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  1. #61
    Non dire gatto se...
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    Predefinito Re: Tradizionalismo Cattolico e Destra Radicale

    Citazione Originariamente Scritto da IlWehrwolf Visualizza Messaggio
    Prova a elencare i vari "fascismi" o i loro Capi e verificherai che molti di essi erano in buoni rapporti con la Chiesa se non addirittura cattolici.

    Salazar
    Franco
    Primo de Rivera
    Codreanu
    Antonescu
    Pavelic
    Mons. Tiso
    Mussolini
    Degrelle
    Szálasi
    Horty
    Dolfuss
    Hitler


    La stessa NSDAP aveva componenti pagane e atee, cattoliche e protestanti.
    Non è assolutamente vero che la NSDAP e Hitler fossero anticristiani.
    Sono d'accordo che debba essere il Fascismo che si deve occupare dell'organizzazione politica e ideologica dello Stato, e che la Chiesa e la religione si debba occupare degli aspetti metafisici dell'esistenza umana.
    salazar e codreanu i miei preferiti
    «che giova ne la fata dar di cozzo?»

    “Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è ottima”

  2. #62
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    Predefinito Re: Tradizionalismo Cattolico e Destra Radicale

    Citazione Originariamente Scritto da Indra88 Visualizza Messaggio
    salazar e codreanu i miei preferiti
    Molto differenti tra loro...

  3. #63
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    Predefinito Re: Tradizionalismo Cattolico e Destra Radicale

    Citazione Originariamente Scritto da Giò Visualizza Messaggio
    Ah quello sì, ovviamente.
    Quello che a loro toccava in senso negativo erano le limitazioni agli ebrei in ambito lavorativo ed economico.
    Leggi che fece anche la Chiesa....

  4. #64
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    Predefinito Re: Tradizionalismo Cattolico e Destra Radicale


  5. #65
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    Predefinito Re: Tradizionalismo Cattolico e Destra Radicale

    CUM NIMIS ABSURDUM – E’ estremamente assurdo e sconveniente che i Giudei,
    ridotti in completa servitù per propria colpa, col pretesto che la pietà Cristiana li
    accoglie e tollera la loro convivenza siano tanto ingrati verso i Cristiani da rispondere
    con l’offesa al loro favore e, al posto della servitù dovuta, cerchino invece di
    dominare. Ci è recentemente giunta notizia che i Giudei della Nostra Città Santa e in
    alcune città, terre e località di Santa Romana Chiesa sono giunti a tal punto di
    insolenza da pretendere non solo di coabitare in mezzo ai Cristiani mescolandosi a
    loro e in prossimità delle loro Chiese senza distinzione nell’abito, ma anche di
    affittare case nelle più nobili strade e piazze della città, terre e luoghi in cui vivono e
    di acquistare e possedere beni immobili e avere nutrici, serve e altra servitù Cristiana
    a mercede e di compiere tante altre azioni a ignominia del nome Cristiano. La Chiesa
    Romana li tollera in testimonianza della vera fede Cristiana e al solo scopo che, mossi
    dalla pietà e dalla benevolenza della sede Apostolica riconoscano finalmente i loro
    errori e pervengano al vero lume della Fede Cattolica. Fino a quando persistano nei
    loro errori riconoscano che per effetto del loro operato loro sono servi, mentre i
    Cristiani sono stati resi liberi da Gesù Cristo Nostro Signore ed è perciò iniquo che i
    figli di donna libera siano sottomessi ai figli della terra.
    § 1 – Per questi motivi, vogliamo, con l’aiuto di Dio, prendere provvedimenti salutari
    riguardo a quanto detto e decretiamo con questa costituzione valida in perpetuo che
    d’ora innanzi e per tutti i tempi futuri sia nell’Urbe che in tutte le altre città, terre e
    località di Santa Romana Chiesa, i Giudei abitino in una sola e stessa strada e, se ciò
    non fosse possibile, in due o tre o in quante necessarie tra loro contigue e separate
    dalle abitazioni dei Cristiani. Questi luoghi devono essere designati da Noi nell’Urbe
    e dai nostri Magistrati nelle città, terre e località dette sopra e potranno avere una sola
    entrata ed una sola uscita.
    § 2 – Inoltre, in ogni città, terra o località in cui abiteranno abbiano una sola sinagoga
    in quel luogo comune. Non possano costruirne di nuove né possedere beni immobili.
    Tutte le loro sinagoghe, tranne una, siano perciò distrutte e rase al suolo e vendano ai
    Cristiani entro il lasso di tempo stabilito dagli stessi Magistrati quei beni immobili
    che ora possiedono.
    § 3 – E affinché vengano riconosciuti ovunque come Giudei, siano tenuti e obbligati a
    portare i maschi un berretto, le femmine un altro segno evidente che non si possa
    nascondere o in alcun modo celare di colore glauco. E non possano essere dispensati
    21
    o esonerati in alcun modo dal portare il berretto o altro segno simile, col pretesto di
    un loro qualsiasi grado o preminenza, o per tolleranza né dal Camerario della Chiesa,
    né dai Chierici della camera Apostolica né da altre persone aventi autorità su di loro,
    né dai legati della Sede Apostolica o dai loro Vice-Legati.
    § 4 – Non possano avere nutrici o serve o altra servitù Cristiana di ambo i sessi, ne far
    allattare o nutrire i loro infanti da donne Cristiane.
    § 5 – Non possono lavorare pubblicamente o far lavorare alla Domenica o nelle altre
    feste di precetto della Chiesa.
    § 6 – Non possono in alcun modo opprimere i Cristiani ne stipulare contratti fittizi o
    simulati.
    § 7 – Non possono divertirsi o banchettare o intrattenersi in familiarità e in
    conversazione con i Cristiani.
    § 8 – Non possono redigere i libri contabili relativi a negozi con Cristiani se non in
    caratteri o in lingua italiana. In caso contrario tali libri non avranno alcun valore
    legale contro i Cristiani.
    § 9 – I suddetti Giudei si accontentino della sola arte “stracciaria o cenciaria”, come
    si dice popolarmente, e si limitino al piccolo commercio di frumento, orzo o altri beni
    commestibili necessari all’uso umano.
    § 10 – Chi di loro fosse medico, quand’anche chiamato è pregato di curare un
    Cristiano o di assisterlo, rifiuti.
    § 11 – Non permettano di essere chiamati “signore” dai Cristiani poveri.
    § 12 – Nella loro contabilità contino i mesi di trenta giorni, i giorni inferiori al
    numero trenta non siano contati come mese intero ma solo per il numero effettivo di
    giorni: esigano quindi per il numero effettivo di giorni e non per il mese intero. Non
    potranno vendere i pegni ricevuti in cauzione del loro denaro se non dopo che siano
    passati almeno diciotto mesi interi dal giorno in cui siano stati loro consegnati.
    Trascorsi questi diciotto mesi, se i giudei avranno venduto i pegni, dopo aver estinto
    il debito renderanno il sopravanzo al proprietario dei pegni.
    § 13 – Siano tenuti ad osservare inderogabilmente tutto ciò che riguarda il favore dei
    Cristiani nello statuto delle città, terre e località in cui abiteranno pro tempore.
    § 14 – E se venissero a mancare in qualsiasi modo riguardo ai casi predetti, diffidati
    dall’intero popolo Cristiano possano essere puniti ad arbitrio nostro, e dal nostro
    22
    Vicario o da coloro che dovranno essere da Noi deputati o dagli stessi magistrati ,
    nell’Urbe da Noi o dal nostro Vicario o da altri da Noi deputati e nelle città, terre e
    località prima detti dai medesimi Magistrati, secondo la qualità della colpa, anche
    come ribelli e colpevoli del delitto di lesa Maestà.
    Non ostano…ecc…
    Dato in Roma, presso San Marco. Nell’anno 1555 dell’Incarnazione del Signore. Il
    14 Luglio. Anno primo del Nostro Pontificato.

  6. #66
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    Predefinito Re: Tradizionalismo Cattolico e Destra Radicale

    La destra e la tradizione: da Elías de Tejada a Adriano Romualdi e Julius Evola



    In un precedente articolo su “Cultura. Da Julius Evola a Cristo passando per le visioni di Elias de Tejada”, avevamo messo in luce un tratto di storia della destra italiana da molti poco noto o addirittura sconosciuto. In Italia il rappresentante più influente del pensiero tradizionalista – con tutte le tortuosità dottrinali che tale termine evoca – fu senza ombra di dubbio Julius Evola.

    All’ombra del pensatore romano crebbero giovani destinati a diventare futuri deputati del Parlamento italiano, leader di peso all’interno del M.S.I. (Pino Rauti) e anche giovani intellettuali che videro assai presso spegnersi davanti a loro – in maniera assai tragica – prospettive lusinghiere, giungendo quasi a scalfire il monopolio culturale ostile del mondo accademico italiano. Ci riferiamo in particolare ad Adriano Romualdi, figlio dell’allora presidente del M.S.I. Pino, che morì in un incidente stradale appena trentaduenne. Dopo essersi laureato in Storia contemporanea all’Università La Sapienza, sotto la guida di Renzo De Felice, divenne assistente ordinario dello storico Giuseppe Tricoli all’Università di Palermo.

    Evola commenterà così la sua morte:

    “Con la morte del carissimo giovane amico Adriano Romualdi, dovuta ad una brutta contingenza, la nuova generazione orientata in senso «tradizionale» e di Destra viene a perdere uno dei suoi più qualificati esponenti. Nel mio ambiente, pochi avevano una cultura vasta e varia […] Egli volle dedicare anche un saggio – il migliore che conosco – alla mia attività e alle mie opere: è uscito presso l’Editore Volpe, che per lui aveva egualmente un’alta considerazione […]. Col riconoscimento anche accademico, per cui recentemente a Romualdi era stata affidata una cattedra, gli si apriva già una più vasta sfera di influenza e di possibile formazione spirituale della nuova generazione”. (L’Italiano, agosto-settembre 1973: RigenerAzione Evola / Per Adriano Romualdi - RigenerAzione Evola)

    Il giovane docente forlivese scrisse nel 1973, per la casa editrice Settimo Sigillo, Idee per una cultura di destra in cui passava in rassegna le schegge intellettuali ed il retroterra ideale che la destra culturale e politica aveva dietro di sé interrogandosi sulle prospettive – da par suo non particolarmente rosee – che si stagliavano lungo la sua linea d’orizzonte.

    Qualche anno prima, nel 1966, era passato quasi inosservato la pubblicazione del libro La monarchia tradizionale (Edizioni dell’Albero di Torino) del cattedratico, filosofo del diritto e della politica ispanico, Francisco Elías de Tejada. Il sottotitolo, estremamente significativo: Il fascismo superato a destra, recava con sé più di un qualche spunto critico e affidava all’intelligenza del lettore il compito di indagare l’origine della tradizione italiana nel campo della concretezza storica, alla luce di una visione del mondo ben ordinata e definita.

    L’introduzione La tradizione Italiana e la postfazione La tradizione di Napoli, scritte appositamente per la traduzione in lingua italiana dell’opera, sono tra le pagine più importanti e dimenticate della cultura tradizionale e di destra della nostra penisola.

    Perché – ci si potrà chiedere – mettere in relazione, sin dal titolo, la tradizione italiana con quella di Napoli? La prospettiva del pensatore ispanico muove i passi dalla terra dei suoi avi, Napoli, alla ricerca dell’“essenza di una tradizione italiana” (La tradizione Italiana, in La monarchia tradizionale, Dell’Albero, Torino 1966, p. 7), premunendosi contro il pericolo di “dissertare su temi estranei al mio ambiente” (Ibidem).

    Il tradizionalismo italiano, spiega il pensatore ispanico, ha dietro di sé secoli che racchiudono la sua linfa vitale, la quale deve essere riscoperta poiché è la sola che può mostrare la via per la rinascita dei popoli italiani. La concretezza storica e la realtà di un passato vivo, intimamente vissuto nel sangue dei suoi avi, consente a Tejada di affermare che la sfida più insidiosa, nella nostra penisola, alla retta comprensione del pensiero tradizionale è quella di “superare il moderno concetto di nazione”. “La mentalità del nostro tempo – spiega –, ed in special modo quella che hanno ricevuto nei centri d’insegnamento le ultime cinque generazioni, non concepisce con profili esatti né l’universale né il patrio, comprende solamente il nazionale come compiuta realtà politica” (Ivi, p. 14).

    Al fine di far risuonare le corde di un comune destino e inalberare una medesima vocazione occorre abbeverarsi “alla sorgente della storia per riconoscere la validità delle diversità rispettive, […] prima premessa per pervenire all’universalità e riscoprire finalmente la realtà di codesti popoli la cui personalità viene soffocata in nome di un nazionalismo, che, nato al suono dei tamburi della rivoluzione francese, entra già nella curva del tramonto” (Ivi, p. 15).

    La “compiuta realtà politica” a cui invita a guardare Tejada è l’Impero ispanico (e non già semplicemente spagnolo) dei secoli XVI e XVII. “Sotto re come Carlo V e Filippo II – egli scrive – Napoletani, Milanesi, Sardi, Siciliani avevano accesso al governo dei loro popoli e perfino governavano genti della penisola iberica o del continente americano”. Le “Italie” del XVI secolo non sono l’immagine sfigurata di una realtà amorfa né rappresentano l’idealizzazione di una contingenza storica astrattamente considerata. Esse, al contrario, costituirono l’ordine sociale “giusto” ed autenticamente “tradizionale”, in quanto unirono “saldamente la diversità storica nella comune impresa del cattolicesimo militante”.

    Aver ignorato la forza propulsiva della Controriforma e la missione universale e civilizzatrice del cattolicesimo romano, di cui si fecero alfieri i re ispanici, fu precipuamente il limite della “portentosa costruzione […] dell’esimia figura di Julius Evola, con tutto il rispetto che merita la sua statura eccezionale”. (F. Elías de Tejada, Julius Evola alla luce del Tradizionalismo ispanico, in “Arthos” (Genova) n. 4-5/1973, p. 192)

    La vocazione eroica e cavalleresca che animava i temuti Tercios ispanici (i quali videro la luce proprio in Italia, tanto che le formazioni più antiche recano sin dal nome le loro origini: Tercio Viejo de Nápoles, Tercio Viejo de Sicilia, Tercio Viejo de Lombardía o de Milán) traeva impeto e vigore, fedeltà e sprezzo del pericolo, santità e saldezza dal “senso cristiano della vita, [dal]la perseveranza tenace nel servizio del Cristianesimo quale lo formula la dogmatica del Cattolicesimo romano. […] Italiani e Spagnoli – afferma Elías de Tejada – innalzarono in Trento il monumento della loro fede nei termini immortali che, piacciano o no, sono nostri. Quel nostro cattolicesimo fervente ed intransigente sostenne le battaglie del Signore e ci dette coscienza del nostro comune destino. Potranno i popoli essere diversi nella storia, appunto perché sono uniti nella fede (La tradizione Italiana, in La monarchia tradizionale, Dell’Albero, Torino 1966, p. 24).

    Una fede che, all’indomani del Concilio Vaticano II, ha perso smalto e mordente, per inseguire un associazionismo scialbo e inconcludente disperso nelle melmose paludi di una filantropia che elimina da sé ogni richiamo al trascendente, bandisce la sacralità ed elimina Verità e dogmi dal proprio orizzonte esistenziale.

    Una constatazione che, nonostante le mille ritrosie e i dovuti distinguo, lo stesso Evola non poté mancare di far sua, affermando in Orientamenti che

    “[…], se il cattolicesimo fosse capace di far propria una tenuta di alta ascesi ed appunto su questa base, quasi come in una ripresa dello spirito del miglior Medioevo crociato, far della fede l’anima di un blocco armato di forze, quasi di un nuovo Ordine Templare compatto e inesorabile contro le correnti del caos, del cedimento, della sovversione e del materialismo pratico del mondo moderno-certo, in tal caso, ed anche nel caso che come minimo esso si fosse tenuto fermo alle posizioni del ‘Sillabo’, per la nostra scelta non potrebbe esservi un solo istante di dubbio” (J. Evola, Orientamenti, Europa, Roma 1971, p. 21).

    Lo stesso Signore, tuttavia, mai promise la placidità delle acque sulle quali avrebbe solcato la barca di Pietro, né assicurò la clemenza dei tempi a venire, anzi. Assicurò però la vittoria finale, la salvezza per coloro che crederanno sino alla fine. La prospettiva di un “giudizio finale” (“Sono venuto in questo mondo perché si operi un giudizio, affinché quelli che non vedono, vedano, e quelli che vedono, non vedano”- Gv 9, 39) e la visione della vita da intendersi come “militia” (“Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla Terra; non sono venuto a portare la pace, ma la spada” – Mt 10, 34) ha permesso per secoli, a milioni di persone, di conoscere il sano significato di “misericordia”, la quale, per esercitarsi, non può fare a meno della giustizia, termine finale a cui è indissolubilmente ancorata.

    Sotto le medesime coordinate trovò forza e rifugio quella “religiosità idalga, militante, combattiva. Quella stessa che nelle Sue [di Cristo] parole era violenta definizione dei farisei come sepolcri imbiancati. […] In questa religione dura e militare – scrive Elías de Tejada – trova posto l’avvicinamento a Dio per mezzo del servizio, usando armi dottrinali e materiali. Il Cristianesimo è, nella versione tradizionalista ispanica, servizio a Dio secondo questi insegnamenti di Gesù Cristo. Perciò nella Cristianità medievale vi furono eroiche crociate concepite come forme di religiosità cavalleresca, perciò il Cristianesimo fu lotta di otto secoli nella penisola ispanica, per questo il Cattolicesimo della Controriforma si chiamò Mülhberg e Lepanto, per questo la Spagna fu Cristianità missionaria […]. Giungere a Dio attraverso la milizia è la forma eroica della Tradizione ispanica” (F. Elías de Tejada, Julius Evola alla luce del Tradizionalismo ispanico, in “Arthos” (Genova) n. 4-5/1973, p. 204).

    Oggi la destra politica italiana ed europea si trova in un momento di svolta. La situazione propizia che si trova dinanzi deve risvegliare memoria, incentivare riflessioni, stimolare letture al fine di rimettersi in gioco scommettendo sul realismo; su un modello che abbia la realtà storica, culturale e religiosa al centro della proposta politica. Rientrare in possesso della nostra anima implica uno sforzo culturale e valoriale obnubilato dallo “Zeitgeist” contemporaneo, che si presenta sotto le vesti suadenti ma quanto più distruttive della post-modernità.

    La Tradizione, ente concreto, nemico di qualsivoglia astrattismo, è la stella polare a cui deve guardare la destra. Ecco perché occorre tornare a sfogliare libri come quello di Adriano Romualdi, ad organizzare eventi, dibattiti, discussioni ove idealità e cultura abbiano la meglio su alleanze elettorali ed orizzonti partitici. Occorre tornare a parlare di eroismo e sacrificio, e di legare alla militanza quotidiana la Croce di ogni giorno, fonte ed alimento di qualsiasi “azione impersonale”, così come ci ha indicato nei suoi scritti e nella fecondità del suo pensiero il maestro Francisco Elías de Tejada.

    https://www.barbadillo.it/86279-cult...-julius-evola/

  7. #67
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    Predefinito Re: Tradizionalismo Cattolico e Destra Radicale

    La Politica e la Destra secondo la Tradizione

    La Politica e la Destra secondo la Tradizione | Luca Valentini

 

 
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