di Massimo Mila – “Giustizia e Libertà”, 21 settembre 1945


Con l’accettazione della tesi assai cara ai partiti autodefinitisi “di massa”, che il Partito d’Azione debba astenersi dalla propaganda fra gli operai, considerati come una riserva di caccia del Partito comunista oppure dell’Azione Cattolica, il libro di Monti sulla Realtà del Partito d’Azione (Giulio Einaudi editore, Torino 1945) pone sul tappeto la questione dei rapporti tra Pd’A e Pci in termini non soltanto, come si auspica, di stretta e cordiale alleanza, ma di sudditanza vera e propria. Onde l’amara boutade di Giorgio Diena su queste stesse colonne (1° settembre), che per chi legga questo libro, il Partito d’Azione è quel partito che vorrebbe condurre al potere i comunisti, riservando per sé il sottosegretariato dell’istruzione e il diritto di parlar bene di Benedetto Croce.
E certamente, che il Pd’A debba restringere la propria diffusione ai ranghi gelatinosi di quella piccola borghesia che esso sarebbe naturaliter chiamato a organizzare politicamente e guidare verso la rivoluzione, questo non sorride a nessuno di noi. Tutti abbiamo esperimentato come la classe operaia sia oggi politicamente la classe più matura e più sana del paese, quella che manifesta le reazioni più pronte e più opportune nei grandi momenti storici, tipo 8 settembre, e sentiamo bene come escludersi costituzionalmente, per principio, da questa fonte di energie, vorrebbe dire per qualsiasi partito la condanna alla sterilità più infeconda.
L’originalità del Partito d’Azione non sta affatto nell’essere chiamato a svolgere la propria opera in un ambiente piuttosto che in un altro; sta nella ambivalenza della sua ideologia, per cui esso si propone la duplice missione di trarre sì, la piccola borghesia al socialismo, ma anche, le masse operaie alla libertà, alla democrazia. È nostra persuasione profonda che la Storia intenda nel nostro tempo realizzare la sintesi dei due elementi fondamentali del progresso politico – giustizia sociale, libertà politica – che finora sono rimasti disgiunti e talvolta nemici. Diciamo una volta quelle verità che nessuno si decide mai a dire; per il Partito liberale la libertà è tutto, e la riforma delle condizioni economiche e sociali è una concessione fatta di mala voglia all’andazzo dei tempi; e per il Partito comunista l’uguaglianza economica è tutto, e il culto della libertà politica è un espediente tattico reso opportuno dalla disposizione d’animo delle masse popolari dopo l’esperienza catastrofica delle dittature totalitarie. Ma la libertà politica senza un contenuto di giustizia sociale non è che vuota forma, larva giuridica disseccata e spenta; e la giustizia sociale è cieca, se non l’illumina la fiamma della libertà.
Ora, chiunque abbia avuto occasione di frequentare elementi dell’ambiente operaio o del bracciantato agricolo, ha potuto rendersi conto come l’esigenza della libertà vi sia oggi infinitamente più sentita di quanto non lo fosse prima del fascismo. I concetti di dittatura e di stato totalitario, comunque mascherati, hanno raccolto intorno a sé una tal somma di discredito, che lo stesso Partito comunista ha ritenuto opportuno di farli passare in secondo e terzo piano, dissimulandoli sotto i veli di una propaganda democratica. Quel volgare “pregiudizio borghese” che è la libertà non ha mai avuto tanto buona stampa come al giorno d’oggi nella propaganda comunista. È il condimento che rende universalmente digeribile la pietanza bolscevica. Non è esagerato affermare che un grandissimo numero dei migliori aderenti reclutati dal Pci durante le vicende di questi ultimi anni, credono fiduciosamente nella sincera volontà democratica del comunismo.
Grande illusione? Discorso scottante, che agli amici comunisti non piace. Eppure è un discorso necessario di fronte alle frequenti asserzioni di non voler mutare neanche una virgola del credo marxleninista: e né Marx né Lenin si preoccupavano troppo di fondare in Europa o in Russia la democrazia. È un discorso necessario per chi non dimentichi come Gramsci, dal carcere, consigliò al suo partito di seguire per alquanti anni, in una Italia imbarbarita dal fascismo, una politica di rieducazione democratica. Tattica temporanea, cioè, piuttosto che un’acquisizione ideologica totalmente impegnativa e d’illimitata validità.
Certo, anche senza essere degli ingenui creduloni si può sperare – dico sperare – che d’una tinta assunta per opportunità tattica, il comunismo debba restare per sempre inestricabilmente impeciato e che la maschera finisca per trasformarsi in volto. Non sarebbe la prima volta che si dimostra come non si prendono impunemente atteggiamenti ideologici estranei alla propria natura e come questa ne venga involontariamente modificata e corretta. Considerando le cose molto dall’alto, molto al di sopra di quello che possano essere gli interessi e le sorti dei singoli partiti, sarebbe questa una grande ventura per l’umanità, la via maestra per cui si vorrebbe ardentemente vedere la Storia incamminarsi, forse unica garanzia di una novella età dell’oro, cioè, semplicemente, di un’èra di pace e di progresso.
Ma può darsi che questo sogno non si faccia realtà. Potrebbe accadere che il comunismo mostrasse un giorno di nuovo la sua faccia grifagna: la negazione della libertà. Si assisterebbe allora ad una grande crisi di coscienza in seno a quella masse che oggi lo seguono con religiosa fiducia: ed ove esse non riuscissero a modificarlo dall’interno a propria immagine e somiglianza, grandi frane vi avverrebbero ed in tal caso tutti codesti disillusi si accorgerebbero che il Partito d’Azione è il loro partito, quello che senza mutilare per nulla le loro rivendicazioni sociali, assicura e tutela quel bene supremo senza il quale non v’è garanzia alcuna di miglioramenti materiali che, come vennero concessi, così possono essere ritolti, senza il quale nessun progresso economico acquista stabilità e valore educativo, senza il quale non si dà reale progresso umano e non v’è nulla che conti al mondo: la libertà. È in questa eventualità che il Pd’A e i movimenti internazionali ad esso affini, potrebbero essere chiamati a svolgere una parte di primissimo piano nella storia europea, anzi mondiale.
La funzione operaia del Partito d’Azione, ed entro certi limiti la sua stessa ragion di essere, è pertanto in misura inversamente proporzionale alla sincerità dell’indirizzo democratico seguito dal Partito comunista; direttamente proporzionale alla persuasione delle masse che la libertà sia un indispensabile bene sociale.


Massimo Mila