di Leo Valiani – In «Nuova Antologia», a. CXXIV, fasc. 2172, ottobre-dicembre 1989, Le Monnier, Firenze, pp. 133-139.
L’idea dell’unità culturale di un’area europea, invero limitata, risale all’antichità classica. Poi si afferma l’idea dell’unità religiosa dell’Europa, ancorché scissa fra la Chiesa di Roma e quella di Bisanzio. Nel passaggio dal Medioevo all’età moderna, prende, però, il sopravvento la formazione delle nazioni che combattono per l’egemonia politica e militare o, inversamente, per la loro indipendenza. La Riforma, rinnovando in profondità lo spirito religioso, spezza l’unitarietà della Chiesa in Occidente.
Nel Settecento, il secolo dei lumi, si fa strada l’idea dei diritti dell’uomo come diritti universali, che trascendono le frontiere nazionali e religiose. Ciò porta, in linea di principio, alla democrazia politica, che si contrappone ai regimi assolutisti. La democrazia, naturalmente, può anche essere nazionalista e proprio con la rivoluzione francese lo è, violentemente, nella prassi, sebbene non in teoria. Gli alberi della libertà, che le armate rivoluzionarie, prima ancora di farsi imperiali, piantano in Italia, in Germania e altrove, coprono saccheggi e conquiste, ma diffondono egualmente l’aspirazione a mete democratiche, comuni a tutti i popoli europei nei loro enunciati ideali. Quel tanto che si viene a sapere del federalismo, che si realizza negli Stati Uniti d’America, suscita meditazioni fra coloro che pensano che il trionfo della Santa Alleanza, dopo la sconfitta bellica di Napoleone, non sia il modo migliore di garantire la pace.
Sin dal 1814 due intellettuali francesi, Saint-Simon e il «suo allievo», il futuro insigne storico Thierry, pubblicano un libro intitolato De la réorganisation de la Société Européenne, nel quale auspicano una Federazione europea, che metta termine ad ogni guerra nel vecchio continente. In questo, ed in altri suoi scritti, Saint-Simon, che auspica l’avvento di una società industriale, dei produttori, al posto di quella dei parassiti e dei privilegiati, fra i quali include i militari, sottolinea che l’industria (nelle cui componenti scorge gli imprenditori, i banchieri, scienziati, e altresì i lavoratori, i proletari) avrà interesse ad essere pacifica, anziché fautrice di guerre.
Saint-Simon non era un democratico vero e proprio, e neppure un socialista. Vedeva acutamente i nuovi problemi, ma ne aspettava la soluzione dall’alto. Numerosi suoi discepoli si diranno democratici e socialisti. Essi influenzarono notevolmente Mazzini, che non abbracciò mai il socialismo, ma diventò – oltre che l’apostolo dell’unità italiana – il capo morale del movimento rivoluzionario democratico europeo, da lui anticipato con la «Giovine Europa». Mazzini fu così uno dei primi assertori degli Stati Uniti democratici dell’Europa che sperava si liberasse dalle monarchie. Nutrito di studi più empirici e scientifici, alla medesima conclusione giunse Carlo Cattaneo.
Le rivoluzioni del 1848 furono europee nelle loro prime esplosioni, ma si fecero prevalentemente nazionali, e talvolta nazionalistiche, nei loro sviluppi politici, il che ne accelerò le sconfitte.
Una delle prime manifestazioni del federalismo europeo possiamo ravvisarla nel Congresso per la Pace e la Libertà che, dopo l’attenuarsi della reazione, si tenne a Ginevra nel settembre 1867, su iniziativa dei radicali svizzeri, e degli organizzatori operai parigini, con l’adesione di Victor Hugo, che già nel 1849 aveva lanciato a Parigi l’idea degli Stati Uniti d’Europa; del celebre filosofo ed economista inglese John Stuart Mill e con la presenza, applauditissima, di Garibaldi. Vi partecipò il libertario russo Bakunin. Per allora, né i pacifisti europeisti, né i socialisti internazionalisti, alla cui testa si affermavano Marx ed Engels, potevano far nulla contro il pericolo di una guerra franco-prussiana, che già nel 1867 si paventava e che si farà sanguinosa realtà nel 1870-71, gettando i semi dell’ancor distante guerra del 1914.
Quest’ultima è stata giustamente definita come una guerra civile europea. A parte il grande socialista francese Jaurès, storico altresì della rivoluzione dell’89, che ne fu la prima vittima, e pochi socialisti minoritari tedeschi, così Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Kurt Eisner – tutt’e tre assassinati nel 1919 – all’inizio vi si opposero recisamente solo tre partiti socialisti di paesi belligeranti: l’italiano, il russo ed il serbo. Anche i grandi intellettuali che la criticarono apertamente furono pochi: Romain Rolland, Bertrand Russell e, durante la neutralità italiana, Benedetto Croce. La rivoluzione russa del febbraio 1917 diede un colpo d’ala all’avversione alla guerra in atto. I capi del socialismo riformista italiano, Filippo Turati, Claudio Treves, G. E. Modigliani, pensando al dopoguerra, si pronunciarono nel 1917-18 per una Federazione europea, capace di impedire nuove guerre. Gli Stati Uniti d’Europa li auspicarono, da economisti liberali, Attilio Cabiati e Luigi Einaudi ed un industriale lungimirante quale Giovanni Agnelli.
Analoghe manifestazioni di pensiero si hanno, poco dopo, in vari paesi europei. Restano, tuttavia, manifestazioni minoritarie, benché in Francia trovino un’espressione politica nel ministro degli Esteri Briand, che non riesce, però, neanche lui, a rendere popolari i suoi convincimenti federalisti. Il pacifismo si diffonde moltissimo, nel ricordo degli orrori della guerra, ma in senso isolazionistico – anzitutto negli Stati Uniti, dopo la sconfitta del presidente Wilson e poi in Inghilterra e in Francia – e non in senso sovranazionale. Col fascismo e col nazismo, il nazionalismo si fa molto più violento e guerrafondaio che mai, nelle nuove dittature di destra.
In Italia il federalismo europeo si forma come elemento di lotta per la libertà. Non tutti gli antifascisti credono nella Federazione democratica europea. I comunisti danno priorità alla difesa dell’ U.R.S.S. che, con Stalin, è tutt’altro che europeista. Alla futura unità europea pensano, in esilio, l’ex-ministro degli Esteri Carlo Sforza e Don Luigi Sturzo. In Italia Benedetto Croce ne rilancia l’idea nella sua Storia d’Europa. Vi credono egualmente degli antifascisti democratici non ancora noti, così il giovane Ugo La Malfa, che vi accenna sin dal 1926 sul «Mondo», il quotidiano creato da Giovanni Amendola, che non tarderà di essere soppresso dalla dittatura fascista. Con l’avvento di Hitler al potere, Carlo Rosselli, già assistente di Einaudi e di Cabiati, e docente di economia all’Università di Genova, che risiede in Francia dopo la sua fuga dal confino di polizia, ma ha contatti coi cospiratori di «Giustizia e Libertà» in Italia, precede, nello stesso 1933, che la nuova guerra tornerà. In tale guerra, precisa Rosselli, bisognerà combattere per una rivoluzione democratica italiana ed europea, che egli vuole anche socialista, ma con la meta politica degli Stati Uniti d’Europa. La stessa tempestiva partecipazione di Rosselli alla guerra di Spagna si inquadra in tale suo disegno.
Di ritorno dalla Spagna, Randolfo Pacciardi, il comandante repubblicano del battaglione Garibaldi, che si è coperto di gloria nella difesa di Madrid, fonda a Parigi, con Alberto Tarchiani, già di «Giustizia e Libertà», il giornale «Giovine Europa» (che ha una pagina in francese, intitolata «Jeune Europe») col quale si riprende l’europeismo mazziniano. L’europeismo cresce fra i socialisti ed i cattolici. Per i primi si ricordi Ignazio Silone, esule in Svizzera, per i secondi Alcide De Gasperi.
È risaputo che il primo testo organico, maturo ed efficace del federalismo europeo nasce nel 1941 al confino di polizia di Ventotene. Autori ne sono Altiero Spinelli, che ha già scontato, prima del confino, 10 anni di carcere ed è uscito dal partito comunista, per protesta contro i processi di Mosca; Ernesto Rossi, già allievo prediletto di Gaetano Salvemini e di Luigi Einaudi, che ha scontato, per la fondazione di «Giustizia e Libertà», 7 anni di carcere ed Eugenio Colorni, socialista, che conosce, per frequentazioni universitarie, l’Europa occidentale. Egli perirà nella Resistenza a Roma.
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