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Discussione: I Signori del web

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    Predefinito Re: I Signori del web

    I Padroni della Rete

    Le chiusure degli account del Presidente degli Stati Uniti uscente, Donald Trump, disposte nei giorni scorsi da Twitter e da Facebook, sono di una gravitàinaudita, anche se utili a svelare il vero volto ideologico dei padroni della Rete, aspetto su cui si tende a non riflettere abbastanza. A tal proposito, dato che proprio così, Padroni della Rete, si chiama un capitolo del mio libro, Propagande (La Vela) uscito nell’aprile 2019, ritengo possa essere utile riproporlo qui integralmente:

    «E Internet? Fino a questo momento si sono presi in esame esempi di propaganda veicolati principalmente da stampa e televisione: ma la Rete? E’ neutrale oppure anch’essa funge da strumento di manipolazione interessata? A prima vista simili dubbi sembrano non avere alcuna ragion d’essere dal momento che l’internauta, per definizione, è colui che naviga tra svago e informazione senza vincoli, libero da condizionamenti di sorta e con la possibilità di costanti e pluralistici aggiornamenti. Come spesso capita, però, le apparenze ingannano dal momento che anche lo sconfinato web ha i suoi manovratori. Per capire chi siano e come operano, occorre partire da un fatto. Anzi, da uno scandalo: quello di Cambridge Analytica.

    Si tratta di una società fondata nel 2013 dal miliardario Robert Mercer, e specializzata nel raccogliere dai social network da un’enorme quantità di dati sui loro utenti. Il caso scoppia quando, nel marzo 2018, un’inchiesta congiunta di Guardian, Observer e New York Times rivela che la società di analisi di dati ha violato 50 milioni di profili Facebook allo scopo di sfruttarne i contenuti con fini politici e commerciali. Con lo scandalo, emergono anche delle responsabilità da parte del social newtork più popolare del pianete, Facebook appunto, i cui vertici ammettono di aver commesso degli errori. Al punto che il creatore della piattaforma, Mark Zuckerberg, a maggio viene convocato in audizione in seno alle commissioni di Senato e Camera degli Stati Uniti.

    In quelle occasioni, diversi politici chiedono conto a Zuckerberg di censure sospette che Facebook ha applicato nel corso degli anni, per lo più contraddistinte da un tratto politico comune: quello progressista e anticristiano. Si pensi al blocco inflitto ad un post della Franciscan University di Steubenville, riguardante una laurea in teologia cattolica. «Potresti dirci cosa è stato così scioccante, sensazionale o eccessivamente violento in quella pubblicità da far sì che inizialmente fosse censurata?», è stata, a questo proposito, la domanda di Cathy McMorris Rodgers, deputato dello stato di Washington, alla quale il giovane miliardario ha risposto con un vago: «Sembra che abbiamo commesso un errore», è stata quindi la replica di Zuckerberg.

    Una risposta che non deve aver convinto dal momento che, nelle due giornate di audizioni, sono stati diversi i politici confrontatisi col re dei social network proprio sull’orientamento ideologico della sua compagnia. A stuzzicare il Ceo di Facebook con una certa insistenza è stato in particolare Ted Cruz, senatore repubblicano che gli ha chiesto esplicitamente conto delle numerose pagine cattoliche e conservatrici sovente incorse in blocchi. A far discutere, tempo addietro, era stata soprattutto la sospensione, avvenuta nel luglio 2017, di ben 25 pagine cattoliche in lingua inglese e portoghese, la gran parte delle quali create in Brasile, fra cui una dedicata a papa Francesco. In quella occasione, in effetti, a farne le spese erano stati svariati milioni di utenti.

    Basti ricordare che ad essere bloccate, ancorché temporaneamente, sono state le pagine di padre Francis J. Hoffman, affettuosamente conosciuto come «Padre Rocky», uno da 4 milioni di follower, e di Catholic and Proud, che di follower ne ha oltre 6 milioni. All’inizio del 2018, è stato invece un altro gruppo cattolico, Mater Ecclesiae Fund for Vocations, a lamentare criticità e ritardi nell’approvazione di una raccolta fondi durante il periodo natalizio. Ebbene, davanti alle punzecchiature di Cruz, Zuckerberg da un lato ha fatto lo gnorri, dichiarando di non essere a conoscenza della situazioni sottopostegli, dall’altro si è lasciato scappare due dichiarazioni che hanno il sapore dell’ammissione e che la dicono lunga sulla neutralità di Facebook.

    La prima si è avuta quando, rispondendo al senatore del Texas, il Ceo Facebook ha sottolineato che la sua compagnia è «situata nella Silicon Valley», dove a dominare, si sa, è il pensiero progressista; quindi ha definito una preoccupazione «giusta», quella di teme il più popolare social del pianeta politicamente non neutro, dichiarandosi tuttavia impegnato a «sradicare» qualsivoglia pregiudizio. Una seconda, sia pure indiretta, ammissione Zuckerberg l’ha poi data – telegraficamente – quando Cruz gli ha chiesto se avesse qualche idea dell’orientamento politico delle circa 20.000 persone che la società impegna nella revisione dei contenuti postati dagli utenti: «No, senatore».

    Perché può essere considerata un’ammissione? Perché è semplicemente ridicolo che proprio colui che almeno potenzialmente conosce i segreti miliardi di persone sia all’oscuro delle idee dei propri dipendenti; ragion per cui la sua risposta può essere letta come un eloquentissimo «no comment». Anche per questo un altro politico, Ben Sasse, senatore repubblicano del Nebraska, ha provato a mettere alle strette il re dei social, chiedendogli di definire cosa si dovrebbe intendere per «incitamento all’odio», espressione chiave perché è proprio in nome di essa che, finora, non poche pagine sono state segnalate e bloccate.

    Ebbene, ancora una volta il fondatore di Facebook se l’è cavata recitando la parte del finto tonto: «Penso che questa sia una domanda davvero difficile». Il senatore Sasse ha allora voluto interpellarlo più esplicitamente a proposito delle «opinioni appassionate sulla questione dell’aborto», domandando se ritenga auspicabile un mondo in cui ai pro life sia impedito di esprimere la loro opinione. «Certamente vorrei che non fosse così», ha risposto Zuckerberg, che aveva già auspicato che la sua rimanga «una piattaforma per tutte le idee».

    Rassicurazioni, queste, che al pari delle altre non debbono esser parse molto credibili. Di certo non hanno convinto gli attivisti cattolici, a giudicare da quanto si legge sui loro siti Internet. «Facebook odia i cattolici?» si è per esempio ora Catholic League. «Le risposte di Zuckerberg, più che soddisfare delle domande, ne hanno originate di nuove», è invece il commento di CatholicVote. In effetti, i molti «non so», «non ricordo», «dobbiamo aver commesso un errore» del Ceo di Facebook non sono esattamente rassicuranti. Tanto è vero che i blocchi sospetti di certo post non si sono certo arrestati dopo le audizioni al Congresso di Zuckerberg.

    Lo può testimoniare l’associazione statunitense pro life Susan B. Anthony List che, nel novembre 2018, ha denunciato l’ingiusta censura appunto di Facebook ai danni di due pubblicità di 30 secondi inneggianti alla vita. Siamo alle solite, insomma. Ma non c’è da stupirsi dal momento che le posizioni politiche del re dei social e di conseguenza della sua piattaforma sono da tempo il segreto di Pulcinella. Basti pensare che Facebook era, pochi anni fa, tra le aziende firmatarie di un documento che, affinché fossero riconosciute le coppie gay, chiedeva alla Corte Suprema di dichiarare incostituzionale il Defense of Marriage Act. Oppure si considerino i tanti i casi di utenti che negli anni hanno segnalato a Facebook pagine esplicitamente anticristiane o blasfeme sentendosi rispondere che esse «non violano gli standard della comunità».

    Se tre indizi fanno una prova, come sosteneva Agatha Christie, non si può dunque che concludere come le numerose (non) risposte di Zuckerbergsull’orientamento ideologico della sua società in realtà – tutte assieme – una risposta la diano. Fin troppo chiara. Il punto è che non ci sono solo i social network ad orientare la Rete in una certa direzione, guarda caso quella di stampo progressista, anziché in un’altra.

    Un esempio che si può fare a questo proposito è quello di YouTube, la celebre piattaforma web fondata il 14 febbraio 2005, che consente la condivisione e visualizzazione in rete di video. Ebbene, c’è il sospetto che non soltanto dietro YouTube vi sia il solito orientamento politico, ma anche una posizione di chiaro appoggio alla pratica dell’aborto. Questo, almeno, è quanto sospettano alcuni negli Stati Uniti dopo, alcuni mesi fa, si è verificata la sospensione dalla piattaforma dell’account Abortion pill reversal (Apr), a causa di «violazioni ripetute o gravi delle linee guida della community».

    Di quali «gravi» e «ripetute» violazioni Apr si fosse reso responsabile, però, non è risultato affatto chiaro. Infatti l’account altro non faceva che promuovere la conoscenza, per l’appunto, dell’«abortion pill reversal», un trattamento di «inversione della pillola abortiva» attuabile dalla donna che, assunta la prima delle due pillole abortive che di fatto compongono la Ru486, può arrestare la procedura provando, quindi, a salvare il suo bambino.

    Con quali probabilità di successo? La soluzione, messa a punto una decina di anni fa da George Delgado e Matthew Harrison, ha una percentuale di riuscita elevata, che oscilla tra il 60 e il 70%. Più precisamente, secondo un recente lavoro pubblicato sulla rivista Issues in Law and Medicine fra i cui autori figura proprio Delgado, l’interruzione dell’aborto chimico tramite il protocollo Apr, oltre ad essere sicura per le donne, presenta un tasso di riuscita del 68%. E, cosa non trascurabile, ha già consentito di venire al mondo a più di 300 bambini diversamente destinati all’aborto.

    Eppure, secondo gli addetti alla revisione dei contenuti di YouTube, di tutto questo non si dovrebbe parlare. Di qui la disposta censura dell’account Apr, che ha fatto parecchio discutere. Tanto più se si considerano le spiegazioni offerte dalla piattaforma, che ha motivato la propria decisione chiarendo come essa non consenta contenuti che incoraggino o promuovano «atti violenti o pericolosi che» abbiano «un rischio intrinseco di gravi danni fisici o morte». Una sottolineatura, quest’ultima, quanto meno singolare se si pensa, a proposito di «rischio intrinseco di gravi danni fisici o morte», che la Ru486, di cui l’Apr costituisce una possibilità di interruzione, non è affatto esente da rischi anche gravi per la donna.

    Basti ricordare come, già anni fa, non sia stata una testata cattolica, bensì l’autorevole e laicissimo New England Journal of Medicine a segnalare, in seguito ad un’apposita ricerca, un rischio di mortalità materna addirittura dieci volte superiore per l’aborto chimico rispetto a quello effettuato mediante il metodo chirurgico nello stesso periodo di gestazione. La sospensione di Apr disposta da YouTube risulta dunque contraddittoria e contraria sia al bene del nascituro sia a quello della donna; oltre ad essere accompagnata da motivazioni, per così dire, di non immediata comprensione.

    «È difficile capire perché YouTube consideri il salvataggio dei bambini da una pillola abortiva allo stesso modo dei video sul terrorismo», aveva commentato a questo proposito Jor-El Godsey, presidente dell’associazione pro life Heartbeat International. Sta di fatto che, alcuni giorni dopo quella sospensione, la celebre piattaforma è tornata sui propri passi scusandosi e riattivando l’account Apr, tutt’ora consultabile. Tuttavia questo episodio non ha dissolto ma, al contrario, accresciuto le perplessità di molti sull’effettiva posizione sui temi etici dei padroni della Rete, i quali hanno già, e più volte, dato prova di parzialità ma, soprattutto, di facilità di censura.

    Si pensi, per tornare a Facebook, al blocco disposto tempo fa ai danni di una pagina creata per la raccolta fondi per un film sulla vicenda, poco conosciuta e assai controversa, che ha portato alla sentenza Roe contro Wade con la quale, nel 1973, negli Stati Uniti è stato legalizzato l’aborto. «Considerando le fama di Facebook come forum neutrale e aperto per la discussione di questioni importanti, considero questa decisione scandalosa e chiedo a Facebook di cessare e desistere da questa censura», aveva in quella occasione protestato Robert George, intellettuale molto noto negli Usa nonché docente alla Princeton University.

    Un ruolo nell’oscuramento delle tesi pro life sembra averlo anche Google, considerando quanto avvenuto nel giugno 2017 col drastico ed improvvisto calo di visibilità – secondo alcuni dovuto ad una manipolazione dei parametri di ricerca – che ha colpito il portale di Operation Rescue, una delle maggiori organizzazioni antiabortiste statunitensi. Twitter è stato invece accusato pubblicamente da Lila Rose, presidente di Live Action, da una parte di ostacolare la diffusione di contenuti pro life e, dall’altra, di agevolare l’abortista Planned Parenthood nella circolazione di messaggi che, alla fine, raggiungono un pubblico enorme. «Penso sia evidente come Twitter stia discriminando le voci pro-life», aveva quindi dichiarato la Rose al Washington Times.

    Ora, è sempre possibile che alcuni di questi sospetti e di queste accuse a carico dei padroni della Rete siano parzialmente infondati, e sia dunque esagerato evocare chissà quali scenari distopici e dittatoriali. Tuttavia, e se ne sono ricordati solo alcuni, dei precedenti che lasciano pensare oggettivamente non mancano. La stessa perdurante vaghezza concettuale che soggiace all’espressione «contenuti di odio», a ben vedere, non dovrebbe lasciare poi molto tranquilli.

    Proprio quest’ultimo aspetto, in effetti, pare il più inquietante se si pensa a quanto messo in luce da Nick Hopkins, cronista del Guardian venuto in possesso di oltre 100 manuali ad uso interno di Facebook. In breve, Hopkins ha scoperto che spesso i cosiddetti moderatori del social network hanno appena 10 secondi di tempo per decidere se ammettere o meno un determinato contenuto, cosa che da un lato rende pressoché impossibile bloccare video e post violenti e, dall’altro, rende comunque tutto assai arbitrario. Il rischio che la Rete diventi veicolo di propagande non è dunque affatto marginale. Siamo avvertiti».

    Giuliano Guzzo

    https://giulianoguzzo.com/2021/01/09...te/#more-18688

  2. #12
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    Predefinito Re: I Signori del web

    Tecnopolis, la prigione digitale
    di Roberto Pecchioli - 20/01/2021

    Tecnopolis, la prigione digitale

    Fonte: Accademia nuova Italia

    Magra soddisfazione aver messo in guardia in anticipo dalla deriva totalitaria dei padroni della tecnologia. Cassandra non fu creduta e la sua città, Troia, fu espugnata e distrutta dagli invasori greci. Timeo danaos et dona ferentes, temo i greci e i loro doni, gridò invano Laocoonte. I doni della tecnologia sono avvelenati, ma la maggioranza non sa o non vuol sapere. Ne abbiamo parlato in un libro, Tecnopolis (Effepi Edizioni), ma ci tocca ribadire il concetto. Tecnopolis è una prigione digitale le cui sbarre, per quanto invisibili, non sono meno reali di quelle di un carcere. Negli ultimi mesi la potenza dispiegata si è apertamente rovesciata in censura, proibizione, potere totalitario. Qualche voce comincia a levarsi. L’opinione pubblica non è più del tutto ignara: il morso del padrone, le briglie sempre più strette, il guinzaglio sempre più corto cominciano ad essere avvertiti da qualcuno.

    Porte girevoli negli incarichi di vertice, collusione sfacciata con una parte importante del potere politico e culturale, demonizzazione dei dissidenti, censura, sorveglianza. Questo stiamo sperimentando. Abbiamo scoperto in rete (finché sarà possibile, la repressione è crescente) autorevoli voci allarmate. Qualcuno, negli Stati Uniti, sede legale e centrale operativa di Bigtech, intraprende battaglie legali che segneranno un’epoca, dal cui esito dipenderanno gli spazi di libertà e la credibilità dello Stato di diritto. Vivek Ramaswamy, imprenditore, e Jed Rubenfeld , brillante costituzionalista, hanno intrapreso azioni legali contro Google e Facebook. In un fondamentale articolo-saggio pubblicato sul Wall Street Journal, Save the Constitution from Big Tech (Salviamo la Costituzione da Big Tech) denunciano l' impunità delle gigantesche corporazioni che esercitano di fatto una forza d'urto che permette al potere americano di fare ciò che i padri fondatori non vollero permettere.

    Eccone alcuni stralci. “Si dice che le società tecnologiche siano libere di regolamentare i loro contenuti perché sono società private ​​e il Primo Emendamento (della costituzione americana, N.d.R.) protegge solo dalla censura del governo. Questa è un'idea sbagliata. Secondo la dottrina consolidata, Google, Facebook e Twitter devono essere trattati come attori pubblici. Attraverso una combinazione di disposizioni induttive e minacce normative, il Congresso Usa ha cooptato Silicon Valley perché facciano dietro le quinte ciò che, in base alla Costituzione, lo Stato non può fare direttamente.”

    “I membri democratici del Congresso hanno ripetutamente minacciato esplicitamente i giganti dei social media affinché censurino i discorsi che essi disapprovano. Il deputato di New York Jerrold Nadler ha detto l'anno scorso: vediamo che cosa succede se facciamo pressione su di loro. Ha funzionato. Non è un caso che i giganti della tecnologia abbiano fatto i loro passi più aggressivi contro Trump proprio mentre i Democratici stanno prendendo il controllo della Casa Bianca e del Senato.”

    “I fondatori che hanno redatto la costituzione americana avevano una profonda comprensione della necessità di un equilibrio dei poteri (controllo e bilanciamento, check and balance). Quello che non potevano prevedere era l'ascesa di un nuovo Leviatano con il potere incontrollato di emettere giudizi politici extracostituzionali dietro la protezione della proprietà privata. La democrazia americana è assediata dalla plutocrazia politica di Silicon Valley. Siamo passati da un sistema federale con tre poteri a un unico potere che ha uffici nella Silicon Valley. Ma Jack Dorsey (il creatore di Twitter) e Mark Zuckerberg non sono democraticamente responsabili. Gli americani comuni comprendono il Primo Emendamento meglio delle élite. Hanno ragione gli utenti di Facebook, Twitter e Google che affermano che i colossi Bigtech violano i loro diritti costituzionali. I danneggiati dovrebbero citarli in giudizio per proteggere la voce di tutti gli americani e la nostra democrazia costituzionale.” La speranza è che il potere giudiziario sia ancora indipendente.

    In un libro durissimo, America’s new corporate tyranny, la nuova tirannia corporativa americana, il docente universitario texano Michael Lind, già autore de la nuova guerra di classe: salvare la democrazia dall’oligarchia manageriale , accusa le grandi imprese – in particolare quelle tecnologiche – di privare i cittadini dei loro diritti e libertà e di distruggere la nazione americana , assoggetta a due costituzioni, quella formale dei fondatori e quella materiale della banda di “fonditori “ della repubblica, regno “anarchico di una tirannia incontrollata".

    “Se alle aziende è vietato pubblicizzare i propri prodotti e servizi su piattaforme elettroniche; se agli autori di libri controversi può essere posto il veto dai grandi distributori fisici e virtuali; se alle organizzazioni politiche viene impedito di svolgere transazioni elettroniche o di avere conti bancari; se coloro che hanno opinioni sbagliate possono essere privati ​​della loro assicurazione sanitaria; se la persona che ha votato male nelle ultime elezioni può essere privata della carta di credito o di pubblicare sui media sociali, allora l'America è una tirannia, non importa quanto i tribunali lavorino e le elezioni siano libere.”

    E’ tragicamente vero. Ci sembra tuttavia che nessuno si ponga la domanda cruciale, ossia se l’avvento dell’era BigTech orientata politicamente, tesa alla censura e al dominio dell’umanità, sia la deriva di un sistema- quello del mercato privatizzato misura di tutte le cose- i cui germi velenosi erano presenti dall’inizio nella società e nella mentalità americana, da cui hanno tracimato nell’intero Occidente.

    Altri confermano che è giurisprudenza consolidata sin dal 1876 che negli Stati Uniti la proprietà privata, “quando è utilizzata per il servizio pubblico, è soggetta a regolamentazione pubblica”, il che impedisce alle compagnie ferroviarie, telefoniche, alberghiere, finanziarie, pubblicitarie di escludere persone e prodotti dal loro servizio. Ecco perché chiedono che il principio sia applicato al mondo dell’impero digitale. La soluzione è chiara, ma il liberalismo – pur con tutti i suoi limiti- è finito, ha perso due lettere ed è diventato liberismo, ossia privatizzazione incontrastata del mondo, quindi anche delle norme giuridiche.

    Joy Pullman, redattore della rivista liberal-conservatrice The Federalist , avverte senza mezzi termini che BigTech ha un piano per stabilire un sistema di sorveglianza sociale simile a quello della Cina; “è la ragione della caccia alle streghe anti-destra, tesa a creare un clima di delazione all’interno di aziende, università ed istituzioni pubbliche e private, nuova terra desolata di guerriglieri rossi, BLM neri e fanatici di un mondo orwelliano.”

    Di tendenza libertaria è il libro di Allum Bokhari #Cancellato (Deleted): la battaglia di Big Tech per cancellare il movimento di Trump e truccare le elezioni, uscito due mesi prima del voto presidenziale, di cui ha dato conto lo stesso Federalist :” fino a poco tempo fa, la preoccupazione per il potere delle grandi compagnie private era prerogativa della sinistra. Logico: tradizionalmente, i conservatori sono stati sostenitori del mercato e le grandi società hanno avuto la tendenza a rimanere fuori dalle guerre culturali. Hanno riflesso la cultura americana invece di plasmarla. L’eccesso di governo è sempre stato la più grande minaccia alla nostra libertà. Ora che Twitter mette fuorilegge l'account del presidente degli Stati Uniti e cancella persino i tweet di Potus, un account di proprietà governativa, si è costretti a chiedersi: chi ha più potere, Washington o Silicon Valley?”. Risposta elementare: Silicon Valley in quanto espressione e luogo d’incontro del livello più elevato della cupola finanziaria ed industriale e degli apparati riservati (Cia, Nsa eccetera).

    Via via che Big Tech è cresciuta fino a diventare monopolio, ha abbandonato ogni neutralità e ora è in grado di determinare i risultati delle elezioni. Il libro di Bokhari descrive gli stretti rapporti tra i leader tecnologici e l'ala globalista del Partito Democratico, a partire dallo scambio al vertice: 55 alti funzionari di Google fecero parte dell’amministrazione Obama e 197 dirigenti di Stato sono passati a Google.

    I nemici ideologici sono isolati utilizzando attivisti di sinistra per identificare "disinformatori seriali e attivisti di destra", come ammesso in un’informativa interna. I controllori della rete sono scelti tra coloro che condividono il progressismo più estremo. Se i soggetti “bannati” si uniscono e fondano un network, come è capitato a Gab, concorrente di Twitter, il sistema lancia una campagna di demonizzazione, bolla la nuova rete come un covo di razzisti e il gioco continua. Conclude il Federalist: “in passato, quando temevamo lo schiacciamento della libertà di espressione, temevamo solo il governo. Nessun altro aveva il potere di farlo. Abbiamo vinto la battaglia contro la censura statale, ma le nuove corporazioni sono diventate così potenti che sono in grado di mettere a tacere le voci meglio di qualunque governo. È un problema nuovo che richiede nuove soluzioni, prima che gli oligarchi tecnologici controllino l'intero flusso informativo nazionale.”

    Allo stesso modo in cui Enel non può negare i servizi agli utenti per ragioni politiche, deve essere impedito che ciò sia permesso ai provveditori di servizi informatici. Il grande pubblico è immerso in un profondo sonno narcotico: non sa e non vuole sapere. Non resta che ripetere un’ennesima volta la lezioncina, pur consapevoli che a lavar la testa all’asino, si perdono il ranno e il sapone. Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft sanno quando ci svegliamo, che cosa mangiamo, se siamo stressati e che cosa compreremo oggi. La tecnologia è diventata la più grande spia del mondo.

    Molti usano il cellulare per svegliarsi. Questo è il primo dato che hanno su di noi: il momento in cui possono iniziare a vampirizzare i dati. Da lì tutta la nostra vita diventa un'emorragia di informazioni. Dopo il risveglio, pensiamo alla colazione. Anche in questo sono coinvolti: un amico ci ha inviato, sorpreso, un annuncio pubblicitario sui luoghi prossimi a casa sua dove avrebbe potuto godersi un brunch: ne aveva appena parlato alla moglie. Il telefono e il microfono erano nei pressi. Molte applicazioni installate su Android o iOS non funzionano se non permettiamo l'accesso al microfono del computer. Mentre facciamo colazione controlliamo le notizie. E’ una miniera d'oro per BigTech. Google mostra pubblicità relativa a ciò su cui facciamo clic. Se passiamo attraverso il nostro profilo Facebook, è lo stesso. Ci sono utenti che ricevono consigli sull’acquisto di cappelli quando caricano foto con in testa quell’accessorio; c’è chi ha ricevuto pubblicità di parrucche o impianto di capelli se le fotografie mostrano che è calvo.

    Non basta: le offerte sono tarate sul nostro portafogli. Instagram sa quanto possiamo spendere, valutando il valore dell’abbigliamento che indossiamo nelle foto. Conoscono bene anche i prezzi del ristorante da cui abbiamo postato il piatto che mostriamo- chissà perché- all’universo. Ogni nostra immagine è una preziosa fonte di informazioni che svela gusti, idee, propensioni, potere d'acquisto. Per tacere delle informazioni attinte direttamente dalle carte di credito, giacché molti circuiti appartengono ai soliti giganti o ne sono azionisti.

    Lo spionaggio non si ferma quando lavoriamo. Appena accendiamo il computer apriamo una finestra (Windows…) e Microsoft immagazzina altri dati. Cortana, l’assistente virtuale, può sentire la nostra voce, le nostre conversazioni con un collega, un fornitore o un'altra azienda. I sistemi sono in grado di riconoscere esattamente quello che diciamo, punto per punto e in tempo reale: Alexa, Google Home, Siri. I GAFA hanno anche la tecnologia per monitorare il modo in cui premiamo la tastiera. Questo fa sapere chi c’è dall’altra parte - nel caso di computer utilizzati da più persone -, il loro stato di stress o affaticamento e una miriade di altri dati oltre al contenuto letterale scritto nella digitazione. Il sistema Apple non è diverso. Esistono televisori e telefonini in grado di filmarci. Credere ancora che non esista il Grande Fratello?

    È un'emorragia basata sul consenso. Tutte le tecnologie consentono di selezionare i dati che si desidera condividere o l'hardware che è possibile controllare, ma attivarle è lungo, noioso e complesso. In più, molte funzioni non sarebbero più operative. L’apparato perderebbe la sua ragion d’essere, come avere un'automobile con il volante bloccato. A questo va aggiunto che, purtroppo, non vediamo il problema o il pericolo della condivisione dei nostri dati. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che, per procura, i giganti tecnologici possono persino conoscere il ritmo del nostro russare o la quantità e l'intensità dei rapporti sessuali, a seconda del nostro respiro o gemito.

    Amico, se sei preoccupato – ne hai tutti i motivi - spegni il telefono prima di appoggiarlo sul comodino, anche se questo non ti garantisce del tutto. Anche da lontano può trasmettere dati che, processati dagli algoritmi, diventeranno metadati e costituiranno il tuo profilo, il microfilm della tua vita in mano al Grande Fratello Caino. La chiamano trasparenza, e tu ne sei entusiasta. Non pensi che in tutto ciò che è gratis tu sei il prodotto venduto. Per motivi commerciali, politici, per qualsiasi altro interesse di dominio di lorsignori. Spiace dirlo, ma speriamo di cuore di averti inquietato.



    https://www.ariannaeditrice.it/artic...gione-digitale

  3. #13
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    Predefinito Re: I Signori del web

    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  4. #14
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    Predefinito Re: I Signori del web

    Ugo Mattei: Covid-19 strumento per la deportazione digitale dell’umanità

    By Leopoldo Salmaso On Gen 28, 2021 1,639

    La lotta tecnologica alla pandemia passa attraverso la deportazione della vita sulla piattaforma online (Big tech), nonché attraverso la rinnovata ed incrollabile fede nella scienza così come interpretata da Big pharma.

    di Ugo Mattei*
    pubblicato originariamente su Italia Libera


    Le convulsioni del costituzionalismo liberale che sono andate in scena in questi giorni offrono materiali spettacolari (nel senso debordiano del termine) per una riflessione su eccezione e normalità. Negli Stati Uniti abbiamo assistito alla retorica imbarazzante della cerimonia di insediamento di un duo presidenziale in mano ai poteri forti (1). Hanno parlato di giustizia sociale, senza vergogna, dallo stesso palco dal quale i gorgheggi di cantanti miliardarie giungevano fisicamente alle orecchie delle migliaia di senza tetto, accampati sotto i palazzi del potere (documentati fotograficamente dallo splendido libro fotografico di Kike Arnal, In the Shadow of Power).

    Biden invocava la “normalità”. In Italia, la stessa retorica al Senato, con un Presidente del Consiglio pronto a promettere qualunque cosa pur di mantenere l’incarico, ad una girandola di ricattatori e voltagabbana, riportata come una notizia dai giornali mainstream, mentre la vera partita, quella sul “controllo” dei servizi segreti, restava nell’ombra (2).

    Nel centenario della fondazione del Partito Comunista Italiano, destinato a divenire il più grande (e conformista) di tutto il blocco atlantico, perfino il “Manifesto” (quotidiano comunista) apriva con le tifoserie italiote di Biden in prima pagina, a riprova, se necessario, della triste condizione semi periferica e coloniale in cui siamo imprigionati a causa delle basi Nato, che ben pochi osano discutere a dispetto dell’art. 11 della Costituzione.

    Del resto, altrettanto pochi osano ricordare che il supremo garante dello stato di eccezione permanente, che deve essere interpretato da Conte anche nella sovversione delle più elementari certezze del diritto costituzionale, è il Presidente Mattarella. Fu lui − da ministro della Difesa nel primo governo guidato da un ex comunista − a macchiarsi, insieme a D’Alema, del bombardamento illegale − senza mandato dell’Onu − di una capitale Europea come Belgrado.

    A scopo “umanitario” furono eseguiti 2.300 attacchi aerei, usando uranio impoverito (4), furono distrutti 148 edifici, 62 ponti, danneggiate 300 scuole, ospedali e istituzioni statali, 176 monumenti di interesse culturale e artistico, con un danno stimato di 30 miliardi di dollari, che nessuno è disposto a riconoscere e a risarcire. Ed è proprio l’Europa di Bruxelles, con la sua costituzione a-democratica by design, a costituire fin dall’Atto Unico del 1986 il supremo strumento di normalizzazione dell’eccezionale, facendosi garante dell’Asse atlantico.

    Tornerò su questo punto in un prossimo articolo. Per il momento sarà sufficiente osservare che quel bombardamento dei ponti di Belgrado, affollati di civili terrorizzati nell’estate del 1999, svolse, mutatis mutandis rispetto al corso del successivo decennio, la stessa funzione che le bombe fasciste di Piazza Fontana del dicembre ’69 svolsero, per “normalizzare” gli anni Settanta, ripercorsi magistralmente da Geraldina Colotti in un recente intervento su l’Antidiplomatico (3).
    Il primo decennio del nuovo millennio fu infatti quello che, apertosi con le Torri Gemelle, segnò la nascita politica del capitalismo della sorveglianza (descritto nel celebre libro di Shoshana Zuboff).
    È come se, alla fine di ogni decennio, un evento di portata spettacolare (pensiamo alla caduta del Muro di Berlino dell’89, o alla crisi del 2008) marcasse quello successivo, costruendo un’emergenza la cui risoluzione deve essere priorità numero uno per tutti gli amici, costruendo come nemico chi si concede il lusso del dissenso.

    Del resto, insieme all’antitesi (non dialettica) fra amico e nemico va letta la teoria dello stato di eccezione schmittiana, quella utilizzata da un maestro come Giorgio Agamben (5), uno dei pochi intellettuali che, in una serie di interventi sul sito di Quodlibet, non si sono allineati, per leggere la pandemia Covid 19, con cui si è aperta la decade che stiamo vivendo. Lo stato di eccezione dichiarato dall’Oms (6) ha infatti offerto l’assist ad ogni potere costituito per ristrutturare uno status quo ed una “normalità” che pareva messa in discussione dai rantoli (anche osceni) di una sovranità statale (sopratutto quella statunitense con Trump) restia ad arrendersi ai nuovi rapporti di forza globale, in cui il politico è controllato in ogni suo aspetto dal potere tecnologico e finanziario, concentrato nelle mani di pochissimi individui.

    È così che il decennio del centenario del fascismo al potere ha potuto essere interamente predeterminato alla lotta tecnologica nei confronti della pandemia, la quale passa attraverso la deportazione della vita sulla piattaforma online (Big tech), nonché la rinnovata ed incrollabile fede nella scienza così come interpretata da Big pharma. Il tutto ovviamente sotto la supervisione attenta della finanza, la vera governance autoritaria con cui un’oligarchia sempre più potente di capitalisti predatori si arricchisce senza vergogna ai danni della classe lavoratrice e dei beni comuni. L’araba fenice della normalità, unita alla paura per la nuda vita (spettacolarmente rappresentata dalla mascherina ostentata dai potenti anche quando palesemente inutile) segna nell’a-politica e nell’a-democrazia, il Dna del decennio che ci aspetta. Il nemico contro cui combattere per l’emancipazione mi pare chiaro.

    NdR. Biden e Poteri Forti
    NdR. Conte e i Servizi lascia o raddoppia?
    NdR. Geraldina Colotti
    NdR. Cassazione riconosce nesso causale fra uranio impoverito e tumori
    NdR. Agamben: Stato di eccezione e stato di emergenza
    NDR. L’OMS non ha mai dichiarato ufficialmente lo stato di pandemia per CoViD-19. Tutto quello che abbiamo è una conferenza stampa in cui il DG Ghebreyesus dice: “Abbiamo valutato che CoViD-19 può essere caratterizzata come una pandemia”. Nessun documento scritto, protocollato, da parte degli organi competenti in base allo statuto dell’OMS: Assemblea Generale (art. 21a) o Consiglio Direttivo (art. 28i).

    https://comedonchisciotte.org/ugo-ma...e-dellumanita/
    Ultima modifica di Eridano; 28-01-21 alle 22:30

  5. #15
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    Predefinito Re: I Signori del web

    Il web non è uno spazio di libertà ma di repressione poliziesca
    di Alain de Benoist - 28/01/2021

    Il web non è uno spazio di libertà ma di repressione poliziesca

    Fonte: Barbadillo

    Breizh-info.com: Qual è stata la tua reazione all’invasione di Capitol Hill da parte dei manifestanti pro-Trump?

    Alain de Benoist: “Una sorpresa divertita. Si è trasformata in franca ilarità quando ho visto tutti i rappresentanti dell’ideologia dominante nell’opinione pubblica dichiararsi, come vergini spaventate, inorridite per la “profanazione” di questo “sacro simbolo della democrazia”. Se il Campidoglio deve essere visto come un “simbolo”, sarebbe piuttosto quello di intrighi e corruzione. So che gli Stati Uniti si sono sempre presentati come valorosi difensori della democrazia e della libertà, ma francamente, chi può ancora credere seriamente che questo Paese sia una democrazia, quando è governato dalla più malvagia delle oligarchie finanziarie? Lo sapevano bene i manifestanti che hanno invaso il Campidoglio: il loro gesto non era diretto contro la democrazia, ma al contrario testimoniava il loro desiderio di vederla finalmente rispettata in ciò che ha di più essenziale: la sovranità popolare”. Anche per questo alcuni erano travestiti da “selvaggi”: gli europei lo dimenticarono, ma durante il famoso Boston Tea Party del dicembre 1773, pietra miliare che precedette la guerra d’indipendenza americana, i ribelli furono anche travestiti da indiani (dal Tribù Mohawk)”.

    Trump-Biden in un duello tv

    Breizh-info.com: In Francia, la stampa ufficiale ha salutato all’unanimità la vittoria di Biden e ha denunciato il “tentativo di colpo di stato” di Donald Trump. Cosa dovremmo concludere da questa situazione?

    Alain de Benoist: “Quelle parole non hanno più alcun significato oggi, perché chi le usa è incolto. Parlare di “colpo di stato” è assolutamente ridicolo. Un colpo di stato implica un piano preparato, tattiche, istruzioni, slogan. Niente di tutto questo emerge in questo caso. Non è stato un remake dell’incendio del Reichstag, della marcia su Roma o della cattura del Palazzo d’Inverno a cui abbiamo assistito in passato, ma solo un movimento di folla spontaneo durato poche ore, e che potremmo benissimo paragonare al tentativo del “gilet gialli” per andare all’Eliseo (dove avevano già programmato l’esfiltrazione di Macron!) qualche mese fa. Ciò che è interessante, tuttavia, è che la stragrande maggioranza degli elettori di Trump ha appoggiato questa mossa rabbiosa, che la dice lunga sulla profondità della divisione che ora lacera gli americani. Questa frattura non sta per guarire. Il senile Joe Binden alla fine ha vinto, ma il fatto importante è che nel 2020 Trump ha raccolto 12 milioni di voti in più rispetto al 2016: 74 milioni di voti rispetto ai 62 milioni di quattro anni prima. Questo dimostra, anche se il Partito Democratico – che non è più il partito dei lavoratori, ma quello delle minoranze – si trova in una posizione di forza al Congresso, che il fenomeno trumpista è ancora lì”.

    Zuckerberg

    Breizh-info.com: L’ondata di repressione e censura che si è verificata da allora (social network, account cancellati o bloccati) dovrebbe preoccuparci?

    Alain de Benoist: “Lo vedo soprattutto come una conferma. Questa censura può ovviamente essere considerata oltraggiosa, e lo è certamente. Ma c’è ingegnosità in questa reazione. Se c’è una lezione da trarre dallo spettacolo della repressione orchestrato dal GAFA, è che rivela l’ingenuità di tutti coloro che, da anni, celebrano i social network come “spazi di libertà”. Nonostante i suoi vantaggi, Internet non è uno spazio per la libertà, ma uno spazio per la polizia, la spazzatura verbale e l’ego.

    Trovo triste che così tante persone si prendano in giro da sé raccontando le loro storie sulle loro vite sui social media. Invece di lamentarsi, meglio abbandonarlo! Da parte mia, sin dall’inizio, ho scelto di non esprimermi mai sui social. Mi congratulo con me stesso per questo ogni giorno. Donald Trump, che non era uno statista, credeva nei social media. Viveva di Twitter, Twitter lo ha ucciso”.

    Breizh-info.com: Ha spesso, nei suoi scritti, messo in guardia gli europei da troppe preoccupazioni, in negativo come in positivo, nei confronti degli americani. E oggi?

    Alain de Benoist: “Ripeto da decenni che gli europei devono sentirsi solidali con la potenza continentale della Terra, e non con la potenza marittima del mare. In breve, che devono rivolgersi ad Est e non ad Ovest, verso i paesi del Sol Levante e non verso quelli del Tramonto. Non sono certo l’unico ad averlo detto, ma l’attrazione “atlantista” resta potente. Tuttavia, mi sembra che le cose potrebbero evolversi negli anni a venire. Il periodo di transizione che stiamo vivendo è anche quello di una graduale cancellazione del mondo unipolare o bipolare dell’epoca della Guerra Fredda. Durante la sua investitura, tra la Bibbia e Lady Gaga, in una capitale federale sotto assedio, sorvegliata da più soldati di quanti ce ne siano oggi in Siria, Iraq e Afghanistan, Joe Biden non ha mancato di riaffermare la volontà dell’America di “guidare il mondo” . Avrà sempre meno mezzi. Nessuno crede che gli Stati Uniti siano ancora la “nazione indispensabile” e che la loro presenza ci liberi dal cercare con i nostri mezzi di diventare una potenza autonoma”.

    Netflix

    Breizh-info.com: Dal 1945 gli Stati Uniti non hanno cessato di guidare campagne di influenza ideologica, soprattutto in Europa. Come possono proteggersi gli europei da questo, quando oggi si fa di tutto, da McDonald a Netflix, per condizionare i giovani?

    Alain de Benoist: “Ovviamente non esiste una bacchetta magica. Gli americani continueranno a raccogliere i frutti del loro “soft power” finché gli europei non si opporranno con alcuna alternativa credibile. Ma dobbiamo anche tener conto del cambiamento dell’immagine dell’America. Gli Stati Uniti sono sempre stati orgogliosi di essere un paese libero, un paese libero. Oggi, vediamo sempre più chiaramente che stanno diffondendo la guerra civile e il caos in tutto il mondo, e che stanno esportando nelle nostre società nuove forme di censura, comportamenti di un neo-puritanesimo isterico, nuovi divieti, dibattiti sul sesso, “gender” e “razze “che non corrispondono alla nostra cultura, tutte cose che piacciono solo all’ambiente LGBT e ai seguaci della “cancel culture”, che a volte sono anche stipendiati. Potrei sbagliarmi, ovviamente, ma ho la sensazione che l’attrazione per l’America si esaurirà gradualmente”.

    Discours d’Olivier Duhamel, president, dans l’amphitheatre Boutmy

    Breizh-info.com: In Francia, il mondo politico è stato scosso dall’affaire Duhamel. La sinistra “moralista” non è in definitiva la sinistra più disgustosa, dato il numero crescente di casi?

    Alain de Benoist: “Non siate ingenui: se il “disgusto”, come dici tu, fosse prerogativa di una famiglia politica, sarebbe semplice. Ma questo non è vero. Il “disgusto” è inerente alla natura umana. Ma hai ragione: anche se sappiamo benissimo che un codardo può scrivere un ammirevole trattato sul coraggio militare, è difficile sopportare le lezioni di virtù insegnate dalle vecchie prostitute! Camille Kouchner accusa il suo patrigno, Olivier Duhamel, di aver avuto rapporti incestuosi con suo fratello. Il termine è scelto male. Tradizionalmente, l’incesto è stato definito come una relazione sessuale con un genitore biologico, che un figliastro non è (è stato solo nel 2016, ben dopo il fatto, che la definizione giuridica di incesto è stata ampliata). Olivier Duhamel era infatti colpevole di violenza sessuale su una minorenne. Vi ricordo che in Francia l’incesto degli adulti non rientra in alcun diritto penale. Da Edipo al Soffio al cuore di Louis Malle (1971), l’incesto è un vecchio affare. Nella tradizione biblica, tutta l’umanità nasce da un incesto iniziale: Adamo ed Eva che hanno solo tre figli, Caino, Abele e Set, è difficile vedere come quest’ultimo abbia potuto generare prole senza dormire con loro. La loro madre! Per quanto riguarda Olivier Duhamel, il termine “incesto” è tuttavia perfettamente giustificato in termini di metafora. In questo caso è come con un gomitolo (o il sistema delle bambole russe): tiriamo un filo e, a poco a poco, è tutta una serie di personaggi, tutto un piccolo mondo che appare: i Kouchner., Il Pisiers, i Duhamels, i Jean Veil, i capi del secolo, le figure centrali della “sinistra al caviale” degli anni Settanta. Un mondo bellissimo che ha avuto rapporti davvero incestuosi a livello mediatico, politico, accademico e finanziario. Tutti nella nello spirito del tempo, tutti ovviamente a sinistra, ammiratori a volte di Fidel Castro a volte di Michel Rocard, tutti socialdemocratici, tutti legati in un modo o nell’altro, venduti o acquistati, detentori di prebende, di gettoni nei consigli di amministrazione. Un mondo incestuoso nel senso che era un mondo che funzionava esclusivamente nel sé. Un mondo in cui tutti sono una sola famiglia, dove tutti dormono con tutti. È questo mondo che appare nel suo disgustoso splendore grazie allo scandalo scatenato da Camille Kouchner. Al ritmo di rivelazioni, lamentele, “metoo-incesto”, possiamo prevedere che il caso continuerà a svilupparsi. Tanto più che, come ogni volta che la parola “si libera” in uno scoop, assistiamo anche a un proliferare di false accuse, accuse non provate e diluvi di fantasie: l’immaginazione è sempre una brava ragazza! Alla fine, sento ancora che Olivier Duhamel non ha molto da temere. Dominique Strauss-Kahn ha ricostruito una reputazione per se stesso in pochi anni. Non immagino che Duhamel possa essere martirizzato mediaticamente e politicamente come è stato (e continua ad essere) Gabriel Matzneff, in possesso di un libertinismo aristocratico di cui si può pensare quello che si vuole, ma che non ha mai commesso incesto, non ha mai violentato nessuno e mai condivideva il suo letto tranne che con i suoi giovani amanti”.

    Coronavirus

    Breizh-info.com: Infine, parlando di Sanità, sembra che un contenimento sia nuovamente possibile, mentre l’economia sta lentamente collassando. Come spieghi la passività delle categorie e dei mestieri che stanno morendo senza reagire? E il terrore che sembra aver attanagliato gran parte della popolazione, che chiede sempre più vincoli sanitari per “non morire” e “non trasmettere” il Covid? Cosa dice questo delle masse europee?

    Alain de Benoist: “È davvero probabile che nei prossimi giorni saremo nuovamente confinati. Verremo quindi deconfinati, quindi riconfinati, riconfermati e così via! Ristoranti e cinema non riapriranno fino ad aprile, a meno che non sia giugno o addirittura settembre. Parli della passività dei lavoratori dei mestieri più minacciati, al di là della popolazione generale. Questo è vero solo in parte. I mestieri che subiranno più proteste comunque, e quando non riceveranno più gli aiuti che lo Stato ha dato loro, si può pensare che protesteranno ancora più forte. Fino ad allora, la società continuerà a dividersi tra quadri e picche, confinatori e confinati, “ovideurs, covidables et covidés”! Ma la verità è che le persone non possono capire e non capiscono più. Per quasi un anno hanno assistito a un susseguirsi di ostacoli e ritardi, ordini e contrordini, promesse e smentite, senza mai vedere la fine del tunnel. Nella gestione di questa crisi sanitaria, le autorità pubbliche hanno fallito miseramente in tutti i settori: maschere, test, vaccini. Non c’è una sola cosa fatta bene! Intanto il disavanzo pubblico assume le sembianze di uno tsunami, il debito continua a salire, si accumuleranno fallimenti e depositi di Bilancio, e ci accorgeremo che alla fine il costo economico e la crisi sociale saranno stati molto peggiori del costo per Salute.

    Alcuni se ne felicitano. Vogliono cogliere l’occasione per andare verso una società in cui ci saranno sempre fabbriche alimentari, ma non più ristoranti; ci saranno centri commerciali, ma non più negozi locali, dove la gente non va più agli spettacoli ma dove guarderemo i film a casa, dove compreremo tutto su Internet, dove il denaro verrà gradualmente abbandonato, dove i contatti sociali saranno ridotti a nulla. Una società in cui l’espressione “distaziamento sociale” avrà assunto il suo pieno significato. Perché questa è la posta in gioco oggi: il corpo sociale dovrebbe essere sacrificato per salvare i corpi individuali? Il peggio deve ancora venire”.

    (Intervista di YV sul periodico non conformista Breizh-info.com)

    https://www.ariannaeditrice.it/artic...one-poliziesca

  6. #16
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    Predefinito Re: I Signori del web

    L'uomo Zucca ha deciso di chiudere su fb tutti gli interventi di politica.
    Solo più grande fratello vip.

  7. #17
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    Predefinito Re: I Signori del web

    ALGOCRAZIA (DEMOCRAZIA DEGLI ALGORITMI): CHI CONTROLLA I “CONTROLLORI”?

    28 Gennaio 2021 da Redazione 3 commenti


    di Mario Bozzi Sentieri

    L’anno scorso, Deutsche Bank, il primo istituto bancario tedesco e tra i leader in Europa, ha usato l’Intelligenza artificiale e gli algoritmi più sofisticati per rimpiazzare posti di lavoro. A sparire 18 mila dipendenti, che sono stati sostituiti da robot ed algoritmi destinati a svolgere attività di rendicontazione, invio di e-mail e report ai clienti del segmento azionario.

    Nel settore della finanza e delle assicurazioni sono già attivi i robo-advisor, in servizi di consulenza e di investimento. Anche nei prestiti l’utilizzo degli algoritmi è già presente per rilevare il livello di rischio di un cliente e dell’opportunità quindi di concedere un finanziamento.
    Nelle fabbrica 4.0 sono gli algoritmi a controllare la produzione, l’orario, il ritmo delle linee, le pause, i carichi di lavoro. A dettare legge è il Mes, “Manufacturig Execution System”, un modello matematico che consegna gli ordini di lavoro alle linee e tiene traccia di ogni azione dell’operaio attraverso scanner ottici, codici a barre, tablet. Il programma è matematico, “neutrale” e quindi indiscutibile.
    Ed ancora, è l’algoritmo a selezionare i manager, attraverso colloqui con un computer che “spia” mimica e tono di voce. E’ la realtà di HireVue un programma, già operativo negli Stati Uniti presso grandi aziende e multinazionali, in grado di monitorare circa 15 mila tratti di una persona, compresi la scelta del linguaggio, i movimenti dell’occhio, la velocità di risposta e il livello di stress. Domina la macchina, ai cui “parametri” i candidati debbono adeguarsi, senza possibilità d’appello: tutti uguali e standardizzati, secondo gli orientamenti di software che riflettono i pregiudizi di chi li ha creati e si alimentano di big data forniti dagli stessi.


    Sono solo alcuni esempi, tra i tanti, che rendono evidente come la nuova rivoluzione tecnologica, stia già condizionando le forme e le modalità del lavoro, senza che ciò comporti le doverose contromisure operative, i contrappesi politico-sociali necessari per evitare che il potere logaritmico dilaghi senza controlli.
    Anche perché è del tutto evidente come dietro l’astrazione dei numeri si nascondano interessi di parte e chiare ragioni aziendali, seppure mimetizzate, fino a fare intravvedere una vera e propria algocrazia (un modello di organizzazione senza controlli burocratici classici ma guidata da codici e algoritmi) così come teorizzato, già nel 2006, da Aneesh Aneesh, nel saggio “Virtual Migration”.
    “L’algocrazia – ha scritto Aneesh – tende ad appiattire tutte le gerarchie burocratiche perché non necessita di alcun livello di gestione intermedio o centralizzato che sia”. L’algocrazia non è definita da elementi come la gerarchia, la documentazione, la dominanza delle posizioni di certe persone rispetto ad altre. Le regole burocratiche tradizionali devono essere ‘interiorizzate’ da chi le deve seguire e rispettare mentre “un sistema algocratico struttura il possibile campo di operation senza richiedere ad una persona alcuno sforzo di adattamento alle regole; gli algoritmi incorporati nel sistema stessa avviano o bloccano una operazione senza chiedere a nessuno di ‘interiorizzare’ le policy”.
    Occorre allora “prevenire”, facendo dell’algoritmo, applicato all’organizzazione del lavoro, l’oggetto di un chiaro confronto sociale e conseguentemente di norme equilibratrici, che partano dalla consapevolezza degli interessi in gioco.

    Dietro la “tirannia” degli algoritmi non ci sono le sorti e progressive di un’umanità affrancata dalla fatica, ma c’è un sistema di potere, funzionale alla volontà di massimizzare il profitto abbattendo i costi di produzione, innalzando i livelli produttivi, imponendo un controllo stringente sui lavoratori. Per questi motivi occorre svelarne l’intrinseca ingiustizia, facendo crescere un senso di responsabilità condivisa a livello politico, sociale e culturale, impegnandosi a trasformare l’innovazione tecnologica in un reale strumento di progresso e di integrazione sociale.


    Fonte: Mario Bozzi Sentieri



    https://www.controinformazione.info/...i-controllori/
    Ultima modifica di Eridano; 28-01-21 alle 22:31

  8. #18
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    Predefinito Re: I Signori del web

    Citazione Originariamente Scritto da ventunsettembre Visualizza Messaggio
    L'uomo Zucca ha deciso di chiudere su fb tutti gli interventi di politica.
    Solo più grande fratello vip.
    L'uomo Zucca non ammette dissenso.
    Meglio del Grande Fratello. Vip o meno.

  9. #19
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    Predefinito Re: I Signori del web

    Citazione Originariamente Scritto da IlWehrwolf Visualizza Messaggio
    ALGOCRAZIA (DEMOCRAZIA DEGLI ALGORITMI): CHI CONTROLLA I “CONTROLLORI”?

    https://www.controinformazione.info/...i-controllori/
    Che domanda!
    I controllori non hanno bisogno di essere controllati.

  10. #20
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    Predefinito Re: I Signori del web

    Citazione Originariamente Scritto da ventunsettembre Visualizza Messaggio
    Che domanda!
    I controllori non hanno bisogno di essere controllati.
    Se poi sono anche degli Eletti...

 

 
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