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  1. #1
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito 1995. XXVI° Congresso nazionale del PSd’Az.

    Proseguendo la pubblicazione di documenti che in qualche modo hanno scandito le vicende interne del PSd’Az, questa volta riporto le Tesi presentate al XXVI° Congresso Nazionale, svoltosi presso l’Hotel Chia Laguna, Domus de Maria, l’11 e 12 dicembre del 1995 appunto nella Baia di Chia.
    Non ero presente a quel Congresso, anche perché deluso dalle circostanze ed eventi che negli anni immediatamente precedenti agitarono le acque, anche nel PSd’Az.
    È noto che la prima metà degli anni ’90 segnò una metamorfosi politica epocale, con la stagione di “mani pulite”, che stravolse la fiducia nei Partiti della cosiddetta prima repubblica.
    L’evoluzione, a mio parere, fu ancora peggiore con la nascita di formazioni politiche come Forza Italia, “partito azienda” che raccolse la diaspora destrorsa del PSI e della DC.
    Questo clima politico cominciò a influenzare anche qualche esponente “sardista”.
    Di quegli anni rammento che alle elezioni politiche italiane di Camera e Senato, nell’aprile del 1992, venne eletto Senatore il noto cardiochirurgo Valentino Martelli, la cui candidatura nelle liste del PSd’Az fu voluta dall’allora segretario Giorgio Ladu.
    Il Senatore, dopo la sua elezione espresse perplessità in merito al bilinguismo, aderendo successivamente a Partiti della destra italiana.
    Su quella vicenda, rimase famosa la lettera che Michele Columbu inviò alla stampa, e che l’Unione Sarda titolò: “Caro Senatore, il PSd’Az non è una lavatrice”.
    Mi ripropongo di postarla in un’altra discussione poiché contiene considerazioni attualissime.
    Nel PSd’Az, dal 1990 al 1995 si sono succeduti ben cinque segretari, sintomo delle contrapposizioni e contraddizioni che hanno lacerato anche rapporti personali.
    L’eredità di Carlo Sanna, il grande Segretario del “vento sardista” degli anni ’80, fu raccolta da Efisio Pilleri (luglio 1990 - giugno 1991), a cui subentrò Giorgio Ladu (giugno 1991 - aprile 1992), quindi Italo Ortu (giugno 1992 - aprile 1994), Giancarlo Acciaro (16 aprile 1994 - 27 aprile 1994); Cecilia Contu (aprile 1994 - dicembre 1995).
    Fu proprio con la segreteria di Cecilia Contu che venne predisposto il XXVI° Congresso.
    Il Consiglio Nazionale di allora, tenutosi ad Oristano il 22 gennaio 1995, stabilì il tema: FEDERALISMO OGGI – Continuità storica del PSD’AZ.
    Pertanto, passò la scelta di non lasciare completamente aperte le opzioni su eventuali linee politiche partendo dalla “base” degli iscritti, definendo un quadro di riferimento.
    Dovendo commentare adesso, avendo un ricordo vago di quel periodo, mi sembra ci sia stato un tentativo di arretramento rispetto all’obbiettivo dell’indipendenza.
    Parlare di Federalismo, sia pure specificando la pre-condizione dell’indipendenza nazionale, significava rimuovere l’ostacolo che consisteva, allora come ora, nel trovare soluzioni per raggiungerla questa indipendenza.
    Nonostante la “cornice ristretta” del federalismo, nelle tesi presentate sono presenti parecchi dubbi e distinguo in merito al rapporto tra indipendentismo e federalismo.
    Furono proposte tre Tesi, inviate alle Sezioni territoriali per la loro discussione, protocollate 15 febbraio 1995 e numerate, senza indicare i proponenti.
    Anche questa scelta di anonimato nella presentazione delle tesi, se da un lato intendeva privilegiare la discussione sui contenuti, omettendone la titolarità, alla fine poteva dimostrarsi inutile, tant’è che una di esse sembrerebbe scritta in prima persona.
    Comunque sia, per quanto non abbia letto interamente le tesi, mi sembra contengano spunti molto interessanti e sicuramente più attuali rispetto alla conduzione penosa dell’attuale PSd’Az.

  2. #2
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito Re: 1995. XXVI° Congresso nazionale del PSd’Az.

    Tesi N°10

    TESI PER IL XXIV CONGRESSO NAZIONALE DEL PARTITO SARDO D'AZIONE

    L'IDEA FEDERALISTA APPLICATA ALLA SARDEGNA: CONTINUITA' STORICA DEL PARTITO SARDO D'AZIONE




    1. IL FEDERALISMO EUROPEO

    1.1
    L'attuazione dell'idea federalista costituisce la migliore soluzione dei problemi politici europei.
    Già i reduci della grande guerra, fondatori del PSdAz, indicavano nella costruzione degli Stati Uniti d'Europa, la cornice all'interno della quale la Nazione sarda, autodeterminandosi, avrebbe esercitato la sovranità politica statuale, in un quadro federale.

    1.2
    Applicando i principi fondamentali del federalismo possono essere armonizzati i diversi interessi economici, colmate le ineguaglianze dei livelli di sviluppo accettare le differenze etnico-culturali e rafforzare i legami di solidarietà fra i diversi popoli europei nel rispetto delle proprie identità.

    1.3
    Il federalismo non può limitarsi alla delega di poteri a livello europeo, con un impoverimento crescente del livello delle decisioni inferiori.

    L'applicazione corretta dei principi federalisti necessità di una ridistribuzione corretta dei poteri legislativi ed amministrativi secondo il principio di sussidiarietà, affinché solo quelle competenze che non possono essere esercitate correttamente dal livello inferiore possano essere attribuite al livello superiore.

    1.4
    Malgrado il federalismo europeo sia stato concepito principalmente come federalismo degli “stati nazionali”, all'interno degli stati esiste una forte spinta federalista che opera con sviluppi e velocità differenti da paese a paese.

    Seguendo le differenti realtà economiche e culturali che distinguono i diversi stati membri dell'U.E. le Regioni (o Lander o Comunità autonome) acquistano una coscienza più precisa del loro ruolo e delle loro funzioni.

    1.5
    In Italia abbiamo assistito al parallelo sviluppo della partitocrazia, della corruzione e dell’inefficienza, con un’involuzione del ruolo delle Regioni costrette alla subalternità da una politica neo- centralista.

    Tutto ciò in contrasto con la generale tendenza ad associare le Regioni al processo d'integrazione europea per farne un motore dinamico nella costruzione dell'Europa.

    1.6
    Risulta quindi indispensabile, soprattutto in questo momento politico i ridefinire il ruolo delle Regioni in termini di poteri, dimensioni e specialità, trasformando le strutture politiche e costituzionali della Repubblica italiana in una vera Repubblica federale.

    1.7
    Le Regioni italiane, a Statuto ordinario e speciale, conservando ed esaltando le specialità etnico-storiche, ridefinendo dimensioni e peso economico, devono trasformarsi in Statualità componenti la Repubblica federale italiana, parte integrante dell'Unione politica europea.

    Implicate così direttamente nel dibattito sulla futura Costituzione federale europea, assumeranno il loro ruolo nella responsabilità di gestione delle risorse economiche, nel miglioramento della qualità della vita e nella valorizzazione della loro identità etno-storica.

    1.8
    Esiste il pericolo di una falsa interpretazione dei principi federalistici, ordinamentali e strutturali.

    L'Europa unita non può nascere solamente da decisioni dei Governi degli stati nazionali perché ne deriverebbe, come purtroppo sta accadendo attualmente, solo una "europeizzazione" di funzioni e compiti propri, fino ad ora, degli "stati nazionali" ed una nazionalizzazione" di attribuzioni che oggi' hanno carattere regionale".

    Questo processo violerebbe il principio di sussidiarietà e svilirebbe il significato della potestà politica e decisionale, annullando o riducendo fortemente la principale conquista federalista: fare leggi e programmare.

    1.9
    L'unione politica federale europea deve quindi distinguere:
    a- L'ambito europeo come sfera dì politica strutturale ed ordinamentale europea di attribuzioni sovranazionali.

    b- L'ambito di Repubblica federale italiana come sfera di attribuzioni “nazionali".

    c- L'ambito degli "Stati federati” all'interno del quale la Sardegna possa recuperare la sovranità politica, il diritto alla propria lingua e cultura e lo sviluppo economico e culturale di un popolo finalmente libero.

    1.10
    Per effetto dell'internazionalizzazione dell'economia e della conseguente omologazione culturale a livello planetario, della crescente interdipendenza, si è manifestato recentemente un fortissimo bisogno di identità locali rispetto alla dimensione dello Stato centralista che si sommano alle tradizionali rivendicazioni "nazionalitarie".

    Il modello statalístico è entrato in crisi per cui non sono più sufficienti aggiornamenti quantitativi dell'ordinamento regionale ma è necessaria una "rifondazione federalistica dello stato”, fino a dar vita ad un vero "Stato federale", che riveda il bicameralismo parlamentare istituendo la "camera delle Regioni e delle nazionalità."

    Alla base del processo riformatore bisogna invertire la logica dell'attuale articolo 117 della Costituzione, definendo solo i compiti dello Stato federale e considerando tutti gli altri attribuiti alle Statualità federate.

    Conseguentemente dovranno essere decentrati gli enti e le funzioni ministeriali federali, attribuendo alle statualità federate potestà impositiva con devoluzione parziale allo stato federale anche per le funzioni perequative.


    2.LA RIFORMA FEDERALE DELLO STATO ITALIANO


    2.1
    I padri fondatori del sardismo elaborarono una teoria politica che puntando all’ “autonomia" della Sardegna potesse creare le basi istituzionali, economiche e culturali dell'autogoverno del popolo sardo.

    Successivamente, pur sconfitta parzialmente dai partiti italiani centralisti, la proposta di Statuto in un quadro federalista, presentato dal PSdAz alla Consulta sarda, perché fosse approvato alla Costituente, ha costituito un punto di riferimento importante per ogni successiva elaborazione sardista.

    Più recentemente, il 5/10/1990, basandosi sull'esperienza e sulle nuove acquisizioni teoriche etno-nazionali ed aggiornando il progetto rispetto all'attualità, il PSdAz ha presentato la proposta di modifica della legge costituzionale n'3 del 26/02/1948, per modificare in senso federalista c all'interno della vigente Costituzione lo Statuto d'Autonomia speciale.


    2.2
    Il nostro progetto di Statuto, molto avanzato quasi cinque anni fa quando venne elaborato, può essere migliorato tenendo conto delle nuove elaborazioni dei sardisti e dei federalisti.

    Bisogna sopratutto adeguare l'elaborazione ai profondi mutamenti avvenuti sulla scena politica mondiale, europea ed italiana in questi anni.

    In particolare la crisi profonda dello Stato italiano trascina con se forme partito e forme d'autonomia che malgrado le affermazioni contrarie hanno sempre mantenuta viva la struttura centrale e centralistica dello stato.

    Sopratutto il dibattito sulla nuova articolazione istituzionale della Repubblica ha dimostrato come il federalismo debba sostituire il decentramento ed il regionalismo.

    La pratica recente ha reso esplicito quanto la classe politica italiana, comprese le succursali isolane, abbiano depotenziato il già debole statuto speciale della Sardegna, annullando il patto costituzionale che era posto alle basi della Repubblica.

    La crisi politica, etica, economica e culturale che viviamo da qualche anno ha travolto la stessa Costituzione del 1948.

    E' nella prospettiva di riforma federale della Costituzione che dobbiamo mettere mano alla nostra proposta di Statuto.


    2.3
    La nostra Carta fondamentale deve adattarsi alle complessità presenti e future della Nazione sarda e spetta esclusivamente alla Nazione sarda il diritto e l'onere di trasformare e ridefinire la propria Carta costituzionale.

    Deve essere esplicitato il carattere sovrano della Costituzione dell'entità sarda federata, in tutte le competenze non delegate allo stato federale e nella gestione delle sue risorse.

    Bisogna proporre al popolo sardo, non la rinuncia all'esercizio dell'autodeterminazione, diritto naturale, inalienabile ed esercitabile-in qualsiasi momento si ritenga necessario ed opportuno, ma un percorso per tappe realistico e pacifico dì liberazione nazionale.

    Proponiamo di sperimentare la convivenza con popoli ed etnie del resto dello stato italiano (e dell'Europa), in condizioni più favorevoli a quelle del passato, assumendo liberamente patti federali e mettendo assieme energie, intelligenze, risorse e solidarietà.

    In previsione che lo Stato italiano non accetti la ricontrattazione del rapporto istituzionale con la Sardegna o che il patto federale si risolva in un patto leonino o che si presentino condizioni politiche favorevoli il Congresso dà mandato al Consiglio nazionale di elaborare una proposta che preveda per la Sardegna, da sola o assieme ad altre "Nazioni senza stato" europee, il passaggio di tutti i poteri federali a Bruxelles, accelerando così la formazione dell'Unione europea dei popoli


    2.4
    La Costituzione italiana può essere trasformata in Costituzione federale solo da un'Assemblea Costituente eletta col sistema della pura proporzionalità della rappresentanza, per permettere a tutti ed in particolare alle forze solo numericamente più piccole d'esprimersi liberamente.

    All'interno della Costituente l'aggregazione delle forze più coerentemente federaliste e vicine agli interessi popolari potrà far scaturire una nuova Costituzione federale basata sull'elaborazione e su proposta emergente dal basso.

    Dalla Sardegna deve venire la proposta di Statuto sardo federalista, frutto dell'opera insostituibile dei sardisti ma anche di una forte alleanza fra diversi soggetti politici che possa creare le condizioni- affinché i sardi perché insoddisfatti o per ratificare scelte istituzionali condivise, possano in un arco di pochi anni, esercitare attraverso un referendum il proprio diritto all'autodeterminazione.


    2.5
    In questo spirito, assumendo come proprie tutte le elaborazioni in tema di federalismo prodotte dal PSdAz, il Congresso considera attualmente valida la proposta di legge sardista di riforma dello Statuto sardo.

    Dà mandato al Consiglio nazionale affinché all'interno della riforma federalista della Carta Costituzionale possa celermente aggiornare il progetto e soprattutto farlo condividere nei suoi principi fondamentali dalla maggioranza delle forze politiche, sociali, culturali del popolo sardo.


    2.6
    Qualsiasi livello d'applicazione del diritto all'autodeterminazione e le lotte necessarie per il raggiungimento di questo scopo, compreso lo statuto sardo di sovranità e statualità in un quadro federale, costituiscono una tappa importante della realizzazione della democrazia integrale per il popolo sardo.


    A questa lotta ed a questi obiettivi sono interessati tutti coloro, che pur potendo aspirare a sistemi economici e sociali diversi ed a volte alternativi fra di loro, si riconoscano quali componenti la nazione sarda e lottino per la sua sovranità federale.

    La lotta per l'indipendenza nazionale può unire forze sociali e politiche diverse,le quali ottenuta la statualità e la sovranità per la nazione sarda,possono proporsi al corpo elettorale affinché la maggioranza di esso scelga fra le diverse ispirazioni politiche, i diversi programmi di governo,i diversi candidati, per governare la Sardegna,con un sistema elettorale e di governo che garantisca,nel rispetto della Carta costituzionale sarda,l'alternanza fra forze o coalizioni di forze, alternative l'una all'altra.



    3.PROGETTO ECONOMICO-SOCIALE ED ALLEANZE

    3.1
    Il PSdAz che propone nella sua carta statutaria il più completo ed avanzato progetto d'autodeterminazione non può sottrarsi nel prefigurare il sistema politico ed economico da proporre ai sardi, per la risoluzione dei problemi di ogni giorno e di quelli che si presentano nel Governo della Sardegna durante la lunga e difficile transizione all'indipendenza nazionale.

    Come Partito politico il PSdAz deve indicare nel Congresso la conferma dei principi sardisti e le grandi linee di politica generale. Spetta successivamente al Consiglio nazionale proporre i programmi elettorali e di governo. Gli eletti nel Parlamento dei sardi e nelle diverse Assemblee elettive devono applicare concretamente le migliori soluzioni rispondenti ai bisogni reali, immediati e nel medio periodo.


    3.2
    Il PSdAz organizzazione politica di minoranza rappresentante un Popolo di "minoranza", è sempre stato contrario al partito unico ed all'egemonia ottenuta attraverso leggi elettorali maggioritarie.

    Gli obiettivi sardisti dovranno quindi essere raggiunti attraverso il convincimento alle nostre tesi dei Sardi e delle forze politiche nelle quali i sardi ritengono di organizzarsi.

    L'influenza sardista spinge le altre forze politiche a sardizzarsi e a cessare la pratica del succursalismo e della dipendenza da centrali non sardo.

    Purtuttavia le idealità politiche e programmatiche non sono tutte uguali ed il PSdAz deve scegliere campi d'azione ed alleanze coerenti con la sua storia e natura di partito di liberazione nazionale e sociale.


    3.3
    Ferma restando la più ferma opposizione del sardismo a~ qualsiasi forma di totalitarismo, di fondamentalismo, di nazionalismo appressare, per realizzare accordi politici ed organizzativi non è sufficiente accettare una prospettiva genericamente federalista.

    Nessun accordo a contiguità è possibile con quei soggetti politici che propongono un mascherato ed anacronistico separatismo accompagnato da una non esplicita accettazione della via pacifica, democratica e riformista al federalismo.

    Nessun accordo è possibile con quei soggetti politici che pur accettando la prospettiva federalista, sul piano sociale ed economico, basano la loro azione sullo scontro fra le classi sociali e la costruzione di un'economia statalista e a programmazione centralizzata.

    3.4
    Compito del sardismo è quello di trasformare la “costante resistenziale" dei sardi in un'offensiva creativa basata sulla comune coscienza dell'identità etno-política che, con un identificato e chiara "sentire comune" possa costituire la base indispensabile di un "patto" o "foedus" fra forze politiche e sociali che mettano assieme la ricchezza delle loro identità differenziate per sconfiggere il nemico storico dei sardi, il centralismo, il colonialismo e la subalternità.

    In nessun caso accordi politici ed organizzativi debbano o possano significare per il PSdAz scioglimento, assorbimento, subalternità o perdita dell'identità di partito dell'indipendenza e del federalismo dei sardi.

    Con questa spirito il Congresso nazionale del PSdAz da mandato al Consiglio nazionale, previa mantenimento della totale indipendenza politica ed organizzativa del PSdAz, per ricercare alleanze con le forze politiche antifasciste ed antitotalitarie che condividano i seguenti principi:

    -Ottenere attraverso il federalismo un'indipendenza politica reale

    -Salvaguardare e potenziare la “specialità", intesa come filo conduttore dei processi politici, economici e culturali, tutti basati sull'IDENTITA' etnostorica della Nazione sarda, sulla difesa e sviluppo della lingua e cultura dei Sardi, interfaccia della cultura italiana ed Europea.

    -Parità linguistica attraverso leggi che riconoscano la lingua sarda e il diritto al bilinguismo ed al polilinguismo.

    -La cultura e la lingua dei sardi non possono costituire un capitolo a parte ma devono essere inserite, a pieno titolo, nel progetto generale di sviluppo culturale ed economico del futuro Parlamento sardo.

    -Libertà di cultura e di coscienza, perché può essere efficace un giusto progetto di riforma istituzionale e di sviluppo sorretto da un forte pensiero politico e culturale federalista, solo se gli intellettuali oltre a considerare i ritardi ed i guasti del presente, sono messi in grado di produrre idee, progettualità, nuova ricerca, arte, tecnologia e nuove procedure per garantire sviluppo vero e duraturo.

    -Libertà d'impresa e di mercato, stabilendo regole uguali per tutti, salvo le azioni positive per i soggetti più deboli, salvaguardando il libero corso dell'impresa produttiva.

    -Libertà di lavoro, perché non può esistere una società più giusta e pacifica, anche federalista, se non si avvia a soluzione e si risolve il diritto al lavoro per tutti.

    -Pari opportunità contro ogni assistenzialismo e protezionismo, eliminando in particolare ogni monopolio nell'informazione e comunicazione.

    ~Sostegno alle PMI e creazione di un sistema agroalimentare e turistico competitivi anche attraverso franchigie fiscali-doganali e drastiche facilitazioni economiche ed amministrative.

    -Caduta di tutti i monopoli e costrizioni coloniali attraverso l'attuazione della Zona franca.

    -Continuità territoriale con il continente europeo.

    -Autonomia energetica, gassificazione del carbone sulcis, metanizzazione ed energia pulita e naturale.

    -Sviluppo economico moderno, ad alto contenuto tecnologico e culturale.

    -Garanzia dei diritti del cittadino sardo contro gli antichi squilibri anche territoriali e le nuove emergenze sociali garantendo:
    La funzionalità dell'Amministrazione che realizzi in modi e tempi certi i diritti dei cittadini utenti del servizio pubblico.
    Giustizia giusta e in tempi certi per tutti.
    Piani selettivi in favore dei soggetti più deboli per garantire i diritti alla assistenza ai disabili, alla salute, alla sicurezza privata e pubblica.

    Un progetto famiglia che raccolga ì bisogni specifici specialmente a coloro che operando in ambito familiare sono spesso tenuti fuori dal sistema di garanzie pubbliche.

    -Salvaguardia e ripristino dell'ecosistema sardo, sottraendolo alle speculazioni ed all'irreversibile esaurimento dovuto agli speculatori esterni ed interni.
    La ricchezza enorme dei valori ambientali, culturali e naturalistici della nostra terra non possono essere:
    Sprecati e privatizzati in modo massivo in nome dì uno sviluppo egoistico e senz'anima e soprattutto eterodiretto. Tutto ciò che colpisce l'ambiente umano corrompe l'identità, induce nuove contradizioni sociali e nuove forme di spoliazione culturale.
    Invocati come esclusivo elemento di salvezza, a se stante, fuori di un circuito di saggia utilizzazione e di migliore fruibilità sociale che permetta uno sviluppo sano, equilibrato e compatibile dell'economia sarda.

    -Reale federalismo interno a struttura reticolare, trasferendo competenze risorse ed opportunità, anche attraverso statuti d'autonomia speciale per le zone interne, risorgiva etnica della nazione sarda.

    -Soggettività internazionale, partecipazione diretta alla costruzione ed al governo dell'U.E., ridiscussione dei rapporti economici con la U.E. ottenendo lo status di “regione ultraperiferica" con le conseguenti deroghe alla politica agricola ed industriale comunitaria.

    -Ricontrattazione a livello internazionale dell'uso del mare del cielo e del territorio sardo in conseguenza di alleanze militari e all'interno della politica di difesa europea, riducendo al massimo la dipendenza e monetizzandone gli inevitabili oneri.

    FORTZA PARIS

  3. #3
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    Predefinito Re: 1995. XXVI° Congresso nazionale del PSd’Az.

    Tesi N° 11

    FEDERALISMO OGGI
    L'IDEA FEDERALISTA APPLICATA ALLA SARDEGNA SECONDO LA CONTINUITA' STORICA DEL PARTITO SARDO D'AZIONE




    PREMESSE

    Il mancato raggiungimento di un civile equilibrio sociale ed economico fra le diverse realtà presenti nel territorio nazionale, che doveva essere il principale obiettivo da conseguire, non appena completata l'unità d'Italia, sta facendo discutere non poco gli studiosi di storia, le organizzazioni politiche, culturali, sindacali, ed economiche.

    Il Partito Sordo d'Azione, in particolare per quanto può ottenere alla Sardegna, sin dalle sue lontane origini, va denunciando il fallimento di questo storico traguardo.

    Il disegno dell'unità nazionale, realizzato secondo un geniale progetto di architettura politica ideato dal liberismo - conservatore ottocentesco impersonato dalla monarchia Sabauda, si concludevo nel 1918 con la conquista dei Trentino e della Venezia Giulia.

    Detto progetto, tra l'altro, prevedeva di forzare l'integrazione delle diverse recitò sociali ed economiche attraverso l'imposizione di un ordinamento istituzionale e giuridico, rigidamente unitario e centralista. Mentre si perfezionava il disegno dell'unificazione nazionale, rimaneva un miraggio, un sogno, purtroppo, il secondo obiettivo, quello cioè, dei raggiungimento dell'equilibrio sociale ed economico vanamente atteso, soprattutto dalle regioni sottosviluppate dei Mezzogiorno e delle isole.

    Non ci sarebbe da stupirsi se oggi, sempre più apertamente, viene posto sotto accusa il grado di sovranità statale, il tipo di organizzazione della macchina governativa che si concentra in un apparato fortemente unitario e centralizzato, in antitesi, quindi inconciliabile con le diversità che caratterizzano le varie realtà distribuite ed economica, se lo società e l'economia italiana fosse, ad esempio, soltanto lombardo-piemontese, oppure soltanto tosco-emiliana, oppure soltanto calabrolucana, il processo di integrazione perfetto, così teorizzato, avrebbe sicuramente presentato meno difficoltò.

    L’alternativa ad una concezione di Stato così rigida e centralista, indubbiamente più congeniale alle realtà distribuite nel territorio dello Stato, è ancora quella federale, la sola in grado di conciliare le diversità, di superare la prospettato integrazione forzosa, dimostratasi demagogica quanto irrealizzabile. Attraverso la disciplina insita in un regime federale è possibile instaurare un civile rapporto di convivenza, di reciproca solidarietà e collaborazione. Tutto ciò per superare insistenti barriere psicologiche, abbattere gli squilibri sociali ed economici e pervenire ad una più equa ridistribuzione della ricchezza economica e dei prodotto lavoro. Occorre innanzitutto, porre fine alla sistematica sottrazione di risorse dei suolo, dei sottosuolo, dei mare, dell'ambiente senza adeguate compensazioni.

    Il futuro di una società civile, se si vuole evitare che nelle regioni più deboli ristagnino vergognose sacche di povertà; il futuro dell'Europa che sta marciando sulla strada dell'aggregazione federale; il futuro dell’Italia dove si stanno riscoprendo i valori dei Federalismo; il futuro della Sardegna dove il tema “Nuova Autonomia e Federalismo" è ormai largamente dibattuto e accettato, si misura appunto, sulla capacità di attivare questi fondamentali principi: convivenza civile, reciproca solidarietà, collaborazione.

    Questo non può significare piattimento di aiuti gratuiti nemmeno sotto forma di assistenzialismo, significa, per converso, stabilire il principio dei mutuo soccorso, soprattutto attraverso lo scambio, la circolazione delle risorse.

    Nel variegato mosaico che compone la recitò sociale e territoriale italiano, la Sardegna è il tassello che presento le peculiarità, le diversità più evidenti.

    Partendo da questi fondati presupposti, meglio spiegati più avanti, il Partito Sordo d'Azione ritiene inadeguato, non rispondente alla natura geografica dei territorio, alle specificità della società, la vigente Autonomia Speciale riconosciuto alla Sardegna, come dei resto, ampiamente dimostrato da un'esperienza ultra quarantennale.

    Il Psd'az richiamandosi alla Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, come otto finale della Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e cooperazione in Europa, nonché alla Dichiarazione della Comunità Europeo sui diritti delle minoranze, nel prefiggersi il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono al popolo Sordo di inserirsi nell'equilibrio sociale italiano ed europeo, crede di individuare nella concezione federalista lo strumento istituzionale che meglio può conciliarsi con la realtà sarda.

    Ci rendiamo perfettamente conto che trasformare uno Stato che ha ormai rodici centraliste molto profonde, quale è quello Italiano, in Stato federale non è un'impresa facile. Allo stesso tempo ci rendiamo ugualmente conto che insistere sul vigente sistema ormai superato dalla storia e dalla evoluzione in otto, rappresenta bloccare il processo di crescita equilibrata tanto auspicato dalle comunità delle aree sottosviluppate.

    Ci conforto il fatto che in Europa sono ormai molti gli esempi positivi di Stati federali. Anche il mondo politico italiano, dalla destra alla sinistra, abbandonate le vecchie pregiudiziali unitaristiche ad oltranza, sta approfondendo l'idea di trasformare lo Stato vigente in Stato federale. E' indubbiamente un segno di maturità politica, di consapevolezza della realtà storica. Dei resto, il processo di aggregazione in otto in Europa è un incoraggiante punto di riferimento.

    Il XXIV Congresso Nazionale dei Partito Sardo d'Azione è chiamato ad approfondire il delicato quanto vitale argomento, a definire le ragioni, il carattere, la natura, gli scopi dei PATTO FEDERATIVO che si propone di stabilire fra la Sardegna e lo Stato Italiano.






    " .... il riordinamento in senso autonomistico del regime deve dar luogo a un nuovo
    Stato Federale. Esempio: la Gronde Confederazione Americana, la Svizzero, la Germania…”

    Camillo Bellieni (1921)







    1 PRESUPPOSTI CHE SOSTENGONO INIDER FEDERALESTA APPLICABILE ALLA SARDEGNA


    1.1 DISCONTINUITA GEOGRAFICA RISPETTO AL RESTO DEL TERRITORIO ITALIANO E I SUOI EFFETTI:


    La Sardegna è collocato al centro dei Mediterraneo occidentale e dista dal continente europeo, quindi dall’Italia, 225 Km circa. Più o meno la stesso distanza la separa da quello africano.

    Lo stato di insularità condiziono enormemente il movimento delle merci e delle persone in entrambi i sensi. Da questa premesso nasce l'esigenza di individuare i mezzi e gli strumenti, per superare gli ostacoli posti, appunto dalla discontinuità territoriale, al fine di unire più saldamente la Sardegna all’Italia, all'Europa, al resto dei mondo.

    Gli strumenti più idonei per il raggiungimento di questo obiettivo vanno ricercati nel mezzi di trasporto moderni e tecnicamente più avanzati. L’esperienza maturata da altre nazioni consiglia inoltre l'opportunità di studiare adeguate misure legislative di compensazione, atte a stabilire un giusto equilibrio fra i costi unitari dei percorsi marittimi e quelli dei percorsi ferroviari e stradali.

    Mentre possiamo affermare che l'isolamento geografico ha condizionato nei secoli la formazione ed il rafforzamento dell'identità etnico-culturale e la coscienza nazionale dei popolo sordo, per altro verso ha sempre rappresentato un fattore negativo nella frequentazione di rapporti sociali, culturali ed economici con altri popoli.

    Tuttavia i maggiori condizionamenti si sono verificati durante le dominazioni straniere, le quali hanno impedito ci sordi, sia pure con le buone maniere, di dotarsi di una propria flotta per stabilire rapporti con altri popoli mediterranei e commercializzare liberamente le risorse dei proprio territorio e dei proprio lavoro.




    1.2 LA COSCIENZA ETNICA NAZIONALE DEL POPOLO SARDO.


    Innanzi tutto quello sardo è un popolo autoctono molto antico, sul piano etnico e su quello sociale. Una lunghissima serie di vicende storiche, hanno imposto alla Sardegna le dominazioni più disparate; ebbene il popolo sordo non ha mai smarrito la propria identità etnico, la propria cultura, la propria lingua.

    La dignità di Nazione, per la coincidenza di una serie di presupposti basilari quali: la composizione omogenea della società con una propria lingua, una propria cultura, propri ordinamenti giuridici, nonché una unito geografico definita, in un momento storico abbastanza torbido, fu riconosciuta e posta all'attenzione internazionale da Papa Bonifacio Vili (1297) creando il Regno di Sardegna.

    Tale dignità fu in seguito rispettato dagli Aragonesi, dagli Spagnoli, dai Piemontesi, i quali riconobbero alla Sardegna uno speciale "Status" di autonomia impersonato dagli "Stamenti" e dalla "Cortes".

    A partire dal momento della fusione della Sardegna con il Piemonte (1847), si discute animatamente della «Questione Sorda", come testimonianza delle inadempienze dello Stato Italiano nei confronti della Sardegna, la quale, pur godendo dal 1948 dello Statuto speciale di Regione Autonoma non ha avuto, sul piano linguistico-culturale le stessi leggi di tutela di cui godono le minoranze di altre Regioni.

    Il perdurare dell'insensibilità da parte dei Governi centrali, ha fatto si che il problema della Nazionalità Sorda abbia avuto una notevole reviviscenza negli anni Sessanta e Settanta, sia in senso autonomistico che in quello dell'istituzione di una tutela della lingua e della cultura sorda all'interno dello Stato Italiano.

    In quest'ottica si collocano varie proposte di legge presentate al Parlamento, volte al riconoscimento della parità giuridica della lingua sardo con la lingua italiana e all'introduzione dei sistema dei bilinguismo nell'isola, secondo il sistema già vigente in altre realtà dei territorio italiano.


    Ad oggi il problema della identità dei Sardi è ancora vivo e del tutto irrisolto, tradizioni e cultura non hanno alcuna tutela da parte dello Stato centrale e di fatto l'uso della parlata sordo, non è stato mai consentito dallo Stato Italiano nelle sedi pubbliche, fatto che testimonia l'errata valutazione che le Autorità italiane continuano a manifestare sulla originalità della cultura Sorda.


    1.3 TRADIZIONI CULTURALI, LINGUISTICHE, GIURIDICHE E STORICHE DELLA SARDEGNA.


    La Sardegna ha una antica e lunghissima tradizione linguistico-culturale. la lingua delle popolazioni sarde è una parlato neolatina appartenente al gruppo occidentale.

    Lo spiccato isolamento, sia culturale che materiale, vissute da molta parte dello Sardegna, per molti secoli, hanno comportato uno sviluppo dei latino in modo assolutamente originale e autonomo, è per questa ragione che gli studiosi hanno senza difficoltà riconosciuto nel sordo un sistema linguistico dei tutto indipendente.

    Occorre necessariamente tener conto, inoltre, dell'entità numerica dello minoranza sarda, la quale conto una popolazione residente di 1.600.000 abitanti circa, secondo l'ultimo censimento. Tenendo conto di queste indicazioni e con l'ausilio di alcuni dati ISTAT in proposito, possiamo valutare che soltanto il 10% della popolazione sia totalmente italofona, l'8-9% esclusivamente sardofona ed il restante 80% circa bilingue.

    Tali stime ci portano ad affermare che la minoranza linguistico sarda è la più consistente numericamente fra tutte quelle dei territorio italiano, a questo dato vanno inoltre sommati i circa 700.000 Sardi emigrati in Italia ed all'estero i quali, non hanno mai smarrito i valori della loro originaria cultura.

    Oggi si assiste ad una notevole rivalutazione della lingua e della cultura sorda, con una fioritura di opere e premi letterari in lingua, tale interesse stimola vivaci discussioni e ricerche, nonché un accresciuto sensibilità per i problemi legati al riconoscimento ufficiale della parlato sarda.

    La tutela e la salvaguardia della lingua dei sordi, la suo divulgazione ed il suo studio sono ancor oggi affidati quasi esclusivamente alla sensibilità ed all'amore delle popolazioni della Sardegna, nonché all'attenzione degli studiosi in materia, fra i quali molti stranieri come Wagner e Mommsen. Va ricordato che la lingua sorda è studiato in numerose Università dei mondo, dalla Francia alla Russia, dalla Germania all'America, dalla Spagna al Giappone.

    Per quanto ottiene l'uso della lingua sorda in documenti ufficiali, occorre riferirsi a tempi più antichi, in particolare al periodo giudicale, durante il quale proprio in lingua sorda furono scritti tutti i documenti ufficiali, mentre si calcola che circa il 50% di essi venivano scritti durante il periodo della dominazione aragonese e spagnola conservati negli archivi civili ed ecclesiastici.

    Persino la Chiesa, nel periodi oscuri dei Medioevo e durante le dominazioni straniere sentiva la necessità, nei rapporti con i fedeli, di usare la lingua locale.

    Anche i testi giuridici, la Corto De Logu, gli Statuti dei Comuni autonomi, furono scritti in lingua sorda. L'arcaicità, l'alto livello letterario della cultura sorda è ampiamente documentata dalla tradizione orale ancora molto viva, dalla produzione letteraria pervenuto sino ai nostri giorni.

    La tradizione giuridico, ugualmente apprezzato in campo internazionale, risale al periodo giudicale. La Corta De Logu promulgata dalla giudichessa Eleonora di Arborea nel 1395, è una raccolta di norme giuridiche, civili e penali che furono applicate in tutto la Sardegna nel periodo giudicale. Tale era lo saggezza, la giustezza delle fonti di diritto a cui erano ispirate quelle leggi e l'aderenza alla recitò sorda, che quel codice rimase in vigore anche durante il dominio aragonese e castigliano e, nel periodo piemontese, sino al momento della promulgazione dei Codice feliciano (1827).



    1.4 Il FALLIMENTO DELL'ESPERIENZA REGIONALISTA


    Il processo teso ad affermare in Italia il principio delle autonomie regionali, come sappiamo è stato recente. Detto processo è maturato nella fase costituente della Prima Repubblica per contrastare le forze innovatrici che sostenevano la soluzione federalista.

    Proprio con la soluzione federalista si voleva imprimere una svolta operando contro il concetto unitario e centralista, sempre esaltato dall'assolutismo monarchico e dalla dittatura fascista.

    Sono note le battaglie sostenute dalla rappresentanza sardista ed in particolare da Emilio Lussu, prevalse allora un orientamento restauratore sostenuto dalle correnti conservatrici di destra e di sinistra.

    Il concetto regionalista entrava così a far parte della Costituzione Italiano e si articolava secondo due distinti modelli: Regioni a Statuto Speciale e Regioni a Statuto Ordinario.

    Tra le Regioni a Statuto Speciale, naturalmente fu compresa la Sardegna, in entrambi i casi si è trattato non di una assegnazione di poteri speciali, ma di un decentramento di competenze amministrative secondarie e rigidamente sorvegliate dal potere centrale, inoltre mentre le Regioni a Statuto Speciale furono realizzate già nella fase costituente, l'estensione della riforma alle Regioni a Statuto Ordinario fu attuata circa vent'anni dopo.

    Come era nelle previsioni il centralismo statale continuò ad imperversare nonostante le autonomie regionali, producendo non poche contraddizioni e conflitti, una delle più macroscopiche emerse quando fra il 1972 ed il 1973 furono emanati i decreti che disciplinano la riforma tributaria. In virtù di tali provvedimenti, la forza impositiva veniva concentrato nelle mani dei potere centrale, ai Comuni fu sottratta anche quella residuo autonomia impositiva che esercitavano con l'applicazione dell'imposta di famiglia, dei dazio sui consumi ed altre imposte minori.

    In sostanza l'introduzione dei modello "speciale" regionale, con illusioni autonomistiche, non ha prodotto gli effetti sperati, anzi in riferimento al divario sociale ed economico, le Regioni Settentrionali continuano ad essere sempre più ricche, più forti, più avide di potere economico, mentre quelle Meridionali sempre più povere, più deboli e per quanto ci riguarda più isolati.

    Numerose realtà sociali, hanno accusato situazioni gravi di depressione sociale ed economica, di tutti i giorni sono le cronache che testimoniano situazioni di emarginazione che hanno alimentato il triste fenomeno della emigrazione e della disoccupazione.
    Il fallimento dell'esperienza regionalista è particolarmente avvertito in Sardegna, una constatazione che nel Partito Sordo d'Azione rafforzo la certezza dei ricorso a forme più serie e più concrete di autonomia per uscire dai vicolo cieco dell'isolamento materiale e socio-culturale e dalla sudditanza.







    " ……. l’indipendenza significherebbe per í sardi essere collettivamente padroni del loro destino in un mondo di liberi e di uguali, sottraendosi definitivamente allo tutela di una potenza coloniale ........”

    A. Simon Mossa (19ó7)







    2 OBIETTIVI E SCOPI DEI RAPPORTO FEDERATIVO

    Il popolo Sordo, il territorio della Sardegna e delle isole, il mare territoriale, la lingua e la cultura dei Sordi, costituiscono la Nazione Sorda.

    Essa a suo volta è costituito in Repubblica Autonoma federato allo Stato Federale Italiano.

    Obiettivo primario dei "PATTO FEDERALE" deve essere quello dei riconoscimento dei diritto dei popoli all'autodeterminazione.

    La sovranità statuale, le competenze legislative e di governo devono essere ridistribuite fra lo Stato Federale e la Repubblica di Sardegna, in quanto Stato membro.

    La sovranità e le competenze attribuite allo Stato Federale ed allo Stato membro, non in contrasto fra loro, devono essere improntate al rispetto dei principio di libertà, di uguaglianza fra gli individui e fra i popoli, alla instaurazione di un corretto rapporto di convivenza, di cooperazione, di reciproca solidarietà sociale.

    Senza giustizia sociale, senza solidarietà sociale non è possibile raggiungere, nello spirito degli ideali federativi, gli irrinunciabili obiettivi di equilibrio fra le diverse realtà sociali ed economiche.

    La Sardegna, per volontà ferma dei suo popolo, intende rivendicare una più attiva presenza nell'area mediterraneo e nell'Europa Comunitaria. Non appare concepibile, sul piano storico e su quello politico, che l'insularità debbo continuare ad essere considerata un fattore fortemente penalizzante e pregiudizievole nei liberi rapporti che intercorrono all'interno di una stesso costruzione statale o comunitaria.

    Il superamento della discontinuità territoriale, pertanto, è considerato un obiettivo della massima importanza, quindi, irrinunciabile.



    2.1 LA SOGGETTIVITA’ INTERNAZIONALE

    Uno degli aspetti fondamentali che caratterizzano in senso sovranitario una comunità etnico-nazionalitaria, è costituito da ciò che in termini politologici, viene definita la "soggettività internazionale".

    In tal senso alla luce dei trattati che regolano i rapporti tra gli Stati e dei diritto internazionale, che regola i rapporti diplomatici, i rapporti economici e commerciali, la "soggettività internazionale" è l'insieme delle condizioni che costituiscono e determinano per ogni singolo Stato la propria sovranità politica ed economica, avendo come unico limite la sovranità degli altri Stati.

    Con il trasformarsi dell'economia, che sempre meno si configura come economia degli Stati nazione e sempre più appare regolato e governata da una serie di rapporti e di relazioni di dipendenza reciproca, si rende opportuno prendere otto della insufficienza dello Stato, nella suo natura e nelle sue funzioni, a gestire in maniera esclusiva la complessità delle questioni che si affacciano e che si pongono in una prospettiva internazionale.

    Ma non solo le questioni economiche palesano la ristretto e superato concezione degli Stati nazione, così come sono stati concepiti dalle filosofie politiche ottocentesche.

    Anche le diversità culturali che sempre più tendono ad esprimersi e manifestarsi nell'ambito delle singole statualità, le finalità e specificità territoriali, le acquisizioni giudico-economiche della Comunità economica Europeo, dopo Maastricht, impongono con sempre più impellenza una seria riforma per quanto riguarda i loro assetti interni.

    Per quanto ottiene lo Stato Italiano, appare improcrastinabile alla luce delle mutate situazioni internazionali, una riforma della Costituzione repubblicano, che sancisca in maniera profondamente rinnovato il rapporto fra lo Stato Centrale e le Regioni.


    Sulla base dunque, di un superamento dell'attuale Statuto autonomistico, in attesa della riforma della Corta Costituzionale in senso federale, resta valida la proposta sardista presentata di recente in Consiglio Regionale.

    Si rende opportuno precisare e sottolineare che in tali ambiti vanno assunti con chiarezza impegni per quanto concerne l'uso dei territorio terrestre e marittimo, anche nell'ambito delle alleanze politico militari, al fine di ridare al popolo Sordo la propria dignità e lo propria responsabilità decisionale, con tutti i vantaggi che ciò comporta.

    Così come tali competenze di governo sovrano dei territorio vanno concepite per quanto riguarda le politiche di tutela e di salvaguardia delle risorse ambientali, anche per ciò che ottiene questa delicato materia, occorre affermare la necessità, l'urgenza, l'esigenza di una reale sovranità statuale per la Sardegna all'interno di un sistema federale.








    “...... è con questa indipendenza, con questa autonomia politica ed economica che noi possiamo inserirci nell'Europa Confederale e disporre, ben diversamente, do, da oggi, del nostro destino ……”

    A. Simon Mossa (19ó7)










    CONCLUSIONI

    Con l'autonomia federativa possiamo, finalmente avere i poteri per disegnare autonomamente una nuova politica sociale ed economica più rispondente alla realtà sarda; avremo i poteri per predisporre tutti gli interventi atti a fermare ed invertire il vertiginoso processo teso a spersonalizzare il popolo Sardo attraverso la snaturazione della propria identità etnica, l'offuscamento della propria immagine nazionalitaria, il cui risultato non sarebbe altro che dissardizzare la nostra coscienza di popolo.

    Vogliamo dire basta a tutti gli insistenti tentativi di smemorizzare la nostra cultura, la nostra lingua, le nostre tradizioni.

    Vogliamo fermamente conservare sani e forti i rapporti con le nostre radici, con la nostra storia. Con questo viatico siamo certi di trovare le energie per guardare con rinnovato fiducia al nostro divenire.




    SOMMARIO



    FEDERALISMO OGGI - L'IDEA FEDERALISTA APPLICATA ALLA SARDEGNA SECONDO LA CONTINUITA' STORICA DEL PARTITO SARDO D'AZIONE

    PREMESSE

    1 PRESUPPOSTI CHE SOSTENGONO L'IDER FEDERALISTA APPLICABILE ALLA SARDEGNA

    1.1 Discontinuità geografica rispetto al resto dei territorio italiano e i suoi effetti:
    1.2 la coscienza etnica nazionale dei popolo sordo.
    1.3 Tradizioni culturali, linguistiche, giuridiche e storiche della Sardegna.
    1.4 Il fallimento dell'esperienza regionalista

    2 OBIETTIVI E SCOPI DEL RAPPORTO FEDERATIVO

    2.1 la soggettività internazionale

    CONCLUSIONI

  4. #4
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    Predefinito Re: 1995. XXVI° Congresso nazionale del PSd’Az.

    Tesi N° 12


    PARTITDU SARDU
    PARTITO SARDO D'AZIONE




    TESI CONGRESSUALE


    FEDERALISMO


    RELAZIONE SUL FEDERALISMO




    CAPITOLO I°

    RISVEGLIO ETNICO E PROTESTA NAZIONALITARIA IN EUROPA E NEL MONDO


    In tutto il mondo vincono, si affermano e si materializzano gli ideali dei piccoli popoli: dall'Europa alle Americhe infatti, dall'ex Unione Sovietica ai Paesi dell'Est “un universo di piccole patrie sta progressivamente modificando la geografia politica del nostro tempo”. (Mario Melis)

    E' il momento storico cioè dei popoli minoritari. " delle nazioni senza storia e dominate " (Marx) che rifiutano “il conformismo che appiattisce e cancella tutta la ricchezza delle diversità e serve solo ai poteri che dall'alto calano imperiosi". (Mario Melis)

    Questi popoli sviluppano con forza e determinazione la protesta e la lotta contro gli Stati ufficiali moderni, accentrati e tecnocratici, contro il nuovo “leviatano statale ", repressivo e autoritario.

    Tale protesta é frutto in gran parte del malcontento causato dal modo discriminatorio con il quale è stata attutata l’incorporazione strutturale delle componenti etniche minoritarie nella economia, nella politica, nella cultura statale metropolitana.

    Così Nicos Poulanztas parla di " lacerazione dell'unità nazionale " e lo storico marxista Jan Cheneau afferma che " lo stato-nazione é oggi scosso dall'interno da vigorosi movimenti anticentralistici che rifiutano l'oppressione economica, culturale, linguistica esercitata dall'etnia dominante sui popoli minoritari.

    Il risveglio nazionalitario, la protesta e la lotta anticentralista mette in crisi e delegittima lo stato-nazione così come si é venuto a creare nell'ottocento soprattutto in Europa ma non solo - espressione del capitalismo nazionalistico borghese. Che bene o male é stato nel secolo scorso fattore coagulante ed era legato alla fase di ascesa della borghesia e alla formazione da parte di essa di un mercato interno vasto e di uno stato.

    Ma il risveglio di tali movimenti etnici non delegittima solo gli stati bensì anche i regimi e le autorità, così che possiamo affermare - almeno in linea generale - che essi hanno una complessiva valenza democratica, progressista e di sinistra e in ogni caso non possono essere liquidati o bollati come fronde campanilistiche e conservatrici e tanto meno reazionarie. Non può essere un caso che i movimenti etno-politici a livello mondiale, siano spesso contigui, anche ideologicamente, a movimenti di controcultura giovanile, ecologici, antinucleari, pacifisti che esprimono non solo il desiderio di trovare maggiore possibilità di realizzazione personale e collettiva in subsocietà organizzate su basi non statali ma etniche, ma anche, esigenze di identità differenza - specificità, di partecipazione, di autonomia, di controllo del territorio, di decentramento.

    Pensiamo solo a questo proposito a tutte le problematiche legate a " piccolo è bello ". Lo stato centrale da questi movimenti é visto insieme troppo invadente attraverso le sue articolazioni che entrano anche nel privato del cittadino e totalizzante, ma anche troppo grande remoto e sfasato rispetto ai problemi che la comunità deve affrontare e perciò non riesce ad esprimere fiducia e identificazione.



    CAPITOLO II°

    COME SI " RIFORMA " LO STATO IN EUROPA


    La storia europea in modo particolare, soprattutto a partire dal XIX secolo é caratterizzata da una crescente compenetrazione fra stato e nazione nel senso che gli stati cercano di diventare nazioni e le nazioni stati unitari e indivisibili attraverso la compressione all'interno di uno stato ufficiale delle minorane nazionali e nazionalità diverse da quella maggioritaria.

    In Spagna é il caso, per esempio, dei baschi, catalani, galeghi, in Francia dei bretoni, alsaziani, corsi, occitani, fiamminghi: id Inghilterra degli scozzesi, gallesi, irlandesi; nei Paesi Bassi dei frisoni; in Italia dei friulani, valdostani, sud tirolesi, ladini, albanesi e appunto sardi.

    Ebbene la tendenza odierna é l'inverso, gli stati unitaristi tendono a riformarsi in stati federali: é già avvenuto in molti stati dell'Est. O comunque si affermano maggiori autonomie in Spagna come nei Paesi Bassi etc. E in Italia?



    CAPITOLO III°

    AFFERMARSI NELL’ITALIA DELLO STATO UNITARIO E CENTRALISTA


    E' uscito recentemente - a cura degli storici del Carria/De Boni un bel volumetto che raccoglie scritti di ben 40 federalisti italiani e sardi. Lussu, Bellieni, Cao, Pilia

    In questo si documenta e si argomenta come l'unità d'Italia realizzata, dal regno del Piemonte attraverso la Casa Savoia, I suoi Ministri e il suo esercito, abbia violentato e compresso le varie nazionalità e specificità-particolarità italiane attraverso la piemontesizzazione dei vari popoli della penisola.

    C'é di più: tale unità sarà fatalmente accentratrice. In questo senso sembrano profetiche le analisi di molti federalisti Italiani: " smettete una buona volta le speranze di decentramento " - ammoniva Giovanni Bovio, federalista delle sinistra storica, polemizzando con Cavour -, " l'unità é assorbente per sua natura ". E continuava: '* tanto gli é un decentramento unitario quanto una democrazia regia".

    E il centralismo infatti si affermerà: frutto, specchio e indice dei rapporti di classe allora esistenti. Esso Infatti si ricollega Ila ristrettezza del ceto politico risorgimentale identificabile nell'alleanza della borghesia agraria - mercantile - bancaria centro settentrionale, con quella terriera del Sud, comprendenti entrambe la maggioranza dei ceti aristocratici della varie regioni.

    Tale scelta centralistica Ieri - e purtroppo ancora oggi - ha avuto e ha i suoi sostenitori, di parte conservatrice e liberale ma anche progressista e di sinistra, a tal punto di imporre al senso comune Ilde ' a dello stato unitario e centralizzato come la forma più alta e moderna dì ordinamento statuale.

    Ogni altra soluzione diversa da quella centralistica e unitaria - sosteneva qualche anno fa lo storico liberale Rosario Romeo - sarebbe andata a vantaggio delle componenti clericali, perciò anti unitarie, filo borboniche, legittimiste.



    CAPITOLO IV°

    I MOVMENTI REGIONALISTICI POST UNITARI E FINO ALLA RESISTENZA


    Dopo i primi decenni post unitari che registrano anche nel Nord un vigoroso pensiero autonomistico, riflesso anche delle polemiche sull'unificazione, l'istanza autonomistica e regionalistica tende a trasferirsi - non a caso soprattutto nel Sud, con Gaetano Salvemini e Lugi Sturzo in particolare, fino a diventare un segno di contraddizione all'interno degli stessi partiti.

    Già nel 1896 in occasione della istituzione dei Commissari civili in Sicilia, si coglie per esempio la distanza che nel partito socialista separa la Federazione di Palermo - decisa a legare la lotta di classe alla rivendicazione dell'autonomismo regionale - e la posizione antiautonomista di Filippo Turati, che interpreta il socialismo del triangolo industriale.

    Ma é nel primo dopoguerra che si affermano programmi autonomistici, quando sorgono diversi partiti " regionali ": Il Partito Sardo d'Azione in modo particolare.

    Se l'istanza regionalistica parte in prevalenza dal meridione e dal mondo rurale non é un caso. Sono le regioni meridionali a restare estranee allo sviluppo industriale o, se vogliamo, allo sviluppo tout court. Così al problema delle autonomia sarà più sensibile Salvemini che Turati. Sturzo che Meda, Dorso che Gobetti e. tra i comunisti degli anni venti Grieco e Gramsci.

    Con il fascismo l'accentramento verrà reso ancor più esasperato e comunque si porteranno a più coerenti conseguenze autoritarie strumenti e tendenze che erano già presenti nel regime liberale.

    La breve parentesi “regionalista" sviluppatasi con la Resistenza (pensiamo ai CLN regionali, alle repubbliche partigiane etc.) viene affossata e liquidata nel dibattito alla Assemblea Costituente prima e nel '48 con la vittoria democristiana poi.


    CAPITOLO V°

    NASCITA DELLO STATUTO SPECIALE DELLA SARDEGNA


    L'autonomia regionale della Sardegna nasce in questo clima di restaurazione imposto dalla vittoria del blocco conservatore e moderato con cui convergono - almeno su questo versante - anche le forze di sinistra. A tal punto che Emilio Lussu nell'Assemblea Costituente a Roma ma anche in Sardegna si trova nettamente in minoranza, così la sua posizione federalista fu battuta e ai sardi invece che un leone fu dato un gatto: uno statuto cioè che non va al di là di una mera emanazione di norme " di integrazione e attuazione " delle leggi dello stato;

    Uno Statuto che già nel '48 nasce depotenziato debole e monco. Cui dobbiamo aggiungere il fatto importante che in questi 45 anni di storia subirà un processo di progressivo svuotamento e di compressione, prima di tutto dall’esterno, da parte dello stato centrale, la cui pratica quotidiana di limitazione dell'autonomia regionale attraverso gli interventi del governo, della burocrazia e delle sue articolazioni centraliste é sotto gli occhi di tutti.

    Ne abbiamo avuto in questi giorni scorsi, un esempio emblematico con il rigetto della legge sulla cultura, il cui obiettivo vero era quello di attentare ancor più alle prerogative della Regione sarda riconosciutegli dallo Statuto (art. 5) in merito alla scuola, alla lingua e alla cultura.

    Ma responsabili di tale svuotamento sono anche - perché non dirlo? - le forze politiche sarde o meglio le succursali romane in Sardegna dei partiti italiani che non hanno saputo e spesso non hanno voluto usare gli stessi strumenti, possibilità e spazi che l'autonomia regionale offriva. Basti pensare a questo proposito alla vicenda delle norme di attuazione. Non solo: nato come Statuto Speciale, é stato devitalizzato e omologato così che oggi risulta di fatto spesso dotato di meno poteri delle regioni a statuto ordinario costituitesi nel '70 é rappresenta ormai un ostacolo alla realizzazione dell’autogoverno. C'é di peggio: é di copertura alla gestione centralistica della regione da parte dello stato.


    CAPITOLO VI°

    FALLIMENTO DELL’AUTONOMIA


    Per questo dobbiamo ormai considerare definitivamente consumato il fallimento storico della cosiddetta autonomia - Francesco Masala opportunamente la chiama eteronomia - e con essa dello stato unitario.

    L'esperienza storica di questi '45 anni ha infatti dimostrato che gli attuali rapporti giuridici - politici - istituzionali fra stato e Sardegna codificati dallo Statuto, non hanno scalfito per niente il centralismo statale, paradossalmente lo hanno perfino favorito e ai sardi hanno consentito solo il succursalismo e l'amministrazione della propria dipendenza perché la Regione sarda - a parte rari colpi di reni di qualche esponente politico sardo - ha di fatto operato come struttura di decentramento burocratico e centro di raccordo e di mediazione fra gli Interessi degli ascari locali e la rapina colonialista.

    I risultati sono sotto gli occhi di tutti: a livello economico, sociale, ambientale e culturale.

    E' all'interno di questo sostanziale fallimento della “autonomia" che occorre situare la ricontrattazione su base federale, partendo dalla identità nazionale dei sardi, del rapporto Sardegna Stato italiano; superando quindi la concezione unitarista e statolatrica per la creazione di uno stato plurinazionale e plurietnico.

    All'ordine del giorno non vi é quindi una nuova autonomia, sia pure rimpolpata e rinnovata e neppure il cosiddetto stato delle regionI, incapace comunque di fronteggiare la massiccia offensiva degli apparati centrali e accentratori. Vi sono invece forme più compiute di autogoverno e di rapporto paritario delle diverse articolazioni istituzionali In ambito italiano e internazionale: ovvero lo Stato Federale o se si vuole una Federazione degli Stati delle nazionalità e delle etnie.

    La visione autonomistica e regionalistica dello stato infatti é ancora tutta dentro l'ottica dello stato unitario, indivisibile e centralista, che al massimo può dislocare territorialmente spezzoni di potere nella " periferia ". O più semplicemente può prevedere il decentramento amministrativo e concedere deleghe parziali alla regione che comunque In questo modo continua a esercitare una funzione di scarico, continua ad essere utilizzata come un terminale di politiche sostanzialmente decise e gestite dal potere centrale. E c'é di peggio: soprattutto in momenti di acuta crisi economica e finanziaria dello stato - é il caso odierno - la regione e il potere locale servono di fatto, da un lato come strumenti per costruire allargare e gestire il consenso intorno alle scelte centralistiche del potere centrale; dall'altro come gabellieri dello stato, ponendosi in questo modo come controparti rispetto alla popolazione e ai suoi bisogni e perdendo così credibilità in quanto riassorbiti, sic et simpliciter, nel circuito dell'organizzazione dall'alto del potere.



    CAPITOLO VII°

    FEDERALISMO E INDIPENDENZA


    Il Federalismo - almeno quello sardista - si muove in una logica diversa e per molti versi opposta. Non prevede cioè la dislocazione di parziali limitati poteri - che rimarrebbero comunque articolazioni dello stato unitario e centralista - dal centro alla " periferia ". Né che la Regione Sarda - come finora é successo - sia la rappresentanza in sede regionale e periferica della Amministrazione statale. Prevede invece che essa diventi l'Ente esponenziale della comunità sarda ovvero di un popolo che si riconosce unito da identiche tradizioni, medesimi costumi ed usi normativi, lingua e cultura. Di un popolo insomma che ha una peculiare e specifica identità nazionale: é questo fra l'altro il presupposto teorico e politico del federalismo sardista.

    Di qui la battaglia: a) da una parte per smantellare il potere concentrato dello stato, per scardinare i meccanismi di una struttura istituzionale frutto del processo unitario della borghesia italiana ottocentesca che attraverso il centralismo statuale e amministrativo ha attuato ed attua una distribuzione in eguale delle ricchezze e un drenaggio delle risorse dalle aree più povere verso le più ricche;

    b) dall'altra per ottenere per la nazione sarda tutti quei poteri, competenze e sovranità necessarie per potersi autogestire, autogovernare, autodeterminarsi: in una parola per essere indipendenti.

    Il federalismo implica dunque l'indipendenza: altrimenti è vana chiacchera, flatus vocis. Federalismo (da foedus) evoca e significa patto: e i patti si fanno, fra soggetti uguali altrimenti il non rispetto e la prevaricazione é inevitabile.

    " La disarticolazione dello stato nazionale unitario deve dar luogo a una forma nuova e diversa di stato di stati. In cui per stati non si intendono più gli stati nazionali degradati da enti sovrani a parti di uno stato più grande, ma parti o territori dello stato grande elevati al rango di stati membri.
    (Bobbio, introduzione a Silvio Trentin, federalismo 1987)

    La ragione tecnica - cito sempre Bobbio di una simile scelta di organizzazione politica " si fonda su una volontà anti autocratica e democratica nei casi di governi dispotici. Ma é attuale anche in ipotesi di stati democratici quando é incrinato il rapporto fra governanti e governati da un esasperato centralismo e da un notevole scollamento fra i cittadini e le istituzioni centrali '*.

    Oltre che - é il nostro caso - quando un'etnia maggioritaria e dominante, quella italiana, comprime e rende subalterna un'etnia minore, come quella sarda.

    Lo stato federale insomma a cui pensiamo é quello in cui il potere sovrano originario e non derivato spetta a più enti a più stati e perciò scompare la sovranità di un unico centro, di un unico potere e soggetto singolare per far capo a più soggetti e poteri plurali.

    Con altrettanta chiarezza sosteniamo anche che la sovranità-indipendenza cui pensiamo non é in solitudine e non significa separazione, scissione, secessione. Deve avere anzi un forte segno di apertura internazionale, di solidarietà con tutti quelli che lottano in Italia come nel mondo, contro qualsiasi forma di oppressione e di discriminazione.


    Si tratta inoltre di una indipendenza che non rifiuta superiori livelli, anche Istituzionali di integrazione e di interdipendenza, in Italia come in Europa, necessari oggi per affrontare i problemi socio-economici, ambientali, culturali, tecnologici a dimensione continentale e mondiale connessi:

    a) alla diffusione delle nuove tecnologie e allo sviluppo del capitalismo delle multinazionali;

    b) al crescente grado di interdipendenza e di integrazione raggiunto dall'economia dei singoli paesi e delle singole aree e regioni:

    c) al carattere internazionale assunto dai flussi e dallo scambio di materie prime, di prodotti manufatti, tecnologie e capitale:

    d) alla importanza soverchiante infine che acquistano le economie su scala e le imprese che non producono solo per il mercato locale ma per mercati più ampi e lontani.

    La questione " nazionale 01 sarda si risolve quindi dentro quest'ottica, in termini attuali e moderni, certo attraverso l'ottenimento dell'indipendenza, ma senza chiusure localiste In una cornice plurinazionale, non distaccando la Sardegna dall'Italia nel cui alveo storicamente é ormai Incorporata, ma federandosi con essa e collocandosi nel flussi di rapporti materiali e culturali internazionali.

    Si risolve in altre parole in una entità sovrana cui spettino tutte le competenze, non delegate allo stato federale, ad iniziare dalla gestione delle sue risorse: prime fra tutte la Lingua e la Cultura autoctona.



    CAPITOLO VIII°

    STATO FEDERALE E STATI MEMBRI: RISPETTIVE SPETTANZE E POTERI


    Si discute molto oggi - non solo fra gli addetti ai lavori - sulla ripartizione delle competenze fra gli organi federali e gli organi statali. Vi é chi tende a ridurre quasi a zero le competenze federali, altri che tendono ad ampliarle, vi è chi attribuisce allo stato federale le competenze tradizionali: i rapporti internazionali, le finanze federali, la moneta, la difesa. Altri invece mettono in discussione anche tali poteri. Da parte mia i questa sede non voglio addentrarmi in tale ginepraio tecnico-istituzionale di questioni. Dico solo, per esempio a proposito della difesa, da pacifista, che occorre battersi per un modello di difesa popolare, non violenta, strettamente legata con il proprio territorio. E mi pare quindi logico che la competenza primaria andrebbe agli stati federati e non allo stato federale.

    A proposito invece della moneta c'é da porsi un quesito: perché delegare tale spettanza allo stato federale nel momento in cui si va verso la moneta europea?

    E persino a proposito dei rapporti internazionali e il commercio in primis, perché la Sardegna non dovrebbe allacciare direttamente rapporti economici e culturali con i Paesi del Mediterraneo senza passare per il centro federale?

    Una spettanza credo comunque che occorra attribuire allo stato federale: quello della solidarietà e sussidiarietà.

    Da questo punto di vista condivido in toto quanto sostenuto da Stefano Rodotà: " allo stato federale deve permanere Il compito primario di riequilibrare le zone svantaggiate del Paese rispetto ai territori privilegiati, potendo a tal fine operare un prelievo fiscale differenziato e intervenendo in modo diretto per lo sviluppo in tali zone Rodotà, Repertorio 1992, pag. 110).

    A questo proposito mi pare abissalmente distante dalla nostra concezione federalista l'ideologia e il progetto leghista tutto giocato sulla difesa degli interessi territoriali forti contro gli interessi deboli.

    Questa infatti pare a me essere la discriminante che ci separa da Bossi, più e oltre che le differenze rispetto alle fondamenta teoriche del federalismo: che noi sardisti fondiamo sulla nostra identità etno-nazionale, mentre i leghisti, economicisticamente, sul concetto di territorio.

    Non voglio addentrarmi neppure sulle questioni - oggi molto dibattute riguardanti la trasformazione del Senato della Repubblica in Camera delle regioni. Vorrei piuttosto soffermarmi, sia pure succintamente.su due questioni attinenti alla concezione federalista che a mio parere rivestono oggi la massima importanza: la prima riguarda i poteri della Regione, da codificare speriamo in tempi brevi, in un Nuovo Statuto Regionale; la seconda attiene al federalismo esterno o interstatuale, ovvero al federalismo europeo.


    CAPITOLO IX

    POTERI DELLA REGIONE POTERI DEGLI ENTI LOCALI


    Quando si sostiene che i sardi devono disporre di tutti i poteri e le sovranità necessarie per l'autogoverno, l'autogestione e l’autodeterminazione occorre evitare di pensare alla concentrazione dei poteri nell'Ente Regione, a scapito e contro le autonomie locali: in altre parole occorre evitare di riproporre un neo-centralismo a base regionale.

    Il potere regionale (e domani dello stesso stato federato) deve infatti essere il più dissimile possibile dal potere dello stato che noi abbiamo storicamente conosciuto, e può esistere quindi solo nella forma del più articolato e reale autogoverno del popolo sardo.

    Proprio per l'esperienza cui abbiamo assistito in questi 45 anni di autonomia regionale e in questi 132 anni di stato unitario e centralista, occorre perciò pensare a un potere diffuso, decentrato, distribuito, ubiquitario. Non solo quindi al potere dell'ente regione ma degli enti locali di dimensione subregionale, soprattutto i comuni e le provincie, rivisitate riformate e trasformate in distretti - senza Prefetti! - che incorporino le tradizionali regioni storiche sarde.

    C'é di più: il concetto di autonomie locali deve estendersi anche a quelle articolazioni democratiche di base che pur non essendo istituzionalizzate si pongono come rappresentative di interessi generali della collettività.

    In questo senso ritengo che il nuovo Statuto debba espressamente prevedere forme di riconoscimento, sostegno e promozione di organismi popolari che realizzino in forme nuove e dinamiche la partecipazione delle popolazioni nella gestione del potere.



    CAPITOLO X°
    FEDERALISMO EUROPEO

    Al federalismo europeo voglio dedicare un breve cenno e solo per sottolineare che i sardisti, europeisti da sempre, ancor più che nel passato devono oggi sostenere e battersi per l'unità europea cui non ci sono alternative. Epperò occorre anche dire che bisogna opporsi ai processi dominanti attuali per imboccare altri percorsi: non stiamo infatti andando verso l'unificazione dei popoli e delle culture per confrontarsi dialogare ed arricchirsi ma verso la semplice brutale unificazione dei mercati.

    L'obiettivo é la creazione di un grande mercato europeo in cui merci servizi e fattori produttivi possano circolare a condizioni analoghe a quelle esistenti all'interno di uno stesso Paese. In termini generali l'unificazione economica corrisponde alla necessità del grande capitale europeo e alla dimensione delle sue industrie e delle sue finanze: solo su scala continentale infatti vi sono le dimensioni di mercato, i mezzi finanziari, le capacità tecnologiche e scientifiche per reggere l'urto della economia USA e Giapponese.

    L'unità politica é sostanzialmente assente: e sappiamo bene che senza interventi e correttivi politici, affidando tutto al mercato e alla concorrenza selvaggia vince il più forte. Come sta succedendo: il più forte fra gli stati e, all'interno di ogni singolo stato, il più forte fra le regioni.

    Tali processi accentueranno ancor più le distanze fra le aree deboli e quelle più forti, accentueranno ancor più vecchie e nuove disuguaglianze.

    Ma la stessa unità politica non può bastare se essa si dovesse risolvere in un semplice potere interstatuale, gestito dai vertici degli stati che non cedono al potere sovranazionale una sola parte delle rispettive sovra-nità.

    Quello che occorre é un potere unitario e collegiale dei popoli, delle regioni delle nazionalità, delle etnie.

    Ma un federalismo di tal fatta - cioè un federalismo esterno - é possibile che avanzi in Europa se si afferma in Italia e negli altri stati il federalismo interno.



    CAPITOLO XI

    CONTRDDIZIONI E NOVITA’ NEI PARTITI ITALIANI RISPETTO AL FEDERALISMO



    E' compito primario, e fondamentale di un Partito /Movimento nazionalitario ed etnico come il PSD'AZ, la battaglia per l'ottenimento del binomio indipendenza-federalismo. Oggi più di ieri le condizioni sono favorevoli. Non solo perché nel mondo i movimenti etno-politici vincono e si affermano. Non solo perché lo stato unitario e centralista é ormai un ferro vecchio, arrugginito e inservibile: anche dal punto di vista economico é fonte di inefficienza e corruzione. Ma perché i valori dell'autonomia della specificità, della differenza, del decentramento, del federalismo, dell'indipendenza, sia pure in forme diverse e in gradi diversi sono penetrati nella coscienza della gente e persino all'interno dei partiti tradizionalmente unitaristi e statalisti. Pensiamo solo al fatto che sostanzialmente tutti partiti italiani presenti in Sardegna, almeno a parole hanno riconosciuto la natura etno-nazionale della questione sarda: in questa direzione si é pronunziato più di una volta lo stesso Consiglio regionale sardo.

    E in Italia non é solo Miglio a teorizzare che: " solo una repubblica regionale a fortissima autonomia può garantire un sano e regolare sviluppo dell'economia".

    E' il Presidente della Camera Napolitano a dichiarare che: “occorre riscrivere l’articolo 117 della Costituzione per una riforma in Senso regionalista dello stato perché mi pare difficile mantenere uno stato centralista ".

    E' l'attuale Ministro della Funzione Pubblica Sabino Cassese a sostenere che: “sono le stesse condizioni attuali della Pubblica Amministrazione a imporre un radicale cambiamento in senso regionalistico dello stato. Bisogna rovesciare la piramide: dopo la riforma, al centro non resterà quasi nulla, solo alcune funzioni importanti come l'ordine pubblico, la politica estera, la difesa. Al centro ci saranno funzioni di supporto, tutto il resto deve essere decentrato” (Le citazioni sono tratte da Repubblica del 5 settembre 1993 sul Convegno Sviluppo economico e Riforma della costituzione ").

    Pur con limiti e arretratezze politiche e culturali, posizioni interessanti emergono anche da forze politiche tradizionalmente ostili al federalismo: così Occhetto pur difendendo ancora a spada tratta l'unità nazionale parla di Il costruzione di uno stato regionale di ispirazione federale ". Tortorella denuncia in modo molto netto la bancarotta di una concezione sbagliata della unità d’Italia e sostiene che " la sinistra non nasce statalista e burocratica ma sfortunatamente lo é diventata", D'Alema parla " di uno stato non più obeso e flaccido ma snello e autorevole in grado di guidare l'economia e di ripensare l'unità nazionale ". (Le dichiarazioni virgolettate sono tratte dal Manifesto del 15 settembre 1993 e sono state pronunciate al convegno " Sullo Stato " organizzato da Critica Marxsta


    CAPITOLO XII

    PARTITO SARDO COME MOVIMENTO DI LIBERAZIONE NAZIONALE


    Un Partito/Movimento nazionale deve stare attento a quanto si muove dentro le altre forze politiche sul versante federalismo-indipendenza-autonomia-regionalismo: non per appiattirsi ma per portare a livelli più avanzati queste posizioni interessanti ma ancora arretrate, per far emergere e moltiplicare il sardismo diffuso e presente anche negli altri partiti. Le stesse alleanze elettorali devono avere questo segno e questa discriminante: i nostri compagni di viaggio sono quelli che hanno e sono disposti ad accettare il più alto livello possibile di sardismo.

    Epperò occorre anche essere consapevoli che un obiettivo ampio e arduo come il federalismo ha bisogno soprattutto del consenso della popolazione e della mobilitazione del popolo sardo per creare - partendo dai suoi bisogni materiali e spirituali - un movimento politico e sociale di massa, vasto popolare e unitario in grado di combattere e sconfiggere la classe dominante lo stato centralista e le sue articolazioni burocratiche sindacali e partitiche.

    Soprattutto quei partiti statalisti compromessi con il regime della corruzione e di Tangentopoli che ormai sono “un'espressione sempre più palese di ristrette oligarchie di potere che hanno assalito, conquistato e depredato la diligenza dello stato”. (Italo Ortu)
    Un Partito/Movimento di liberazione nazionale e sociale se non fa questo Un Partito/Movimento semplicemente si omologa agli altri partiti entrando nel mercato della politica come mera gestione e riducendosi ad essere una delle tante macchine (o macchinette) elettorali in cerca di qualche poltrona e- di qualche prebenda per un ceto politico di Mandarini che vuole solo conservare il proprio status e i propri privilegi.

    Ben altro é il compito del Partito Sardo: nato per combattere le clientele e la corruzione delle camarille e dei printzipales: per difendere gli interessi dei pastori dei braccianti e dei contadini; ma soprattutto per rivendicare l'autonomia della Sardegna, ha oggi il compito storico di liberare l'Isola dalla subalternità e dalla soggezione perché " non succeda più che i più forti esercitino il potere e i più deboli vi si adattino". (Tucidide, dal Dialogo fra i Melii e gli Ateniesi)

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    Predefinito Re: 1995. XXVI° Congresso nazionale del PSd’Az.

    Nel plico inviato alle Sezioni, pinzato assieme alle pagine della tesi “FEDERALISMO”, c’erano anche le fotocopie di un testo redatto forse frettolosamente con una macchina da scrivere e corretto manualmente; non so se si trattasse di una quarta Tesi o un contributo al dibattito.
    Lo scritto, dal titolo “FEDERALISMU, INDIPENDENTISMU E PARTIDU SARDU”, redatto in lingua sarda (macrovariante campidanese) non poteva rispettare alcune norme ortografiche ormai quasi consolidate, pertanto ho fatto un po’ di fatica nel riportarne la grafia originale che ho preferito mantenere.
    Soprattutto per l’uso spropositato della lettera “K”, utilizzata indistintamente per rendere il fonema italiano “ch” e la semplice “c” (per inciso, personalmente sostengo l’utilizzo della lettera “k” al posto della grafia italiana “ch”).
    A parte questi aspetti ortografici, trovo molto interessante e lucidissimo il contenuto, soprattutto perché chiarisce e ribalta completamente il “Tema” assegnato al 25° Congresso.


    PARTIDU SARDU
    PARTITO SARDO D’AZIONE

    25° CONGRESSO NAZIONALE

    SU DE 25 KUNGRESSUS NATZIONALIS
    FEDERALISMU, INDIPENDENTISMU E PARTIDU SARDU


    Sa Sardígna est kannoscendi giai de unus kant'annus, una krisi ekonòmika ki, po dha agualai, tokat a torrai agoa de 40 annus.

    Ma, a diferèntzia de s'Europa, innoi sa vida politika, antzis sa storia etotu, est kaminendi ke àkua in lotzoina.

    E kument fragat s'àkua firma, acitotu fragant is passus tropu prudhinkus ki est farendi sa stòria in domu nostra.

    Kumenti ariseru pa su fascismu (1922/26), po sa Republika (1946/49), po is Brigadas Arrubias (19 73/82), tanti po ndi bogai unus kantu avenimentus ki nu ant tokau sa stòria de diora, s’avolotu ki est kannoscendi oi sa stòria italliana no si biri e manku s’intendit innoi in Sardigna.

    E dunkas no est in Sardigna, ma est in kontinenti ki fortzas noas e becias, kun giugis e kentz’'e giugis, megant de si giogai su poderi a stokadas.

    Sa Sardigna e is Sardus, kumenti est sutzedendi giai de sekulus, no faint stòria, e, antzis, beni ki andit, si dha ghetant apitzus.

    E sikè, kumenti no sa Fascismu, po sa Republika, e po is Brigadas Arrubias, ki iant esportau ín Sardigna sa "rivolutzioni" insoru, kandu sa Lega Nord, su PDS, AN, FI, i atras fortzas ant a akabai de si pígai a stokadas e unus kantu ant a bessiri bincidoris apitzus sa Sardigna a su ki issus tzerriant NOU, ki, però, po nosus est sèmpiri BECIU, e in prus ndi partat làmbrigas e maludias poita:

    a) Nu est kona mèvia de innoi;
    b) Est foras de su tempus e de sa kultura nostrus.

    T kandu sutzedit ka a is Sardus dhus ponint a s'atuaí a koddu leis i òrdinis allenus, is primus a prangi funti is Sardus etotu ka dh’akabant a si nci papai de par’‘e pari.

    Un'antra beridadi ankora prus marigosa est ka sa stòria nu abetat a nisciunus.

    Ki no seus nosu a dha inkrubai i a dha mulli a disìgiu nostru, ant’essi is atrus , kumenti est sèmpiri sutzédiu, a dha ínkrubai a disìgiu intzoru i a dha fai kaminai, ki a issus praxit mankai kontras de nosus.

    Poneussiri in konka ka no ballit a nai “ki nosus no cirkaus a niscunus, niscunus s’at a cirkai”.

    Slkè tokat, praxat e ne praxat, ki siaus Nosus a' fai kaminai sa stòria, de s'ora ki issa depit amarolla kaminai.



    E NOSUS oit nai is Sardus, oit nai su Partidu Sardu, is partidus nàscius e pesaus in Sardinnya.

    NOSUS oit nai ka a fai sa stòria de sa Sardiannya nu ant'essi ni AN ni FI po fai is nòminis de duus partidus “nous”, ma bècius, poita funti is tzerakedhus de is meris de kuntinenti, e mankai ki ndi bedhant de votus innoi in domu nostra, funti votus, po malasortí nostra, ki no serbint a kambiai su sètidu de sa stòria de Sardinnya.

    Sikè sceti NOSUS sardus, sardus e sardistas poreus ponni a kamínai sa stòria nostra segundu s’abbisonju e su disiju nostru. Ma kumenti?

    Po primu kosa tokat ki siaus nosus sardistas a krei in kustu Partidu.

    Po segundu kosa tokat ki siant is Sardus a krci in kustu Pardidu.

    E po dhoi krci tokat ki siaus kuscentziesus.

    Po es. no serbit a tenni unu statutu ki, no si ponit a menti, o a tenni unu partidu indinendentista ki, agoa, is dirigentis suus no kreintki s’indipendentzia siat s’unicu mezu po donai sa libertadi a is Sardus i a sa Sardigna.

    O ankora no serbit a kumbati po sa Limba sarda ki agoa totus sigheus a kistionai dònnia atra lìngua ma no su sardu, manku innoi in su Partidu, aundi nisciunus si bisat de si nai ka nu est amìtiu.

    Po kontras tokat ki i e mellus sardistas, kentz’ ‘e ambitzioni de poderi o dde kadira, si pongant a traballai in su setori de sa politika aundi podint essi maistus.

    Totus is sardistas depint essi kunkerdiosus e sa fortza de danniunu depit essi spròndia kontras a su nemigu e no ki si sciùtit certendi kantras a fradis.

    Tokat a nai a forti (a is SARDUS) ka s’obietivu politiku de su Partidu Sardu est
    s’INDIPENDENTZIA, ki olit nai, in pagu fuedhus, ka sa Sardigna depit bessiri una stadu liberu e indipendenti, kumenti un'Olanda o una, Germània, o una Svètzia, de ditzidi, kenz’ ‘e istrobu de atrus istadus, sa polìtika, s’economia, sa cultura suas.

    E ki su Partidu est indipendentista, e innoi torraus a su essi kuscentziosus, tokat ki is dirigentis siant indipendentistas e no atra kosa.

    Jai in su kungressu de Aristanis (3/4 friafriaxu1979) e in su kungressu de PortuTurris (5/6 ‘e Idas 1981) su Partidu, po voluntadi de sa basi, íat nau di essi indipendentista.

    De intzandus funti passaus 15 annus ma passus polìtikus kankretus konka a s’itndipendintzía, su

    Partidu no nd'at fatu, o nd'at fatu tropu pagus.

    Lasseus a perdi s’índipendèntzia ki is atrus partidue no s'ánti permìtiu de fai me is 5 annus de pre esidèntzta Melis, ma niaciunu pattidu si podít tressai de dha fai in domu nostra dònnia diri.

    Poita, intzandus, su Partidu nu at cirkau de tenni una polìtika èstera, una polìtika kulturali, mellus, unu, ministru de is Esterus i unu ministru a sa kultura?

    Poita is segretàrius natzionalis nostrus kistionant sèmpiri in italianu?
    Poita, fintzas a imoi, no teneus nisciuna bìdea de Ekonomia Natzinnali Sarda e nisciuna bidea de Organízatztioni ínterna de sa Repùblika Sarda?

    Ki seus akant’ a sa genti, antzis kun is arrìxinis me in sa genti, depeus sciri e nai ita at a bolli nai, in sa vida de dònnia diri, a essi indipendentis.

    Depeua nai, giai de imoi, ka a essi indipendentis, nu olit nai sceti ka nci bogaus unu guvernu (kussu itallianu) e ndi poneus un’antru (kussu sardu); o, assumankus nu olit nai sceti kussu, poita su guvernu nou (sardu) depit essi diferenti de su béciu (itallianu) no sceti de nòmini, ma da sustàntzia.

    Aici, tanti po ndi bogai a lestru unus kantu esèmpius, ki su stadu itallianu est organizau aici mali di essi permitiu a is guvernus suua de ndi furai totu su ki nd'ant furau, aici mai siat ki sa Republika Sarda bessat aìci mali atrossada, de permiti a is guvernus sardus de si furriai a dilinkuentis.

    Ankora un'antru esèmpiu: ki su gnvernu de Roma est aici meda centralista de ndi bagai s'alientu ekonòmiku e kulturali de totu is atrus Logus ki faint parti de sa Repùblika Italliana, aici meda centralista de inkarrerai a nosus Sardus a ndi straciai s’Indipendentzia ki si permitat de sighiri a bivi, kumenti iat a essi possibili ki sa Repùblika Sarda fatzessit in sa matessi manera, kentz' 'e kuntziderai, ghetendi leis, a sa realtadi de totus is Regionis e is Bidhas de sa Sardigna?

    Kusta manera de kunkordai sa polìtika est noa poita movit de bàsciu e no de pitzus e fait kontu de is traditzionis antigas, de sa kultura, naraus de s’ispìritu etotu de su Populu Sardu ki est sidiu forti de autonomia e de rispetu no sceti de parti de su stadu itallianu ma fintzas de parti de sa Ragioni ki, a bortas, in pasi di essi mama si kumportat kumenti ki fuessit bìrdia.


    Medas ndi bogant a esèmpiu su federalismu de sa Germània e de s’Austria e de sa Svitzera.

    Ma po igudhus tres logus no si podit kistionai de federalismu pentzendi ka su feteralismu intzoru kurrespundat a unu federalismu intras a sa Sardinnya y a s’Itàl1ia (o arrogus de Itàllia).

    Sa realtadi est diferenti meda. Difatis sa Germànía est organizada in rejonis (Lander) ki tenint meda autonomia. Ma kustus Lander funt aunius po primu kosa de sa stòria (I, II e III Reich), po segundu kosa de is traditzíonis popularis, de sa lìngua (dònniu Land kistionat una varianti de sa lìngua tedeska) e, po akabbai, de sa kosa prus importanti, de is pròprius interessus ekonòmikus.

    Imoi, ki akostaus sa Sardinnya a kalisisiat rejoni de s 'Itàllia nu agataus nudha ki si potzat akumonai, ni sa stòrìa, ni is traditzionis pepularis, ni sa lìngua e prus pagu ankora s’ekonomia.

    Antzis est pròpriu in s’ekonomia, kustu, goi dhu scint beni is imprendidoris sardus e itallianus, ki si biri ka sa Sardigna e su kontinenti portant duus motnris kí, kumenti is de sa Germània e de s’Austria, viagiant donniunu po kontu suu.

    E siké a kistionai de federalismu intras a sa Sardigna i a sa Sicilia o intras a sa Sardigna i a sa Lombardia est a no essi kumprèndiu nudha de ekonomia, e prus pagu ancora de sa stòria de sa Sardigna.

    Un'ota biu totu kustu, po nonus sardus e sardistas s'Indipendèntzia depit abarrai sèmpirí s’obietivu stóriku de mill'annus ki su Pòpulu Sardu depit aganfai, ki olit segai diaderus is kadenas ki dh’akapiant.

    Ma però no podeus nimanku, intendendi su bentu de su federalìsmu itallianu suendi, amostai ka nu est aici o ka no si ndi importat nudha e, dunkas, sigumenti ka aosus seus indipendentistas, “nosus innoi e issus innisi”.

    Prusaprestu si emus a depi pregontai: Dhoi est logu aintru de s'ideologia sardista, kì est indipendentista, po una kistioni kumenti su federalismu?
    Nosus pentzaus ka tokat a ndi scerai s’obietivu stòriku de sa tàtika, de sa strategia ki fatoris kuntingentis ponint sèmpiri ananti, donnia diri, a su ki si ponit a fai polìtika.

    I apustis, fortzis ka su “bentu federalista” nu est kànkua kosa ki akostat a s’arregardu polìticu e istòriku nostru do s'Indipendèntzia? Nu est fortzis ……



    Sikè totu kustu si skòvìat ka sa Sardigna (e su Partidu Sardu) depit gherrai paris po s'Indipendèntzia e po s'Autonomía, poita sa Republika Sàrda (s’Indipendentzia), aintrus, depit essi organizada a sa manera federali (kumentí una Germània o un’Austria a una Svitzera), manera ki nosus eus sèmpiri tzerriau autonomia.

    Torrendi a nosus, dunkas, dbnnia passu ki nosus sardistan fareus depit essi fattu kun “kuscièntzia”, konka a i gussus obietivus, sciendi ka luegus, antzis, giai de imoi, podeus fai Indipendentzia e Autonomia.

    Sikè kustu Kungressu, kí olit, podìt kumandai:

    a) Ki su Segretàriu de su Partidu siant a duas lìnguas;
    b) K de su Kuntzillu Natzionali bessat su Ministru a is Esterus e su Ministru sa Kultura;
    c) Ki in su statutu bessat ka sa Setzioni, su Segretàriu de setzioni e su Diretivu de setzioni siant su
    koru, s’ànima de su Partidu;
    d) Ki su Komunu, su Sìndigu e su Kuntzillu Kumunali siant su koru,slànima de su Pòpulu Sardu.

    Un' ota ki su Partidu at ditzidiu de kaminai kun "kuscièntzia" konka a s’Indipendèntzia (in polìtika èstera) e konka as'Autonomia (in polìtika interna), no si depint sbelliai boxis, ka in su kontinenti sulit su bentu do su Féderalismu ki at a bolli nai, de su paga ki si kmprendit, a torrai a fai s'Itàllia kun regionis ki tengant prus poderi de ditzidi de ímoi e sìkè sa Sardigna, po kastiai sa kosa kun ogus nostrus, s’iat a depi federai (= akapiai) kun s'Itàllia o kun arrogus de Itàllía kumenti sa Lombardia, sa Toskana etz.

    Ma kusta arratza do foderalismu podit fortzis andai beni po is pòpulus ki bivint in su Kòntinanti, ma no podit mai kunkordaí kun sa Sardigna poita po kunkordai unu raportu, federali intras a natzionis (o a stadus) tokat kí:
    a)dhoi siant is pr6prius interessus ekonòmikus e politikus e, ki fait, kulturlis e linguìstikus;
    ……………..

 

 

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