di Rosario Romeo – In “Nuova Antologia”, fasc. 2150, aprile-giugno 1984, Le Monnier, Firenze, pp. 128-132.


Con la fondazione della Giovine Europa, decisa il 15 aprile 1834 (centocinquant’anni, festeggiati a Berna da Spadolini), e articolata nella Giovine Italia, Giovine Svizzera, Giovine Germania e Giovine Polonia, nasceva, a giudizio di Mazzini, la «Giovine Europa dei popoli», destinata a sostituire la «Vecchia Europa dei Re».
In avvenire Mazzini pensava anche alla costituzione di una Giovine Francia e di una Giovine Spagna. Si era alla vigilia di una nuova era della società: «la vecchia Europa muore: collocati alla vigilia di un’epoca organica noi dobbiamo aiutare con tutte le nostre forze la ricostituzione europea, dell’Europa dei Popoli».
L’idea di una comune civiltà europea formatasi al di sopra delle differenze statali e nazionali era presente in Mazzini, com’è noto, fin dagli scritti anteriori al 1830 sulla letteratura europea. Ma ora essa si precisava nel nesso che, attraverso il concetto di missione, lega organicamente Nazione e Umanità.
Ciascun popolo è portatore di una sua missione al servizio dell’umanità: e nei diversi compiti assegnati a ogni Nazione si precisa la divisione del lavoro che presiede al lavoro comune. «Sulla fronte di ciascun popolo splende il segno di una missione speciale: un segno che sulla fronte del Britanno diceva, industrie, colonie; sulla fronte al Polacco: iniziazione slava; sulla fronte al Moscovita: incivilimento dell’Asia; sulla fronte al Germano: pensiero; sulla fronte al Franco: azione; e così di popolo in popolo».
Fra queste, spetta naturalmente un rilievo particolare alla missione affidata all’Italia: «L’Europa erra nel vuoto in cerca del nuovo vincolo, che annoderà in concordia di religione le credenze, i presentimenti, l’energia degli individui, oggi isolati dal dubbio, senza cielo e quindi senza potenza per poter trasformare la terra. E questa invocata unità, o Italiani, non può escire se non dalla patria vostra e da voi: non può scriversi che sull’insegna, alla quale sarà dato di fiammeggiare superiore alle due colonne miliari che segnano il corso di trenta e più secoli di vita dell’Umanità, il Campidoglio e il Vaticano».
Il popolo italiano sarà il nuovo popolo Messia, al quale spetta di annunciare l’era nuova. Nuova perché su basi interamente diverse dall’antico sarà fondata la nuova unità europea. La vecchia è ormai dissolta: «essa dorme con Napoleone nella sua tomba… L’unità europea, quale può esistere adesso, non risiede più in un popolo solo, ma risiede e governa al di sopra di tutti… non vi sarà più né uomo né popolo re: ecco il segreto dell’epoca che attende chi la inizi». Essa sta tutta intera nell’umanità, «concezione nuova, vero programma,… che ha come metodo il progresso, così come l’associazione è essa stessa il metodo del progresso». Per questo sarà necessario giungere a un nuovo «ordinamento delle Nazionalità»: che sarà non solamente «riparazione a grandi ingiustizie, conseguenza d’un concetto filosofico-storico, sostituzione del principio della volontà popolare al fatto della conquista feudale-monarchica, applicazione logica della nostra fede nella libertà: ma… grado necessario a raggiugere l’Associazione, la Divisione del lavoro collettivo, la costituzione dello strumento col quale una immensa somma di forze morali, intellettuali, economiche,… potrà cooperare al miglioramento dell’intera famiglia umana e all’incremento della ricchezza comune».
A questo fine la «carta d’Europa» dovrà essere rifatta: e Mazzini, com’è noto, pensa a «tredici o quattordici nuclei»: la penisola iberica, con Spagna e Portogallo; la Francia; Olanda e Belgio confederati; Gran Bretagna, Scandinavia con Svezia, Danimarca e Norvegia; Germania, divisa in due grandi sezioni amministrative, gravitanti l’una sull’arciducato d’Austria e l’altra tripartita, oppure ordinata in una confederazione costituita nelle tre zone parallele dell’Oder, dell’Elba e del Reno; Svizzera, ampliata in confederazione delle Alpi, con l’aggiunta della Savoia e del Tirolo; Italia; Grecia; Illiria o Slavonia del Sud; e poi due confederazioni nella zona danubiana e balcanica, la Polonia, la Russia.
La Giovine Europa ebbe, di fatto, vita breve. Nella Giovine Svizzera i contrasti con i radicali guidati da James Fazy, nella Giovine Germania i timori di una strumentalizzazione ai fini del movimento nazionale italiano, nella Giovine Polonia l’assorbimento nella Confederazione del popolo polacco e il successivo scioglimento di questa organizzazione, crearono situazioni che alla fine del 1836 potevano far considerare chiusa la storia delle tre organizzazioni.
Una parte non piccola, nel determinare i problemi e le polemiche di quel breve biennio, ebbero i timori, anche da parte svizzera, che Mazzini volesse utilizzare o addirittura provocare movimenti insurrezionali che da ultimo dovevano innescare l’insurrezione italiana, mentre rifiutava di rendersi conto delle esigenze particolari di democratizzazione pacifica dei cantoni svizzeri e dei problemi della neutralità elvetica, che condannava anzi duramente. E in ciò si è vista l’anticipazione delle contraddizioni che più tardi stravolgeranno alcuni dei più nobili obiettivi dei nazionalismi ottocenteschi.
Situazioni come quella balcanica, sulla quale Mazzini non sembra avere avuto proposte di soluzione precisa, nonostante la sua implacabile risolutezza sulla dissoluzione dell’Austria Ungheria, si sono rivelate esplosive per il destino dei paesi della regione, con conseguenze disastrose per la pace europea; e lo stesso concetto di missione dei popoli al servizio dell’umanità ha poi condotto a conflitti insanabili e finito per dare anche una carica ideologica più violenta ai conflitti preesistenti.
I popoli, in questo, si sono rivelati non meno nazionalisti e non meno esclusivi dei vecchi nazionalismi dinastici condannati da Mazzini. Specie dopo la seconda guerra mondiale l’identificazione dei nazionalismi del ‘900 con i movimenti nazionali dell’’800 ha occupato un posto non secondario in vaste e autorevoli correnti storiografiche.
Sono identificazioni e confusioni che la ragione storica impone di rigettare: sotto la pena non solo di equivoci inammissibili sul piano morale ma anche e soprattutto di insostenibili confusioni concettuali. E per questo occorre anzitutto richiamarsi al valore profondamente innovativo e rivoluzionario che il concetto di missione riveste nel pensiero mazziniano e in genere nel pensiero politico-nazionale del romanticismo.
Per Mazzini, in effetti, la nazione è bensì unificata dalla lingua e dal territorio ma solo se questi elementi esteriori sono a loro volta legittimati dalla storia; e soprattutto, è solo attraverso la conquista di una nuova coscienza della propria missione e dunque della unità del fine, che ciascuna nazione acquista legittimità nella nuova età della storia.
Senza «unità di principii di intento, di diritto, non v’è nazione, ma gente… Gl’Italiani, a’ quali ogni manifestazione di principii, d’intento, e di diritto è vietata, sono gente, fino a quest’oggi». Coloro che vedono la propria nazione in termini e in funzione dell’umanità, intendono con questa parola qualcosa di ben diverso di ciò che vedevano i fautori della scuola «stazionaria», prevalsa nei congressi di Westfalia e di Vienna. Perciò Mazzini si dirà con tutta chiarezza «Italiano, ma uomo ed Europeo a un tempo»; e dichiarerà: «adoro la mia patria perché adoro la Patria, la nostra libertà, perché io credo nella Libertà; i nostri diritti perché credo nel Diritto».
E ciò che vale per l’individuo vale su scala ben più vasta per la collettività, per la nuova Italia. «L’Italia – scrive Mazzini – non può vivere se non vivendo per tutti. Noi non possiamo vivere se non di vita europea, non emanciparci se non emancipando». «Tocca all’Italia innalzare l’umanità sulle rovine del papato su quelle dell’impero». «Le sorti dell’Italia sono quelle del mondo».
Non è questa, come si diceva, una voce isolata nel mondo della cultura romantica. Lo stesso Herder aveva scritto, al tempo della Rivoluzione francese: «i Gabinetti s’ingannino pure l’un l’altro; le macchine politiche siano spinte l’una contro l’altra, sino a spezzarsi a vicenda; ma le Patrie non cozzeranno mai a questo modo: esse sussisteranno tranquille l’una presso all’altra, si porgeranno aiuto vicendevole, come altrettante famiglie. Patria contro patria, in lotta cruenta: ecco il più atroce barbarismo di cui sia capace il linguaggio umano». Nella cultura tedesca uno dei motivi di fondo era che il più vero sentimento nazionale tedesco comprendeva anche l’idea di una umanità che andava al di là delle nazioni, poiché scriveva Johann Eduard Erdmann nel 1862: «non è tedesco essere soltanto tedeschi».
La sconfitta della rivoluzione del 1848-49 e la vittoria dell’Europa dei re sull’Europa dei popoli segnarono all’avvenire vie ben diverse. L’idea di missione dei popoli, non rigenerata dal rinnovamento interiore che Mazzini vedeva come elemento proprio della rivoluzione democratica, rovesciò la sua carica morale all’interno dei nazionalismi ch’egli chiamava «dinastici», contribuendo a intensificare la loro intransigenza e il loro esclusivismo. In un simile contesto anche i popoli liberatisi dai vecchi regimi monarchici sovranazionali si rivelarono non meno inconciliabili dei vecchi regimi, con effetti disastrosi per tutta la civiltà europea.
Solo l’esperienza delle due guerre mondiali, e in particolare della seconda, mostrò con evidenza su quale strada senza sbocco l’Europa si fosse incamminata. Allora risorse ad opera di uomini, nei quali riviveva la tradizione mazziniana, l’antica idea dell’unità europea atta a superare le nazioni unificandole in un nesso più alto: e non certo a caso fra questi uomini ebbero una parte eminente gli italiani che prepararono quel documento fondamentale dell’europeismo che è il Manifesto di Ventotene.
Naturalmente, l’ispirazione mazziniana non poteva essere ripresa negli stessi termini, in un clima culturale e politico tanto mutato: ma ne restava intatta l’idea, che i movimenti per l’unità europea hanno fatto propria in varie forme, che l’unità del continente non può essere realizzata se non come risultato di un rinnovamento di civiltà e di valori; quella civiltà e quei valori che sono oggi la moderna civiltà democratica con la sua carica ineliminabile di socialità, vista come lo strumento meglio adatto a consentire all’umanità di impadronirsi, ai fini che le sono propri, degli impareggiabili strumenti di progresso forniti dal progresso tecnologico dei nostri tempi. Su questo terreno si colloca dunque la sfida del moderno europeismo.
L’unione europea ha già eliminato le guerre intestine fra i paesi europei che per secoli avevano devastato il continente: e ad essa spetta, colmando il vuoto di potenza lasciato dalle guerre mondiali, di eliminare anche i focolai potenzialmente più pericolosi rimasti dall’eredità del passato.
Si recupererà in tal mondo il significato universale e non solo europeo che era alla radice del messaggio mazziniano e che ha anche ispirato il migliore europeismo della nostra generazione.
È un messaggio che Mazzini riconfermava quasi alla fine della sua stagione, scrivendo, nel 1871: «sì, noi miriamo all’uomo», legato alla tradizione storica e al tempo stesso in grado di far confluire le sue forze nell’associazione, «necessaria al lavoro concorde e perciò ripartito». E tutto ciò perché noi «vogliamo gli Stati Uniti d’Europa», l’«Alleanza repubblicana dei Popoli». Obiettivo, scriveva Mazzini con legittimo orgoglio, sempre nel 1871, che non è per i giovani italiani «scoperta d’agitatori stranieri», ma «idea che essi udirono quaranta anni addietro da labbra italiane».


Rosario Romeo