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    Predefinito Azionismo e storiografia: il convegno di Bologna (1984)




    di Giuliano Torlontano – In “Nuova Antologia”, fasc. 2150, aprile-giugno 1984, Le Monnier, Firenze, pp. 410-416.

    «Sovente, negli anni ’60 e ’70, Ugo La Malfa mi confessava di desiderare che si riunisse un convegno di studi dedicato alla storia del partito d’azione. Egli era ormai il capo indiscusso del partito repubblicano ed era riuscito a fare di questo storico partito… un partito di grande modernità di vedute. Di questa modernità La Malfa aveva già data sicura prova nell’attività da lui svolta nel promuovere, nel 1942, la nascita del partito d’azione… e poi, nel 1843-44, alla testa del partito d’azione medesimo». È la testimonianza di Leo Valiani. Una testimonianza suggestiva e significativa che ha aperto l’ampia e approfondita relazione svolta dal grande storico alla sessione inaugurale del convegno bolognese sul tema Il partito d’azione dalle origini all’inizio della resistenza armata.
    Dal 23 al 25 marzo 1984 nel capoluogo emiliano-romagnolo si è finalmente realizzato l’antico sogno di Ugo La Malfa; e si è realizzato proprio nel quinto anniversario della scomparsa dello statista che fu tra i fondatori e i protagonisti del partito d’azione: prima di confluire nell’antico e glorioso partito repubblicano, attraverso la breve ma fondamentale esperienza della Concentrazione democratica repubblicana.
    Non a caso la Federazione italiana delle associazioni partigiane e l’Istituto di studi Ugo La Malfa, promotori del convegno bolognese, hanno affidato la relazione su Il pensiero e l’azione di Ugo La Malfa a Giovanni Spadolini: L’intellettuale e leader politico che recuperando il tema salvatorelliano del «partito della democrazia» ha sempre individuato nel programma lamalfiano degli anni sessanta e settanta il momento fondamentale in cui l’azionismo democratico e non classista si unisce al repubblicanesimo: verso un rinnovato partito di democrazia risorgimentale e riformatrice.
    Una cosa è certa. Il convegno che si è svolto alla fine di marzo ha costituito il coronamento di tutta una serie di studi sull’azionismo che sono fioriti solo negli ultimi anni. E che attendevano una prima opera di sintesi: quelle che l’incontro bolognese è riuscito a realizzare.
    È quasi un paradosso che, fino a non molto tempo fa, la storiografia dei partiti politici – una disciplina da vent’anni legata al nome di Carlo Morandi – abbia riservato solo poche ed incomplete pagine al partito che più di ogni altro e prima di ogni altro, nella stagione della Resistenza, avvertì che lo sviluppo economico e sociale del dopoguerra avrebbe richiesto una nuova cultura politica: oltre gli ideologismi ottocenteschi.

    (...)
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    Predefinito Re: Azionismo e storiografia: il convegno di Bologna (1984)

    Poco esplorata negli ultimi decenni, la storia del partito d’azione è stata ripercorsa in larga parte solo attraverso la memorialistica e i documenti inediti degli uomini che furono protagonisti dell’originale formazione politica della sinistra laica e democratica. Quella che aveva riunito – ricordò Ugo La Malfa - «le forze intellettuali più vive della società italiana».
    Ricordiamo, in particolare, le indimenticabili pagine (lo scorso anno riproposte dal Mulino) di Tutte le strade conducono a Roma l’opera scritta da Leo Valiani nei primi mesi del 1946: al termine della lotta di liberazione e quasi alla vigilia della nascita della Repubblica; Una lotta nel suo corso, libro del 1954 che, sotto gli auspici di Carlo L. Ragghianti, raccolse i carteggi fra i più rappresentativi esponenti del partito; numerosi capitoli del Disegno storico della liberazione italiana, pubblicato nello stesso anno, sempre da Ragghianti. E nel 1967 apparve il saggio di Emilio Lussu Sul partito d’azione e gli altri.
    Mancavano opere che studiassero la storia dell’azionismo con la stessa completezza di indagine che ha caratterizzato la più recente storiografia dei partiti politici. Una carenza che è stata colmata da Elena Aga Rossi, nel 1969, con il suo saggio su Il movimento repubblicano, Giustizia e Libertà e il partito d’azione; da Giovanni Spadolini, fra il ’78 e l’83, con numerose e significative pagine della «trilogia» di storia della lotta politica, Italia della ragione, Italia dei laici, Italia di minoranza; da Lamberto Mercuri che ha pubblicato, nel ’77, per i Quaderni della FIAP, il verbale integrale della prima sessione del Comitato centrale del partito d’azione (dopo quel Congresso di Roma che, nel febbraio 1946, produsse la diaspora azionista); da Giovanni De Luna che, nel 1982, ha pubblicato, con Feltrinelli, la prima Storia del partito d’azione. Subito seguita da Gli azionisti (1983): il volume che, per i Quaderni della «Critica politica», ha raccolto i ricordi di Aldo Passigli, con la prefazione di Giovanni Spadolini e gli interventi di Guido Calogero, Vittorio Gabrieli, Carlo L. Ragghianti, Manlio Rossi-Doria.
    E, all’inizio del 1984, nelle edizioni di «Archivio Trimestrale» («Biblioteca dell’Istituto di studi per la storia del movimento repubblicano») è uscito l’ampio volume dedicato da Giancarlo Tartaglia a I Congressi del partito d’azione (1944/1946/1947). Con la suggestiva prefazione di Leo Valiani.
    Ecco perché il convegno di studi organizzato dalla FIAP e dall’Istituto La Malfa è giunto nel momento più opportuno e nel momento più propizio a una «rilettura» dell’esperienza azionista.
    Con una lunga serie di relazioni e di testimonianze, a Bologna la storia del partito d’azione è entrata a pieno titolo – lungo la linea direttrice segnata dagli studi più recenti – nella storiografia dei partiti politici. Attraverso un convegno «anche carico di implicazioni attualissime – aveva annunciato al ‘Corriere’, Arturo Colombo – perché nel rileggere e ‘rivisitare’ una pagina ancora vicina della nostra storia contemporanea, non sarà difficile individuare le ‘radici’ più profonde che mantengono fragile e malato il sistema democratico di oggi, troppo sordo e incapace di ‘provare’ almeno qualcuna delle terapie istituzionali, invano proposte dagli azionisti più lungimiranti, già una quarantina di anni fa».
    Quello di Bologna è stato soprattutto il grande incontro fra gli uomini che furono protagonisti dell’esperienza azionista insieme con Leo Valiani, Carlo Ludovico Ragghianti, Aldo Garosci e Enzo Enriquez Agnoletti c’erano Michele Cifarelli, Pasquale Schiano, Bruno Zevi, Raimondo Craveri, Vittorio Fiore, Leone Bortone, Vittorio Telmon e Pietro Crocioni.
    Puntuali all’appuntamento bolognese sono state Ada Rossi, Natalia Ginzburg e Joice Lussu. Tre donne che hanno, con peculiare dedizione, accompagnato anche la vita pubblica dei loro indimenticabili Ernesto Rossi, Leone Ginzburg e Emilio Lussu.
    Come scenario del convegno quasi l’intero centro storico della città: da Piazza Maggiore, dove l’aula consiliare del comune ha ospitato al sessione inaugurale, a via Castiglione, una strada della vecchia Bologna che comprende la sede dell’Istituto regionale per la storia della Resistenza. Quella sede in cui si è svolta la giornata conclusiva del convegno.
    E quando Spadolini ha ricordato Ugo La Malfa l’assise si è trasferita in una ampia aula universitaria.
    Un particolare significativo: proprio a Bologna, il 24 dicembre 1941, nacquero i sette punti del partito d’azione: prima base programmatica del nuovo partito che sarebbe stato formalmente costituito nel luglio 1942 a Roma.
    In quella vigilia natalizia di quarantatré anni fa, quando la caduta del fascismo era ancora lontana e la lotta politica continuava a svolgersi nella clandestinità, fu Carlo L. Ragghianti a sfidare la vigilanza della polizia mussoliniana con la convocazione della riunione bolognese.
    Era lo stesso Ragghianti fra gli estensori dei sette punti; punti programmatici che sarebbero stati pubblicati solo nell’agosto 1943 su «L’Italia libera» clandestina, ma subito seguiti dalle «precisazioni» di Ugo La Malfa e Adolfo Tino. Quindi, la relazione che Ragghianti ha svolto al convegno di studi sul partito d’azione non poteva non comprendere la genesi e lo sviluppo del primo programma di quella formazione politica (il secondo programma fu quello raccolto negli undici punti pubblicati, sempre sull’organo del partito d’azione, il 19 luglio 1944).
    Il grande storico dell’arte iniziò la sua milizia politica come giovane socialista: «un ragazzo socialista – sono parole dello stesso Ragghianti – bastonato dai fascisti nel 1924 e nel 1926». Pochi anni dopo avvenne l’incontro con la rivista «Pietre» «e perciò indirettamente con l’antifascismo militante di Giustizia e libertà».
    Ma per Ragghianti l’esperienza determinante è quella de «La Critica»: la rivista di Benedetto Croce cui egli collaborò nel 1933 insieme con Adolfo Omodeo e Guido De Ruggiero. Un anno dopo, a Milano, l’incontro con Ugo La Malfa.
    «Non si potrà capire bene il processo originario della vicenda della formazione del partito d’azione – ha sottolineato a Bologna lo studioso toscano – se non si intende il significato del fatto che esso si costituisce non sulla base di un’ideologia o comunque di un ‘corpus’ dottrinario, ma di un ‘programma’ concreto».
    Come nacquero i sette punti? «Le redazioni furono multiple». Con «un lavoro tenace e francescano»: prodotto di «una comunità corale di contributi». Compresi i contributi che giungevano «dalle carceri e dalle isole», inviati da Ernesto Rossi e Riccardo Bauer. Intrepida «staffetta»: Ada Rossi.
    Ragghianti non ha esitato ad individuare il vero e sostanziale termine ad quem dell’esperienza azionista. «La storia del partito d’azione – egli ha affermato – finisce al Congresso di Roma»: quello da cui scaturì la decisione di Ugo La Malfa e Ferruccio Parri di abbandonare il partito, ormai indirizzato da Emilio Lussu verso una concezione classista: secondo il mito del «terzo partito socialista», dopo il partito socialista di Nenni e il partito comunista di Togliatti.
    Fu quello il momento della nascita di «Democrazia repubblicana», guidata dai due più rappresentativi esponenti dell’azionismo non socialista. Azionismo democratico e riformatore: verso il «partito della democrazia», non prigioniero di una «piccola eresia socialista».
    Perché il partito d’azione finì a Roma nel febbraio 1946? Non si tratta di «esaltare», in una storia dell’azionismo, la componente liberal-democratica o democratica tout court, come pure qualcuno ha denunciato, a margine del convegno bolognese.
    La verità è un’altra. Al Congresso di Roma, «la segreteria con la relazione Foa – ecco la testimonianza di Ragghianti – ipotizzava la formazione e il successo di un centro tra ali estreme, conservatori e socialisti. Ma era una situazione inesistente, perché la situazione reale era tra coloro che volevano mantenere l’unità fondata sui sette punti, compresi molti liberalsocialisti, e coloro che volevano trasformare il partito d’azione in un altro partito.
    «L’ago della bilancia – prosegue il relatore – era nelle mani del gruppo liberalsocialista. O questo si riconosceva, com’era stato, una componente essenziale del ‘partito nuovo’ costituito negli anni 1935-43 e rappresentato dai sette punti, cioè del partito d’azione, ovvero, come già a Cosenza, dava un contributo determinante alla formazione, non di un partito liberal-socialista ‘destinato a convergere in esso’, come previde Foa».
    Ecco perché dopo il febbraio ’46 il partito d’azione costituisce «un’altra storia», che non ha più legame con il partito di sinistra nato nel luglio 1942 e battezzato nel gennaio 1943 da Mario Vinciguerra, con un nome che recuperava l’eredità del Risorgimento.
    Quello di Roma è stato l’ultimo Congresso azionista; il primo è avvenuto, clandestino e con pochi delegati, a Firenze fra il 5 e il 6 settembre 1943. Poco dopo la destituzione di Mussolini, ma quando le libertà civili e politiche erano ancora sospese.
    Lo ha ricordato Enzo Enriquez Agnoletti. La prima sessione avvenne a casa Furno, presidente Riccardo Bauer; la seconda sessione fu ospitata, nella sua abitazione, dallo stesso Agnoletti. In tutte due le giornate la presenza azionista fu piuttosto esigua. Agnoletti ha ricordato con commozione Leone Ginzburg e Duccio Galimberti: i due grandi antifascisti che non molto tempo dopo quell’incontro avrebbero sacrificato la propria vita alla battaglia per la nuova democrazia. Una «breve apparizione» fu quella di Ernesto Rossi.
    «Non escludevamo di dover proseguire il nostro dibattito alle Murate». Ma alla polizia di Badoglio sfuggì quel convegno: anche con la conseguenza che negli archivi del Ministero degli Interni non esiste una documentazione, seppur «di parte», sulla prima assise azionista. «Restano solo due ordini del giorno»: l’uno di carattere organizzativo, che segnava la nascita del nuovo partito, l’altro volto alla costituzione delle «commissioni interne» nelle fabbriche. Primo passo verso una presenza, difficile e sempre ostacolata, del partito d’azione nel mondo del lavoro.

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    Predefinito Re: Azionismo e storiografia: il convegno di Bologna (1984)

    Quasi un anno dopo, fra il 4 e il 7 agosto 1944, sarà Cosenza la sede del nuovo Congresso azionista: quello che vedrà il sopravvento nel partito d’azione della componente socialista guidata da Emilio Lussu, che presenterà un proprio ordine del giorno. Altrettanto farà Ugo La Malfa: anche se i voti raccolti dalla componente democratica saranno inferiori a quelli ricevuti dalla componente socialista.
    Ma l’antica polemica che vide, a Cosenza e poi a Roma, protagoniste le due «anime» dell’azionismo non è tornata con il convegno di studi bolognese. Bastino le parole di Agnoletti, uno degli azionisti che nel ’46 si schierarono con la componente socialista (mozione unificata De Martino-Codignola): «La Malfa fu un uomo di eccezionale lucidità. Egli ha sempre rivelato una moralità elevata ed è sempre rimasto lontano dal potere».
    Non è tempo di polemiche: è invece il momento di collocare il partito di La Malfa e Lussu, di Salvatorelli e Codignola, di Omodeo e Calogero nella storia dell’ultimo quarantennio. Con particolare riferimento agli anni compresi fra la nascita della Resistenza e la fondazione della Repubblica; senza dimenticare «l’onda lunga» dell’azionismo nella cultura politica del nostro paese.
    Un consuntivo del convegno? Preferiamo solo qualche nota sul dibattito di Bologna. Dal momento che gli studi storiografici sul partito d’azione sono ancora all’inizio; ma con positivi auspici per gli ulteriori contributi che non mancheranno in futuro. Dopo che la FIAP e l’Istituto La Malfa hanno aperto una profonda rimeditazione dell’esperienza azionista.
    Leo Valiani, Giovanni Spadolini, Aldo Garosci, Carlo Ludovico Ragghianti, soprattutto dopo il convegno di Bologna, sono gli studiosi che più hanno riscoperto la profonda attualità dell’azionismo.
    Nelle loro relazioni è tornata l’intransigenza morale di un mondo laico e democratico che continua a lottare per un’Italia «diversa». Un’Italia che sia fondata su quella moralità pubblica che non è moralismo o ignoranza delle peculiari «leggi» della politica (quelle tramandate da Machiavelli).
    Moralità pubblica è integrale dedizione all’interesse generale del paese. E l’azionismo non abbandonò mai questa fondamentale dedizione.
    Abbiamo già illustrato la relazione di Ragghianti: «un freddo saggio di archeologia antifascista» l’ha definita l’autore «in quanto volontariamente spoglia della passione che è inevitabile sorga ogni volta che una storia è stata vissuta». Una storia che ha avuto come protagonista anche Leo Valiani, il quale, rievocando Le matrici politiche del partito d’azione, ha ricordato che quel partito nacque da «un’esigenza morale insopprimibile». Non senza aggiungere: «A questo imperativo morale dobbiamo restare fedeli. La situazione odierna conferma come esso debba avere un alto grado di priorità».
    E Giovanni Spadolini ha sottolineato come il partito d’azione fosse riuscito ad unire forze intellettuali e forze morali. Soprattutto forze morali di cui «avvertiamo il bisogno oggi ancora più di un quarantennio fa». Quando Ugo La Malfa aveva chiamato tutti all’«esigenza scabra e severa della rinascita e della ricostruzione democratica». Per una democrazia «senza aggettivi», moderna e riformatrice, che deve essere oggi rafforzata mentre la questione morale «è più che mai aperta. Questione morale che è, più che mai, questione politica».
    Con un emblematico legame fra passato e presente, il leader repubblicano ripercorrendo l’esperienza azionista ha evocato il grande ruolo che anche oggi il «partito della democrazia», fra azionismo e repubblicanesimo, è chiamato a svolgere. Come «una forza capace di imprimere uno sviluppo decisivo alla trasformazione sociale del paese, al di fuori degli schemi sul liberismo classico non meno che del paternalismo dirigista e assistenziale: contro tutte le tentazioni del sottosviluppo e del paternalismo» (il testo segue questo resoconto).
    Sul filo della memoria storica si è svolta la relazione di Aldo Garosci. Linee per una microstoria era il titolo scelto dall’uomo che prima di partecipare all’esperienza azionista fu fra i protagonisti di Giustizia e Libertà. «Chi erano Tarchiani, Lussu, Rosselli, Rossi, Bauer e Facchinetti?», si è chiesto Garosci. E la risposta è giunta subito, nel modo più suggestivo. «Quasi tutti hanno ascendenze risorgimentali».
    Qual è la continuità fra Giustizia e Libertà e il partito d’azione? «La superiorità culturale su quella della classe politica al potere», il «senso della lealtà e dell’onore»: due grandi qualità «che non permettono la resa a ciò che si considera il male».
    Ecco perché negli ultimi tempi rivisitare il partito d’azione significa legare in un nesso inscindibile impegno storiografico e impegno civile: lungo una linea direttrice che ha attraversato l’intero convegno bolognese. Dalle relazioni sul «filo rosso» che unisce partito repubblicano, Giustizia e Libertà, partito d’azione (ricordiamo i contributi di Arturo Colombo, Marina Tesoro e Massimo Scioscioli) alle relazioni sul fervore innanzitutto etico del liberalsocialismo (Ruggero Ranieri e Dino Cofrancesco).
    È ritornata la figura e l’opera di Riccardo Bauer, per merito di Arturo Colombo: lo storico che ha studiato le «carte» dell’antico rifondatore de «Il Caffè». E proprio Bauer resta il simbolo di quella nuova cultura politica che fu espressa dall’azionismo; con un deciso «no» al socialismo classista non meno che «al liberalismo oligarchico e moderato della tradizione italiana». Come ha ricordato Arturo Colombo.
    Bauer «collocò» sempre la giustizia in luogo del socialismo e la libertà in luogo del liberalismo elitario. Il suo fu soprattutto un «neoliberalismo su basi sociali» che consentiva di considerare la politica «un processo cosciente di liberazione».
    Anche Lamberto Mercuri e Marina Tesoro, per il convegno di Bologna, hanno consultato archivi, carteggi e documenti inediti. L’instancabile animatore dei Quaderni della FIAP (che è stato anche fra i promotori del convegno di studi) si è soffermato su Giustizia e Libertà nelle carte di polizia (1929-1942), e ha ricordato un particolare che oggi può far sorridere: solo il 7 gennaio 1958 Aldo Garosci è stato formalmente riabilitato… Il corso della storia ancora una volta aveva superato il corso della burocrazia.
    Fernando Schiavetti fra repubblicanesimo e socialismo è stato l’argomento trattato da Marina Tesoro: la studiosa che alcuni anni fa per i «Quaderni di storia» di Le Monnier, ha scritto l’ampio saggio storiografico su I repubblicani dell’età giolittiana.
    Alle prime battaglie politiche del partito d’azione, fra ’42 e ’43, hanno dedicato i loro contributi Giovanni De Luna e Stefano Vitali: con particolare riferimento di Vitali ai quarantacinque giorni di Badoglio.
    Non è stata dimenticata la ramificazione regionale dell’azionismo: un tema svolto da numerosi testimoni e studiosi. Significativa è stata la testimonianza di Vittorio Telmon sul partito d’azione a Bologna. Giancarlo Tartaglia, Fulvio Mazza, Vittore Fiore, Joyce Lussu, Anna Maria Cittadini Ciprì, Marina Addis Saba e Antonio Alosco si sono invece dedicati all’azionismo del Meridione: un significativo aspetto che è tornato nella testimonianza di Michele Cifarelli, l’uomo che guidò il partito d’azione nel Mezzogiorno, il protagonista del Congresso antifascista di Bari.
    Ricordiamo le sue parole: «Volevamo superare i vecchi partiti e soprattutto volevamo superare quel giolittismo che nel Sud era sempre rimasto legato agli ascari. Il nostro meridionalismo era anche europeismo».
    E non è mancato a Bologna un prospetto dei rapporti internazionali del partito d’azione; prospetto affidato a Enrico Serra che ha raccolto i più significativi riferimenti delle fonti diplomatiche «al partito politico che, insieme al partito comunista, ma per motivi diversi, ebbe maggior risonanza all’estero». Quasi a compensare la collocazione minoritaria che all’azionismo fu riservata in patria. Negli anni in cui l’ideologismo aveva ancora il sopravvento sui programmi concreti.

    Giuliano Torlontano
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