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  1. #11
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito Re: 1989. XXIII° Congresso nazionale del PSd’Az.

    Sardegna 2000

    NOTA DI AGGIORNAMENTO

    Mozione presentata da Mario Carboni (vicesegretario aggiunto), sottoscritta da Fernando Abis, Carlo Monni, Antonio Monni (PULA); Roberto Cardia, Sebastiano Disi, Lorenzo Marratzu, Antonio Melis, Francesca Mercu, Gonario Rocca (NUORO); Battista Diez, Antonio Mura (ITTIRI); Attilio Meloni (SORSO); Pietro Pintori, Gianni Ruggeri (CAGLIARI); Graziano Deledda, Pietro Secchi (OLIENA); Elio Casu (BUDONI); Cosimo Cualbu (OLBIA); Pinuccio Pinna (GHILARZA).



    Questa mozione è stata presentata esattamente un anno fa. Da allora la situazione politica, interna alla Sardegna ed allo Stato di cui facciamo parte, ha registrato delle mutazioni.
    Sopratutto l'esito elettorale che ha posto il Psd'az all'opposizione, di un quadro di maggioranza omologo a quello governativo parlamentare, consiglia una rivisitazione delle tesi esposte in Sardegna 2.000.
    Durante quest'anno abbiamo anche assistito ad una vera rivoluzione nei rapporti fra gli stati ed all'interno degli stati componenti il Patto di Varsavia, tanto da costituire il primo vero colpo agli accordi di Yalta che hanno condizionato la vita dei popoli europei compreso il popolo sardo.
    La democratizzazione in Polonia ed in Ungheria, la concreta caduta del muro di Berlino, la condanna del patto Hitler-Stalin con il quale vennero annessi all'URSS i Paesi Baltici e la Bielorussia, la crisi interna alla Iugoslavia ed all'Unione Sovietica, hanno posto ancora una volta all'attenzione mondiale i problemi delle nazionalità e del loro diritto all'autodecisione. La stessa prospettiva di Unione Europea si è dilatata tanto da far intravvedere un processo unitario che vada finalmente dell'Atlantico agli Urali:
    I fatti hanno confermato le tesi espresse nella mozione ed hanno dimostrato la funzione d'avanguardia del sardismo nell'elaborazione di strategie per il futuro.
    Per questo la mozione Sardegna 2.000 viene riconfermata come una delle basi per l'elaborazione di linee politiche e d'azione tattiche da proporre per il presente.
    Il comportamento dei partiti italiani nella gestione del dopo elezioni è stato caratterizzato da un atteggiamento conservatore e restauratore di una realtà politica ormai scomparsa ed improponibile.
    Una realtà che prescinde dal fatto che la Sardegna sia ormai parte importante del processo di liberazione delle nazionalità europee non riconosciute o colonizzate e della loro volontà di contribuire alla costruzione di una Europa unita secondo uno schema che non è più quello degli stati e dei governi legittimati da Yalta.
    Le questioni della sovranità, del ripristino delle lingue nazionali, del recupero dell'identità che diviene una forza materiale tanto potente da far muovere le masse in una reazione a catena che ridisegna l'Europa è stata esorcizzata dai partiti italiani in Sardegna, per non vedere che la presenza sardista non consente più la riproposizione di un passato ormai morto ed irripetibile.
    Il sardismo non è più solo, o meglio è rafforzato enormemente dall'impatto dei recenti fatti internazionali nell'opinione pubblica.
    Per questo il potenziale sardista non può essere svenduto o comprato, per un piatto di lenticchie legato alla mera divisione del potere assessoriale, ma ogni ipotesi di coinvolgimento sardista nel governo della Sardegna deve essere ancorato all'attuazione del Pacchetto autonomistico presentato dal Partito alle altre forze politiche ed all'opinione pubblica.
    Si tratta d'uscire da una logica di schieramento preconcetta ed ideologica per riaffermare la centralità del sardismo, basata tutta sulla sua egemonia culturale e politica legata essenzialmente al fatto di esprimere l'unica forza politica che rappresenti la nazionalità sarda e non gruppi di potere, comitati d'affari, lobbie, intermediari dei colonialismo e succursali di partiti italiani.
    Del resto la proposta del Pacchetto autonomistico si impone come l'unica idea politica che possa consentire una svolta nelle condizioni subalterne del popolo sardo.
    Sul piano teorico, il sardismo ha prodotto molto, mentre insufficiente è il dinamismo del Partito, la sua unicità direzionale e la sua coesione coordinata verso l'esterno.
    Insufficiente al limite dell'inesistenza è l'articolazione del Partito negli organismi di massa (sindacati, cooperative, associazioni artigianali, professionali ed imprenditoriali, culturali ecc.).
    La presenza sardista, emerge qualche volta, grazie al solitario impegno di personalità particolari che però scontano, in definitiva, una subalternità nelle decisioni finali coerente con l'assenza di un intervento organico del Partito.
    Senza una maggiore partecipazione dei sardisti alle varie attività organizzate nella società, senza la possibilità di valere compiutamente secondo le proprie capacità e secondo il peso politico collettivo del sardismo, non è possibile per il Psd'az adempiere completamente alla sua vocazione per la selezione e promozione di classe dirigente. La quasi totale proiezione dei sardisti nella esclusiva sfera d'attività politica, legata sopratutto alla partecipazione alle amministrazioni pubbliche elettive, genera il fenomeno noto come "todos caballeros" e una conflittualità interna ingiustificata e dannosa.
    La suddivisione quasi feudale delle sfere d'influenza provinciali e sub provinciali diventa un ostacolo al processo d'unificazione nazionale portato avanti dal sardismo e un ritardo nell'attuazione e nello sviluppo del sardismo stesso.
    Non esiste coordinamento dell'attività politica dei nostri rappresentanti, dal Parlamento al più piccolo comune, generando a volte frustrazioni e personalismi e sopratutto rendendo l'intervento dei sardisti di buona volontà scarsamente produttivo ed inferiore all'effettiva potenzialità del Psd'az.
    Spesso il sardismo viene suonato ad orecchio e se suonare ad orecchio può produrre musiche a volte pregevoli ed essere espressione di un libertarismo a cui noi sardisti teniamo molto, nelle condizioni presenti è necessario fare sardismo almeno interpretando lo spartito della linea del Psd'az, sopratutto negli Enti locali.
    Indispensabile è realizzare un cambio generazionale ed il passaggio del testimone, spesso enfaticamente proposto quanto inattuato nella sostanza. E' pur vero che ricambio generazionale non vuole dire sempre che i vecchi dirigenti lascino il passo ai più giovani ma in generale il ricambio generazionale esiste veramente quando i giovani, che hanno davanti a loro un futuro da costruire, finalmente possono gestire i destini del partito ricoprendo le cariche determinanti per operatività e rappresentanza.
    Evitare questo ricambio, pensando che dopo i vecchi dirigenti ci sia il diluvio è antistorico, conservatore e sopratutto velleitario. Il sardismo ha realizzato le sue più grandi conquiste quando il problema del ricambio generazionale non si poneva neppure quando i giovani della brigata Sassari furono il motore del rifiorimento politico della Sardegna.
    Rinnovamento generazionale non significa neppure gettare a mare nessuno, anzi significa valorizzazione ancora maggiore dell'esperienza e della saggezza dei dirigenti che lasciano il passo ai giovani.
    Il sardismo si trova ad affrontare il problema del gruppo dirigente che lo guiderà oltre il 2.000, questo è il vero nodo che deciderà le sorti del nazionalismo sardo.

    Motti che nel Partito esprimono critica verso il ritardo di un ricambio compiuto, incolpano di questo la vecchia dirigenza che, pur tenendo saldo, ma nell'immobilismo, il potere del Partito, esprime ad ogni pie' sospinto la sua disponibilità al ricambio.
    Sarebbe più corretto invece dare la responsabilità completa di questo ritardo alle nuove generazioni o più precisamente a quel gruppo di dirigenti reali, i cosiddetti quarantenni, che non riescono a definire una alternativa seria al vecchio gruppo dirigente e a disegnare una nuova leadership. Infatti definire nuovi assetti di comando democratico a partire dalla segreteria nazionale arrivando alle proiezioni elettorali dei singoli, richiederebbe riconoscimenti di capacità dirigenziale e ridimensionamenti di aspirazioni non giustificate, eccessive o non mature.
    Se i giovani dirigenti sardisti, trovassero una coesione, una divisione dei ruoli ed una volontà unitaria per dare al Partito quell'impulso e quella nuova immagine richiesta dai sardi, il rinnovamento generazionale sarebbe già cosa fatta.
    In definitiva anche se la volontà di cambiamento del cosiddetto gruppo dirigente storico è necessaria se non indispensabile, indispensabile è la volontà e la maturità del nuovo gruppo dirigente.
    Se il nuovo gruppo dirigente si manifestasse tanto maturo da decidere i ruoli ed i compiti dei suoi componenti si conquisterebbe sul campo la legittimità a dirigere il Partito senza costituire per esso un pericoloso salto nel buio come qualche vecchio dirigente teme.
    Fondamentale in tutto questo discorso è la questione morale.
    Questione morale che soprattutto significa: non rubare, ma che si evolve e si dipana nel rapporto dei sardisti col potere e con la gestione della cosa pubblica.
    Questione morale è per i sardisti questione di vita o di morte.
    Il solo sospetto di immoralità politica per uno solo dei nostri dirigenti si traduce immediatamente nel crollo dei consensi e dei voti. Questione morale è operare anche ottenendo riconoscimenti e gratificazioni ma sopratutto lavorare per il bene comune e per la collettività.
    Questione morale è non abiurare mai ai principi sardisti che ancora oggi sono molto scomodi per chi li professa con fede e determinazione.
    Questione morale è non creare clientele e camarille di basso profilo o privilegiare l'appartenenza ad organizzazioni riservate rispetto al Partito e favorirne indebite intromissioni.
    Questione morale è non accumulare cariche e prebende senza assolvere compiutamente a tutte le responsabilità o accettare, come uomini di paglia di altri, responsabilità alle quali non si è preparati culturalmente o professionalmente.
    Questione morale è anche avere un atteggiamento etnicista rispetto ai valori della politica senza accettare l'omologazione culturale ma senza rinunciare all'arricchimento dello scambio fra uguali.
    Questione morale è anche fraternità all'interno del Partito ed accettazione della diversità e delle differenti potenzialità che sono la base dell'unità d'azione. Ma se qualcosa in questi anni è stato lasciato in ombra nell'elaborazione teorica e nella prassi sardista è proprio l'azionismo.
    Un azionismo che non può essere come qualcuno ha affermato, in campagna elettorale, più fatti e non parole, ma un'articolata applicazione, nella società, della complessa teoria sardista. Azionismo che è connaturato alla psicologia del popolo sardo e che si deve esprimere in molteplici attività esterne ai palazzi del potere, raggiungendo e operando con la gente nei diversi campi nei quali si esprimono i bisogni dei sardi.
    Manifestazioni di organizzazione, di volontà, di protesta, di proposta, d'agitazione e di propaganda dovrebbero essere accentuate, arrivando talvolta a forme di disobbedienza civile in casi come l'inquinamento nucleare, la colonizzazione culturale dei nostri figli, la distruzione dell'ecosistema, l'occupazione militare, la droga, le zone interne, il degrado delle grandi aree urbane, il turismo di rapina, i trasporti, etc.
    Se il sardismo continuerà la propria lotta rinnovandosi e con coraggio, non passerà molto tempo che anche da noi il movimento nazionale prenderà connotazioni di massa analoghi a quelli che registriamo nei Paesi baltici e nel resto d'Europa ottenendo non briciole di potere "che canes suta de mesa" offerte oggi dai partiti italiani ma una reale influenza sui fatti politici che in definitiva decidono se la Sardegna sarà colonia o libera, con uno statuto di sovranità, con la zona franca, il bilinguismo, la continuità territoriale, con una qualità della vita che ci soddisfi in un ecosistema risanato e vitale.
    Per ottenere tutto questo bisogna però che il Partito oltre ad esercitare una egemonia politica e culturale deve assolutamente aumentare il suo consenso elettorale per raggiungere quella massa critica indispensabile per aver la forza di cambiare la realtà.
    Infatti l'esperienza delle forze politiche nazionalitarie che determinano avanzamenti storici sulla via dell'Indipendenza possibile, come in Catalogna, nel Sud Tirolo, ci indica che bisogna aumentare di molto le percentuali di consenso elettorale per rendere irreversibile la presa di coscienza nazionale del popolo sardo e la traduzione pratica delle sue aspirazioni nel governo della Sardegna.
    Aggiustamenti e modifiche dovrebbero essere praticati allo statuto del Partito per cui viene proposta la ripresentazione al Congresso della proposta di modifica elaborata dall'apposita commissione e stravolta nel Congresso di Quartu ed in subordine l'affidamento al Consiglio nazionale che emergerà nel 23' Congresso dell'elaborazione del nuovo statuto da approvare in un successivo Congresso straordinario tutto dedicato all'organizzazione interna.

  2. #12
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    Predefinito Re: 1989. XXIII° Congresso nazionale del PSd’Az.

    Mozione "Sardegna 2000”

    LE RADICI

    "Come altrove abbiamo già detto, il nostro autonomismo è preparazione all'internazionalismo, inteso però non come semplicistico abbattimento di frontiere, in nome di un astratto ideale unitario, ma come accordo d'interessi per la creazione di una forma statale che superi le attuali divisioni nazionali. Lungo è il cammino da percorrere, ma sin da ora noi guardiamo con simpatia al movimenti autonomistici: il nostro Mediterraneo occidentale è tutto pervaso da questi fremiti di vita nuova. Liberismo economico noi gridiamo alla Sardegna. Le barriere politiche debbono cadere insieme alle barriere doganali. Per gli stati uniti d'Europa noi abbiamo risollevato in faccia a l'impetuoso Tirreno il vessillo dei quattromori; in attesa della nuova civiltà mediterranea vogliamo sentire ancora palpitare il vecchio cuore della nostra Sardegna".
    Nel marzo del 1922, il secondo congresso del Partito sardo d'azione, approvava la relazione di Camillo Bellieni, nella quale era contenuto il passo più sopra riportato. Come tutti i movimenti veramente rivoluzionari il Psd'az, allo stato nascente, in sintonia con il passato, il presente ed il futuro del popolo sardo, prefigurava traguardi all'apparenza utopistici ma in realtà precursori dei tempi e quasi profetici per l'attuale Psd'az che si confronta col 1992 e l'applicazione dell'Atto unico europeo.
    La linea politica del Psd'az trova quindi la sua linfa teorica vitale e le sue origini nel primo sardismo, adattando le tesi e le intuizioni principali all'esperienza nella realtà contemporanea. Non è vero quindi come sostiene qualche sardista, atteggiandosi ad ideologo del sardismo, che dal congresso di Porto Torres, nel quale fu approvato l'articolo 1 del nostro statuto, sia avvenuta quasi una mutazione genetica nel sardismo. li vecchio sardismo viene considerato dispregiativamente come autonomista, noncurante della questione nazionale sarda, cieco sui problemi della lingua, meridionalista e sezione di un partito italiano, quindi partito italiano ecc, mentre il nuovo sardismo (forse dall'ingresso dei nuovi ideologi) è indipendentista, nazionalista, per la lingua sarda, non italiano ecc. Con questa operazione supportata da analisi nominaliste che non tengono conto della realtà storica, si tende a dividere i sardisti di Oggi fra coloro legati al vecchio sardismo, quindi conservatori e superati e coloro che invece seguono l'ortodossia del "nuovo sardismo" e che quindi si devono organizzare per prendere in mano il Partito. Si crea cosi in maniera del tutto artificiosa una profonda divisione all'interno del Psd'az che nasconde in verità realtà molto più prosaiche di quanto possa mascherare lo scontro ideologico.
    La caratteristica fondamentale del sardismo, ferma restando l'aspirazione alla indipendenza politica e alla statualità della nazione sarda, espressa prevalentemente in passato dalla parola d'ordine Autonomia o Autonomia statuale, è costituita dalla determinazione di raggiungere questo obiettivo senza ricorrere alla violenza, con mezzi politici, quindi con gradualità, conquistando posizioni sempre più avanzate, dando per scontato il passare di anni per vedere realizzati gli ideali sardisti. Gli avvenimenti Internazionali, la accresciuta conoscenza del mondo esterno alla nostra isola, la partecipazione di grandi masse alla vita politica, hanno contribuito alla puntualizzazione degli obiettivi sardisti. Proprio il rifiuto della violenza costituisce la parte più interessante dell'ideologia sardista, presa ad esempio da tutte le nazionalità senza stato europee: legare in maniera indissolubile l'indipendentismo al federalismo e viceversa. Per chi vede la liberazione nazionale e sociale del nostro popolo in termini astratti o mutuati da realtà diverse dalla nostra è evidente il fastidio manifestato per la componente federalista del nostro obiettivo prioritario (l'indipendenza) quasi che il federalismo fosse un annacquamento dell'indipendentismo.
    Forse tutto nasce da un insufficiente dibattito sul federalismo che chiarisca anche la differenza fra federazione e confederazione. Da questa differenza deriva la prospettiva della sovranità e della statualità come prerequisito per la federazione europea.

    IL FEDERALISMO

    Il federalismo non si può restringere in una definizione quanto non si possano definire la democrazia, il liberalismo o il socialismo. D'altro canto pur condividendo la difficoltà di definizione è anche dubbio che il federalismo possa essere posto sullo stesso piano dei liberalismo, della democrazia o del socialismo. Il federalismo non essendo rappresentabile solamente come un tipo di stato è anche un tipo di comportamento sociale caratterizzato da valori, strutture e storia propria. il valore fondamentale alla base dei federalismo è rappresentato dalla pace. Pace vista non solo come assenza di guerra dovuta alla tregua tra stati armati, organizzati per la guerra, risultato di un equilibrio nei rapporti di forza estremamente instabile.
    La pace è l'organizzazione del potere che trasforma i rapporti di forza fra gli stati in rapporti basati sul diritto.
    Il pacifismo, ad esempio, delle Nazioni unite (degli stati), quello dei Partiti (organizzati in Internazionali) o quello conseguente a concezioni filosofiche o religiose non ottiene la pace. Questa è raggiungibile in Europa con una rinuncia degli stati nazionali al loro potere assoluto. (Al loro interno sono state oppresse e disconosciute realtà geografiche, linguistiche, etniche, economiche, costrette al principio - uno stato, una lingua, una economia, una storia, un esercito - che dividendo nazionalità e zone economicamente e geograficamente omogenee hanno creato i presupposti delle guerre che hanno sconvolto l'Europa).
    Le competenze fondamentali dovrebbero essere assegnate ad un unico governo, redistribuendo il potere residuo, ma non per questo meno importante, a centri di potere locale, coincidenti non più con le frontiere dei vecchi stati nazionali ma coincidenti con statualità limitate ed omogenee, trasformate in realtà in autonomie speciali.
    Questo processo federalista è basato sulla rinuncia all'uso della forza, sull'abbattimento delle frontiere economiche e militari, che creino aggregazioni di popoli e nazionalità, altrimenti divise da frontiere statali, nel rispetto delle peculiarità etniche e storiche, rimandando al governo centrale (federale) ed ai governi locali eletti a suffragio universale e a tribunali federali, il governo e la soluzione dei conflitti fra gli stati e le nazionalità federate.
    Il federalismo realizzato (mediante processi spesso drammatici quali la lotta contro l'Inghilterra e la guerra di secessione per la Federazione americana, la Rivoluzione d'ottobre per la Repubblica federativa sovietica e le due guerre mondiali per la costituenda Federazione europea) ha già disegnato tre grandi blocchi, uniti al loro interno da principi federalisti. Anche se queste tre realtà differiscono, a volte profondamente, per livello di realizzazioni federali, di sistema economico e social-politico, storico e culturale, rappresentando strade storicamente differenti per raggiungere uno stesso scopo, sono riuscite ad evitare al loro interno il ricorso alla guerra, raggiungendo l'obiettivo non della pace ma almeno quello della pace interna. Ho esemplificato la situazione europea, quasi che il forte sentimento federalista fosse già realizzato in stato federale. Questo perché il processo europeo, al quale come sardi siamo partecipi e vocati per antica tradizione, come ogni processo politico, vede prima la creazione della struttura economica e produttiva.
    Successivamente, per conseguenza, si crea la sovrastruttura, qual è appunto lo stato, soprattutto se basato su principi federalisti e sul consenso dei contraenti. L'integrazione economica europea è avanzatissima e riceverà un potente impulso nel 1992, con l'inizio dell'attuazione dell'Atto unico europeo. Questo processo viene criticato (anche da noi) in quanto all'integrazione economica ed al mercato unico non corrisponderà un potere politico federale, un parlamento europeo ed il conseguente Governo europeo. Ma il potere politico rimarrà ancora nelle mani dei Governi degli stati nazionali. Ciò dipende più dalla fretta dei federalisti, che vorrebbero bruciare le tappe verso l'obiettivo finale, il governo europeo, che dal riconoscimento che tutte le tappe strutturali (che non sono affatto indolori ed uguali per tutti i partner) siano state superate.
    Questa fretta potrebbe anzi trasformarsi da fattore positivo, a livello della macroeconomia e dei gruppi economici egemoni e delle zone forti degli stati nazionali, in fattore negativo e a volte distruttivo per i gruppi economici subalterni, come l'imprenditoria sarda e per le zone marginali e sottosviluppate come la Sardegna o peggio per le nazionalità, oppresse sino ad essere negate, come quella sarda che è alla base della nostra ragion d'essere di Partito.
    Con la fretta di costruire la sovrastruttura politica, prima della struttura economica, si avvantaggia solo la costruzione dell'Europa unita voluta dai Governi degli stati nazionali, dandogli il potere, negato dal processo storico, di rappresentare tutti nella valigia diplomatica aperta al tavolo delle trattative.
    La Sardegna non vuole e non deve essere trasportata nella valigia della delegazione governativa italiana, come accaduto sin d'ora, ma essere interprete della sua storia per contrattare in prima persona i vantaggi e gli svantaggi del federalismo a cui dalla nascita è ispirata l'azione sardista.

    LO STATO NAZIONALE

    Gli stati nazionali nati in Europa fra la fine del 1700 e i secoli seguenti, sono rappresentati da quelle comunità politiche che hanno tentato di omogeneizzare, riuscendovi in buona parte, a prezzi elevatissimi, tutte le comunità, nazionalità o minoranze nazionali esistenti sui loro territori. L'essenza totalitaria degli stati nazionali si è espressa principalmente per l'imposizione di una lingua unica (il francese nella Repubblica francese, il castigliano nella Spagna, l'italiano nello stato italiano, l'inglese nel Regno unito ecc. Le frontiere tracciate a seguito di una teoria di guerre per ampliare i mercati interni hanno inglobato minoranze nazionali causa di continue tensioni o alibi per tendenze egemoniche ed imperialiste. Così l'Alsazia-Lorena o il Triveneto ed il Sud Tirolo. Gli stati nazionali, del resto, hanno preteso di colonizzare e assimilare alla nazione dominante nazionalità come l'irlandese, la basca, la catalana, corsa, sarda ecc.
    Le classi dirigenti degli stati nazionali hanno operato per costruire con la forza e la prepotenza un popolo nazione e non un popolo di nazioni riconoscendo e difendendo quindi solo un modello da imporre a tutti e non il pluralismo delle diversità. Venne fusa artificialmente la nazione (la nazione dominante con lo stato) con la conseguente tentata estinzione di tutti i legami spontanei o storicamente formati fra individui e comunità territoriali e nazionali, più deboli e più piccole della nazione dominante. Si sconvolse l'equilibrio europeo (soprattutto la vittoria dello stato nazionale in Francia, Germania ed Italia) frenando le forze produttive che, per loro natura, tendono all'integrazione economica e sociale sovranazionale. L'aggravamento dei conflitti internazionali conseguenti resero inevitabili le guerra per l'egemonia europea e mondiale.
    Gli stati europei, hanno dovuto conoscere l'esperienza tragica delle due guerre mondiali (ma soprattutto europee) e la barbarie del fascismo e del nazismo, per veder scomparire le loro indipendenze nazionali con la subordinazione alle due superpotenze (Usa ed Urss) perché fossero riunite le condizioni necessarie all'unificazione europea. Attualmente in Europa il federalismo si pone come possibilità concreta solo in opposizione a I nazionalismo delle nazioni dominanti e alle strutture ormai superate degli stati nazionali. La negazione degli stati nazionali fa resuscitare il ruolo storico di tutte le regioni storiche e di tutte le nazionalità senza stato che siano riuscite a sopravvivere a due secoli di genocidio fisico o culturale, esprimendo una rappresentanza politica che possa essere parte attiva nel processo di federazione europea. Il federalismo può rendere possibile la formazione in Europa di un popolo di nazioni, non quella di un popolo nazionale omogeneizzato a discapito delle differenze di lingua, di cultura e di storia.
    Ma questa possibilità può essere resa operante solo con uno sforzo delle nazionalità senza stato per essere presenti efficacemente nel processo di unificazione europea, pretendendo tempi e metodi coerenti con la propria realtà, sino a prefigurare clausole di salvaguardia economiche, politiche, culturali, temporanee ma necessarie per raggiungere in tempi non biblici livelli economici pari alla media europea. Questo senza rinunciare alle proprie vocazioni, alla propria lingua e cultura e soprattutto all'inalienabile diritto all'indipendenza nazionale, senza conservare nessun retaggio di vecchi colonialismi. Questa è la sfida che noi sardisti dobbiamo vincere.
    Sino ad ora le nostre rivendicazioni di Autonomia, di Autonomia statuale, di Indipendenza erano rivolte allo stato Italiano. Da questo punto di vista le richieste di bilinguismo, di zona franca, di riforma dello Statuto speciale hanno formato un tutt'uno coerente teso ad esprimere il massimo di sovranità nazionale ottenibile con metodi democratici e con la conquista del consenso dei sardi. Bisogna forse operare un salto di qualità per non rischiare di vanificare tutto il nostro lavoro, delegando allo stato italiano (come del resto fanno i partiti italiani in Sardegna) la partecipazione del nostro popolo al processo di unità europea. Corriamo il rischio di camminare, credendo di scegliere la via che ci è congeniale, su di una scala mobile diretta e governata da altri e per altri interessi.
    L'Europa unita si sta formando concretamente per fusione graduale di insiemi. L'insieme di cui facciamo parte è lo stato italiano. Senza cercare di diminuire l'offensiva democratica nei confronti dello stato italiano, affinché siano riconosciuti per legge i diritti nazionali dei sardi e il diritto all'indipendenza, quale pre-condizione per un patto federativo e ottenere su questi temi il crescente consenso dei sardi è necessario approntare una linea politica nei confronti dell'Europa affinché sia chiaro che qualunque patto realizzato sulla pelle dei sardi è da considerare nullo se a costruirlo e realizzarlo non sia stata in prima persona la rappresentanza politica del popolo sardo e non lo stato italiano. La Sardegna deve costituire uno degli insiemi partecipanti al processo di federazione europea. In quanto tale deciderà quali quote di sovranità ed in quale forma, intensità e durata, dovrà spontaneamente rinunciare per ottenere gli indubbi vantaggi della federazione europea, senza per questo suicidarsi in quanto nazione storicamente costituita.
    Parafrasando Bellieni, non abbiamo risollevato i quattro mori solo per ottenere gli stati uniti d'Europa, ma per farli sventolare assieme alle altre bandiere nella sede dei Parlamento europeo.

    FEDERAZIONE E CONFEDERAZ10NE

    La federazione è uno stato dotato di un potere diretto sugli individui i quali, del resto, concorrono con mezzi democratici alla sua formazione ed in seguito alla elezione degli organismi politici e amministrativi che lo governano "

    La CONFEDERAZIONE invece, non è uno stato ma un insieme di stati che conservano la loro sovranità assoluta ed esercitano un potere esclusivo sui cittadini di ogni stato. I conflitti fra gli stati componenti una federazione come quelli fra organizzazioni politiche e sociali o fra individui appartenenti a stati diversi possono risolversi in base all'applicazione di una legge comune davanti ad un tribunale comune. Gli stessi conflitti all'interno di una confederazione sono affrontati in prima persona dagli stati confederati che devono autoproteggersi, arrivando anche all'uso della forza per prevalere o non soccombere.
    Le decisioni degli organi centrali confederali si basano sul principio dell'uguaglianza degli stati (non sull'uguaglianza dei cittadini) ai quali viene attribuito un voto quale che sia la loro dimensione o la loro popolazione (nella federazione il principio base è rappresentato dall'attribuzione di un voto per ciascun cittadino). La confederazione è basata sul principio dell'intangibilità della sovranità di ciascuno stato escludendo il popolo dalle decisioni riguardanti i rapporti, fra gli stati, regolati da strutture formate da rappresentanti di ogni governo statale che escludono la risoluzione dei problemi con la formazione di maggioranza e minoranza. Su tutte le questioni importanti si decide all'unanimità.
    Uno degli stati confederati, qualunque sia la sua dimensione ed importanza o quale che sia la giustezza delle sue posizioni, può paralizzare l'attività di tutta la confederazione, sottoponendo la maggioranza alla volontà della minoranza. In effetti la confederazione rappresenta solamente una varietà particolarmente più ampia di alleanza fra stati diversi, caratterizzata dalla presenza di un organismo diplomatico permanente, utilizzato per ammortizzare i contrasti e raggiungere se possibile decisioni comuni. L'attuale situazione europea rappresenta una via ibrida fra la federazione e la confederazione.
    Permangono tutti i caratteri confederali, la sovranità degli stati, organismi comuni a livello governativo, ma anche un Parlamento europeo eletto a suffragio universale (con leggi elettorati diverse in ciascun stato e con ridotti, anche se crescenti, poteri politici). Non esiste un governo federale che coordini i governi statali e che su questi prevalga sulla base di una costituzione federale.
    Il principio costituzionale sul quale si basa la federazione (stato federale) invece è rappresentato dalla pluralità di governi indipendenti e coordinati fra di loro tanto che il governo federale possa esercitare (su tutto il territorio degli stati membri) il potere indispensabile per garantire l'unità politica ed economica, mentre gli stati membri esercitano i poteri residui (ciascuno sul proprio territorio).
    L'attribuzione al governo federale delle competenze relative alla politica estera e a quella militare, permette la dissoluzione delle frontiere militari fra gli stati i cui rapporti perdono l'eredità secolare di violenza e divengono rapporti basati unicamente su di un diritto comune, per cui ogni conflitto viene risolto davanti a un tribunale. La competenza del governo federale nel campo economico permette l'eliminazione delle frontiere, degli ostacoli fiscali, doganali e monetari sottoposti ad una capacità autonoma di programmazione economica che ottimizzi le risorse comuni federali.
    La conseguenza di questa pluralità di competenze distribuite fra diversi centri di potere è rappresentata dalla sottomissione, in tutto il territorio della federazione, del singolo cittadino a due centri di potere: il governo federale ed il governo statuale d'appartenenza.

    INDIPENDENZA NAZIONALE E FEDERALISMO

    L'indipendenza nazionale è un diritto storico costruito sulla base dei caratteri nazionali di ogni popolo. Il territorio comune, la lingua e la cultura, l'economia e una somma di caratteri comuni realizzati con un lungo processo storico, sono la base sulla quale si costruisce la nazione (con un mixer di caratteri etnici, economici, geografici e storici). Il dramma europeo ha avuto sempre origine dalla volontà delle classi dirigenti di ogni nazione di non rinunciare alla propria indipendenza (difendere la propria lingua e le proprie istituzioni, difendere un mercato interno alla propria nazione) pretendendo, a volte però, la sottomissione di altre nazioni o di parte di queste (minoranze nazionali) incluse all'interno dello stato costruito dalla nazione dominante. Questo stato, denominato stato nazionale, assume la lingua, la cultura, l'organizzazione sociale ed economica voluta dalla classe dirigente della nazione dominante, distruggendo ogni diversità ed opponendosi a ogni richiesta o manifestazione d'indipendenza o di riunione alla nazione madre delle nazioni e minoranze nazionali incluse nei propri confini.
    Ma l'aspirazione all'indipendenza vive quanto vive la nazione che la esprime. Se è vero che la nazione è un prodotto della storia e quindi le nazioni nascono ma anche periscono, l'aspirazione all'indipendenza termina con la sua conquista o con il genocidio di un intero popolo. Gli stati nazionali hanno perseguito diversi metodi per distruggere l'aspirazione al l'indipendenza, hanno usato mezzi militari e polizieschi. Uccisioni e deportazioni, ma anche divieto dell'uso della propria lingua e cultura, occultamento della storia e alienazione culturale e psicologica. La nazione sarda sperimenta tuttora la volontà dello stato italiano tesa al genocidio culturale dei popolo sardo.
    La nostra lingua negata, la nostra cultura clandestina, la nostra economia coloniale rappresentano i tasselli attraverso i quali lo stato italiano vuole imporre al popolo sardo la rinuncia all'aspirazione secolare all'indipendenza. Questa aspirazione sostenuta dalla coscienza nazionale è però conseguenza di un fatto reale ed inconfutabile: l'esistenza viva e vitale della nazione sarda. Contrariamente a quanto sostenuto dagli intellettuali della sinistra italiana, che in questo non sono dissimili dalla destra e dal centro, non è la modernità o lo sviluppo dei sistema capitalistico a rendere inutile e sorpassata l'aspirazione nazionale e l'esistenza delle nazionalità (quelle piccole o più deboli si intende) ma anzi la nazione è il frutto esaltato dalla modernità e dallo sviluppo della società capitalista. Anche le società a socialismo realizzato, lungi dal dissolvere le nazionalità, le hanno rafforzate. L'Irlanda, la Catalogna, il Paese basco, la Sardegna, la Corsica, i paesi baltici, l'Armenia, con i loro movimenti, lotte e conquiste nazionali lo dimostrano.
    Per questo l'europeismo e il federalismo dello stato e dei partiti italiani non è né può essere il nostro. L'Europa federale costruita con gli scheletri occultati negli armadi degli attuali stati nazionali potrebbe solo razionalizzare gli interessi delle classi dominanti, unite su base cosmopolita e non internazionalista. Aumenterebbe il divario fra zone sviluppate e marginali, conservando al proprio interno i germi dei conflitti futuri. Non creerebbe una società libera e democratica dove coesistano il diritto all'indipendenza nazionale e un governo federale comune.
    Per quanto riguarda la Sardegna, l'aspirazione all'indipendenza, alla sua statualità e al livello massimo di sovranità sono raggiungibili attraverso un processo duplice rivolto verso lo stato italiano e verso la Comunità europea. Verso lo stato italiano ottenendo il massimo di statualità e di sovranità sanciti dalle carte fondamentali che ci uniscono: la Costituzione e lo Statuto d'autonomia speciale. La loro modifica (un tassello importante è costituito dalla nostra proposta di legge per la riforma dello Statuto) consentirà di cedere solo le competenze attribuite a un governo federale
    (difesa, politica estera, ecc) riconquistando alla Sardegna tutte quelle estorte negli anni e che costituiscono l'essenza della questione sarda. Verso la Comunità europea con una offensiva politica unitaria, assieme possibilmente alle altre nazionalità senza stato, affinché nel mentre lo stato Italiano cede al governo ed al Parlamento europeo, eletto a suffragio universale, i poteri tipici del federalismo (difesa, politica estera ecc.) il Parlamento europeo riconosca le strutture d'indipendenza sarde (il suo, Statuto). Con questo processo il cittadino sardo risponderà a due centri di potere: Bruxelles (se così fosse deciso) e Cagliari. Con un processo sostanziale e non nominalistico, verrebbe raggiunto un obiettivo storico del Sardismo e dei sardi: la completa uguaglianza politica fra la comunità sarda e quella della penisola italiana. Istituzionalmente questo obiettivo è raggiungibile con l'elezione a suffragio universale (un cittadino un voto) della Camera del Parlamento europeo, mentre il senato europeo verrebbe eletto su base nazionale, per cui la Sardegna sarebbe rappresentata in quanto tale, con i suoi rappresentanti e la propria bandiera. Verrebbe raggiunto così l'obiettivo duplice di assicurare alla Sardegna la sua indipendenza nazionale e la necessaria applicazione dei principi federalisti che sono alla base della sua cultura politica, tesi al massimo di sovranità, così come sono proposte dal suo Partito nazionale, il Partito sardo d'Azione. Questo processo dovrebbe teoricamente svilupparsi con una azione parallela nei confronti dell'Europa e dello stato Italiano. Ma essendo il processo federalista progressivo e moderno a confronto del l'atteggi amento italiano nei confronti della Sardegna, arretrato e conservatore, è prevedibile uno scavalcamento del processo di unità europea nei confronti dei processo di ricontrattazione del rapporto Sardegna stato Italiano. La maggiore carica energetica, la funzione trainante dell'europeismo, aumenta in maniera esponenziale man mano che vengono raggiunti anche piccoli obiettivi d'integrazione europea. Una violenta accelerazione di questo processo avverrà poco dopo l'applicazione dell'Atto unico europeo nel 1992.
    Ma questa accelerazione " subita dalla Sardegna, senza clausole di salvaguardia, senza istituzioni politiche e leggi economiche che regolino un periodo non breve di transizione, potrebbe trasformarsi in un disastro e nel divenire la questione sarda problema europeo. Ma una Europa unita che conservi al suo interno, con la virulenza di sempre, la questione sarda o quella basca o quella irlandese, non sarebbe l'Europa sognata dai padri dal sardismo. 1 sardi lotterebbero ancora per l'indipendenza nazionale. Per questo l'indipendenza, come prerequisito per la costituzione dell'Europa unita o come sostenuto da Camillo Bellieni per la costituzione degli Stati uniti d'Europa, rimane e rimarrà a fondamento della carta statutaria del Psd'a. Con la consapevolezza che nelle condizioni storiche della Sardegna il federalismo non costituisce la tappa successiva all'indipendenza, ma anzi rappresenta la condizione contemporanea affinché l'indipendenza della Sardegna diventi una realtà realizzata e non un sogno che copra velleitarismo e accettazione della sottomissione coloniale.

    UNITA' EUROPEA E POLINGUISMO
    Il processo di negazione degli stati nazionali ingenerato dal federalismo, pone in Europa problemi diversi da quelli osservati in altri processi federali. Gli stati nazionali europei hanno sviluppato ed imposto le loro lingue, il Francese, l'italiano, l'inglese, il tedesco, il castigliano, ad esempio. Difficilmente sarebbe possibile imporre una di queste lingue a tutte le comunità. Ma se teoricamente questo fosse possibile, riconosciuto il dovere di parlare la lingua scelta come lingua della federazione, rimarrebbe il diritto per ogni cittadino di parlare la propria lingua nazionale.
    Esisterebbe quindi in Europa un regime di bilinguismo. In Italia quindi verrebbe parlata ed insegnata la lingua europea scelta e la lingua italiana. In Francia ed in Spagna verrebbe allo stesso modo parlata la lingua federale e quella francese o spagnola ecc. Ma se tutte le lingue nazionali avessero lo stesso titolo all'ufficialità all'interno della propria nazione, anche le lingue nazionali (non corrispondenti agli stati nazione) come il basco, il catalano o il sardo avrebbero diritto all'uso ufficiale e all'insegnamento. Per questo nel Paese basco, in Catalogna e in Sardegna, così come nel resto dell'Europa si avrebbe un regime di bilinguismo.
    La lingua scelta come lingua europea e quella sarda dovrebbero essere le lingue ufficiali ed usate. Nelle scuole e negli uffici verrebbero usate le due lingue. Si avrebbe così gradualmente l'eradicazione della lingua dello stato nazionale attualmente obbligatoria per le nazionalità senza stato e le minoranze nazionali. Infatti scomparendo i confini economici e militari dovrebbero essere ridefiniti i confini linguistici che non corrispondono con quelli degli attuali stati. Per noi sardi, il passaggio del centro politico da Roma a Bruxelles potrebbe resuscitare ciò che avvenne col passaggio (schematicamente) del centro politico di riferimento da Madrid a Roma. Abbandono della lingua e cultura ispanica e imposizione della lingua e della cultura italiana. E' ipotizzabile in questa ipotesi che in un non breve arco di tempo possa essere dimenticato l'uso della lingua italiana in Sardegna. La realtà però è molto diversa da questa ipotesi fantasiosa di imposizione di una lingua europea. Nessuna lingua è in grado di imporsi alle altre. E' necessario perciò un regime di polilinguismo, ottenuto con una riforma dei sistemi educativi e scolastici e che ponga il cittadino europeo in grado di parlare oltre la propria lingua madre almeno altre due lingue europee.
    Un esempio può venire dalla confederazione svizzera, dove non esistendo una lingua dello stato nazionale, ogni nazionalità parla e usa la propria lingua in un regime di plurilinguismo. Proprio per questo una transizione linguistica alla Federazione europea, per la Sardegna diventa un passaggio obbligato. Ma questo è possibile solo (come proposto dal Psd’a nel nuovo Statuto) con la competenza primaria da parte della Regione sulla cultura, sull'insegnamento in ogni ordine e grado e nei settori delle telecomunicazioni e informativi. Ufficialità della lingua sarda, insegnamento nelle scuole, programmi realizzati per i sardi, nei quali avrebbero enorme spazio l'insegnamento delle altre lingue a cominciare dalle principali europee.
    I sardi riprenderebbero il contatto con l'Europa e il Mediterraneo con una visione di 360 gradi e senza lo specchio deformante della cultura italiana, diventata nella sua forzata unicità di riferimento insufficiente, arretrata e provinciale. Una Sardegna polo turistico internazionale di qualità, luogo di commerci e trasformazioni industriali ad alta tecnologia e valore aggiunto, in un regime di zona franca, un'isola sviluppata in centri di ricerca internazionali e con un'agricoltura e l'allevamento moderni a misura della sua vocazione, risanata ecologicamente e con una qualità della vita non riscontrabile in quasi nessuna parte della futura Europa unita, troverebbe ragione di progresso nella sua identità.
    Paradossalmente il processo che porrà sullo stesso piano le principali lingue europee, e la necessità per i sardi della loro conoscenza a fondo senza le pastoie ingombranti dell'esclusivismo nazionalista italiano, potrebbe essere l'opportunità storica per la rinascita della lingua sarda e per il suo utilizzo in una società moderna. Per questo diventa ancora più urgente riprendere la lotta per il bilinguismo sardo-italiano come forma di transizione ad un futuro polilinguistico che veda l'identità del popolo sardo base delle nostre istituzioni politiche e della nostra aspirazione all'indipendenza e agli stati uniti d'Europa.

    Prosegue nel post successivo...

  3. #13
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    Predefinito Re: 1989. XXIII° Congresso nazionale del PSd’Az.

    AUTODETERMINAZIONE DELLE NAZIONI E FEDERALISMO
    L'esistenza di una comunità umana, formatasi storicamente, su di un territorio comune, avente una lingua ed una cultura, una storia ed una economia comune che si sommano a caratteri etnici comuni, viene definita come nazione.
    E' pur vero che questa definizione, universalmente riconosciuta, contiene una non piccola componente di valutazione politica. E' molto difficile che l'esistenza di una nazione venga riconosciuta dalle altre senza che la nazione stessa sia la prima ad autoaffermarsi.
    La storia è intessuta di scontri fra NAZIONI STORICAMENTE AFFERMATE E POLITICAMENTE DOTATE DI STRUTTURA STATALE e nazioni la cui esistenza è stata negata sino all'utilizzo della forza da parte delle prime.
    La lunga serie di guerre di liberazione nazionale e l'analisi dei processi culturali e politici che le hanno contraddistinte fanno emergere come per l'affermazione di una nazione non bastino i presupposti etnici-culturali, economici e storici.
    Fondamentale per l'affermazione di una nazione è la sua convinzione soggettiva che si esprime attraverso l'azione della sua classe dirigente, capace di opporsi a chi la nazione nega e di elaborare un progetto politico di sovranità e autogoverno, portatrice di un progetto di statualità. La nazione perciò per la sua completa esistenza deve poter contenere tutti questi elementi, ciascuno dei quali riveste importanza diversa a seconda delle specifiche esperienze storiche e del periodo storico in cui la nazione vive.
    A volte determinante per l'esistenza di una nazione è la lingua (quasi sempre) ma è possibile che la esistenza di una nazione possa essere più caratterizzata da fattori geografici (nazione americana parlante inglese ma sviluppata su altro continente ecc) oppure da fattori religiosi (irlandesi ormai parlanti l'inglese ma cattolici e non protestanti).
    La nazione inoltre non è qualcosa sempre esistita e che sempre esisterà, ma è risultato di un processo storico secondo cui le cui le nazioni nascono e muoiono oppure, a volte, si fondono perpetuando nazioni che nella loro unicità sono il risultato sintetico delle nazioni originarie.
    Etnia, nazionalità, nazione, non sono sinonimi ma bensì stadi di sviluppo caratteristici di una comunità umana legata all'inizio solo da preponderanti caratteri etnici (colore della pelle, altezza, fisionomia ecc.) rispetto ad ancora insufficienti caratteri culturali, economici, storici e geografici, ma che s'avvia a divenire una nazionalità.
    La nazionalità è uno stadio estremamente sviluppato dell'etnia o di più etnie che, fondendosi su di un più vasto territorio comune, utilizzano una lingua comune, costruiscono una stessa cultura e sopratutto una struttura sociale basata su un'economia unitaria. il tutto delimitato da confini più geografici che politici.
    La nazionalità dovendo organizzarsi in maniera unitaria e complessa, affermandosi al proprio interno, con processi sempre più unitari, ma sopratutto dovendo confrontarsi con processi analoghi di formazione di altre nazionalità, acquista la coscienza di se, dandosi una struttura statuale che ne determini i confini al cui interno la nazionalità dotata di piena identità acquista tutti i caratteri per essere nazione. Caratteristica è la storia della nazione sarda la quale ha completato il suo processo di formazione nel periodo giudicale quando la “nazione sardisca” rappresentava un tutto unitario nei confini geografici dell'isola per quanto divisa in quattro stati denominati giudicati. Dei resto una nazione può ben esistere pur divisa in stati diversi. La Germania e l'Austria ne sono un esempio. Perduta la statualità, per totale o parziale incorporazione
    La nazione inoltre non è qualcosa sempre esistita e che sempre esisterà, ma è risultato di un processo storico secondo cui le cui le nazioni nascono e muoiono oppure, a volte, si fondono perpetuando nazioni che nella loro unicità sono il risultato sintetico delle nazioni originarie.
    Etnia, nazionalità, nazione, non sono sinonimi ma bensì stadi di sviluppo caratteristici di una comunità umana legata all'inizio solo da preponderanti caratteri etnici (colore della pelle, altezza, fisionomia ecc.) rispetto ad ancora insufficienti caratteri culturali, economici, storici e geografici, ma che s'avvia a divenire una nazionalità.
    La nazionalità è uno stadio estremamente sviluppato dell'etnia o di più etnie che, fondendosi su di un più vasto territorio comune, utilizzano una lingua comune, costruiscono una stessa cultura e sopratutto una struttura sociale basata su un'economia unitaria. il tutto delimitato da confini più geografici che Politici.
    La nazionalità dovendo organizzarsi in maniera unitaria e complessa, affeririandosi al proprio interno, con processi sempre più unitari, ma sopratutto dovendo confrontarsi con processi analoghi di formazione di altre nazionalità, acquista la coscienza di se, dandosi una struttura statuale che ne determini i confini al cui interno la nazionalità dotata di piena identità acquista tutti i caratteri per essere nazione. Caratteristica è la storia della nazione sarda la quale ha completato il suo processo di formazione nel periodo giudicale quando la nazione' 'sardisca- rappresentava un tutto unitario nei confini geografici dell'isola per quanto divisa in quattro stati denominati giudicati. Del resto una nazione può ben esistere pur divisa in stati diversi. La Germania e l’Austria ne sono un esempio. Perduta la statualità, per totale o parziale incorporazione nazionale. Esistono tuttavia pochi ma significatIvi esempi d'esercizio di questo diritto ottenuto con metodi pacifici e democratici.
    Esemplare è infatti la vicenda politica che portò la Norvegia ad esercitare questo diritto nei confronti della Svezia. La Norvegia divenne indipendente pacificamente e democraticamente.
    Questo esempio è da prendere in particolare attenzione perchè può essere molto utile oggi che il diritto d'autodeterminazione viene applicato in una fase storica nuova delle nazioni europee. La modificazione dell'economia, la trasformazione della società mondiale, sino a pochi anni fa suddivisa in miriadi di particelle isolate fra di loro, in villaggio mondiale per lo straordinario sviluppo delle telecomunicazioni e dei trasporti, pone problemi nuovi quali l'interpretazione attuale del diritto all'autodeterminazione. Senza voler ridurre l'umanità ad un tutto omogeneo, impossibile per l'esistenza dello sviluppo diseguale, per il permanere del colonialismo e dell'imperialismo, della cultura della guerra e dell'oppressione persino razziale, è possibile dire che in maniera sempre crescente si può applicare l'autodeterminazione nel senso d'unire piuttosto che separare.
    Se è vero permangono situazioni che richiedono la separazione, a prezzo spesso caro di vite umane per processi di liberazione nazionale del tutto giustificati, è anche vero esista un'altra possibilità di applicazione del diritto al l'auto determinazione nazionale (forse più agevole, ad esempio, in Europa che nel Terzo mondo) rappresentata dal federalismo.

    FEDERALISMO EUROPEO OPZIONE SARDISTA DELL'AUTODETERMINAZIONE
    Il sardismo, pur auspicando dalla sua nascita, come ben chiarito da Camillo Bellieni, la costituzione degli Stati uniti d'Europa, ha nella pratica privilegiato nelle rivendicazioni federaliste lo stato italiano.
    Ma a ben vedere l'unica conquista fu lo Statuto di Autonomia speciale, a ragione definito' "il gatto morto" in confronto al felino richiesto dai sardisti che auspicavano "un leone" autonomista.
    Il disegno originario sardista, tendente ad uno Statuto di sovranità prefigurante un rapporto federale con lo stato venne prima boicottato da tutti i partiti italiani e poi ridotto ad una striminzita autonomia amministrativa.
    Pur tuttavia bisogna ammettere che lo statuto dei 48 fu un passo molto più piccolo di quello richiesto ma comunque un passo in avanti.
    Proprio perché rappresentava un passo in avanti, lo stato attraverso i vari governi, il Parlamento, con F avvallo della corte Costituzionale, ha operato per l'attuazione parziale e differita dello Statuto e per la compressione delle già compresse competenze.
    La capacità politica, finanziaria e legislativa dello Statuto speciale appare oggi appiattita e limitata sul livello delle attribuzioni delle regioni a Statuto ordinario. Il varo di 1eggi quadro" ha rappresentato una vera invasione delle competenze anche primarie ed esclusive della Sardegna dandogli valore di norme di principio in maniera del tutto unilaterale ed ingiusta.
    Non a caso l'intervento regionale è risultato abnormemente condizionato dagli indirizzi statali nei diversi settori di trasferimento finanziario senza che gli organismi regionali o locali abbiano potuto dispiegare una larga inventiva, necessaria e conseguente alla disponibilità di risorse senza vincoli di destinazione, base di una reale autonomia.
    La cancellazione, pura e semplice, degli organi di autogoverno della Sardegna, dai processi di ricostruzione postbellica, di ristrutturazione della produzione, di tessitura di alleanze internazionali (militari, politiche ed economiche) ha ridotto il nostro popolo, armato di una autonomia corta e spuntata, in condizioni tali da spingerlo ad una nuova fase della lotta per l'indipendenza ed il federalismo.
    Negli anni 50 la ricostruzione europea e l'inizio del processo europeistico fruttarono ai sardi la distruzione d'interi settori economici e l'emigrazione di centinaia di migliaia di braccia e di menti, utili per realizzare i vari "boom" economici.
    L'alleanza atlantica significò e significa ancora l'esproprio di territorio e l'imposizione di servitù e basi militari sproporzionate e pericolosissime. L'industrializzazione chimica senza controllo e verticalizzazioni e la successiva ristrutturazione chimica disegnano un manuale di economia colonialistica.
    Gli accordi economici europei hanno sconvolto l'immagine e la sostanza della agricoltura sarda.
    L'imposizione della scuola italiana e la politica culturale dei vari governi segna un processo di distruzione della lingua e della cultura dei sardi. La capacità e l'adattabilità dei sardi fecero superare alla Sardegna sia la 'Fusione col Piemonte" che le "barriere doganali" della fine del secolo scorso. Vennero superati i danni della politica bellicistica italiana e anche i danni di quarant'anni di Autonomia e di politica antiautonomista sono quasi superati.
    La società sarda è migliore di quella del passato, ma permangono livelli di sottosviluppo e di oppressione sociale e culturale misurabili solo in relazione alle società sviluppate dell'Europa.
    Rispetto a queste i dati economici (struttura industriale, agricolo-alimentare, finanziaria, dei servizi, occupativa) registrano un miglioramento interno ma contemporaneamente un aumento della forbice sviluppo-sottosviluppo relativa al confronto con l'Italia e l'Europa sviluppata.
    L'inesistente apporto della Sardegna, almeno per quanto le riguarda, al processo di unificazione europeo, specialmente nella prospettiva del 1992, rischia di costituire un pericolo vitale.
    Ogni volta che la società sarda supera una crisi costruita dalle decisioni colonialistiche dello stato, dotandosi di un equilibrio, che renda possibile ulteriore sviluppo, s'avvicina lo spettro di una nuova crisi.
    La crescente cessione di competenze statali a favore della nascente comunità europea, realizzata con accordi governativi definenti la suddivisione intereuropea delle produzioni nei vari settori, industria, agricoltura, ecc. hanno fatto emergere un polo di direzione superiore a quello romano, operante sulle cose sarde.
    Questo polo di direzione non costituisce una controparte sufficientemente materializzata in organi politici, rispetto alla quale le istituzioni autonomistiche possano esercitare un confronto.
    Del resto un rapporto con la CEE, essendo di politica internazionale, esclusiva competenza del Governo italiano e del Parlamento, risulta al di fuori dell'autonomia concessa alla Sardegna.
    Non è un incidente di percorso il risultato globale prevedibile per la Sardegna con l'applicazione dell'Atto unico europeo nel 1992.
    La Sardegna condotta a questo traguardo come un gregge senza pastore o meglio con un pastore pronto al suo sacrificio pur di salvaguardare gli interessi della penisola e soprattutto delle sue aree sviluppate, corre il rischio di veder distrutte le conquiste e le prospettive costruite in questi ultimi anni.
    L'abolizione delle frontiere doganali, la libera circolazione dei capitali e la possibilità per le imprese europee di operare ovunque senza ostacoli, sia nel commercio come nell'industria e nei servizi, potrà significare la rovina della imprenditoria locale, dell'artigianato e della piccola e media conduzione agricole, l'esproprio anche fisico del territorio da parte di società turistiche europee.
    Sarà in sintesi la fine del sogno di accumulazione endogena e la perdita della pur striminzita autonomia amministrativa attuale.
    Il popolo sardo colpito nella formazione della sua classe dirigente e della sua base economica, ristretto dalle servitù militari ed ecologistiche, ridotto ad un insieme di salariati, di sottoccupati e di disoccupati, alla merce' di una borghesia intermediaria compradora e di padroni stranieri senza volto, potrebbe rischiare la soluzione finale sognata dal colonialismo. Questi pericoli non sono avvertiti dai partiti italiani in Sardegna, o se a volte vengono parzialmente denunciati non hanno la forza e la coerenza di agire per evitarli.
    Evitare questi pericoli significherebbe per loro entrare in rotta di collisione con le loro centrali romane, alle quali devono le speranze di carriera politica e interessi materiali ottenuti quali proconsoli del colonialismo. Agire nell'interesse della Sardegna significherebbe operare perché le istituzioni sarde acquistino il massimo di sovranità e di conseguente contrattualità nei confronti dello stato italiano e soprattutto della Cee, perché la Sardegna entri nella Federazione europea con la sua massima autonomia politica in difesa degli interessi materiali ed immateriali dei suoi cittadini.
    Agire nell'interesse della Sardegna significherebbe lottare per una ricontrattazione stato-Sardegna che abbia come obiettivo da raggiungere in tempi brevi il nuovo Statuto d'autonomia speciale.
    Uno Statuto che riconsegni, fra l'altro, alla rappresentanza eletta dai sardi l'esclusiva competenza di contrattazione del rapporto Sardegna-Europa unita.
    Il nostro Partito, quale partito della nazione sarda, ha interpretato, dalla nascita, sempre per primo la necessità e i pericoli vissuti dai sardi. Nei momenti di trapasso da un'epoca ad un'altra è riuscito a proporre le soluzioni per risolvere le crisi conseguenti.
    Il rinnovato consenso registrato dal congresso di Porto Torres a oggi si è alimentato con le soluzioni parziali esposte ai sardi e sintetizzabili nella scelta indipendentistica, nella richiesta di bilinguismo e zona franca, nei punti di Carbonia. La positiva esperienza di governo, articolata partendo dai comuni sino al governo regionale, ha spinto il Psd'a all'elaborazione di un tuttuno che unisse con coerenza la linea indipendentista e federalista.
    Questo disegno globale è rappresentato dalla proposta di nuovo Statuto sardo. Questo Statuto corrisponde, salvo eventuali aggiustamenti, alle esigenze della Sardegna, non solo in rapporto allo stato italiano, ma anche in rapporto al processo di unione europea.
    Solo con l'applicazione dei nuovo Statuto, la Sardegna potrà affrontare efficacemente, contrattando in prima persona o ricontrattando se il caso, la sua integrazione europea. E nuovo Statuto dovrà costituire la carta fondamentale con la quale i sardi potranno diventare cittadini europei in un vero spirito federalista.
    Il nostro Partito, con la forse esagerata modestia di sempre, ha trovato all'interno delle sua forze, oggi come in passato, le soluzioni per i problemi del popolo sardo. Forse non ci siamo accorti subito del grande valore costituito dalla elaborazione del testo di riforma dello Statuto sardo.
    li silenzio dei partiti italiani probabilmente corrisponde più alla necessità di studiare argomenti e azioni per sabotarlo o annacquarlo, così come fecero nel 1948, piuttosto che all'esigenza di elaborarne uno migliore, cosa che riteniamo possibile ma probabilmente da rimandare ad altra fase storica. Sappiamo benissimo che il lavoro più difficile è costituito dall'opera di sensibilizzazione dei sardi, anche perché senza il loro consenso il Partito sardo non potrebbe trasformare le sue idee in forza materiale capace di modificare la realtà.
    Ma siamo convinti che se riuscissimo solo a esprimere tutte le nostre capacità attuali, in un'opera di diffusione delle idee racchiuse nel nuovo Statuto, affrontando il confronto con chiunque voglia confrontarsi e discutere, il consenso al sardismo aumenterebbe considerevolmente. Ma prima di convincere gli altri dobbiamo convincere noi stessi. 1 sardisti per primi devono impadronirsi della sintesi del pensiero sardista contenuta nella proposta di nuovo Statuto.
    Il confronto e la discussione interni potrebbero anche risolvere i problemi nati da un malinteso sardismo, fatto di carrierismo, di cantonalismo, di caporalismo e mancanza di idee e d'azione. Questi mali emersi nell'azione politica degli ultimi anni dipendono dallo sviluppo tumultuoso del sardismo e dalla mancanza di cultura sardista in pochi che hanno portato al nostro interno logiche e metodi mutuati da altri partiti.
    A volte però viene difficile adattarsi al nuovo e alla necessità del ricambio generazionale, spesso proclamato ma mai attuato efficacemente o quanto necessario. Anche in questo caso la discussione potrà far emergere come il Psd'a debba da ora sistemare le sue cose interne tali da prefigurare il gruppo dirigente che porterà il sardismo nel 2000.
    Il gruppo dirigente che forse emergerà nel prossimo congresso avrà come compito principale quello di gestire l'esercizio del diritto all'autodeterminazione della nazione sarda, o meglio indirizzare la società sarda in questa direzione, chiarendo che il Psd'a ritiene esercitabile questo diritto sulla base di uno Statuto di autonomia speciale, di tipo nazionale, quale quello sottoposto al giudizio dei sardi come legge di iniziativa popolare e sue successive modifiche. Solo in questa maniera potrà, nelle condizioni attuali, essere realizzata l'aspirazione della nazione sarda all'indipendenza e al federalismo; se così non fosse i sardisti continuerebbero a lottare per questi obiettivi, considerando come scriveva Camillo Bellieni nel 1946 riferendosi ad altro, ma parafrasabile nell'attualità, "che non vi possono essere decisioni aventi valore esecutivo e implicanti obbligazioni per l'avvenire che coinvolgono la responsabilità dei sardi, e li impegnano a manifestazioni e atti superanti la cerchia dei concreti interessi isolani, il popolo sardo avrà dichiarato la sua volontà d'autodeterminazione, che lo scioglierà da ogni vincolo contrattuale con le altre genti appartenenti allo stato italiano, libere di intraprendere ... pericolose avventure ... ma che non possono coinvolgere una collettività intenta ad un duro lavoro di ricostruzione e di intensificazione del processo produttivo, mediante cui si svolge l'autogovemo".

  4. #14
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    Predefinito Re: 1989. XXIII° Congresso nazionale del PSd’Az.

    Democratzia e Indipendèntzia per l'autogoverno perfetto.

    Antonino Cambule, Pietrino Chelo, Augusto Marras, Giampiero Marras, Angelo Giola, Maria Bonaria Mazzuzi ("S. Mossa" SASSARI); Massimo Zolo ('X Serra" SASSARI); Mario Casu, Domitilla Mannu (LI PUNTI); Gavino Piredda, G. Andrea Idini, Gianfranco Doro, Angelo Rassu, S. Angelo Senes, Antonino Spanu, Gavino Conti, Alfredo Meloni, Gianfranco Pireddu, Pietrino Fancellu, Giovannino Tanca, Mario Conti, Antonio Dedola, Paolo Casci (SORSO); Totoi Ledda, Giovanni Alvau, Salvatore Martincz, Leonardo Cadeddu, Pietro Panai, Pier Marco Salaris, Salvatore Simula, Michele Zinchiri (URI); Angelo Corronea (BOSA); Renzo Giagheddu, Antonio Carta, Antonella Asara, Maria Spagnuolo, M. Grazia Asara, Marco Giagheddu, Mario Chiappe, Giovanni M. Mariotti (CALANGIANUS); Gian Mario Satta (ITTIREDDU); Antonio Arghittu, Veronica Mula, (MORES), Demetrio Serra, Giovanni Dedola (THIESI).


    “IL SARDISMO FUN MOVIMENTO POPOLARE DI RISCOSSA NAZIONALE E SOCIALE DEI SARDI. ESSO INTERVIENE ED OPERA PER LA SOLUZIONE RIVOLUZIONARIA DI QUESTO ANGOLO DI TERZO MONDO, DI CUI LA SARDEGNA E'PARTE INTEGRANTE; ESSO SI PROTENDE VERSO L'AVVENIRE DEL POPOLO SARDO, LOTTANDO CONTRO IL SUO ISOLAMENTO, MA INSERENDOLO NEL CONTESTO DEI MOVIMENTI ETNICO-COMUNITARI INTERNAZIONAI”
    (Antonio Simon Mossa, 1967, Dagli "Atti del primo Convegno regionale di studi dottrinari sardisti - Bosa, 2 luglio 1967)


    I.l. Questo 23° Congresso nazionale del Partito sardo d'Azione
    - di questo Movimento politico rivoluzionario di liberazione nazionale della Sardegna e di riscossa sociale del popolo sardo - ha valore costituente, quanto e più del 22', in quanto, venendo dopo un'intera legislatura nella quale il Partito è stato al, governo della Regione, col presidente della Giunta Regionale e con una consistente delegazione assessoriale, ha come compito quello di completare l'opera che il 22' Congresso aveva avviato e che non è però stata condotta a termine, né sul piano del Partito, né su quello del Governo.
    Sul piano del Partito perché, anziché favorirne il potenziamento ideologico e organizzativo, rafforzandone l'immagine di partito originale, esente dai tradizionali difetti dei partiti metropolitani italiani - centralismo, burocratismo, mancanza di democrazia, personalismi e clientelismi, scarsa o nulla sensibilità morale - ha, in certi momenti, dato l'impressione di voler riprodurre ed accentuare quei difetti.
    E' accaduto, in più di un'occasione, che la tradizionale, storica immagine di un partito popolare-rivoluzionario, repubblicano, socialista, laico, democratico, nazionalitario ed etnofederalista, libertario e moralmente ineccepibile, sia stata appannata dall'operato di singoli e di gruppi, che l'opinione pubblica, sopratutto quella giovanile, ha saputo prontamente individuare e bollare come estranei alla vita e alle tradizioni sardiste di dedizione e di disinteresse.
    1.2. Compito del Congresso è fissare norme chiare sul cumulo degli incarichi, sulla trasparenza nella guida dei partito e nell'amministrazione delle sue finanze, sui requisiti per poter rappresentare il Partito nelle cariche pubbliche di ogni genere e sulle garanzie oggettive che il Partito deve dare, con appositi meccanismi, che ogni deviazione dalle norme politiche e morali comporterà la pronta esclusione dalle cariche occupate e, in attesa del giudizio della Magistratura, la sospensione cautelare dal partito.
    Il Partito non può partecipare all'occupazione politica del potere, né alla spartizione clientelare di incarichi e di privilegi. Il senso di giustizia e di uguaglianza, così vivo nelle nostre popolazioni, non può essere offeso con comportamenti del tipo di quelli praticati dai partiti metropolitani italiani, pena l'appannamento dell'immagine del Partito, la disaffezione e la perdita dei consenso.
    Nella vita interna del Partito, come nell'affidamento delle cariche pubbliche - che deve essere temporaneo e non mutarsi in notabilato, in privilegio e in rendita di posizione - deve valere il criterio della selezione per merito, capacità, integrità morale, fiducia e consenso da parte del partito e dell'opinione pubblica.
    1.3. Dopo le esperienze realizzate nell'ultimo quinquennio, il Partito deve diventare pienamente consapevole delle responsabilità storiche che esso ha nei confronti dal popolo sardo e della nazione sarda.
    Il sardismo è, secondo l'intenzione e la definizione dei suoi fondatori, un movimento rinnovatore, che si propone in primo luogo l'obiettivo dell'autogoverno perfetto, inteso non come mero esercizio amministrativo e politico, ma come atto morale col quale il popolo sardo rompe definitivamente con la soggezione e la dipendenza da ogni dominazione e riacquista ed esercita la sua dignità e la sua libertà:
    Il Partito è l'interprete e il realizzatore non solo degli ideali di liberazione nazionale, politica, economica e sociale del popolo sardo, ma anche l'unione volontaria e consapevole di quanti vogliono favorire e costruire lo sviluppo intellettuale e morale del popolo sardo.
    Esso guarda alle tradizioni del nostro popolo, alle creazioni del suo ingegno, troppe volte misconosciute o ignorate o messe a disposizione del progresso altrui, come al patrimonio al quale ispirarsi, e, in primo luogo, da difendere e potenziare contro le crescenti minacce di “denazionalizzazione, di dissardizzazione e di spersonalizzazione", siano esse rivolte alla lingua che al complesso della civiltà e della cultura dei sardi.
    1.4. Il Partito sardo non è una formazione politica che esaurisce il suo obiettivo nel miglioramento delle condizioni di vita materiale del popolo sardo; né crede che gli ideali di libertà, di giustizia e di uguaglianza, che ne hanno illuminato il cammino in epoche oscure e drammatiche, siano tramontati o falliti per sempre. Esso ritiene valido, in particolare, quanto scritto da Emilio Lussu e da Antonio Simon Mossa, sul rapporto fra socialismo e sardismo: "Anche il sardismo è socialismo, il "nostro" socialismo, quello che corrisponde alle condizioni del nostro popolo che noi per primi, superando gli schemi universalistici, abbiamo interpretato ed espresso. ( ... ) Il sardismo è il socialismo che interpreta l'anima particolare del nostro popolo, la nostra struttura sociale, la nostra economia, la nostra cultura isolana. In questo socialismo vi siamo in pieno tutti, anche coloro che ne rifiutano il nome". (Emilio Lussu, 1947 - Da Il Solco, Anno III, serie II, nn. 13-14- 15 della 8 Maggio 1947).

    “Il sardismo non è soltanto il principio autonomistico universale applicato alla Sardegna, ma anche e sopratutto il principio del socialismo rivoluzionario mondiale applicato al popolo sardo e quindi aderente ad una realtà economica e sociale del tutto differente da quella di altri paesi e di altre regioni.
    Ma soprattutto rappresenta il principio universale della lotta contro l'oppressione coloniale che ha posto la Sardegna ai margini dello sviluppo e del progresso civile".
    (Antonio Simon Mossa, 1971 - Dall'Intervento al Primo Convegno sull'Artigianato in Sardegna" - Sassari, 10 Gennaio 1971).

    1.5. Il Partito sardo mira al miglioramento economico e sociale dei lavoratori e dei produttori e, in particolar modo, dei giovani che a decine di migliaia mancano di lavoro e di concrete prospettive di impiego nel presente e nel futuro prossimo o lontano. Esso è consapevole che se non viene affrontato e risolto in tempi brevi il problema della formazione culturale e professionale dei giovani, se non verranno costruite concrete e durevoli occasioni di lavoro qualificato per le decine di migliaia di giovani e di ragazze disoccupate, non solo non ci sarà progresso nella vita economica, sociale e culturale, ma una nuova e più grave ondata migratoria getterà allo sbaraglio questi giovani in Italia, in Europa e nel Mondo, o li getterà in numero crescente nelle mani dei trafficanti di droga, provocando una generale regressione e un'inarrestabile degrado della società isolana, nella quale si affermeranno ancora una volta comportamenti antisociali e criminali, più gravi ancora di quelli prodotti, già dai primi decenni del secolo scorso, dall'intervento eversivo dello stato, cioè dalla monarchia sabauda, prima e dopo la nascita dello stato italiano.
    1.6. Il Partito deve essere consapevole e denunciare la rinnovata portata eversiva e destabilizzatrice degli interventi dei governi italiani che procedono, senza un attimo di sosta e senza il benché minimo rispetto della nostra identità etnica e culturale, in un'opera di distruzione delle condizioni stesse della vita materiale, spirituale e morale nell'Isola. Questo, e non altro, è il significato della cementificazione delle coste, dell'inquinamento del mare, dei fiumi e degli stagni, dell'insensata politica di sviluppo edilizio, che travolgono e mettono fin d'ora in pericolo la sopravvivenza di un patrimonio naturale, artistico, archeologico e culturale fra i più originali dell'occidente europeo.
    In questa luce vanno viste e interpretate le tremende e irresponsabili azioni di quanti, attraverso gli incendi, le devastazioni e i furti che colpiscono il patrimonio archeologico, l'insensato abuso dei concimi, fertilizzanti e anticrittogamici e di tutti gli altri mezzi messi a disposizione dai più cinici operatori sul mercato del consumismo, mettono in pericolo la terra e le acque di tutti, la Patria comune che un intero popolo aveva preservato con la sua tenacia e il suo tradizionale senso della misura. Accusare lo stato italiano di essere il primo responsabile di questa situazione, vuol dire non solo riconoscere la conclamata inefficienza dei suoi strumenti di difesa e di tutela, ma esprimere la più severa condanna contro le leggi e i comportamenti che hanno favorito e favoriscono la distruzione della natura e delle sue risorse e minacciano la sopravvivenza di un intero popolo, minacciato nella sua identità di popolo-nazione. Il Partito sardo d'Azione deve assumere le iniziative necessarie affinché la Regione si dia la legislazione indispensabile per la difesa della natura, delle sue risorse, del patrimonio archeologico, artistico e naturale della Sardegna.
    1.6. 1. li governo e la salvaguardia del territorio e dell'ambiente devono essere dunque portati urgentemente all'attenzione di tutti i sardi e dell'intera opinione pubblica, come una battaglia non più rinviabile, riguardante il principio di sopravvivenza della stessa identità etnica e culturale del nostro popolo. Infatti, se si compromettono in modo irrimediabile valori territoriali e ambientali, ben poco resta da salvare.
    La bocciatura della Legge Urbanistica Regionale decretata dal Governo Centrale nell'ultimo scorcio della IX Legislatura e la successiva adozione della Legge Galasso per la Sardegna sono solo provvedimenti tampone, che non risolvono il problema. Occorre, pertanto, definire con la massima sollecitudine una Legge di tutela del territorio, dell'ambiente, del paesaggio e delle coste, finalmente organica, che miri al raggiungimento degli obiettivi che il Partito si propone in materia.
    Le misure di tutela dell'ambiente, qualora non esistano nella legislazione statale e regionale, vanno ricercate sopratutto in quelle normative che si sono date talune Organizzazioni Internazionali e adattate alle nostre particolari peculiarità.
    Istituzioni, come FONU e la CEE, hanno elaborato proposte e approvato norme validissime sul piano istituzionale e di difesa dell'ambiente, anche se purtroppo! non vincolanti per gli Stati membri.
    Sull'urbanistica in generale e sull'utilizzazione delle coste in particolare, il Psd'az deve farsi promotore e proponitore nelle competenti sedi regionali, statali e comunitarie, delle proposte miranti alla salvaguardia dei patrimoni naturali, proprietà dei popoli e non di potentati economici.
    Deve inoltre adoperarsi per l'istituzione di organismi di studio che, prima di qualunque insediamento urbanistico costiero, possano dare una valutazione su basi scientifiche e non manipolabili della qualità degli interventi, e delle loro conseguenze sull'ambiente sia a breve, che a lungo termine e dei costi sociali relativi.
    Occorre tenere presente infatti, che territorio e ambiente sono beni non rinnovabili e che una volta deteriorati o distrutti la loro riproduzione e il loro recupero sono pressoché impossibili, con irrimediabili danni anche per una risorsa fondamentale come il turismo.
    1.7. I partiti succursalisti italiani sono ugualmente responsabili di quanto sopra denunciato e contro di essi la condanna non può essere né meno totale né meno aspra.
    La loro dipendenza dalle segreterie romane - messa in forse solo per contrastare scelte elettorali --I il loro oggettivo sostegno dei centralismo; il fatto che mai essi abbiano definito pubblicamente la loro natura di partiti sardi e affermato di rispondere del loro operato soltanto davanti ai sardi, che pure li eleggono ed offrono loro tanto immeritato sostegno; l'incapacità e la mancanza di una reale volontà di contrastare il malgoverno dei italiani e la riproduzione in Sardegna dei metodi e di comportamenti della classe politica italiana e del suo apparato burocratico, li rendono totalmente inadatti al governo dell'Isola.
    Sotto la loro guida il popolo sardo non farà un solo passo avanti nella conquista dell'autogoverno perfetto cioè della "autonomia statuale", vale a dire dell'Indipendenza nazionale finalizzata alla costituzione di uno stato sardo sovrano democratico, repubblicano, socialista e pacifista che, colo, può garantirne il futuro come entità etnica, linguistica e culturale indipendente.
    1.8. Neanche l'Autonomia è lo strumento necessario per evitare ulteriori, definitivi disastri sia sul terreno ecologico, che su quello economico e sociale, politico e culturale. In 40 anni essa non è stata in grado di affermare, nonché garantire, il diritto dei sardi a considerarsi tali, a parlare e scrivere nella loro lingua, a essere presenti nel mondo come entità autenticamente autonoma, con parità di diritti, di opportunità e di doveri.
    Anche la lunga esperienza di governo regionale appena conclusasi, ha confermato che l'Autonomia è la forma moderna della dipendenza.
    Il Partito deve prenderne piena coscienza e condurre una campagna concreta, argomentata, decisiva per rendere consapevole l'intero popolo sardo di questa verità elementare:

    Prosegue nel post successivo…

  5. #15
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    Predefinito Re: 1989. XXIII° Congresso nazionale del PSd’Az.

    L'AUTONOMIA E' LA FORMA MODERNA DELLA DIPENDENZA.
    Essa può essere l'ultima, prima dell'autogoverno completo, solo se il Partito sarà capace di servirsene, facendone maturare le contraddizioni, per renderne non più rinviabile il superamento nell'Autogoverno Perfetto. Ciò vuol dire aprire concretamente la strada a una ricontrattazione di tutti i rapporti, di tutto il contenzioso, di tutte le rivendicazioni dei popolo e della nazione sarda nei confronti dello stato italiano per instaurare rapporti nuovi, di pari dignità e convenienza fra due soggetti liberamente capaci di sottoscrivere nuovi patti.
    E ciò, nel più ampio quadro europeo, quale si comincerà a definire a partire dal prossimo 1992.
    1.9. In Europa, la Sardegna autogovernata dai sardi deve cercare e affermare un suo ruolo, cominciando col rifiutare fin d'ora il ruolo di assistita dai paesi ricchi e prosperi del Nord e del Centro Europa, in cambio della sua sostanziale e definitiva scomparsa come produttrice di beni e di risorse naturali, di merci e di manufatti, di cultura, di sicurezza, di tecnica e di arte.
    A questo scopo il partito deve intensificare e rendere permanenti i rapporti con i partiti e movimenti che esprimono gli interessi delle minoranze etniche e linguistiche in Italia e in Europa, anche al fine di internazionalizzare il problema della nostra etnia. Anche l'adesione all'Internazionale socialista, che il Partito può sollecitare coerentemente con le sue posizioni politiche, può costituire un ulteriore strumento per porre il problema della indipendenza della Sardegna nel quadro di una unità statuale e europea non più centralista ma federativa.
    Un popolo che ha saputo salvare e sviluppare la sua identità nelle condizioni storiche più severe, un popolo che ha espresso grandi e riconosciuti contributi al pensiero giuridico, filosofico, scientifico, alla letteratura e alle arti, non può accettare un futuro che lo ridurrebbe a una minoranza parassitaria e sterile, destinata ad estinguersi nell'anonimato e nell'ignavia.
    Nell'Europa e nel mondo delle diversità c'è, deve esserci posto anche per il popolo e per la nazione sarda. Essi sono stati presenti in ogni tempo in tutte le battaglie di civiltà e di progresso. Nella lotta contro la nascita di uno stato unitario sopraffattore e sfruttatore delle minoranze più deboli; nelle lotte contro il fascismo e il nazismo, in Spagna, nelle carceri, nei campi di sterminio, nella lotta partigiana, contro la monarchia centralista e sopraffattrice, per la Repubblica federale, per la redenzione sociale dei lavoratori; nel l'emigrazione. Ovunque i sardi hanno portato un contributo originale e disinteressato.
    1. 10. Il nostro popolo è presente in Europa a livello di lavoratori e di produttori. Si deve anche al lavoro, alla dedizione, all'intelligenza dei sardi emigrati nell'Europa distrutta del dopoguerra, se Italia, Svizzera, Francia, Germania e i Paesi Bassi hanno raggiunto il primato economico che le colloca fra le nazioni più ricche dei mondo.
    Se qualche briciola di quelle ricchezze è arrivata anche in Sardegna, non è stato per grazioso regalo di qualcuno, ma per l'impegno, la tenacia, la sobrietà, l'amore della "Piccola Patria" che hanno reso possibili tante rinunzie e tanti sacrifici.
    Ma la Sardegna non può delegare la sua presenza in Europa ai suoi emigrati o ai loro figli e nipoti, spesso snazionalizzati e integrati nelle nuove patrie.
    1. 11. Ad essi gli organi di governo della Sardegna, il Partito sardo d'Azione, le forze culturali e intellettuali, l'opinione pubblica tutta devono prestare la massima attenzione, affinché i rapporti fra i figli e i nipoti degli emigrati con la patria d'origine non si estinguono, ma permangono nel tempo, generando comportamenti capaci di diventare un fattore attivo di presenza materiale e ideale nell'Europa unita che si sta costruendo. Diecine di migliaia di cittadini di origine sarda, leali nei confronti delle nuove patrie nelle quali si sono positivamente integrati, possono e devono essere il veicolo di diffusione anche di quei valori culturali e morali che le nostre popolazioni hanno elaborato e conservato nel corso della loro storia tormentata. La lingua sarda, lo straordinario e originalissimo patrimonio musicale, i costumi, le danze, le opere letterarie e teatrali, comprese quelle in lingua italiana, nelle quali si è espressa, in determinate condizioni, gran parte della capacità creativa del nostro popolo, possono essere, unitamente alla grande scultura e alla grande pittura prodotte dai sardi, in Sardegna e in Italia, una componente importante della cultura europea degli anni Duemila.
    1. 12. Nei confronti delle decine di migliaia di figli e nipoti di emigrati, la Sardegna deve comportarsi, nella prospettiva della conquista dell'autogoverno perfetto, vale a dire dell'Indi pendenza Nazionale, con estrema attenzione, assumendo tutte quelle iniziative che possono rafforzare e intensificare i rapporti culturali, artistici, economici con le istituzioni (Università, Centri di studio e di ricerca, Musei, Gallerie e Accademie, Camere di Commercio, Associazioni di imprenditori e Consorzi e Imprese produttrici), con le Province e i Comuni e con i cittadini singoli e associati.
    E' tempo di pensare a strumenti legislativi adeguati, che favoriscano l'impiego in Sardegna di capitali e di energie sarde presenti oggi e in futuro nei diversi paesi dell'Europa comunitaria. A tale scopo è importante promuovere un "Associazione per lo studio di iniziative economiche da realizzare in Sardegna", che veda uniti imprenditori sardi nei diversi Paesi europei e in Sardegna e Enti e istituzioni operanti sia nell'Isola che in Europa.
    1.13. Il Partito e il Gruppo consiliare devono elaborare concrete proposte di legge che evitino il ripetersi di episodi incresciosi e intollerabili come quelli che hanno costretto tanti emigrati desiderosi di investire nell'Isola i loro capitali, creati con sacrifici di molti anni, a riprendere la via dell'emigrazione, spesso dopo anni di lungaggini e di inganni burocratici e coi capitali decurtati o perduti.
    Garanzie particolari, accesso al credito, rapidità di concessione di licenze, di erogazione di energia elettrica e di quanto altro sia necessario, devono essere previste dalla legislazione regionale per favorire il ritorno degli emigrati e dei loro capitali e risparmi.
    Conferenze economiche devono essere organizzate nei paesi di emigrazione per segnalare le opportunità di investimenti e le agevolazioni previste nella legislazione regionale che va rapidamente approntata, con instancabile pressione dei Consiglieri regionali sardisti, del Partito e dell'opinione pubblica informata e resa attiva.
    2.1. Il 23° Congresso Nazionale del Psd'az si svolge in una situazione politica, economica e sociale molto diversa e, per taluni aspetti, molto più difficile di quella nella quale si era svolto il congresso precedente.
    Il 22° Congresso era stato caratterizzato da un'atmosfera generalmente più ottimistica, dovuta all'entusiasmo suscitato dai risultati delle elezioni svoltesi negli anni 1984 e 1985, che oltre ad aver segnato la più alta affermazione del Partito dal 1976 in poi, avevano obbligato i partiti vincitori delle elezioni amministrative generali a riconoscere al Psd'az il diritto a guidare la Giunta Regionale e ad avere alcuni assessorati di grande importanza.
    Sul piano economico e sociale l'aspettativa dei lavoratori e dei produttori era rivolta, sia in termini di occupazione sia in termini di sviluppo dell'economia della Sardegna, all'attuazione dei 13 punti fissati al Congresso di Carbonia e diventati il programma del Partito per la sua azione di governo.
    Attesa e impegno circondavano anche l'azione del partito nella Giunta Regionale per ciò che riguarda temi o problemi di grande rilievo come la moralizzazione della vita pubblica e dei partiti, la riforma della Regione, la realizzazione del punti 1-9-11 (zona franca integrale, nuovi poteri per l'autonomia, abolizione delle prefetture), approvati al congresso, la difesa e la valorizzazione del patrimonio culturale e linguistico dei sardi, come fondamento della loro identità di popolo e di nazione.
    2.2. Per la prima volta il popolo sardo con le elezioni del 1984 e sopratutto del 1985, aveva attribuito al Psd'az forze tali da renderlo determinante nella vita politica dell'isola. Esso era diventato, in realtà, forza politica centrale e indispensabile per la formazione di una maggioranza capace di governare la Regione.
    Giusta e opportuna fu la decisione del Psd'az, coerente con la sua storia e la sua tradizione, di consentire la formazione di una Giunta Regionale con i partiti laici e di sinistra, che si dichiaravano democratici e autonomisti e disponibili ad attuare la politica di riforme proposta dal Psd'az.
    Ciò consenti di escludere dal governo della Regione la DC, che per circa 40 anni aveva esercitato una funzione prevaricante sul sistema politico regionale, ritardando quando non ostacolando la realizzazione dell'autonomia, pur nei limiti insufficienti consentiti dallo Statuto.

    2.3. La rivendicazione di un nuovo Statuto Autonomistico era dunque la prima e fondamentale conseguenza dei mutati rapporti di forza, dell'esclusione della DC e della formazione di una nuova maggioranza disponibile ad una nuova politica dell'autonomia e dell'economia della Sardegna.
    Occorre prendere realisticamente atto dei mancato raggiungimento di quegli obiettivi e della conseguente disaffezione che la caduta di tensione ideale e politica del Partito e della Giunta Regionale hanno provocato in primo luogo fra i membri del Partito, fra i giovani che erano stati i più entusiasti animatori e sostenitori del nuovo corso sardista e di tutti quei sardi che vedevano nel Psd'az il partito capace di evitare per se e di contribuire a superare, in termini generali, le autentiche degenerazioni clientelari e opportunistiche dei partiti nazionali.
    2.4. La collocazione al 1° posto della "rivendicazione indipendenti sta" aveva per la prima volta, collocato il Psd'az in una posizione fortemente originale e stimolante nei confronti non solo del sistema politico sardo, ma dell'intero sistema politico italiano.
    La Delegazione sardista in Giunta e il Partito nel suo insieme non si sono rivelati all'altezza del compito storico e arduo, per certo, che il popolo sardo aveva loro affidato. Anziché proseguire e incrementare il rinnovamento del partito, il suo ruolo di guida nei confronti degli eletti, la sua funzione di raccordo con tutti i settori della società sarda, la direzione politica e il Gruppo consiliare hanno seguito la via del compromesso e del patteggiamento, che li ha condotti a rinunciare a 'Tare politica". a ridursi a fare amministrazione, in termini non sempre trasparenti e, comunque l'esistente,
    2.5. Rinnovare la mancanza dei risultati sperati ai partiti della coalizione, significa dire solo una parte della verità. Niente, neppure il più responsabile spirito di collaborazione, il desiderio di evitare crisi politiche e di garantire la stabilità e la continuità del governo regionale, possono giustificare i cedimenti e i compromessi che hanno caratterizzato l'intera legislatura.
    Senza che ciò significhi esprimere una generica condanna e una indiscriminata riprovazione dell'operato dell'intera delegazione in Giunta e pur riconoscendo al Presidente della Giunta di avere in più occasioni, con dignità e fermezza, difeso e affermato i diritti della Sardegna contro i tentativi di prevaricazione e di denigrazione dei valori e dei bisogni dell'isola da parte del centralismo romano, non si può non esprimere un giudizio severo nei confronti della Direzione Nazionale e del Gruppo Consiliare sardista, che hanno trovato nell'elettorato un giudice ancora più severo.
    2.6. Il risultato elettorale, inferiore alle aspettative, deludente e conseguenza anche della mancata di trasparenza e di senso di responsabilità nella presentazione di talune candidature, ha appannato l'immagine dei Partito, ne ha ridotto le forze e ne ha, di conseguenza, limitato la centralità e il ruolo decisivo nel sistema politico della Sardegna, allontanando, agli occhi dei militanti degli amici e dei compagni, la prospettiva della realizzazione di alcune rivendicazioni sulla via del raggiungimento di una maggiore autonomia e di uno sviluppo economico e sociale. In particolare, proprio durante la legislatura, la delegazione in Giunta non è stata capace di impedire, o quanto meno di denunciare nei termini dovuti l'affossamento della legge sulla difesa e sviluppo della lingua e della cultura, e si suscitare una reazione ampia e consistente.
    Ciò significa che cinque anni di una politica di compromessi e di cedimenti sul terreno specifico della autonomia e della identità culturale del popolo sardo, hanno favorito il rafforzarsi delle tendenze centraliste e antiautonomiste a livello di territorio metropolitano e in Sardegna, anziché far avanzare elementi di comprensione e di accordo, pur inseriti nei programmi di governo e spesso arrogantemente disattesi.
    2.7. Durante l'ultima legislatura la Direzione del Partito e il Segretario Nazionale si sono dimostrati anch'essi inferiori al compito, incapaci di realizzare la linea decisa dai Congressi Nazionali, in particolare il 21' e il 22' e i "Punti programmatici" da essi scaturiti, sordi alle richieste di trasparenza, di democrazia e di rispetto delle regole di vita interna del Partito. Più volte essi hanno dato l'impressione di non saper esattamente distinguere i limiti fra esigenze generali della società affioranti a sarda e dei partito e le tendenze tenacemente far prevalere interessi di gruppi e di singoli.
    Ciò è apparso purtroppo con maggiore evidenza nella fase finale della legislatura, nella formazione delle liste e nella condotta della campagna elettorale.
    Spetta al Partito, ai suoi militanti, spesso emarginati e in più occasioni esposti a critiche che li ponevano in condizioni di notevole difficoltà, il merito di avere saputo resistere e opporsi a comportamenti discriminatori e lesivi dei loro diritti di membri del Partito, quali sono scritti nello Statuto, e di avere condotto una campagna elettorale che ha permesso di limitare le proporzioni dell'insuccesso, sopratutto nella provincia di Sassari.
    2.8. Si deve ancora alla reazione dei militanti e delle minoranze, che nel recente passato avevano cercato di richiamare la Direzione politica ad una maggiore considerazione della volontà dei membri, della sua storia e delle sue tradizioni, se all'indomani del voto la Direzione Nazionale ha rifiutato proposte, pur allettanti, di partecipazione a una nuova maggioranza di pentapartito, ribadendo la scelta dell'opposizione come la più coerente, nell'attuale quadro politico, con le esigenze della Sardegna e con la linea politica espressa dai Congressi precedenti.
    Nei 90 giorni durante i quali si è svolta la trattativa per la formazione della Giunta, è apparso chiaro che qualunque altra linea avrebbe significato nient'altro che un appoggio al trasformismo tradizionale dei partiti italiani e in particolare dei PSI. Tanto più che mentre in una coalizione di sinistra, la cui formazione sarebbe stata possibile in forza dei numeri e a patto, però, che ciò avvenisse sulla base di un programma di governo inequivocabilmente "sardista", il nostro Partito sarebbe stato forza determinante, nella coalizione di pentapartito si sarebbe rassegnato a un ruolo dipendente e aggiuntivo, privo di qualsiasi giustificazione politica.
    2.9. Con la scelta effettuata il Psd'az si conferma il Partito dell'Indipendenza del popolo e della nazione sarda, parte integrante della sinistra europea, autonomo nelle proprie decisioni e interessato a stabilire rapporti politici e di governo solo con quelle forze politiche che ne riconoscono il ruolo decisivo ai fini del raggiungimento delle aspirazioni del popolo sardo.
    Ogni altra soluzione è illusoria. L'esperienza ha dimostrato che anche gli impegni concordati possono essere disattesi. Di conseguenza, quelle forze politiche che vogliono contare sull'appoggio del Psd'az devono non offrire assessorati o posti e incarichi di sottogoverno, ma dimostrare coi fatti, cioè con gli indispensabili atti politici e legislativi, di avere accettato i punti irrinunciabili del programma sardista.
    E ciò perché non si tratta di un programma di parte, ma di esigenze la cui soddisfazione non può essere rinviata senza contribuire consapevolmente a rendere ancora più drammatica la situazione economica e sociale dell'Isola.
    2.10. Fra tutte le Regioni dello stato italiano, la Sardegna è quella che ha il maggior numero di disoccupati. E' un triste primato, che dice più di qualsiasi discorso, in che conto è stata tenuta fino ad ora la volontà di progresso e di sviluppo economico e sociale delle nostre popolazioni. La situazione economica complessiva ha raggiunto e superato i livelli di guardia e non può essere ulteriormente tollerata.
    Occorre, davvero, invertire la tendenza. Ciò significa, in primo luogo, uscire dalla logica perversa dell'assistenzialismo e del clientelismo, che hanno condotto la nostra economia agli attuali livelli di inefficienza, di scarsa produttività e, in una parola, l'hanno sostanzialmente messa fuori mercato.
    Affermare, come è stato fatto di recente, che è stata arrestata e invertita la tendenza all'aumento della disoccupazione - qualora dovesse essere provato, contro indagini e cifre che affermano esattamente il contrario può forse costituire un elemento di consolazione politica, ma non modifica la drammaticità della situazione.
    Niente, inoltre, consente di sperare che l'inversione di tendenza, se confermata e reale, possa durare. Tutto induce a temere il contrario. E non solo per il prevalere di interessi esterni all'Isola e ad essa storicamente contrari, ma anche perché le capacità produttive del sistema economico sardo, sopratutto per ciò che attiene alla produttività del lavoro, sono tali da scoraggiare qualsiasi ottimismo.
    Occorre una riflessione adeguata alla gravità della situazione, che produca idee e proposte concrete da tradurre in provvedimenti legislativi e in conseguenti comportamenti amministrativi, capaci di incidere positivamente sulla situazione. Anche l'indirizzo degli istituti di Credito e, in particolare, del Banco di Sardegna, della Banca Popolare di Sassari, del CIS e della SFIRS va attentamente studiato in modo tale che possa risultarne una messa a disposizione del sistema economico sardo di capitali, di risorse, di sinergie e di competenze in modo da favorirne la riorganizzazione al fine di accrescerne la competitività sul mercato italiano e europeo.
    2.11. Da questo punto di vista, due sono le esigenze fondamentali: la disponibilità di energia a basso costo, da ottenere attraverso l'avvio delle progettate modalità di sfruttamento del carbone Sulcis da gestire da parte della Regione, come previsto dall'art. 4 dello Statuto; e un sistema di trasporti che non penalizzi gli sforzi dell'apparato produttivo.
    Il Partito e il Gruppo consiliare devono proporre concrete misure legislative, anche tenendo conto delle esperienze realizzate altrove, capaci di risolvere in tempi brevi questi due annosi e penalizzanti problemi.
    Il problema dei trasporti riguarda sia la situazione interna, sia quella dei rapporti col continente italiano e europeo. Sul piano interno, la rete viaria è ormai insufficiente per sviluppo, tracciati e manutenzione ed è lontana dall'avere risolto il problema delle zone più emarginate e interne dell'Isola. Un "piano per la viabilità interna" è urgente e deve essere concepito non solo per dotare l'isola di un sistema stradale all'altezza dei livelli raggiunti dalla meccanizzazione del trasporto pubblico e privato, dalla mobilità della popolazione e dallo sviluppo della produzione e della distribuzione, ma anche per raccordare i centri di produzione e i centri abitati sia agli aeroporti che ai porti che mettono in comunicazione l'Isola col Continente.
    A questo proposito non è più accettabile che il sistema aeroportuale rimanga quello attuale, fatto per servire le due maggiori città isolane e la Costa Smeralda, penalizzando due terzi della superficie e della popolazione dell'Isola.
    Una iniziativa urgente deve essere assunta per imporre una soluzione rapida del "problema del trasporto ferroviario di merci e di passeggeri, che si svolge attualmente in condizioni mortificanti sia per i viaggiatori che per il personale. Si arriva fino all'assurdo rappresentato dalla fine delle comunicazioni ferroviarie fra Cagliari e Sassari e viceversa, attorno alle 18 dei pomeriggio! Poiché alla stessa ora terminano anche i collegamenti automobilistici, i collegamenti fra le due città sono possibili soltanto con mezzi privati.
    Il "problema delle comunicazioni coi Continente" è troppo conosciuto, perché sia necessario farne un'ulteriore analisi. Occorre anche in questo caso partire dai risultati tutto sommato deludenti dell'ultima legislatura regionale. Il Partito deve riprendere l'iniziativa sia per informare e mobilitare l'opinione pubblica, sia per imporre misure legislative che portino nella direzione di una presenza della Regione nelle sedi in cui si prendono le decisioni che riGuardano la Sardegna, sia per raggiungere l'obiettivo di fondo che resta quello della Il costituzione di una flotta navale e aerea sarda", nella quale la Regione sia la componente maggioritaria.
    2.12. La relazione del Segretario nazionale del Partito al 22' Congresso, adottata dal medesimo come Documento finale, offriva tutta una serie di suggerimenti e di indicazioni per affrontare in termini di studio e di riflessione, ma anche in termini operativi e legislativi, i problemi fondamentali dell'economia. Essa è però rimasta inattuata, sia per quanto riguarda i compiti del Partito, sia per quanto riguarda l'iniziativa della Regione, in quell'epoca a guida sardista.
    La "Convenzione del lavoro e dell'economia" che vi veniva proposta, è rimasta lettera morta. E' proseguita ' invece, fino alla conclusione della legislatura, l'attività di governo alla quale è forse possibile scrivere qualche buona intuizione, non perseguita coi dovuto rigore e con la necessaria coerenza, ma nessun risultato tale da far ricordare la legislatura negli annali politici della Sardegna, per il suo valore innovativo.
    Questo giudizio vale per la politica nel campo dell'agricoltura e dell'industria, come per quella realizzata negli altri comparti dell'economia e dell'industria isolana. Nonostante l'imponenza delle cifre disponibili e effettivamente spese, non si è verificata né nell'attività di governo, né nei suoi risultati, nessuna inversione di tendenza. La pratica della dispersione degli interventi, determinata da visioni locali, parziali quando non clientelari, non ha trovato nessuna vera smentita.
    Non è possibile far ricadere sulla condotta di assessori appartenenti agli altri partiti della coalizione, la responsabilità di una legislatura tutto sommato mediocre e deludente. Occorre invece, anche in questo caso, ripensare seriamente le ragioni che hanno determinato comportamenti politici e amministrativi come quelli segnalati e passare ad una nuova e più incisiva fase propositiva.
    Per ciò che riguarda "l’agricoltura", occorre partire dalla constatazione che il settore è oberato da un numero spropositato di leggi, che pretendono di disciplinare un tale numero di questioni, da rendere sempre più complicato l'iter burocratico che ogni pratica di concessione di contributi a qualsiasi titolo deve compiere. Ciò significa che l'intero apparato burocratico è costretto a dedicare la maggior parte del suo tempo a pratiche spesso marginali che comportano la soluzione di problemi individuali e irrilevanti, a svantaggio dei problemi di fondo che rendono precaria l'economia agricola dell'Isola.
    E' invece necessario snellire l'attività legislativa, ancor prima della riforma della Regione; liberare gli Uffici regionali da interventi che possono essere sostituiti con modalità semplici e affidati a meccanismi automatici; concentrare per almeno tre anni il massimo sforzo finanziario su due soli temi prioritari: rimboschimento o forestazione, creazione dei laghi collinari. Fatti salvi gli interventi richiesti da emergenze meteorologiche o di altro tipo e gli interventi di ordinaria amministrazione.
    3. 1. Nel periodo trascorso dall'ultimo Congresso e nei 5 anni di guida e di partecipazione alla Giunta regionale, il Partito ha trascurato in maniera totale il problema della cultura, sia quello dell'istruzione e del diritto allo studio, sia quello dell'istruzione e dei diritto allo studio, sia quello più generale della ricerca e dell'arte. La mancata costituzione del "Dipartimento della cultura" costituisce la prova più eloquente della sottovalutazione di questo settore di importanza decisiva per un partito come il nostro, che si è assunto il compito storico di restituire al popolo sardo la consapevolezza delle proprie origini, della propria civiltà e della propria cultura, senza soggezioni né complessi nei confronti delle culture esterne all'isola e diverse dalla nostra, a cominciare da quella italiana. Ha fatto sì che molti giovani e giovanissimi e un gran numero di intellettuali si siano allontanati sia dal Partito sia dalle idee e dai programmi del sardismo.
    Anche perché non sono mancate le occasioni nelle quali gli interventi di assessori sardisti, sia regionali che provinciali e comunali, in campo culturale sono apparsi evidentemente viziati di clientelismo e volti non a favorire la crescita culturale delle nostre popolazioni, ma a creare e a sostenere posizioni personali e a difendere interessi particolari e di gruppo.
    E' ora, invece, che il partito sardo d'Azione tomi ad essere consapevole di essere nato e di essere non solo una formazione politica che difende e promuove interessi economici e sociali, in direzione della conquista dell'autogoverno perfetto dei sardi, fondato sulla loro identità etnica e linguistica, ma anche il portatore, il difensore e il promotore di una grande tradizione di civiltà, di cultura e d'arte elaborate nel corso dei millenni della storia della nostra etnia.
    3.2. Il Partito deve assumersi la responsabilità che gli deriva dall'essere l'erede di tutta la cultura prodotta dalle nostre popolazioni, dell'arte originale e peculiare creata dai nostri artisti nei diversi settori e dal dovere di favorirne lo sviluppo.
    Ci sono, in Sardegna, intellettuali di grande rigore e di grande livello e artisti di grande originalità. Il loro elenco sarebbe talmente lungo, da poterci essere invidiato da regioni più prospere e più fortunate. Le loro opere, il successo e la stima da loro conquistati, rappresentano un patrimonio che appartiene a tutti i sardi e che deve essere valorizzato e fatto conoscere perché possa suscitare nuove energie e proporre nuovi modello di vita e di impegno, in particolare alle nuove generazioni.

    La formazione del Dipartimento della cultura costituisce un impegno non più rinviabile. Esso deve essere rappresentativo e autorevole e chiamare alla collaborazione anche personalità della cultura non iscritte al Partito. Suo compito prioritario è la convocazione di una "Assise nazionale degli intellettuali e dei creatori sardi", alla quale devono essere invitati a partecipare tutti gli intellettuali e i creatori che sentano di avere le loro radici nelle tradizioni e nel patrimonio originale accumulato dal nostro popolo. L'Assise deve lanciare un manifesto, che porti le firme del maggior numero di intellettuali e di creatori e che indichi nella difesa e nella promozione della nostra lingua e delle nostre tradizioni artistiche e culturali - a parità di opportunità e di diritti con ogni altra lingua e con ogni altra tradizione culturale e artistica - il compito degli intellettuali sardi ovunque e comunque impegnati.
    E' necessario e urgente, anche per la preparazione dell'Assise nazionale degli intellettuali e dei creatori, la creazione di un grande movimento di opinione che chiarisca dubbi, dissipi diffidenze e faccia intendere il vero significato che assume, nella difesa dell'identità del popolo sardo e nella creazione di un suo futuro di dignità e di autogoverno, l'insegnamento della lingua sarda nella scuola e la diffusione della conoscenza della storia, e della cultura del nostro popolo.
    3.3. Intanto il gruppo consiliare deve impegnarsi in Consiglio Regionale a presentare un organico disegno di legge in sostituzione di quello, insufficiente e contraddittorio, che non fu approvato dal precedente Consiglio Regionale, sulla difesa e lo sviluppo della lingua e della cultura della Sardegna. Ma ciò va fatto, anche, promuovendo un incontro a carattere regionale, preceduto da iniziative a livello provinciale e comunale, sul disegno di legge, in modo da informare l'opinione pubblica e vincere eventuali diffidenze e resistenze e esercitare una pressione forte e crescente sulla Giunta Regionale e sul Consiglio Regionale.
    Un'attenzione particolare deve essere riservata all'editoria in lingua sarda", anche per quanto riguarda la traduzione al sardo di opere straniere di grandi livello e al teatro. Per quanto riguarda l'editoria è da studiare uno strumento legislativo che perfezioni le nonne esistenti e stabilisca incentivi concreti, rapidi e tali da stimolare interesse e iniziative da parte delle case editrici e degli Autori.
    3.4. Per quanto riguarda il teatro, che è uno dei comparti più attivi della cultura in lingua sarda, è necessario fare uno sforzo serio per farlo uscire dall'attuale fase di ristagno in forme e contenuti privi di autentico livello artistico. La farsa, che è il genere più rappresentato, sopratutto in lingua campidanese è un genere subalterno, poverissimo di contenuti e di forme degni di qualche interesse. Il dramma e la tragedia contano ben pochi autori, al punto che sta diventando comune la tendenza a tradurre in sardo - o in sassarese, perfino! - farse napoletane ed altri testi.
    Ciò dipende anche dalla mancanza di un 1stituto nazionale del Teatro sardo" che conduca un lavoro di studio e di formazione, analizzando le forme drammatiche della tradizione sarda, rimaste spesso a livello preteatrale e facendole, ove possibile, maturare e incoraggiando la produzione di testi che affrontino tematiche storiche e contemporanee, in modo da contribuire alla formazione di una matura e moderna coscienza nazionale dei sardi.
    Il Dipartimento della cultura e il gruppo consiliare devono predisporre in tempi brevi un progetto di legge che preveda il lancio di un concorso di idee per un progetto di struttura teatrale, utilizzabile anche ad altri fini culturali, realizzabile dalla Regione, dalle Province e dai Comuni con contributi regionali e con facilitazioni creditizie. L'assoluta mancanza di sale teatrali degne di questo nome - al posto di locali di fortuna e generalmente inadatti che avviliscono la professionalità sia degli autori che attori - è causa primaria dell'attuale, gravissimo ritardo dell'attività teatrale in Sardegna.
    3.5. Non diversamente accade per l'attività cinematografica e televisiva, sia sul piano della produzione che della distribuzione. La mancanza di strutture è tale da scoraggiare qualsiasi iniziativa locale che non sia commerciale e consumistica. I giovani sardi che vogliono intraprendere queste due attività sono costretti ad emigrare, con conseguenze gravissime sul piano della perdita della loro entità culturale.
    E' urgente lo studio e l'elaborazione di provvedimenti legislativi che istituiscano un 1stituto del Cinema e del TV per la Sardegna", con compiti di formazione e produzione.
    3.6. Non meno urgente è l'esistenza di giornali radio e TV in lingua sarda, e di programmi culturali e didattici in sardo, sopratutto per il corretto insegnamento e la diffusione del sardo e delle lingue minoritarie parlate nell'isola.
    3.7. li documento finale adottato dal 22' Congresso aveva affrontato sia pure rapidamente, il problema dell’ Università della Sardegna". Poiché negli ultimi anni si sono ulteriormente acuiti i difetti e le disfunzioni del l'insegnamento universitario, è necessario riaprire la riflessione su questo tema decisivo per lo sviluppo dello studio e della ricerca e per la formazione di quadri intellettuali indispensabili per consentire alla Sardegna di rimanere in Europa.
    Il centralismo tradizionale dell'Università italiana, a livello di strutture e di programmi, e la sua riproduzione in Sardegna, non corrispondono più alle esigenze attuali. Neppure ì vari elementi di riforma introdotti, soddisfanno le esigenze di autonomia finanziaria, amministrativa e didattica di un'Università della Sardegna.
    L'Università deve essere lo strumento e la sede per lo sviluppo di una cultura al massimo livello, aperta a tutti, rigorosa nei suoi metodi e funzionale nelle sue finalità, che accanto ai valori culturali universali accolga anche quelli della tradizione specifica della nazione sarda. Ciò significa negare qualunque autarchia culturale e, nello stesso tempo, rifiutare qualsiasi omologazione a modelli attuali, espressione di tradizioni e di culture elaborate in contesti difficilmente compatibili con nostro.
    Solo il confronto può, infatti, fare accettare modello culturali e di vita che, se imposti, costituiscono l'intollerabile espressione della vecchi cultura colonialistica e imperialista delle quali sono sempre stati vittime i popoli e le culture minoritarie.
    Superando bicefalie, concorrenze e campanilismi eredità do secoli di dominazione coloniale - l'Università della Sardegna deve essere una, decentrata, residenziale, articolata in dipartimenti, diffusi nel territorio, (in modo da evitare la centralizzazione e la burocratizzazione della amministrazione e della didattica), e dotati di "campus" che consentano agli studenti e ai docenti di dedicarsi a tempo pieno agli studi e alla ricerca oltre che praticare quelle attività creative e ricreative indispensabili per un armonico sviluppo della personalità di entrambi.
    Sarà compito del Dipartimento della cultura del Partito promuovere, dopo adeguata preparazione, una "Conferma per l'Università nazionale della Sardegna", che ne definisca tutti gli aspetti organizzativi, scientifici e didattici.
    4.1. Il 23° Congresso si svolge in un momento particolarmente complesso e pieno di novità in tutti gli aspetti della vita dei popoli. Per la prima volta dalla fine della 2A guerra mondiale il disarmo ha fatto grandi passi in avanti; una concreta prospettiva di pace si è aperta per l'Europa e per tutti i paesi agitati da conflitti, in ogni continente.
    Gli assetti determinati dagli accordi di Yalta sono entrati in una crisi irreversibile mentre nuove esigenze di democrazia, di rispetto delle particolarità religiose, linguistiche, etniche e dell'indipendenza nazionale di interi popoli scuotono l'Unione Sovietica e i paesi dell'Est Europeo:
    L'Unificazione europea che troverà il suo primo momento di effettiva realizzazione nel 1992, aprirà anch'essa nuove, possibilità di soddisfare i diritti in vario modo conculcati alle minoranze etnico-linguistiche.
    In questo quadro di novità, di aperture e di possibilità in gran parte inedite, il Psd'az deve riprendere l'iniziativa politica, ideologica e culturale sia in Sardegna, sia a livello europeo, per partecipare attivamente alla costruzione di un'Europa che riconosca anche i diritti della nazione sarda.
    Il “Dipartimento per le relazioni internazionali” finalmente reso operante, deve avviare i contatti e le necessarie relazioni interetniche, al fine di unire gli sforzi delle minoranze e delle nazionalità per il raggiungimento in tempi brevi degli obiettivi fondamentali.
    Il Psd'az deve sentire come suo dovere principale quello di diffondere gli ideali di libertà, di laicità, di progresso nella democrazia che sono alla base della sua ispirazione politica e sociale.
    Il sardismo è anch'esso un movimento di liberazione, non solo dal bisogno ma anche dall'arretratezza, dalla dipendenza e dalla soggezione culturale. Ai suoi ideali di liberazione e di progresso possono aderire sopratutto le nuove generazioni, tante volte deluse dalla retorica di una patria inevitabilmente matrigna ed avara, che vogliano impegnare le loro energie, la loro intelligenza, la loro volontà di costruire un mondo migliore, restituendo alla Sardegna piena dignità di nazione indipendente in una federazione Italiana ed Europea di comunità di liberi e di eguali.

  6. #16
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    Predefinito Re: 1989. XXIII° Congresso nazionale del PSd’Az.

    Mozione congressuale
    Presentata dalla sezione "D. Giacobbe" di Cagliari


    Un partito forte e che vuole essere l'espressione di un 1 etnia, che vuole esseme l'immagine e rivendicatore di diritti, deve essere guidato da elementi validi e disporre di una valida organizzazione interna.
    In seno al partito ci devono essere i rappresentanti politici (abilitati - quindi - a prendere decisioni di carattere politico) ed elementi organizzativi. La storia ci insegna che l'organizzazione interna è un elemento essenziale, un supporto insostituibile, senza il quale qualsiasi struttura diventa inefficiente.
    Lasciando da parte per il momento l'aspetto politico e gli elementi che ricopriranno tale incarichi, veniamo a parlare di quali devono essere i requisiti delle persone che avranno compiti organizzativi da svolgere.
    Deve trattarsi di persone giovani aventi un titolo di studio adeguato agli incarichi da compiere.
    Nell'organizzazione di un partito è essenziale la presenza di un gruppo di esperti in materie socio-economiche che devono garantire un adeguamento rapido della politica del partito alle nuove esigenze (sociali ed economiche), sia per il presente sia per il futuro.
    Si darà di seguito specificazione delle condizioni di azione e struttura di tutto il complesso organizzativo.
    Si procede ora ad illustrare l'organigramma di proposta per la segreteria del Partito.
    Segretario; 3 vice segretari; segretario amministrativo; segretario organizzativo; ufficio pubbliche relazioni; 3 funzionari, esperti in materie economico-sociali;

    Commissione disciplinare (9 membri più due supplenti)
    Segretari provinciali (sette)
    Responsabili di zona
    Segretario; vice segretari; segretario amministrativo; segretario organizzativo
    Elezione diretta da parte dei delegati al congresso.
    1 tre funzionari di partito sono nominati dalla segreteria. Retribuzione mensile adeguata. Lavoro a tempo pieno.

    Funzioni: Rapporti con le sezioni, individuazione di lacune e problemi intersezionali. Redazione di rapporti informativi sulla situazione intersezionale con possibilità di relazionare al Comitato di controllo.

    Incompatibilità: Non possono ricoprire cariche in sede di Direzione nazionale, Consiglio nazionale, Consigli direttivi di sezione, Segreteria nazionale. Esclusione da elezioni elettorali.

    Ineleggibilità assoluta per almeno una legislatura, terminato il mandato di funzionari di partito, per evitare lottizzazioni elettorali.

    Segretario organizzativo: Unico responsabile dell'organizzazione interna del partito, in particolare dell'opera dei: funzionari di partito, ufficio pubbliche relazioni, esperti in materie socio-economiche.

    Discorso a parte merita il Comitato di controllo. Occorre precisare che non basta la presenza ma anche un'ampia dotazione di poteri non solo nei confronti dei semplici iscritti, ma anche verso tutti i membri della segreteria nazionale e i vari rappresentanti all'intemo della Regione, Provincia, Comune, Parlamento. Quanto sopra per evitare che non vengano punite mancanze e violazioni dello statuto a differenza di tutti gli altri iscritti.
    Il Comitato di controllo potrà usufruire di consulenze su ogni materia onde accertare con maggiore precisione colpe e responsabilità. Il numero dei membri del Comitato è di 9+2 supplenti, per evitare che per assenze e impossibilità varie l'organo non possa deliberare.
    Vista la scarsa attività e conseguente inutilità, si chiede l'abolizione dei distretti e delle federazioni.
    Si auspica la creazione di:
    Segreteria provinciale di Cagliari
    Segreteria provinciale di Sassari
    Segreteria provinciale di Oristano
    Segreteria provinciale di Nuoro.
    Si chiede inoltre l'istituzione dei responsabili di zona ripartiti in tutte le zone della Sardegna.
    Con l'istituzione delle segreterie provinciali e dei responsabili di zona si vuole porre rimedio alla poca concretezza, alla lentezza e al rilevato aumento della litigiosità intersezionale, alle quali i distretti - attualmente - non hanno saputo contrapporre alcuna iniziativa valida e in non poche circostanze sono stati i responsabili.
    Se i distretti sono stati causa di confusione e di disguido nei confronti delle sezioni è dovuto a un coacervo di interessi personali, alla presenza - in essi - di membri scarsamente qualificati da un punto di vista politico e quindi facilmente oggetto di plagio da parte dei più esperti(?).
    1 rappresentanti eletti nei consigli comunali, provinciali, regionali, parlamentari dovranno versare il 30% degli introiti derivanti dal mandato politico, calcolati sul cumulo globale (retribuzione + gettoni di presenza).
    Gli introiti mensili di tutti i rappresentanti saranno riscossi da un delegato per ogni sede di mandato politico e poi distribuiti al netto del 30% suindicato a ciascuno. Ogni rappresentante, all'atto de I l'accettazione del mandato politico, dovrà finnare una dichiarazione nella quale accetta e si impegna ad adempiere a tale obbligo.
    Venendo a descrivere analiticamente le innovazioni proposte, si premette che si ritengono validi i poteri e le competenze già stabiliti nello statuto per ciò che riguarda il segretario nazionale, il segretario amministrativo e i vice segretari.
    Ciò che dovrebbe essere modificato concerne le modalità di nomina: infatti per evitare che possano accedere alle suddette cariche quanti non riscuotono un ampio consenso alla base, si propone una loro elezione diretta da parte dei delegati al Congresso nazionale riunito in convocazione ordinaria.
    Una figura nuova è rappresentata dalla presenza del segretario organizzativo, il quale si concreta come unico responsabile di tutta l'organizzazione interna del partito.
    Deve verificare l'opera dei funzionari di partito e svolgere un'attività di coordinamento tra i vari organi proposti all'organizzazione (funzionari di partito - ufficio pubbliche relazioni - centro studi politico-economici).
    Ormai le esigenze attuali impongono la istituzione di un ufficio pubbliche relazioni e un centro studi politico-economici che dovranno essere composti da membri giovani e preparati in relazione allo scopo da perseguire.
    L'istituzione dei funzionari di partito è diventata una necessità per risolvere l'attuale situazione in cui versa la segreteria nazionale ma, allo scopo di evitare che si vada incontro ad grosse delusioni, è bene precisare alcuni punti:
    1) dovrà trattarsi di elementi che siano in possesso di una preparazione adeguata;
    2) saranno inquadrati con un contratto di lavoro dipendente a tempo pieno;
    1 funzionari di partito dovranno assolvere i seguenti compiti:
    a) Rapporti con le sezioni;
    b) Individuazione di lacune e problemi intersezionali;
    c) Relazione di rapporti informativi sulla situazione intersezionale con possibilità di trasmissione al Comitato di controllo;
    d) Organizzazione del partito.
    La carica di funzionario dovrà prevedere l'incompatibilità con qualsiasi altra carica nel partito sia politica sia amministrativa. E' da prevedere inoltre una ineleggibilità assoluta per almeno cinque anni successivi alla scadenza del contratto di funzionario di partito, onde evitare facili lottizzazioni elettorali. I funzionari di partito saranno nominati dalla segreteria nazionale.
    Discorso a parte merita il Comitato di controllo.
    Occorre mettere in rilievo che necessita di una ampia dotazione di poteri non solo nei confronti del semplice iscritto che viola lo statuto ma anche verso i vari organi e rappresentanti politici per i quali l'articolo 38 dello statuto stabilisce decisioni non definitive in ordine a sanzioni disciplinari da applicare nei loro confronti.
    Pertanto si richiede la eliminazione di quei comma dell'art. 38 dello statuto nei quali è stabilito un trattamento privilegiato nei confronti del segretario nazionale, dei componenti del Consiglio nazionale, dei membri della Direzione nazionale, del segretario amministrativo, dei sindaci, dei presidenti di Provincia, degli assessori comunali, provinciali, regionali, componenti di giunta e consiglio regionale, parlamentari, segretari di federazione distrettuale, presidenti e amministratori di enti territoriali o strumentali.
    Per poter operare con efficacia e celerità sarebbe necessario portare il numero dei membri a 9+2 supplenti, così che per assenze e impossibilità varie l'organo possa deliberare.
    1 membri della Commissione di controllo dovranno partecipare, in funzione di revisori, a tutte le riunioni del Consiglio nazionale, anche a mezzo di una delegazione, per verificare la regolarità delle deliberazioni e il rispetto dello statuto.
    Vista l'esperienza poco edificante delle federazioni e dei distretti, auspichiamo una loro eliminazione, poiché riteniamo che non possano esprimere più di quanto hanno fatto fino ad oggi.
    Si chiede quindi l'istituzione delle segreterie provinciali e la creazione di responsabili di zona delegati dal consiglio provinciale. Con l'istituzione delle segreterie provinciali e dei responsabili di zona si vuole porre rimedio alla poca concretezza, alla lentezza e al rilevato aumento della litigiosità intersezionale: situazioni negative alle quali i distretti non hanno saputo contrapporre alcuna iniziativa valida e in non poche circostanze sono stati i responsabili.
    Se i distretti sono stati causa di confusione e di disguido nei confronti delle sezioni, la causa è dovuta a un coacervo di interessi personali nascosti, più o meno abilmente, da una facciata ormai diventata decrepita e vetusta.
    Il distretto è diventato - inoltre - a seguito dell'ultimo congresso distrettuale il punto di arrivo di elementi scarsamente qualificati sotto i profilo politico e, quindi, facilmente oggetto di plagio da parte dei più esperti.
    Ci pare invece che la segreteria provinciale possa costituire un complesso molto più agile e sicuramente più qualificato, integrato poi dai responsabili di zona che potranno garantire una presenza costante e più fattiva.

    Finanziamento del partito.
    Oggi il Psd'az, in conseguenza dei successi elettorali ottenuti, non è più quel partito che usufruiva di pochi rappresentanti presso le sedi politiche comunali, provinciali e regionali. Sono ormai lontani i tempi nei quali il partito non nuotava nell'oro e tanti amici sardisti lo sostenevano con il volontariato e anche economicamente.
    1 trionfi elettorali dal '79 in poi hanno premiato gli sforzi e i sacrifici di tanti, procurando al partito una certa disponibilità economica che ben utilizzata avrebbe consentito di impostare le strutture del domani.
    Purtroppo si è assistito ad una cristallizzazione totale che ha investito persone e strutture: il poco che è cambiato riguarda l'acquisto di locali più idonei alle esigenze attuali, ma le strutture organizzative sono ancora quelle di 30 anni fa.
    Partiamo dal presupposto che l'innovazione, ovviamente, comporta dei costi iniziali notevoli e quindi bisogna individuare le sorgenti di approvvigionamento di denaro. La segreteria nazionale, invece che ricordarsi che il partito è forte ormai della presenza di 12 consiglieri regionali. 2 deputati, 1 senatore, 1 rappresentante al Parlamento europeo, ha pensato di rivolgere lo sguardo verso gli iscritti del glorioso Psd'az, chiedendo un aumento di quota da versare al partito, manifestamente sproporzionato, che non consente alle sezioni di assolvere le spese di gestione. Questo evidentemente è il ringraziamento, da parte della segreteria, per la fedeltà dimostrata dai sardisti nei momenti difficili.
    Posta questa premessa si chiede che tutti i rappresentanti del Psd'az, eletti nei consigli comunali, provinciali, regionale, parlamento, senato, parlamento europeo, versino al partito il 30% degli introiti derivanti dal mandato politico, calcolati sul cumulo globale (retribuzione più gettoni di presenza).
    Gli introiti mensili di tutti i rappresentanti di mandato politico saranno riscossi alla fonte da un delegato (designato dalla segreteria) per ogni sede di mandato politico e poi distribuiti al netto della percentuale dei 30% suindicato, ad ognuno dei percettori. Ogni rappresentante, all'atto dell'accettazione del mandato politico dovrà sottoscrivere una dichiarazione nella quale accetta e si impegna ad assolvere a tale obbligo.
    In considerazione di tutto ciò, chiediamo una modifica e ammodernamento dello statuto, che in ogni caso sarà da noi presentato al 23° congresso nazionale.

  7. #17
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    Predefinito Re: 1989. XXIII° Congresso nazionale del PSd’Az.

    Motzione pro su XXIII Cungressu

    Presentada dae sa setzione de Illorai


    Sa forza de su Partidu Sardu est in su crére e cherrer tragare cun corazu - in sos tempos nôs de Sardigna - sas resones istoricas e culturales de sa identidade de sardos e de sardistas.
    Nois semus siguros d'esser sa forza noa chi podet mudare sos tempos benidores; semus siguros d'esser forza pulitica ch'hat raighinas in sa zente e che finzas sos sonnios nostros sun disizos e ideas bias de totu su populu sardu.
    No b'hat lacanas o cunzados ue si potat serrare e incadenare su pessu chi moet su coro mannu de sa sardidade. No b'hat partidos mannos o minores, ma idealidades, idealidades che sun mannas.
    Duncas devimus dare 'oghe e azza a sos sentidos, e no traighere sa raighina che nos hat inzendradu. Fortes de sas idealidades sos prozettos e s'atezamentu de su Partidu Sardu - siat cramadu a guvernare o a fagher cuntierra - no devet lassare dubbios in s'autonomia de su partidu matessi da-e 'onzi ischieramentu o liga. Devet acerarare sempre e solu sos interessos de su populu sardu, chirchende su cunfrontu e sa presenzia in sas istituziones de s'Istadu Italianu. S'attualidade de sa funzione istorica de su Partidu Sardu e sa zentralidade de forza etnica devet fagher pessare a fraigare amiganzias cun totu sas zenias puliticas democraticas e fiottos soziales.

    INDIPENDENZIA E FEDERALISMU
    Devimus bessire da-e s'equivocu: nos naran chi semus separatistas, nazionlistas, indipendentistas, federalistas, autonomistas e ateru puru... ma gai semus totu e nudda. Devimus haer su corazu de sighire s'idea de indipendenzia e de federalismu in s'Europa de sos populos e de abboghinare chenza timoria peruna chi cust'autonomia - gai comente est como - est a nos zugher serrados in cherinas.

    CUSSENZIA PULITICA
    Su Partidu, si lu cherimus fagher crescher umpare a sa Sardigna, devet leare cussenzia de s'organizare e chircare ligames n6s in su mundu de su traballu e de su sindacadu sardu. Si devet organizare finzas pro fagher cultura, e no solu cun sa bandera de sa limba, pro dare a su partidu una cussenzia pulitica chi no s'ischidet e ponzat alas solu in tempos de votaziones.

    PRO SA GHIA DE SU PARTIDU
    In d'unu partidu lieru e ischibbulu in sa creschida, comente est bistadu su Partidu Sardu in sos urtimos degh'annos, no devet meravizare si s'hat pesadu parizas boghes chi bisan urm rinnovamentu in sa ghia de su partidu. Da-e sas medas boghes e bentos chi han moidu sas abbas isettamus sos cuntributos pro sestare umi partidu chi siat isprigu de sos tempos mudados.
    Creimus chi d'onzunu potat e devat cuntestare cun s'afficu de mezorare sos prozettos (pro suprire a cumprire su progressu soziale-economicu de su populu sardu) in su sinnu de sas idealidades sardistas e in s'unidade de su partidu.
    Comente sardistas riconnoschimus e hamus riguardu a sos omines chi han muntesu in artu, cun dignidade e corazu, sa bandera de sa Sardidade.

  8. #18
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    Predefinito Re: 1989. XXIII° Congresso nazionale del PSd’Az.

    Per il progresso del Partito
    Mozione presentata dalle sezioni di SANLIJRI, BARUMINI, S. ANDREA FRIUS, DOLIANOVA, PAULI ARBAREI, GESTURI


    Il 23° Congresso del Psd'az riafferma l'esigenza di una nostra presenza forte e organizzata per essere protagonisti dei rinnovamento della società, in una azione protesa a tutelare la libertà e a realizzare la parità dei diritti dei popoli e delle nazioni.
    Il Congresso, viste le esigenze e l'attuale situazione, richiede risposte e soluzioni decise in tema di organizzazione interna e di puntualizzazione dell'indirizzo politico generale.
    Il Congresso riconosce essenziale, per lo sviluppo e l'emancipazione della nazione sarda la riproposta e la mobilitazione per l'attuazione dei punti programmatici sanciti in altri congressi e meglio schematizzati in Carbonia.
    Il Congresso rileva che sono in corso, nel mondo, imponenti processi di modernizzazione che interessano tutti i settori, sia sociali che economici. Il cambiamento si presenta con potenzialità positive, ma anche con elementi di contraddizione che richiedono un nuovo quadro di scelte e di rapporti sul piano mondiale.
    In questa fase si va affermando, in modo sempre più consapevole, l'esigenza del disarmo, della pace, e della cooperazione economica e scientifica come condizione essenziale per il progresso.
    I nuovi connotati economici sono delineati dalla tendenza alla unificazione dei mercati, delle tecnologie, delle conoscenze ed alla internazionalizzazione delle imprese.

    Tuttavia, interessi di parte, hanno fatto sì che le politiche neo liberiste in atto non abbiano favorito un nuovo e stabile ordine economico internazionale, ma abbiamo accentuato elementi di conflitto rispetto a quelli della cooperazione, mentre non hanno affrontato le problematiche del riequilibrio, dei ritmi di sviluppo tra le diverse aree del mondo.
    Il congresso denuncia le cause per cui troppi popoli sono in guerra, che la "fame nel mondo" non è uno slogan pubblicitario e che potenze internazionali, mentre predicano pace e progresso e concordano soluzioni in negoziati sono, esse stesse, causa e parte del conflitto, fornitrici di armamenti ai belligeranti e ai terroristi.
    Rileva e denuncia, con preoccupazione è incapacità e la poca volontà internazionale e nazionale di annullare i mercati e i mercanti della droga, le prepotenze delle mafie e frenare il degrado dell'ambiente.
    Il Congresso rileva positiva la propensione e la volontà di alcuni stati, rivolta al cambiamento, alla socializzazione e al riconoscimento dei diritti sociali, delle etnie e delle autonomie dei popoli.
    Il Congresso ribadisce il ruolo irrinunciabile del Psd'az a partecipare alla programmazione e alla costruzione di un nuovo e migliore sistema sociale, che impone nuove metodologie per affrontare i mutamenti profondi che investono l'economia, la società e la scienza alle soglie del 2000.
    Partendo dal punto irrinunciabile dell'autodeterminazione - condizione essenziale per l'uguaglianza e l'appropriazione dei legittimi diritti -, il Psd'az riconferma la propria ideologia di base in quella della sinistra più evoluta, significando, - in un momento di confusione cosmica, che vede il socialismo reale proporre schemi liberisti e governi definiti democratici assumere l'accentramento statalista quale metodo funzionale -, che il sardismo è l'ideologia del partito e che è accomunata ai principi del socialismo della difesa dei diritti dei popoli, del lavoro, della emancipazione e della indipendenza delle nazioni.
    Emancipazione e indipendenza, finalità storiche ed esigenze presenti, intese in contrapposizione alla dipendenza e al colonialismo, da realizzare attraverso una lotta pacifica.
    La lotta pacifica deve compartecipare tutti i sardi; a tal fine necessita scatenare una rivoluzione culturale che propagandi i temi e ne evidenzi la giustezza degli indirizzi.
    Tali obiettivi sono da considerare condizione essenziale per partecipare alla costruzione dell'Europa federata, che, nella giusta concezione e nelle aspirazioni deve essere l'Europa delle regioni e dei popoli che smantelli di fatto l'Europa dei mercanti e degli stati.
    Si rileva per altro che procede alla realizzazione del mercato unico senza costruire contestualmente un assetto istituzionale da tutti partecipato o partecipato con pari potenzialità, restando irrisolta la disparità di forza e di sviluppo tra regione e regione e la soluzione dei problemi etnici delle varie nazioni.
    Il contenzioso con lo stato italiano nasce dalla negazione dei diritti all'autodeterminazione che impone in nome di una fittizia unità nazionale e rimarrà aperto sino a quando non si risolveranno le imposizioni delle servitù militari; riconosciuta nei fatti e nelle tariffe la continuità territoriale, riconosciuta e istituzionalizzata la lingua e la cultura sarda.
    Problemi di sottosviluppo simili, ma sopra tutto il disconoscimento della diversità della "Questione sarda" hanno fatto si che la mentalità statalista ci inserisse nel blocco della "Questione meridionale".
    Questo errore concorre ad aggravare la situazione. La specificità e la diversità del contesto socio economico sardo non può essere accumulata a quelle di altre regioni al tentativo di disperderne le caratteristiche, ma anzi vanno esaltate anche al fine di renderle propulsive di risultati economici.
    Il successo elettorale del Psd'az ha avuto il suo culmine nelle amministrative del 1985, ma poi è venuto via via scemando e il 1989 vede continuare la perdita dei consensi e la "posizione centrale" di terzo partito.
    Individuare le cause di queste perdite è necessario, non solo per dare risposte quanto per trovare rimedio.
    In molti dibattiti aperti sul tema già molte risposte sono state date:
    La mancata attuazione dei programmi sardisti e i mancati mantenimenti delle promesse via via fatte al popolo sardo nei periodi elettorali: il comportamento sleale degli alleati in giunta regionale, che hanno fatto di tutto per impedire o ritardare l'attuazione di programmi concordati.
    Ma sarebbe sbagliato e controproducente riconoscere solo in questi punti le cause della diminuzione dei consensi elettorali.
    L'esame dei risultati conduce obbligatoriamente all’autocritica da assumere quale metodo di conoscenza e sulla quale basare azioni per il superamento dei problemi.
    L'inadeguatezza organizzativa può trovare scusanti nella crescita improvvisa del partito, ma solo parzialmente, in quanto poi questo aspetto non è stato affrontato. Il livello intellettuale e morale, la capacità dialettica sembrano degradati.
    La conflittualità interna, a tutti i livelli, dalle sezioni più piccole ai distretti va sempre più accentuandosi ed emergono continuamente tensioni pericolose. Anche la direzione nazionale, troppo assente, ha spesso fatto trapelare nei giornali uno stato di disagio interno.
    Invettive e contrasti tra dirigenti, fatti e giudizi particolari hanno trovato nella stampa ampia pubblicazione.
    La credibilità che si crea con intelligenza e fatica si può perdere benissimo, e si perde, anche per fatti simili.
    Non esiste un adeguato collegamento organico tra il vertice e la base; le stesse federazioni si trovano in profondo disagio sia a causa di ristrettezze economiche, per le lottizzazioni finora in atto, sia per motivi di conflittualità.
    In mancanza di un servizio di assistenza, troppo spesso i sardisti eletti a cariche amministrative si sono trovati ad affrontare problemi e dialettiche che spesso superano le capacità del singolo.
    Troppo spesso e per la carenza suddetta i risultati sono stati di improduttività.
    Anche la militanza che abbiamo conosciuto forte e combattiva sembra assopita e snervata. Non solo: avanza lo scoraggiamento e il disimpegno. Troppo spesso si è assistito a fatti contraddittori e controproducenti:
    Le direttive che vengono stravolte dagli stessi direttori, scadenze che non vengono rispettate e continui slittamenti.
    In mancanza di un organismo forte e capace di censura le distorsioni, pure denunciate, non trovano né giudicante né pena.
    Fatti poco edificanti si verificano, tra sardisti e sardisti ad ogni tomata elettorale, svilendo la credibilità del Psd'az. Esiste la "Questione morale".
    Al fine di una autocritica produttiva, colpe e responsabilità non vanno ricercate solo nella direzione, ma anche in tutti quelli che col loro operato o con il proprio assenteismo hanno mal contribuito e vanificato le iniziative.
    La raccolta delle firme per statuto e la flotta, nel suo risultato è sintomatica di uno stato di disinteresse se non pure di boicottaggio.
    Per 5 anni il Psd'az ha concorso a governare la regione autonoma sarda e ne ha assunto le responsabilità che l'esercizio di tale ruolo comporta.
    La validità di quella scelta si conferma per il momento in cui fu fatta e per le nuove esperienze che sono state acquisite e che oggi sono patrimonio comune di tutto il partito.
    I risultati, che pure in positivo sono stati raggiunti non sono stati attentamente valutati dall'elettorato. 1 risultati non hanno premiato i sardisti e il loro impegno.
    In cinque anni di legislatura i programmi sardisti non hanno trovato attuazione. La delusione è fortissima. Il partito si è dimostrato debole nell'imporre l'attuazione dei propri programmi, per altro concordati, così come ha dimostrato poca preparazione contro le macchinazioni dei centri di potere regionale e continentale.
    Il nuovo governo regionale vede il Psd'az all'opposizione. Il congresso ribadisce che il Psd'az è il partito di governo della Sardegna, in qualsiasi situazione, legittimato dal ruolo che svolge e che riconosce quale unico, indipendente, partito dei sardi.
    La funzione di rappresentanza degli interessi dei sardi si è confermata nel tempo e si riconferma indispensabile per gestire la forza necessaria nei confronto e nel contenzioso con il governo italiano e contro chiunque altro intenda lederne i diritti e gli interessi.
    Il congresso considera la possibilità di alleanze, ove questo necessiti per organizzare la forza di governo e perseguire i propri fini politici.
    Le alleanze si considerano possibili solo con quelle parti che concordano in via preventiva e definitiva l'attuazione di programmi sardisti.
    Il congresso richiama l'attenzione del Partito e lo invita ad affrontare con determinazione i problemi della disoccupazione e della continua emigrazione, della siccità, degli incendi e della raccolta delle acque o problema idrogeologico.
    Impegna il Partito nella difesa delle fonti di reddito e dell'occupazione. In modo prioritario l'agricoltura, l'ambiente e il territorio vengono considerate fonti pulite e primarie di lavoro e dell'economia sarda.
    Il congresso invita il partito a continuare la mobilitazione per il riconoscimento e l'istituzione del bilinguismo della zona franca e il rinnovo dello Statuto sardo.
    Questa mozione ritiene urgente la revisione dello statuto del partito; chiede dunque al Congresso di eleggere una commissione capace di segnare proposte innovative e funzionali da illustrare in convegni ed assemblee di base per portare, quindi, la proposta statutaria alla verifica definitiva del prossimo Consiglio Nazionale.
    Questa mozione intende concorrere e concorre in questo congresso segnando alcune voci che ritiene opportuno modificare, inserire o meglio puntualizzare, propone che il congresso:
    Deliberi l'elezione diretta del segretario nazionale.
    Riveda l'organizzazione delle strutture intermedie, Distretti e federazioni, e le regolamenti codificando i ruoli, ridefinisca i compiti e i fini delle sezioni e dei segretari, ridefinisca l'adesione al Partito, il tesseramento, i diritti e i doveri degli iscritti, tracci il profilo politico e morale dei designati dal Partito a ricoprire cariche amministrative o legislative. Al Partito spetti il compito ' di indirizzare il mandato e vigilare sull'esecuzione degli affidamenti, L'autonomia individuale va considerata, ma deve comunque sempre corrispondere all'indirizzo del compito affidato.

    Il Congresso predispone i metodi di gestione e funzionalità: rivede, puntualizza e dispone:
    L'istituzione dei dipartimenti;
    Il regolamento degli incarichi e si pronuncia sul cumulo delle cariche;
    Definisce le incompatibilità e codifica le deroghe;
    Considera il valore di anzianità di tessera e di militanza;
    Dispone la creazione di un ufficio stampa, responsabile della propaganda e delle pubbliche relazioni;
    Dispone la riedizione del giornale del Partito e, per non incorrere in altri fallimenti e al fine di predisporre l'informazione, propone l'abbonamento al giornale quale dovere all'atto del tesseramento;
    Dispone l'elezione dei probiviri e ne ricodifica i ruoli;
    Promuove l'istituzione di una scuola di Partito. Al fine di una gestione amministrativa chiara e sana il Congresso;
    Stabilisce che si dispongano i bilanci preventivi e consultivi annuali, che, in tutte le loro voci dovranno essere presentati al Consiglio nazionale per l'approvazione.
    Questa mozione vuole essere e rappresentare un contributo dei sardisti che l'hanno ispirata con l'augurio che concorra per un partito migliore e più forte.
    Vuole essere anche censura per tutte le inadempienze colpevoli, gesti inconsulti, personalismi, che delle risultanze, hanno fornito immagini poco edificanti del nostro partito.
    Vuole rappresentare un vivo ringraziamento a tutti i sardisti che pure nell'anonimato continuano intelligentemente ad attivarsi per la crescita del sardismo.

  9. #19
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    Predefinito Re: 1989. XXIII° Congresso nazionale del PSd’Az.

    Avanti sardismo.
    Autonomia statuale e federalismo per una Sardegna veramente nuova


    Mozione presentata da Giovanni Nino Piretta, Totoi Mura, Francesco Manca, Ignazia Fresu, Pietro Paolo Cambule, Peppino Cadoni, Francesco Dettori, Franco Piretta, Maria B. De Renzi, Andrea Marceddu, Franco Chessa, Antioco Manca, Diego Chessa, Pier Luigi Chessa, Paola Marras ("S. Mossa" SASSARI); Bastianino Sanna ('X Serra" SASSARI); Tonino Mazza (BERCHIDDA); Francesco Masia (USINI); Bruno Melis (SORSO); Andrea Peru, Giancarlo Acciaro (PORTO TORRES); Anna Maria Manca (LI PUNTI); Marisa Quadu ("C. Bellieni" SASSARI).


    La popolazione sardista, raccolta attorno allo storico simbolo della nazione sarda per celebrare il XXIII Congresso nazionale, sente fermamente l'orgoglio di rinnovare la sincera ed immutata fede nei profondi ideali che hanno ispirato ed ispirano ancora la forte azione politica del Partito sardo d'azione.
    Azione politica rivoluzionaria, più che mai tesa a richiamare i sardi al massimo sforzo unitario per esprimere un più accentuato impegno nella lotta sardista, il cui obiettivo primario, comunque, è quello di pervenire al risorgimento della nazione sarda e al riscatto morale, sociale ed economico del suo popolo.
    La popolazione sardista sente altresì il dovere di ribadire, in tutta la sua accresciuta validità, la funzione guida, trainante del Partito sardo d'azione nel delineare in termini progettisti moderni la fisionomia dell'istituzione autonomistica che si vuole rivendicare a favore della Sardegna.

    Essenza e finalità del sardismo. La singolare ed inconfondibile attualità del sardismo deriva le proprie radici non già dall'emergere di uno stato d'animo più o meno contingente e transitorio, bensì dalle particolari condizioni geografiche dell'isola, dalle molto peculiari caratteristiche del popolo sardo, dalla tradizione storica a cui il popolo stesso sente fortemente legata l'esistenza autonomistica.
    Il sardismo, con l'autonomia statuale federativa, con il rinnovamento della struttura politica, amministrativa, sociale ed economica e la riacquisizione di una nuova coscienza morale e culturale, si propone di portare i sardi a una nuova forma di vita che veda, dopo lunghi secoli di mortificante dipendenza coloniale, la trasformazione radicale della Sardegna e della società sarda.
    In questa prospettiva, il Partito sardo d'azione assume la funzione e il ruolo di movimento popolare di liberazione, di difensore strenuo della volontà progressista e della esigenza autonomistica dei sardi. L'azione rivoluzionaria del Partito sardo d'azione non si è esaurita né poteva esaurirsi con la sofferta conquista di una più che labile e inadeguata forma di autonomia. La semplice vittoria di quella pur importante battaglia, che non ci ha esaltati né illusi, esige comunque una decisa azione di difesa, di consolidamento, di continuità della lotta per il conseguimento di traguardi più adeguati di autonomia.
    La ragione di essere del sardismo, la finalità della lotta intrapresa dal Partito, lungi dall'essere considerate esaurite ed esauribili - come amano auspicare i nostri avversari - si proiettano in una prospettiva senza vincoli e senza limiti di tempo, destinata quindi a rimanere saldamente e permanentemente ancorata alla coscienza del popolo sardo sino a divenire ragione stessa di vita.
    Internazionalità dei principio autonomista - federalista elaborato dal Partito sardo d'azione. La cultura autonomistica così idealizzata dal Psd'az, per la sua originalità e modernità democratica, ha superato persino i ristretti orizzonti della realtà sarda, assumendo dimensione europea, quindi internazionale, sconfiggendo duramente le ingenerose accuse secondo le quali la dottrina sardista è un fenomeno semplicemente localistico, senza una visione di insieme e che, praticamente ha esaurito il proprio scopo dal momento che tutti gli altri movimenti parlano ormai il linguaggio autonomistico. Numerose comunità alloglotte presenti in Italia, Francia, Spagna, Belgio, Regno unito, tanto per citare solo casi emergenti nell'Europa occidentale che, non ostante le pressioni e le oppressioni esercitate da stati-potenze prevalenti sono riuscite a sopravvivere conservando gelosamente le peculiari caratteristiche di distinta autoctona nazionalità, hanno fatto propria la filosofia politica del sardismo in ordine alle democratiche rivendicazioni autonomistiche.
    Il Partito sardo d'azione che in questo campo specifico rappresenta la forza politica più rilevante deve cercare con le rispettive formazioni e movimenti politico - culturali un rapporto più ravvicinato, deve assumere un piano guida facendosi promotore, al fine di dare un senso unitario ed un respiro internazionale alla comune lotta di liberazione, di una seria iniziativa rivolta alla elaborazione di un Carta dei diritti politici delle nazionalità oppresse o proibite.
    Il processo di Unione federativa in atto nell'Europa occidentale non può lasciare indifferenti i movimenti autonomisti e nazionalisti che operano nella stessa Europa.
    Il Partito sardo d'azione si accinge a celebrare il suo XXIII Congresso nazionale consapevole di rappresentare una notevole forza dirompente, saldamente raccolta attorno al proprio simbolo; una forza sana, fortemente ringiovanita, orgogliosa e coraggiosa, pronta, in ogni caso, a impegnarsi con rinnovato ardore e determinazione nella lotta riformatrice, per un migliore divenire della Sardegna, investito ora di un preciso mandato in virtù di un largo consenso elargito dal corpo elettorale, ritorna a porsi forza qualificante di governo a cui compete il ruolo di conferire specifici indirizzi caratterizzanti in termini autonomistici e sardisti, alla linea programmatica dei governi regionali.
    L'esistenza e l'inesistenza di problemi essenziali più o meno urgenti, che possono imporsi all'attenzione immediata in presenza di particolari situazioni contingenti, non devono costringerci, neanche minimamente, ad abbandonare o semplicemente mitigare, la fermezza sui contenuti ideologici e programmatici di più larga prospettiva.
    Considerati ancora di grande attualità, il Congresso sente di riaffermare la validità dei tredici punti programmatici elaborati al Congresso di Carbonia, che esplicano in sintonia con gli affermati e ribaditi principi ideologici, un disegno programmatico e una strategia di lotta ferma e finalizzata, attorno alla quale si è già raccolto un imponente consenso popolare, il Partito sardo d'azione si è confermato forza storica di governo. Alcuni punti sicuramente qualificanti del progetto di Carbonia sono stati evidenziati nel programma di governo regionale a guida sardista che, a sua volta, aveva elaborato un progetto politico di ampio respiro autonomistico e di immagini, nonché un programma operativo che accoglieva alcuni punti più vitali del patrimonio rivendicativo del Partito sardo, qualificando abbondantemente lo stesso disegno programmatico della giunta.
    Purtroppo, a causa dell'indifferenza, alla insensibilità delle altre forze politiche che componevano la maggioranza, ma anche per il colpevole calo di tensione cui è stato soggetto il nostro Partito, troppo adagiato, quasi immobile dinanzi al privilegio contingente derivante dalla gestione della Presidenza della giunta, i suggerimenti sardisti che facevano parte del programma concordato, sono rimasti, in massima parte, disattesi.
    Il Partito, fidandosi eccessivamente della portata di consensi ormai raggiunta e della continuazione del processo dì crescita, trascurò incautamente l'attivazione del rapporto con la base sardista e, attraverso questa, con il popolo in senso lato. Eppure era indispensabile sollecitare il massimo coinvolgimento popolare a sostegno delle istante autonomistiche sardiste, come è necessario fare nei momenti importanti e decisivi.
    Mentre si sono potuti raccogliere apprezzabili successi sul rapporto conflittuale Stato Regione, naufragava miseramente il progetto di riforma dello Statuto regionale e quello riguardante l'approvazione della legge sulla lingua e la cultura sarda, sui quali era concentrata l'attenzione e le attese del mondo sardista. Venne meno, inoltre, anche la solidarietà intorno al referendum per l'allontanamento della base per sommergibili nucleari di La Maddalena.
    Una inspiegabile battuta d'arresto del consenso elettorale ha sorpreso l'opinione sardista all'indomani delle elezioni per il rinnovo dell'ultimo Consiglio regionale. Il Partito è chiamato a riflettere seriamente sulla inattesa caduta di fiducia da parte dell'elettorato, deve scoprire Ile vere ragioni per le quali, non ostante la larga presenza in giunta e la gestione della Presidenza per l'intera legislatura, la crescita sardista, che si attendeva dovesse continuare in progressione ha subito una pericolosa battuta d'arresto. Regge malissimo l'ipotesi secondo la quale la crisi di crescita potrebbe essere determinata dall'intervento di fattori esterni. Due possono essere le ipotesi più probabili:
    - la presenza nel governo regionale non ha prodotto, sul piano elettorale, effetti positivi;
    - il Partito, particolarmente attento alla gestione della Presidenza, ha ceduto troppo nella cura del rapporto con la base sardista e sardistizzante, con la quale si era aperto un rapporto di crescente fiducia.
    Rapporto e alleanze con le altre forze politiche. Considerata fuori discussione l'originaria matrice socialista e la spiccata caratterizzazione popolare, appare più che naturale riaffermare la collocazione a sinistra del Partito. Dei resto, l'essenza ideologica, l'impegno sociale e politico, il progetto libertario, anticolonialista, anticentrista, il concetto molto particolare dell'autonomia e dei federalismo, l'istanza di riscatto della società sarda, lo collocano immediatamente a sinistra.
    Tuttavia, essere a sinistra non può rappresentare, in ogni caso, l'obbligo di costituire alleanze o accordi di governo esclusivamente con partiti della sinistra storica italiana.
    Sono stati e saranno, comunque, i programmi a condizionare gli accordi e le alleanze. Il Partito sardo, per la potenzialità elettorale ormai consolidata, per la forza delle sue idee, delle sue proposizioni operative, assume nel contesto politico sardo una centralità e un ruolo insostituibile.
    Obiettivo primario, imprescindibile, al di là e al di sopra degli eventuali rapporti, accordi, alleanze con altre forze politiche, rimane quello del raggiungimento dei fini, dei traguardi che il Partito si prefigge di raggiungere.
    Una crisi culturale non più sommessa, non più nascosta sembra stia travagliando i partiti politici nazionali più o meno vincolati alla ortodossia delle tradizionali enunciazioni politico-filosofiche. Sotto l'incalzare di rivolgimenti internazionali, quali ad esempio la distensione tra Occidente e Oriente, o meglio, tra liberalismo e marxismo, questi sembrerebbero avvertire una notevole difficoltà ad adattare alcuni basilari e tradizionali presupposti dottrinali alle condizioni e alle esigenze della nuova società.
    Mentre altri partiti si dibattono nella affannosa ricerca di un nuovo rapporto con le masse, di stabilire una saldatura tra le vecchie enunciazioni e le istanze della nuova realtà politica e sociale, il Partito sardo, che aveva già affrontato e superato anche il problema del rinnovamento culturale ed esprime ora una grandiosa ricchezza e purezza di valori, marcia compatto sulla nuova via, segno inequivocabile della validità delle scelte operate e della fiducia delle scelte operate e della fiducia e responsabilità dei suoi militanti.
    Tutto ciò premesso, il XXIII Congresso nazionale, analizzata la difficile situazione contingente, in ordine alla impellenza di grossi problemi non ancora avviati a soluzione; conscio della dimensione rivoluzionaria che stanno assumendo gli effetti innescati dal processo di distensione mondiale, riguardante soprattutto il risveglio delle coscienze nazionali, soffocate, nonché dai progressi che sta compiendo la marcia di avvicinamento alla formazione dell'Unione degli stati d'Europa; mentre riafferma la validità delle scelte ideologiche di fondo già deliberate in Congressi precedenti e ribadisce l'opzione indipendentista, la scelta nazionalista e federalista; impegna il Partito:
    a) affinché si eserciti il massimo sforzo per attivare urgentemente il rilancio della cultura del sardismo, riaffermando il primato imprescindibile dell'ideologia;
    b) a riproporre con accentuata convinzione il progetto programmatico condensato nelle indicazioni scaturite dal Congresso di Carbonia; in particolare
    1) creare un comitato di saggi, di garanti, che promuova la costituzione di una efficiente scuola per la preparazione di quadri abilitati a diffondere la conoscenza della cultura, della dottrina, della progettualità del sardismo;
    2) l'indicazione di un gruppo di esperti per avviare lo studio e l'elaborazione di una Carta dei diritti politici delle nazionalità oppresse o proibite d'Europa;
    3) la costituzione di una struttura organizzativa decisamente più forte, più articolata, più dinamica per la gestione del Partito, al fine di rispondere meglio ai crescenti e più complessi impegni;
    4) approfondire la conoscenza della nuova struttura e cultura sociale che via via si sta trasformando, onde adeguare il rapporto tra cultura, ideologia sardista, psicologia, esigenze e aspirazioni della nuova società;
    5) affrontare con coraggio e determinazione i problemi dei giovani. E' assolutamente necessario promuovere ogni azione possibile per debellare la disoccupazione giovanile, per sottrarre i giovani all'uso inconscio della droga, per impedire invischiamenti nelle più svariate forme di criminalità.
    Fra i problemi che, per la loro eccezionale importanza, per la loro attualità, per l'urgenza di avviarli a soluzione e sui quali deve essere concentrata la massima attenzione e il massimo sforzo del Partito indichiamo:
    a) La riforma dello Statuto della Regione Sardegna;
    b) L'approvazione della legge sulla lingua e la cultura sarda;
    e) Il potenziamento dei trasporti e l'istituzione di una forte flotta sarda;
    d) Tutela dell'ambiente e lotta serrata contro gli incendi;
    e) L'attivazione di ogni possibile azione per condurre all'approvazione la legge sulla Zona franca giacente in Parlamento;
    f) Lo svolgimento di ogni azione democratica per pervenire alla smilitarizzazione del territorio della Sardegna.
    Il XXIII Congresso, inoltre, esprime un plauso sincero ai numerosi amministratori sardisti per gli sforzi compiuti per superare le grosse difficoltà incontrate per lo svolgimento del mandato loro affidato presso le Amministrazioni che hanno l'onore di rappresentare e auspica la formazione di una valida struttura consultiva che possa essere di supporto per agevolare il loro compito, arricchendo e perfezionando la loro formazione.

  10. #20
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    Predefinito Re: 1989. XXIII° Congresso nazionale del PSd’Az.

    Considerata la laboriosità nel postare le “Proposte di modifica allo Statuto”, così come nell’indice, preferisco riportare solo la parte riguardante i “Contributi al dibattito congressuale”.

 

 
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