Questa mattina era il giorno della resa dei conti su Armando Siri. Da una parte la Lega che ha sempre detto di volerlo salvare e non ha mai chiesto al sottosegretario ai Trasporti di fare un passo indietro. Dall’altra il MoVimento 5 Stelle che dopo avergli fatto togliere le deleghe ha deciso di mettere ai voti la questione in Consiglio dei Ministri dove i pentastellati hanno la maggioranza. Siri attualmente è indagato per corruzione nell’ambito di un’inchiesta nata dalle indagini della DIA di Palermo su un imprenditore accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e sospettato di aver finanziato la latitanza di Matteo Messina Denaro.

Siri è fuori: la “decisione” del consiglio del ministri

Andrà come andrà, aveva detto ieri sera il ministro dell’Interno Salvini ieri a Matrix. La riunione, convocata per le 9.45 di questa mattina è iniziata con quasi un’ora di ritardo. Prima di iniziare Salvini aveva riunito i suoi nell’ufficio del sottosegretario Giancarlo Giorgetti (per la cronaca Giorgetti ha assunto nel suo staff il figlio di Paolo Arata). Nel frattempo sul Blog delle Stelle veniva rilanciato l’appello di Luigi Di Maio: «faccio un ultimo appello, nelle ultime ore prima del Consiglio dei ministri, alla Lega, di far dimettere Armando Siri e non arrivare alla conta in Consiglio dei ministri».

Il primo vero colpo di scena è stata l’assenza dei due ministri “tecnici” Moavero e Tria alla riunione del governo. Il titolare della Farnesina e il Ministro dell’Economia sono in missione e quindi non hanno preso parte al voto. E proprio su di loro si erano concentrate le speranze leghiste di portare l’esito della votazione in parità. Ma a quanto si era appreso a pochi minuti dall’inizio della riunione del Consiglio non sarebbe prevista alcuna votazione sul decreto di revoca del sottosegretario leghista che verrà presentato dal premier Conte. “Non si andrà alla conta – avevano assicurato fonti di Palazzo Chigi – di certo ci sarà una corposa discussione politica”.

Quando Giuseppe Conte aveva chiesto il voto su Siri

A decidere di votare per la revoca del sottosegretario Siri era stato Giuseppe Conte che aveva annunciato la sua decisione poco meno di una settimana fa. In precedenza il Premier aveva fatto tutto il possibile, incontrando privatamente Siri per convincerlo a lasciare. Ma poi era venuto fuori quello strano comunicato in cui il sottosegretario annunciava le dimissioni entro 15 giorni giustificandosi con il fatto che i magistrati avrebbero potuto “assolverlo” dopo averlo ascoltato. «Dimettono una persona senza che ci sia mezza prova» diceva ieri Salvini a Matrix, per spiegare che la Lega è garantista mentre il M5S no.

Ieri sera mentre Salvini su Canale 5 annunciava che «se sul caso Siri si va al voto noi votiamo contro e loro se ne prendono la responsabilità poi andiamo avanti e continuiamo a lavorare» il ministro della giustizia Bonafede a DiMartedì spiegava che la vicenda che aveva visto coinvolto il sottosegretario per bancarotta fraudolenta era una “questione personale”. Una dichiarazione che fa il paio con quella rilasciata prima del salva-Salvini quando Bonafede disse che Salvini aveva commesso un reato non per sé ma per gli altri.

Il dibattito sul caso Siri in Consiglio dei Ministri

Si arriva così al Consiglio dei Ministri di oggi, dove è andata in scena una strana cosa. Nessuna delle due parti a quanto pare voleva andare al voto. Perché un voto – indipendentemente dal risultato – avrebbe sancito una spaccatura nel governo e una crisi di maggioranza. Salvini del resto aveva rilasciato dichiarazioni contraddittorie: da un lato aveva invitato il M5S a prendersi la responsabilità della cacciata di Siri dall’altra aveva ribadito che il governo sarebbe andato avanti fino alla fine della legislatura. Insomma un voto senza conseguenze. Il voto però non c’è stato.

C’è stata invece una sceneggiata, ad uso e consumo di quelli che da fuori leggevano i lanci delle agenzie. Prima è toccato al premier Giuseppe Conte, l’Avvocato del Popolo ha spiegato punto per punto le ragioni che lo hanno indotto a chiedere un passo indietro del sottosegretario leghista indagato per corruzione. Una cosa inutile, visto che le ragioni le aveva già illustrate in conferenza stampa giorni fa. Poi la parola è passata alla “difesa”, affidata alla ministra Giulia Bongiorno. Il povero Siri, che attualmente è solo formalmente indagato, è stato per così dire “processato” (in contumacia visto che non era presente) dal Consiglio dei Ministri. Ma la Lega però non ha voluto chiedere il voto, perché a quel punto i leghisti avrebbero dovuto assumersi la responsabilità di spaccare il governo. Dopo due ore di “civile e pacata discussione” (così affermano fonti della Lega) l’incarico di Siri è stato revocato da colui che poteva farlo fin da subito senza necessità di votazioni. Addirittura fonti leghiste fanno sapere che i ministri Bongiorno e Salvini sono intervenuti per ribadire “fiducia nel premier ma anche difesa del sottosegretario Armando Siri, innocente fino a prova contraria”. Ma intanto Siri se ne deve andare e a breve Conte presenterà la proposta di revoca al Presidente della Repubblica Mattarella. Sicuramente ora il M5S canterà vittoria, dimenticando che a questa “soluzione” si sarebbe potuti arrivare facilmente già una decina di giorni fa.
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