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  1. #1
    Blue
    Ospite

    Predefinito Epidemie fra storia e letteratura

    Esiste un'unica forma di contagio che si trasmette più rapidamente di un virus.
    Ed è la paura.


    (Dan Brown, "Inferno")




    Il coronavirus 2019-ncov al microscopio (Reuters)


    L'immagine sopra - diventata ormai più famosa, a livello globale, persino della Gioconda - è diventata l'emblema della paura... la quale, da sempre, produce ottima letteratura. Da Tucidide a Boccaccio, da Manzoni a Camus, il contagio è propizio di storie e pensieri: rischiara il buio, trasforma in fiaba la malattia e il dolore. Quando abbiamo paura ci rifugiamo nell'immaginazione e ci stringiamo gli uni agli altri per darci conforto: fuori ci sono il male, il nemico, la minaccia; dentro ci sono la sicurezza, il bene, la salvezza. Sani contro appestati... proprio come i novellatori del "Decameron" asserragliati in una villa fuori Firenze, città in cui imperversa il morbo. E dove, per tenere a freno la paura, si raccontano storie d'amore.

    Nelle nostre vite, in genere, la paura ha un ruolo marginale: viviamo in luoghi mediamente sicuri, dove non ci sono rischi rilevanti o minacce. Poi è arrivato lui che, come una scossa, ha sparigliato le carte, acceso le nostre giornate, focalizzato i nostri pensieri, cambiato il nostro modo di vivere in poche ore.

    Ciascuno di noi reagisce in modo diverso, ma quasi nessuno resta indifferente. Nessuno dice «Corona che?», come si fa per ostentare superiorità rispetto agli accidenti del mondo che vengono a disturbare il nostro olimpico distacco dalla volgare quotidianità. I depressi cronici, come ci ha mostrato Lars Von Trier in "Melancholia", sono quelli che reagiscono meglio: per loro la fine è sempre un sollievo. I razionalisti vacillano e si appellano a Burioni, lavandosi furiosamente le mani mille volte al giorno e dichiarando la propria fiducia nella scienza. E tutti gli altri?

    Beh, per gli altri c'è - come si diceva all'inizio - la scappatoia dell'evasione-consolazione... perché, qualsiasi cosa ci accada intorno, anche la più temibile, la letteratura l'ha già raccontata. Prima e meglio.
    Ultima modifica di Blue; 28-02-20 alle 17:48

  2. #2
    Blue
    Ospite

    Predefinito re: Epidemie fra storia e letteratura

    La carestia, la peste e la guerra
    sono gli ingredienti più famosi di questo mondo.


    (Voltaire)




    Pieter Bruegel il Vecchio, "Il trionfo della morte", c. 1562


    Mentre il panico da Coronavirus serpeggia, insinuandosi tra supermercati saccheggiati e spostamenti bloccati, si può tentare di salvarsi frequentando luoghi notoriamente poco affollati: le librerie. Come riporta oggi il quotidiano "Repubblica", «l’effetto coronavirus scuote le classifiche dei libri. Nel giro di pochi giorni "Cecità" di José Saramago e "La peste" di Albert Camus hanno scalato le top delle grandi piattaforme e-commerce. Il romanzo di Saramago, pubblicato per la prima volta nel 1995, ieri era sul podio della top ten Ibs e quinto in quella Amazon, dove registrava un incremento delle vendite del 180%. Camus, invece, è volato nel giro di un mese dalla posizione 71 al terzo posto su Ibs e ieri su Amazon era quattordicesimo nella categoria classici, con vendite triplicate. Per entrambi, vale la fascinazione di un argomento legato all’attualità, un tema che risveglia la curiosità e la voglia di andare a riscoprire libri del passato nonostante gli scenari evocati non siano certo rassicuranti.»

    Tanto vale, se proprio vogliamo affondare il coltello nella piaga, andare in libreria a ragion veduta, conoscendo in anticipo in che modo epidemie, fobia sociale e paura del contagio sono state affrontate da vari autori. Ma, prima, un po' di storia...

  3. #3
    Blue
    Ospite

    Predefinito re: Epidemie fra storia e letteratura

    Epidemie... fra storia e letteratura


    "Epidemia" e "pandemia" sono parole greche ed indicano qualcosa che si diffonde rapidamente e capillarmente attraverso popolazioni e territori diversi.
    Ne troviamo traccia già all'inizio del primo testo della letteratura occidentale, l'Iliade di Omero, dove viene descritta una pestilenza che stermina animali e uomini nel campo degli Achei: un flagello mandato da Apollo per vendicare l’offesa fatta dal re Agamennone ad un suo sacerdote. Già in questo primo racconto della peste affiora un'idea molto diffusa nell'antichità: che le epidemie fossero, in realtà, una punizione divina. Anche la pestilenza che affligge la città di Tebe durante il governo di Edipo, come racconta Sofocle nella sua tragedia Edipo Re, ha un'origine sovrannaturale: è calata sulla città per colpa dei delitti di Edipo, il quale ha ucciso il padre per potersi unire con la madre. Per salvare la città dal morbo, si chiede consiglio all’oracolo di Apollo. Il signore di Delfi, infatti, aveva due volti: era la divinità terribile e mortale che inviava pestilenze e castighi, ma anche dio guaritore a cui rivolgersi per farli cessare.

    Non sempre, tuttavia, le epidemie venivano considerate in una prospettiva religiosa. La più famosa pestilenza dell'antichità fu probabilmente quella che colpì Atene nel 430 a.C. e provocò anche la morte di Pericle. Questa calamità deve la sua fama soprattutto alla descrizione che ne ha fatto lo storico Tucidide, il quale descrive i sintomi e il propagarsi della malattia con minuzia e rigore. Erano, del resto, gli anni in cui ad Atene si andava diffondendo la scienza medica di Ippocrate. La leggenda vuole che lo stesso padre della medicina fosse in prima fila nel cercare di arginare l’epidemia che affliggeva Atene. Un morbo che, ancora una volta, veniva da lontano: Tucidide riferisce che i primi casi erano avvenuti in Etiopia, poi il contagio si era diffuso in Egitto e in Libia e, infine, aveva raggiunto il porto ateniese del Pireo.

    Da qui, arrivare alla Roma antica, è un attimo. Ce ne parla lo scrittore Kyle Harper, in un libro tradotto pochi mesi fa da Einaudi: Il destino di Roma, il quale sostiene che, nella fine dell'impero romano, germi e virus sono stati più determinanti delle invasioni barbariche. Si va dalla peste antonina, esplosa nel 165, al tempo di Marco Aurelio, fino alla peste di Giustiniano, diffusa nel 531, e partita dal Delta del Nilo per poi propagarsi in tutta Europa. L’origine del morbo era sempre lontana, il veicolo erano spesso gli animali: il contagio viaggiava con le carovane che percorrevano la Via della Seta oppure sui barconi che, risalendo il Nilo, portavano a Roma, dal cuore dell’Africa, le belve destinate al Colosseo.

  4. #4
    Blue
    Ospite

    Predefinito re: Epidemie fra storia e letteratura


    Guglielmo di Tiro scopre i primi sintomi della lebbra in Baldovino IV
    Miniatura dall'"Histoire d'Outremer" di Guglielmo di Tiro, XIII sec. -



    Gli antichi hanno battezzato «peste» un cataclisma fisico, politico e mentale che affligge l'insieme di una società. Questa malattia mortale inaugura l'Iliade di Omero, riappare nella Tebe di Eschilo, nell'Atene di Tucidide e nell'Italia di Lucrezio. Il Rinascimento, con Boccaccio, Margherita di Navarra e infine Shakespeare, la evoca di nuovo come elemento fondatore in cui la letteratura esplora nuovi modi di esistere e di resistere, mentre il vecchio universo crolla senza speranza di ritorno.
    (André Glucksmann)



    Nell'antichità, la parola «peste» incuteva terrore al solo pronunciarla e indicava una serie di malattie che oggi chiamiamo in modo diverso, ma che si manifestavano - allora, come oggi - con una rapida, inarrestabile diffusione ed un alto tasso di mortalità. Alcune delle "pesti" antiche erano forse epidemie violente di tifo, di vaiolo o di morbillo; altre, erano effettivamente epidemie di peste bubbonica.

    Tuttavia, dopo il 543, anno della "peste di Giustiniano" e fino al 1348, anno della devastante peste nera, gli storiografi non tramandano notizie di altre pestilenze. Nell’857 abbiamo invece notizia (da Paolo Diacono) di un’epidemia di «fuoco sacro», la cui causa di contagio fu scoperta solo nell’Ottocento e risiedeva nelle piante alimentari, in particolare nella segale. Questo cereale, attaccato da un fungo, sviluppava sulla pianta una specie di sperone (segale cornuta) che, una volta ingerito, causava nell'uomo una sindrome mortale simile alla lebbra, l'ergotismo, endemico in Germania, Francia e Fiandre a partire dal IX secolo.

    Quanto alla lebbra vera e propria, fino ai secoli delle Crociate non si hanno notizie di epidemie di questo male in Occidente. Le nove Crociate (1095-1272) furono causa di un continuo flusso di uomini, merci, animali e batteri. Fu attraverso questi scambi che la lebbra, sempre presente nel vicino Oriente, divenne epidemica anche in Europa occidentale. La lebbra era considerata un male sacro perché di origine misteriosa e perché alterava la percezione del dolore (le parti del corpo colpite dal morbo diventano insensibili e cadono senza causare dolore al malato). Inoltre, era radicata la convinzione che la malattia fosse un segnale divino: l'espiazione di una colpa attraverso un percorso di sofferenza. La diagnosi di lebbra era comunque difficile, perché si poteva scambiare con certe forme di scabbia o di psoriasi; il criterio aureo rimaneva quello di pungere con uno spillone le parti malate, che erano anestetizzate dal morbo.

    La diagnosi di lebbra comportava la morte civile. Soprattutto fra il X e l'XI secolo i malati, allontanati dalle città, finivano con l'aggregarsi spontaneamente in comunità di campagna che avevano regole proprie, simili a corporazioni, che col tempo si trasformarono in veri e propri villaggi. Ma, con la diffusione della malattia, si rese necessario allestire all'esterno delle città dei luoghi specifici per i malati. Ecco allora nascere i lebbrosari, spesso adiacenti alle chiese. Si calcola che nel Duecento secolo ce ne fossero circa 20.000 in Europa e 2000 nella sola Francia.

  5. #5
    Blue
    Ospite

    Predefinito re: Epidemie fra storia e letteratura


    John William Waterhouse, A Tale from Decameron, 1916, Lady Lever Art Gallery, Liverpool



    Il Decameron

    I "secoli bui" furono attraversati un po' ovunque da ondate di epidemie che decimarono intere popolazioni e - in parallelo al timore del contagio, che comportava l'allontanamento dei malati dai centri abitati - cominciò ad affermarsi il concetto di quarantena, ovvero un periodo di isolamento per uomini e merci provenienti da zone infette. La quarantena fu istituita per la prima volta a Marsiglia nel 1383.

    E' di pochi decenni precedente il Decameron di Boccaccio (circa 1350). Oltre ad essere una delle migliori prose scritte in lingua italiana, è anche un prezioso documento sociale sulla pestilenza che infettò Firenze e l'Europa nel 1348, per malefici influssi celesti o per castigo divino. Proprio per sfuggire al morbo che dilagava in città e per salvarsi dal contagio, sette ragazze e tre ragazzi decisero di riunirsi in una villa della campagna fiorentina e passare il tempo raccontandosi una novella ciascuno, su temi diversi, per un totale di 100 novelle. E' questo il 'pretesto' che portò alla nascita del capolavoro di Boccaccio.

    Nell'introduzione all'opera, l'autore si sofferma a descrivere in dettaglio la «mortifera pestilenza» che ha colpito Firenze: ne descrive i sintomi, l'impossibilità di trovare una cura, ma, soprattutto, insiste su uno dei più gravi risvolti della malattia: il degrado morale e sociale che ha portato con sé. Qualsiasi rapporto sociale è ormai inesistente, persino i rapporti di sangue vengono totalmente stravolti e trascurati. Infatti, i dieci ragazzi non lasciano la città solo per salvarsi dal contagio, ma anche per creare un microcosmo alternativo in cui ripristinare un modello di società, ispirato a razionalità e cortesia, ricordando ai lettori che:

    «a niuna persona fa ingiuria chi onestamente usa la sua ragione

  6. #6
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    Predefinito re: Epidemie fra storia e letteratura

    La peste è una malattia infettiva di origine batterica causata dal bacillo Yersinia pestis.
    "Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia"


    IL DISPUTATOR CORTESE

    Possono tenersi il loro paradiso.
    Quando morirò, andrò nella Terra di Mezzo.

  7. #7
    Blue
    Ospite

    Predefinito re: Epidemie fra storia e letteratura

    Citazione Originariamente Scritto da occidentale Visualizza Messaggio
    La peste è una malattia infettiva di origine batterica causata dal bacillo Yersinia pestis.
    Corretto: la peste non è una malattia virale, ma batterica... così come il tifo (Salmonella enterica), il colera (Vibrio cholerae) e la lebbra (Mycobacterium leprae).

    Sono, invece di origine virale il vaiolo, ebola, la febbre gialla, il dengue, etc.

  8. #8
    Blue
    Ospite

    Predefinito re: Epidemie fra storia e letteratura

    La "morte nera" del 1300



    Nicolas Poussin, La Peste à Ashdod, c. 1630 - Paris, Louvre


    In Boccaccio, l'orrore dell'epidemia finisce con l'intaccare anche la sfera morale, poiché il timore del contagio coinvolge inevitabilmente i rapporti umani e le relazioni tra le persone. Cosicché la paura, oltrepassando il dato fisico e scientifico, sconfina nella sfera sociale e psicologica, oltre che simbolica: non solo in letteratura, ma anche nell'arte, l'epidemia diventa il simbolo di un'umanità allo sfacelo.

    Verso la metà del 1300 la terribile epidemia di peste che, partendo dall'Asia Centrale (Mongolia) colpì tutto il mondo allora conosciuto, era chiamata - non a caso - "morte nera". Trasportato dai ratti e dalle loro pulci, in qualche luogo imprecisato di abbandono e di miseria, il batterio Yersinia pestis mutò per attaccarsi all'uomo.

    Viaggiando di villaggio in villaggio, il bacillo fu registrato per la prima volta da un resoconto scritto intorno al 1338 nell'attuale Kirghizistan, presso una comunità cristiana-assira. Spostandosi lungo la Via della Seta, la "morte nera" raggiunse nel 1345 la Crimea, il Mar Nero e il Mar Caspio. Dopo essere serpeggiata per oltre un decennio in Oriente, attraverso vaste aree desolate e poco popolate che ne rendevano più lenta la diffusione, l'epidemia raggiunse la colonia genovese di Caffa, nell’odierna Ucraina. I marinai e i commercianti che partivano da Caffa diretti verso i vari centri sul Mar Nero e sul Mediterraneo, diffusero il contagio in Europa, in Medio Oriente e in Africa Settentrionale con una rapidità e una potenza strabilianti... soprattutto in Occidente, tra popoli malnutriti, città sovrappopolate e scarse condizioni di igiene e di salute.

    I primi focolai scoppiarono quindi nei porti più trafficati del Vecchio Mondo, a partire da Costantinopoli, Messina, Genova, Pisa e Venezia, per poi diffondersi in ogni direzione. Secondo le cronache dell'epoca, la gente moriva nelle case, nei palazzi, per le strade, sulle navi, in viaggio per cercare la salvezza dopo essere fuggita dalle proprie città. Morivano contadini e cittadini di ogni estrazione sociale: accattoni e miserabili, re, giudici e vescovi… e, naturalmente, morivano i medici che cercavano di curarli.

    In base a varie ricostruzioni, documenti e rapporti giunti fino a noi, si ritiene che la "morte nera" possa aver ucciso più di un terzo della popolazione europea (stimata, allora, in 75-80 milioni di persone), con punte molto alte in città come Londra, dove il 60% della popolazione fu decimato dall'epidemia.

  9. #9
    Blue
    Ospite

    Predefinito re: Epidemie fra storia e letteratura

    Cominciarono prima nel borgo di Porta Orientale, poi in ogni quartiere,
    a farsi frequenti le malattie, le morti con accidenti strani, di spasmi,
    di palpitazioni, di letargo, di delirio, con quelle insegne funeste
    di lividi e di bubboni, morti per lo più celeri, violente, repentine,
    senza alcun indizio antecedente di malattia.


    (A. Manzoni, "I Promessi Sposi" - cap. XXXI)








    La peste di Milano nel 1630

    Oltre all'epidemia del 1347-1351, notevoli furono la peste del 1360, detta "peste dei bambini" perché colpì in tutta Europa solo i minori, e quella che si diffuse in Italia nel 1575-1577, chiamata "peste di San Carlo Borromeo" perché l'arcivescovo di Milano si impegnò strenuamente per curare i malati in Lombardia. La peste nera rimase in Europa per altri duecento anni dopo il 1351, ma fino al Seicento colpì per lo più in forma leggera e senza coinvolgere tutto il continente.

    Invece, nel 1629-1630 una nuova, violenta epidemia di peste proveniente dalla Germania colpì il Nord Italia, e soprattutto la Lombardia, lungo la striscia di territorio percorsa dall'esercito dei Lanzichenecchi diretti a Mantova. Già verso la fine del 1629 si erano verificati alcuni casi di peste tra i soldati tedeschi al loro passaggio nel Nord Italia e anche tra i civili, senza che questo allarmasse più di tanto le autorità lombarde e milanesi o impedisse i festeggiamenti per il carnevale, mentre il popolo continuava ad ignorare la realtà, attribuendo i decessi a febbri malariche o altre malattie dai nomi meno spaventosi.

    Dal mese di marzo 1630 la peste iniziò a mietere vittime in ogni angolo di Milano con una diffusione velocissima, rendendo con drammatica evidenza ciò che fino a poco tempo prima era stato negato o travisato. La terribile epidemia viene descritta e raccontata in dettaglio da Alessandro Manzoni nella parte finale dei "Promessi Sposi", soprattutto nei capitoli XXXI e XXXII, interamente occupati da una digressione storica che ricostruisce la diffusione del morbo e le sue drammatiche conseguenze. La peste infuriò con particolare virulenza a Milano, allora tra le città più popolose della regione. La peste si propagò facilmente anche grazie allo stato di estrema povertà e privazione in cui il popolo si trovava dopo due anni di terribile carestia, in seguito ai movimenti di truppe e ai saccheggi avvenuti nell'ambito della guerra per la successione di Mantova, che vedeva la Spagna opposta alla Francia.

    A partire dal mese di maggio i casi di contagio crebbero moltissimo (in numero di circa 40 al giorno), complice il caldo che favoriva la diffusione del male. I malati ricchi venivano curati a casa, mentre i poveri venivano portati al lazzaretto, dove la cura dei malati era affidata ai frati Cappuccini (Manzoni sottolinea la preziosa opera dei Cappuccini nell'accudire e malati e nel supplire all'incapacità delle autorità cittadine a gestire il contagio). Ma l'incremento del numero dei malati riempì ben presto il lazzaretto e venne così creato un secondo lazzaretto al Gentilino, che fu affidato ai frati Carmelitani e che divenne attivo a partire dall'inizio di giugno. Nonostante le autorità proibissero di lasciare la città, minacciando pene severissime come la confisca delle case e dei patrimoni familiari, furono molti i nobili che fuggirono da Milano per rifugiarsi nelle loro residenze di campagna.


    La caccia agli untori

    La paura del contagio, che mieteva vittime sempre più numerose in città, fece nascere nella gente nuovi pregiudizi e iniziò così a diffondersi l'assurda credenza che alcune persone spargessero appositamente unguenti venefici per propagare la peste: gli untori. In breve tempo, tra gli abitanti di Milano si diffuse una vera e propria psicosi e si cominciò a vedere e a cercare untori dappertutto, mentre montava verso questi fantomatici personaggi una furia cieca e bestiale. Manzoni cita due episodi emblematici di come il furore popolare fosse tragicamente in cerca di capri espiatori della peste: un vecchio che spolverava una panca in chiesa prima di sedersi venne accusato di essere un untore, linciato senza pietà e trascinato in carcere dove probabilmente morì per le percosse. Tre giovani turisti francesi, nell'atto di osservare il Duomo di Milano e di toccarne il marmo con le mani, subirono lo stesso trattamento da parte della folla e furono condotti al palazzo di giustizia, dove fortunatamente furono scagionati e liberati. Molti illustri medici cominciarono a confermare con argomenti pseudo-scientifici l'esistenza degli untori e furono condotte varie inchieste che finirono fortunatamente in nulla, mentre non così avvenne nel caso di Giangiacomo Mora e Guglielmo Piazza, che vennero accusati di essere untori e condannati a morte, dopo che le loro confessioni erano state estorte con la tortura. Manzoni ricostruisce la vicenda giudiziaria nella "Storia della colonna infame", il saggio storico pubblicato in appendice ai "Promessi Sposi" e il cui contenuto è brevemente accennato alla fine del cap. XXXII.

  10. #10
    Blue
    Ospite

    Predefinito re: Epidemie fra storia e letteratura

    Rileggendo alcuni stralci manzoniani sulla peste del 1600 a Milano, vi ho trovato - purtroppo - diverse analogie con la situazione presente... come quelle che vado a raccontare e di cui sono stata testimone diretta, perché c'ero.

    Ieri, in coda alla cassa in un negozio di saponi, una donna anziana ha quasi rischiato di essere malmenata (e forse lo sarebbe stata, se la gente non avesse avuto paura di toccarla), perché, oltre a non indossare guanti e mascherina, criticava la lentezza della cassiera e si lamentava del fatto che fosse aperta una cassa soltanto (per evitare assembramenti).

    Qualche giorno fa, per strada, una ragazza (evidentemente, non della zona) ha chiesto un'informazione ad un passante e questo, dopo averle risposto malamente, si è allontanato a gran velocità.

    La farmacia vicino casa mia, che fino a due giorni fa era regolarmente aperta e faceva rispettare la distanza di un metro o due agli avventori, stamattina era chiusa... o meglio, per acquistare qualcosa, dovevi suonare il campanello e, attraverso uno spioncino, chiedere cosa ti serviva. Sempre attraverso lo spioncino, pagavi e ricevevi quanto avevi chiesto.

    Tutto ciò, senza contare le strade deserte, i mezzi di trasporto vuoti, i negozi chiusi... e il silenzio. Un sinistro silenzio che ricopre col suo pietoso velo tutta la città... la mia città. Milano.


 

 
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