La Repubblica romana del 1849 ha costituito la vicenda più rivoluzionaria, gloriosa ed epica del Risorgimento italiano; la prima e l’ultima esperienza di governo laico del leader politico Giuseppe Mazzini; l’episodio che ha consacrato Giuseppe Garibaldi alla guida della lotta per l’indipendenza italiana; l’evento che ha dimostrato come il repubblicanesimo poteva rappresentare un regime idoneo per gli italiani; l’itinerario, lungo e complicato, per conseguire la democrazia e la moderna libertà politica; insomma, la testimonianza di un’Italia migliore, progressista, popolare, partecipata, costruita sull’iniziativa popolare e sul suffragio universale.

Agli inizi di quell'anno la storia italiana era cambiata. Nel novembre 1848 l’eco dei grandi avvenimenti che avevano caratterizzato la “Primavera dei popoli” si andava spegnendo e così la Prima guerra d'indipendenza italiana, che aveva però generato grande scalpore e attenzione in tutto il mondo. L’armata sabauda, sconfitta, aveva accettato l’armistizio di Salasco e la tregua con gli austriaci. Radetzky, il comandante asburgico, aveva ripreso Milano. Venezia, guidata da Manin e Tommaseo e difesa dal generale borbonico (ed ex murattiano) Guglielmo Pepe, resisteva ma era sempre più sfibrata. La Sicilia era insorta e si era separata dai Borbone di Napoli. A Roma gli eventi quarantotteschi avevano rese manifeste le ambiguità nutrite nei due anni precedenti, a partire dall’elezione di Pio IX. Il Papa, dopo aver inizialmente appoggiato le istanze patriottiche italiane che si levavano anche dai suoi possedimenti, si era ritirato dalla guerra contro l’Austria, potenza cattolica. La delusione di molti patrioti fu cocente. La situazione nella Città Eterna si era fatta tesa e quando il ministro Pellegrino Rossi venne assassinato, il pontefice ebbe la dimostrazione di non poter più controllare Roma e si rifugiò vestito da semplice prete, sotto la protezione di re Ferdinando II di Borbone, nella fortezza di Gaeta, appellandosi all'intervento straniero per ripristinare il suo potere. Il popolo romano si era riunito davanti al Quirinale, dove una folla tumultuosa manifestò per chiedere "un ministro democratico, la Costituente italiana e la guerra all'Austria". Il Papa aveva nominato una commissione governativa cui aveva affidato la gestione temporanea degli affari pubblici, tuttavia i suoi membri via via si dimisero lasciando lo Stato Pontificio senza direzione. Il Consiglio dei deputati di Roma così nominò una "provvisoria e suprema Giunta di Stato".

Il Papa emise un motu proprio con cui, sostenendo l'avvenuta "usurpazione dei Sovrani poteri", dichiarava sacrilega la costituzione della Giunta. Questa indisse le prime elezioni della Costituente per il 21 e il 22 gennaio. Non si recarono ai seggi i legittimisti e una parte dei moderati, le componenti sociali più sensibili al richiamo del pontefice. Nonostante le scomuniche e le intimidazioni molti si recarono ai seggi per votare e tra questi anche molti religiosi: vennero eletti 179 Rappresentanti del popolo. Per dare un carattere nazionale all'Assemblea che si voleva Italiana secondo il disegno di Mazzini, si elessero anche cittadini degli altri Stati italiani. Tra di essi, il nizzardo Garibaldi, eletto a Macerata, e nelle elezioni suppletive Mazzini stesso. L'Assemblea costituente finalmente decise il 9 febbraio 1849, in una Roma esultante, tra luminarie e bandiere tricolori, di proclamare solennemente la Repubblica Romana, il Papato era decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale. Era scoccata, dopo la sconfitta delle diverse opzioni moderate, l’ora dei democratici e la loro attuazione più significativa fu la nascita, al centro della penisola, di un legittimo Stato repubblicano, democratico, laico e italiano, benché l’Europa fosse costellata di monarchie e animata da forti rigurgiti di Antico Regime. Il nuovo Stato adottò il tricolore italiano con la scritta "Dio e Popolo", abolì la pena di morte, legalizzò il suffragio maschile e quello femminile, la libertà di stampa e concesse la libertà di culto. In una prima fase Roma venne guidata da un Comitato esecutivo composto da Carlo Armellini (avvocato concistoriale che aveva servito la Repubblica giacobina e poi Napoleone e diversi papi), Mattia Montecchi (altro avvocato capitolino con trascorsi carbonari e cospirativi) e da Aurelio Saliceti (famoso giureconsulto abruzzese del foro partenopeo, uno dei primi meridionali affiliati alla Giovine Italia).

Falliti gli accordi con gli altri Stati italiani per giungere ad una Costituente italiana, l’Europa cattolica si apprestava a soccorrere Pio IX. La seconda fase della Repubblica, dal 29 marzo al 30 giugno, venne politicamente dominata da Giuseppe Mazzini. Eletto deputato, il patriota genovese impresse un indirizzo più energico al governo repubblicano, orientandolo verso la guerra d’indipendenza nazionale e la difesa militare, senza per questo interrompere l’azione di rinnovamento e modernizzazione delle istituzioni avviata in precedenza. Il triumvirato mazziniano (Mazzini, Saffi e Armellini) proseguì l’opera di laicizzazione dello Stato (furono aboliti i tribunali ecclesiastici e confiscati i beni del clero) e di rinnovamento politico e sociale (tra l’altro, fu varata una riforma agraria che prevedeva la concessione di terre in affitto perpetuo alle famiglie più povere) e abolì la discriminazione degli ebrei. Un’intera generazione di giovani, intellettuali, borghesi, patrioti, uomini dalle incerte convinzioni, reduci della Prima guerra d’indipendenza, neofiti della politica si ritagliò uno spazio nella vita pubblica fino a pochi mesi prima inimmaginabile; l’intenso processo di politicizzazione animò, tramite i circoli popolari e i “luoghi di parola”, intensi dibattiti e una crescente partecipazione popolare. Minata dalla crisi economico-finanziaria ma soprattutto dall’invasione militare straniera, la Repubblica poté contare solo sulle proprie forze e affrontò la drammatica situazione con equilibrio politico e valore militare. Aperte simpatie giunsero solo dai cittadini statunitensi quali i diplomatici Nicholas Brown e Lewis Cass Jr., col governo di Washington indeciso se riconoscere i rivoluzionari italiani.

Lo spostamento conservatore della compagine politica nella Repubblica francese con Luigi Napoleone Bonaparte, portò al libero intervento delle potenze tradizionalmente reazionarie, con l'invio di un esercito franco-austro-ispano-borbonico, volto a schiacciare la libertà italiana. La lunga ed eroica resistenza militare della Repubblica romana, che costò oltre un migliaio di vittime, si concluse di fatto il 30 giugno con i francesi padroni dei bastioni e di tutte le alture capitoline. In questo breve volgere di tempo, venne approvata e promulgata la Costituzione (tra le più avanzate dell’Ottocento europeo), Garibaldi lasciò Roma con circa 4mila uomini per continuare la lotta, trovando rifugio a San Marino. La Repubblica romana terminò la sua vita il 4 luglio 1849.

Il IX Febbraio rimase una festa imperdibile per i militanti repubblicani e per chi intendeva riconoscersi nel ricordo dell’Italia migliore che l’Ottocento democratico e progressista aveva saputo proporre, la causa patriottica e nazionale smise di essere un concetto elitario e scarsamente percepito e trovò spazio in una sorta di nucleo fondativo di un’Italia ancora divisa. Nonostante fosse stata al centro di una memorabile (ma fino a poco tempo fa dimenticata) seduta parlamentare il 9 febbraio 1949 e di efficaci ricostruzioni storiografiche – vanno almeno ricordate quelle di Domenico Demarco (1944) e di Luigi Rodelli (1955) nonché l’impeccabile rivisitazione di Giorgio Candeloro nel terzo volume della sua Storia dell’Italia moderna (1960) –, la Repubblica romana è caduta nel dimenticatoio a partire dagli anni Sessanta.