di Giovanni Spadolini - «La Voce Repubblicana», 16-17 gennaio 1984[1]

L’uomo che per molti anni rappresentò il collegio di Treviso in Parlamento resta il simbolo di quel repubblicanesimo veneto nel quale si sono intrecciate lotta politica e lotta sindacale, fra l’età giolittiana e l’autunno dello Stato liberale.
Nella Marca Trevigiana nacque il primo nucleo del sindacalismo veneto e nacque repubblicano quando, all’inizio della primavera del 1913, si svolse l’indimenticabile sciopero dei canapini di Crocetta Trevigiana: contro i bassi salari imposti dal Canapificio Veneto di Andrea Antonini e Luigi Ceresa ai lavoratori di questa provincia che, nel primo decennio del secolo, si era incamminata lungo la via dell’industrializzazione, ma con tutte le contraddizioni fondate sull’assenza di una valida difesa dei diritti del mondo del lavoro. Quella difesa che sarebbe stata assunta in prima persona da Guido Bergamo, non ancora ventenne, già animato dagli ideali di libertà e di giustizia sociale che il giovane aveva tratto dalla lettura di Giuseppe Mazzini.
Con la lotta alla politica autoritaria di Pelloux i repubblicani avevano rivendicato l’intangibilità dei diritti di libertà; avevano ribadito quanto fossero irrinunciabili le garanzie civili e politiche. Ricondotto da Giovanni Giolitti lo stato liberale alla legalità costituzionale, diveniva fondamentale per il movimento repubblicano caratterizzarsi nella lotta sociale, anche in un rapporto di concorrenzialità, nel mondo del lavoro, fra mazzinianesimo e marxismo.
Ecco perché, in quella primavera del 1913, invitato da Guido Bergamo, accorre nella Marca Trevigiana, pronto ad assumere la guida dei moti popolari, l’indimenticabile parlamentare repubblicano di Massa Carrara, Eugenio Chiesa. Di qui il significativo appello agli operai dell’Italia intera di manifestare la loro concreta solidarietà alla lotta condotta dai lavoratori del Canapificio.
Fu la “grande guerra” a interrompere le lotte sociali nel Veneto: Guido Bergamo, che subito tradusse il suo repubblicanesimo giovanile in intransigente interventismo, partì per il fronte e raggiunse il settimo reggimento degli Alpini, attraverso il quale egli meritò sette ricompense al valore militare e la promozione a capitano. Pluridecorato, nel novembre ’21 toccherà a lui accompagnare la salma del milite ignoto da Aquileia a Roma.
Per Bergamo l’interventismo non era nazionalismo e tantomeno imperialismo, come egli scrisse su L’iniziativa quando si oppose al tentativo di annessione della Dalmazia all’Italia; e davanti all’impresa di Fiume il parlamentare repubblicano considerò una minaccia alla pace l’atto di forza compiuto da D’Annunzio.
Il 1919 è l’anno della sua prima candidatura alla Camera dei deputati, nel collegio di Treviso, alla guida del “blocco” elettorale che vide alleati il Partito repubblicano e l’associazione dei combattenti: nel tentativo di sottrarre la gloriosa tradizione interventista alle strumentalizzazioni nazionaliste. E già nella candidatura di Bergamo c’era l’anticipazione di quella prospettiva che avrebbe condotto, cinque anni dopo, al progetto amendoliano di un grande “partito della democrazia”; dal momento che la prova elettorale del repubblicano veneto fu sostenuta dall’Associazione democratica popolare fondata a Venezia da Silvio Trentin. L’uomo che sarebbe stato tra i primi ad aderire all’Unione democratica nazionale.
Significativa è stata anche la sensibilità di Guido Bergamo al tema delle autonomie locali, una sensibilità che condusse l’antico interventista a proporre una Costituente dell’autonomia regionale delle Tre Venezie. In quel 1921 che fu anche l’anno della sua seconda elezione (la prima, nel ’19, non era stata convalidata per motivi di età) a deputato. Merito degli 11.000 voti conseguiti dai repubblicani nella circoscrizione Venezia-Treviso contro i quasi 60.000 dei popolari, gli oltre 48.000 dei socialisti, i 2.800 dei comunisti. Ma anche a fronte dei 30.000 voti ricevuti dal Blocco nazionale: segno di una crescente minaccia reazionaria al Veneto democratico, al Veneto delle leghe operaie e delle cooprative…
La minaccia fascista fu, nel Veneto, innanzitutto la minaccia alle organizzazioni repubblicane. Lo dimostra l’assalto squadrista alle “Sedi riunite” che ospitavano a Treviso il glorioso periodico repubblicano «La Riscossa», ma non solo «La Riscossa»: erano raccolte in quelle “Sedi riunite” tutte le istituzioni create dai repubblicani per difendere il mondo del lavoro, insieme alla Federazione provinciale del PRI.
Ecco perché colpire le “Sedi riunite” per il fascismo significava aggredire il centro nevralgico del repubblicanesimo della Marca Trevigiana. Un’aggressione che avvenne fra il 13 e il 14 luglio 1921, scontrandosi nella dura resistenza dei repubblicani di Treviso, ai quali presto si aggiunse l’Avanguardia repubblicana di Forlì, guidata dall’uomo che molti anni dopo avrebbe sacrificato la vita alla lotta di liberazione: Tonino Spazzoli.
Mai Guido Bergamo fu ingannato dal “tendenzialismo repubblicano” di Mussolini. In uno scritto del ’21, raccolto, con il titolo “Il fascismo giudicato da un repubblicano”, nella “Biblioteca di studi sociali” diretta da Rodolfo Mondolfo, egli affermava che il fascismo non voleva la Repubblica di Mazzini ma un governo di destra.
Nel ’23, Guido Bergamo partecipò a una delle più suggestive esperienze dell’antifascismo repubblicano: con Randolfo Pacciardi, Giovanni Conti, Fernando Schiavetti, Cino Macrelli, Alfredo Morea, Raffaele Rossetti e Luigi Battisti fonda il movimento “Italia libera”. Quel movimento che per due anni, fino alle leggi eccezionali, manterrà viva l’opposizione della sinistra democratica e mazziniana alla nascente dittatura.
Dopo “Italia libera” il ritorno all’Associazione cui era stata legata la sua antica battaglia interventista: l’Associazione nazionale combattenti. E, come diretta conseguenza, la partecipazione al Comitato centrale dei combattenti dell’alta Italia insieme a Facchinetti e Rossetti, i suoi amici di “Italia libera”, ma insieme anche a Giovanni Amendola, Alcide De Gasperi, Meuccio Ruini, Bruno Buozzi: significativo innesto fra democrazia riformatrice, cattolicesimo democratico e socialismo riformista.
Bergamo non esaurì la sua vita nella milizia politica. Fu anche scienziato di grande prestigio; autore di numerosi scritti di patologia e di storia della medicina, egli – nel solco tracciato dal suo antico maestro bolognese, Augusto Murri – svolse, con scrupolo ed esemplare serietà, il mandato professionale.
Impegno civile e impegno professionale: ecco il nesso inscindibile cui l’indimenticabile figlio di Montebelluna rimase sempre fedele, quasi con un fremito missionario che nasceva da quella mazziniana “religione del dovere” che fin dagli anni giovanili lo aveva guidato.
Senza l’insegnamento di Giuseppe Mazzini sarebbe stato impossibile l’apostolato sociale di Guido Bergamo. Un apostolato laico che è ancora oggi singolare esempio di virtù civile.

Giovanni Spadolini

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[1] Dal discorso tenuto da Spadolini a Montebelluna, in provincia di Treviso, a conclusione del convegno di studi dedicato – a trent’anni dalla scomparsa e a novant’anni dalla nascita – alla figura e all’opera di Guido Bergamo.