di Santi Fedele – In «Nuova Antologia», a. CXXVI, fasc. 2180, ottobre-dicembre 1991, Le Monnier, Firenze, pp. 203-244.
Il presente saggio costituisce un’anticipazione di un più ampio studio su Politica e cultura nei «Quaderni di Giustizia e Libertà» 1932-1935.
Dei «Quaderni di Giustizia e Libertà» il movimento omonimo pubblicò a Parigi dodici numeri in un arco cronologico di tre anni compresa tra il gennaio 1932 e il gennaio 1935. Scadenzati con periodicità mediamente trimestrale, i «Quaderni» si componevano di un numero di pagine variante tra un minimo di 80 (n. 1) a un massimo di 172 (n. 12) per un totale di 1484 pagine. Stampati con una tiratura media di 2.000 copie, i «Quaderni» venivano in parte diffusi all’estero tramite abbonamenti, rivendite e distribuzione militante e in parte, realizzati su carta velina o camuffati con copertine e frontespizi posticci, introdotti clandestinamente in Italia.
Dei «Quaderni» la Casa editrice Bottega d’Erasmo di Torino ha realizzato due ristampe fototipiche: la prima nel 1959 corredata da un saggio introduttivo di Alberto Tarchiani, «Giustizia e Libertà» a Parigi, dal sommario dei dodici «Quaderni» e da note biografiche sui collaboratori della rivista; la seconda nel 1975 arricchita da una Premessa di Alessandro Galante Garrone.
1. Fascismo e storia d’Italia: «carattere» degli italiani
«Il fascismo sprofonda le sue radici nel sottosuolo italico; esprime vizi profondi, debolezze latenti, miserie di tutta la nazione». Questo giudizio di Carlo Rosselli, formulato nel primo dei dodici «Quaderni di Giustizia e Libertà» in polemica con la chiave di lettura prettamente marxista e classista del fenomeno fascista sostenuta da Giorgio Amendola dalle pagine di «Lo Stato Operaio»[1], sintetizza con molta efficacia uno degli aspetti peculiari dell’interpretazione del fascismo elaborata da GL: il nesso profondo esistente tra storia d’Italia e fascismo e tra quest’ultimo e il «carattere» degli italiani.
Era stato lo stesso Rosselli, del resto, a sviluppare questi temi in alcune pagine del suo Socialismo liberale, rilevando come secoli di servaggio avessero fatto sì che l’italiano medio oscillasse tra l’abitudine servile e il ribellismo anarcoide rimanendo estraneo al concetto della vita come lotta e missione e alla nozione della libertà come dovere morale[2].
Gli italiani – aveva notato il futuro leader giellista – sono pigri moralmente, c’è in loro un fondo di scetticismo e di machiavellismo di basso rango che li induce a contaminare, irridendoli, tutti i valori, e a trasformare in commedia le più cupe tragedie. Abituati a ragionare per intermediari nei grandi problemi della coscienza, un vero appalto spirituale, è naturale che si rassegnino facilmente all’appalto anche nei grandi problemi della vita politica. L’intervento del Deus ex machina, del duce, del domatore, si chiami esso papa, re, Mussolini, risponde sovente ad una loro necessità psicologica. Da questo punto di vista il governo mussoliniano è tutt’altro che rivoluzionario. Si riallaccia alla tradizione e procede sulla linea del minimo sforzo. Il fascismo è, contro tutte le apparenze, il più passivo risultato della storia italiana. Gigantesco rigurgito di secoli e abbietto fenomeno di adattamento e di rinunzia[3].
In altre parole, per usare la celebre definizione di Gobetti che Rosselli fa propria sin dalle pagine di Socialismo liberale e a cui successivamente egli si richiama nei «Quaderni» per rivendicare la linea di continuità politica e ideale che lega il movimento giellista all’esperienza di pensiero e di lotta dell’intellettuale torinese[4], «il fascismo è stato in certo senso l’autobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che ha il culto dell’unanimità, che rifugge dall’eresia, che sogna il trionfo della facilità, della fiducia, dell’entusiasmo[5].
(...)
[1] [C. ROSSELLI], Risposta a Giorgio Amendola, in «Quaderni di Giustizia e Libertà» (d’ora in poi QGL), n. 1, gennaio 1932, pp. 38-39. L’articolo di G. AMENDOLA, Con il proletariato o contro il proletariato?, era apparso ne «Lo Stato Operaio» del giugno 1931, pp. 309-318.
Risposta a Giorgio Amendola, come diversi altri dei più importanti e significativi articoli di Rosselli apparsi nei «Quaderni», sono ora compresi nell’antologia di Scritti politici a cura di Z. Ciuffoletti e P. Bagnoli, Napoli, 1988, e nel secondo volume delle Opere scelte di Carlo Rosselli, Scritti dell’esilio, a cura di C. Casucci, Torino, 1988.
[2] C. ROSSELLI, Socialismo liberale, in Opere scelte di Carlo Rosselli, vol. I, a cura di J. Rosselli, Torino, 1973, p. 456. È stata questa la prima edizione critica di Socialismo liberale condotta sul manoscritto originale del saggio, composto al confino di Lipari negli anni 1928-29 e successivamente completato e ritoccato nei primi mesi dell’esilio parigino. In precedenza di Socialismo liberale si aveva un’edizione in francese (Paris, 1930) e un’edizione in italiano (Milano, 1945) condotta sull’edizione francese ritradotta.
[3] Ivi, p. 457. Per le antecedenti elaborazioni di Rosselli in tema di rapporti tra fascismo e storia d’Italia si rinvia alla fondamentale monografia di N. TRANFAGLIA, Carlo Rosselli dall’interventismo a «Giustizia e Libertà», Bari, 1968.
[4] Cfr. [C. ROSSELLI], Risposta a Giorgio Amendola, cit., p. 39.
[5] C. ROSSELLI, Socialismo liberale, cit., p. 462. La formula rosselliana riproduce, con lievi modifiche, l’enunciato di P. GOBETTI, Elogio della ghigliottina, in «La Rivoluzione Liberale», 23 novembre 1922, poi ripreso in La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Torino, 1964 (1° ediz. 1924), p. 179.