di Vittore Branca – In “Nuova Antologia”, fasc. 2152, ottobre-dicembre 1984, Le Monnier, Firenze, pp. 96-130.
1. La Resistenza morale-politica e l’insegnamento di Elia Dalla Costa e Attilio Piccioni
Cinque trilli di campanello dalla bicicletta che sfrecciava fuori dal portone annunciavano via libera. Uno dopo l’altro, a distanza di cinque minuti, dalle diverse vie adiacenti in cui attendevano, arrivavano cinque giovani: un orchestrale, un impiegato editoriale, un professorino liceale, uno storico dell’arte, un eterno studente. Sulla soglia del portone semichiuso, guardato da un operaio forzuto, dicevano «Ermengarda», ed erano lasciati entrare. La scena si ripeteva due volte alla settimana, più di quarant’anni fa, nell’autunno-inverno ’43-’44, sempre in diversi quartieri della periferia di Firenze occupata dai nazisti di Wolff e dai repubblichini di Carità. Erano le riunioni del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale.
Quei cinque non sapevano molto di politica, erano spesso angosciati e disorientati (ma due pagheranno con la vita quel loro impegno). I contatti col Comitato Nazionale erano quasi inesistenti; i capi più autorevoli a Firenze non potevano parlare (Zoli in carcere, Calamandrei nascosto ad Amelia, Gaetano Pieraccini sorvegliatissimo e da evitare per il bene suo e degli altri, Fabiani ancora alla macchia). Ma quei cinque sprovveduti si sentivano sostenuti dal profondo consenso della popolazione che dava ai loro gesti e al poco che potevano fare un valore e una risonanza eccezionali; sapevano di interpretare la rivolta morale di un popolo, la sua volontà di libertà e di giustizia.
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