Tutto è iniziato con le dichiarazioni di alcuni analisti che hanno accusato Trump di aver beneficiato, per la sua ascesa al potere, di fake news veicolate proprio attraverso i social. Inoltre, alcuni suoi avversari hanno sostenuto che l’assalto dei suoi sostenitori a Capitol Hill, a Washington, fosse partito proprio da quelle false notizie.

    Ma a prescindere dal colore politico, in Europa e nel resto del mondo autorevoli esponenti di governo si sono schierati contro Facebook, Twitter e gli altri giganti del web. Tanto più dopo la chiusura, avvenuta ieri, di Parler, la piattaforma social utilizzata in prevalenza dai fan di Trump e dai militanti di destra. Il social era finito offline dopo che era stato escluso da Apple, Google e Amazon.

    Il nodo della questione è proprio l’affidamento a soggetti privati delle chiavi della libertà d’espressione, che è il sale delle democrazie. Di qui anche la necessità di un inquadramento giuridico delle piattaforme, sul piano delle responsabilità e della liceità di alcune condotte. Da più parti si auspica l’introduzione di un controllo “imparziale” sui contenuti, una sorta di authority che possa delimitare il perimetro dei diritti degli utenti, sottraendo ai gestori delle piattaforme ogni sorta di vigilanza. Ma anche questa ipotesi presta il fianco ad accuse di irreggimentazione delle opinioni.

    A detta dell’alto rappresentante Ue, Joseph Borrell, «occorre poter regolamentare meglio i contenuti dei social network, rispettando scrupolosamente la libertà di espressione, ma non è possibile che questa regolamentazione sia attuata principalmente secondo regole e procedure stabilite da soggetti privati».

    Anche il cancelliere tedesco Angela Merkel si dissocia da quanto fatto dai social nei confronti di Trump. «È possibile interferire con la libertà di espressione, ma secondo i limiti definiti dal legislatore, e non per decisione di un management aziendale -ha spiegato in conferenza stampa il suo portavoce, Steffen Seibert - Questo è il motivo per cui il Cancelliere ritiene problematico che gli account del presidente americano sui social network siano stati chiusi in maniera definitiva».

    Anche il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, ha espresso la sua "perplessità" per la decisione delle piattaforme di bandire il presidente americano, Donald Trump, dai social network "senza controllo legittimo e democratico" e ha rilanciato i progetti europei per regolamentare i giganti del web.

    «Il fatto che un Ceo possa staccare la spina dell'altoparlante del presidente degli Stati Uniti senza alcun controllo e bilanciamento è sconcertante –ha detto Breton- Non è solo una conferma del potere di queste piattaforme, ma mostra anche profonde debolezze nel modo in cui la nostra società è organizzata nello spazio digitale».

    Il nodo della responsabilità giuridica delle piattaforme sta dunque venendo al pettine. Rifiutano il ruolo di editori, ma allora non possono e non devono neppure censurare le opinioni o chiudere gli account sulla base di una valutazione dei contenuti postati dagli utenti. L’ambiguità va risolta, visto e considerato che il concetto di fake news, di incitamento all’odio e alla violenza va applicato di volta in volta e dunque non può essere preso come parametro oggettivo per censurare per sempre un account.

    Se un soggetto privato, di natura aziendale e commerciale, privo quindi di legittimazione democratica e investitura popolare, interviene a gamba tesa nel godimento di diritti garantiti dagli ordinamenti giuridici nazionali e internazionali, significa che bisogna interrogarsi seriamente sulla natura della Rete e sulle regole necessarie per impedire altre prove di forza da parte dei giganti del web.

    Bisogna introdurre, attraverso un sistema di pesi e contrappesi, un equilibrio virtuoso tra libertà d’impresa, libertà d’espressione e altri diritti della personalità garantiti dagli ordinamenti giuridici nazionali e internazionali. Peraltro l’Ue ha già fatto sapere che intende occuparsi al più presto della regolamentazione giuridica dei social media, contemperando le esigenze e le aspettative di tutti, evitando l’anarchia ma anche le censure antidemocratiche.

    Ruben Razzante



    https://lanuovabq.it/it/liberi-finch...-e-un-problema

 

 
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