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Discussione: Antonio Simon Mossa

  1. #31
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito Re: Antonio Simon Mossa

    Purtroppo, mi sono accorto tardivamente che le testimonianze dei post precedenti, così come altre, sono già state raccolte e pubblicate dalla Alfa Editrice in un volume curato (manco a dirlo) da Giampiero Marras. Questo il link:
    https://www.alfaeditrice.it/shop/ide...ivoluzionario/
    Di ciò devo scusarmi con Zampa e Alfa Editrice, oltre che con chi legge il forum.
    Contrariamente a come solitamente procedo, stavolta non ho effettuato alcuna ricerca in rete, affidandomi alle fotocopie che possedevo da tempo, pertanto mi è sfuggita la pubblicazione che naturalmente acquisterò ed invito ad acquistare.
    Tuttavia, intendo continuare a postare testi e documenti anche se già pubblicati, possedendo le vecchie copie cartacee “originali”; a cominciare dagli articoli comparsi sui numeri del periodico “Sa Republica Sarda”, storica testata della Alfa Editrice fondata da Gianfranco Pinna, su cui intendo aprire un apposito “thread”, fruibili nel sito web: https://www.alfaeditrice.it/

  2. #32
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito Re: Antonio Simon Mossa

    Negli ultimi anni si stanno intensificando le iniziative tendenti a riscoprire e dare il giusto rilievo alla figura di Simon Mossa.

    Intanto, il recente sito: https://www.archiviosimonmossa.it/.

    Nel blog di Francesco Casula, un ulteriore ritratto politico-culturale, con bibliografia:
    https://truncare.myblog.it/2013/08/0...mossa-5555249/

    Dal 2015 opera l’Associazione culturale MASTROS, che studia l'architettura sarda e mediterranea partendo dalle opere di Antonio Simon Mossa.
    https://www.facebook.com/Mastros-Seg...8906926055227/

    Tra gli interventi più o meno recenti ripropongo il seguente di Attilio Mastino:
    Antonio Simon Mossa, poeta della Nazione sarda - Le Storie - Sardegna

  3. #33
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito Re: Antonio Simon Mossa

    Come anticipato, ho estrapolato dai numeri del periodico "Sa Republica Sarda" alcuni interventi che in qualche modo riguardano Antonio Simon Mossa.
    Nel sito della Alfa Editrice, tutti i numeri usciti dal 1977 al 2005 sono consultabili e scaricabili gratuitamente in pdf.
    Avendo conservato quasi tutte le copie cartacee, è stato più semplice estrarre gli scritti più pertinenti.

    Questo l’elenco:

    Sa Repubblica Sarda

    Anno I – N. 1 Aprile 1979
    SASSARI/ Indetto dalla Federazione culturale “Iscola Sarda”
    Premio Antonio Simon Mossa
    a cura di Giampiero Marras

    Sa Repubblica Sarda
    Anno V – N. 6 - 12 Dicembre 1983
    Simon Mossa e il Psd’Az
    di Francesca Riggio

    Sa Repubblica Sarda
    Anno VIII – N. 9 - 12 Dicembre 1986
    Antonio Simon Mossa: l’apostolo indipendentista
    di Gianfranco Contu

    Sa Repubblica Sarda
    Anno XXIV – N. 1 - 4 APRILE 2002
    Per l’indipendenza nazionale e la giustizia sociale
    di ANTONIO SIMON MOSSA
    a cura di Giampiero Marras

    Sa Repubblica Sarda

    Anno XXV – N. 3/7 Agosto 2003
    Antonio Simon Mossa e il federalismo delle regioni e delle etnie
    di Gianfranco Contu

  4. #34
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito Re: Antonio Simon Mossa

    Sa Repubblica Sarda

    Anno I – N. 1 - Aprile 1979


    SASSARI/ Indetto dalla Federazione culturale “Iscola Sarda”

    Premio Antonio Simon Mossa




    CONCORSO LETTERARIO A PREMI

    Per poesie, opere teatrali, saggi e inchieste giornalistiche in lingua sarda, relativi ad aspetti della storia e della realtà attuale della Sardegna.

    Prima Edizione dei «Premio letterario nazionale «Antonio Simon Mossa» di poesia, teatro, prosa e giornalismo in lingua sarda nazionale».


    BANDO DI CONCORSO


    Per onerare la memoria dell'architetto Antonio Simon Mossa, etnolinguista, antesignano della battaglia per l'introduzione della figura e della cultura sarde nelle scuole e nei pubblici uffici dell'Isola, la Federazione culturale «Iscola sarda» istituisce un «PREMIO LETTERARIO NAZIONALE DI POESIA, TEATRO, PROSA E GIORNALISMO IN LINGUA SARDA NAZIONALE», con periodicità annuale, intitolato al grande intellettuale sardo scomparso, principale interprete delle aspirazioni di libertà dei Sardi e del sentimento di «sarditudine» delle masse popolari isolane.

    REGOLAMENTO


    Art. 1 Sono ammessi a partecipare al «PREMIO LETTERARIO NAZIONALE «ANTONTO SIMON MOSSA» di poesia, teatro, prosa e giornalismo quanti scrivono in lingua sarda nazionale, normalizzata (o in una qualsiasi delle varietà linguistiche popolari parlate nell'Isola).
    Per la partecipazione ad una o più Sezioni del Premio non viene chiesta alcuna quota di iscrizione.

    Art. 2 - Ciascun partecipante potrà inviare al Premio una o più poesie, una o più opere teatrali, uno o più saggi, ed uno o più pezzi giornalistici, di cui uno a tema fisso e gli altri a tema libero, nonché una o più traduzioni in lingua sarda di testi di autori italiani o stranieri.
    È tassativamente vietato l'invio, insieme con le opere scritte in sardo, della versione in Italiano.

    Art. 3 - Gli elaborati dovranno essere inviati in dieci copie dattiloscritte (e fotocopie) e dovranno pervenire alla Segreteria del Comitato Organizzatore del Premio, segretario Giampiero Marras, presso la Federazione Culturale «Iscola Sarda», Ente promotore, entro e non oltre il 31 Aprile 1979,
    Quelli che giungeranno successivamente alla data stabilita non saranno presi in considerazione agli effetti della premiazione.

    Art. 4 - Al Comitato Organizzatore del Premio si affiancherà, inoltre, uno speciale «Comitato d'Onore», dei quale faranno parte di diritto gli eventuali Enti patrocinati (pubblici o privati) e le singole personalità dei mondo dell'Arte, della Cultura, del Lavoro, della Politica e della Finanza, che contribuiranno concretamente alla formazione del Monte premi del concorso letterario; nonché quelle testate giornalistiche che pubblicizzeranno o sosterranno il Premio sulle loro terze pagine.

    Art. 5 - La lunghezza dei racconti, delle novelle e degli articoli di stampa non potrà essere inferiore alle cinque cartelle dattiloscritte, spaziale con interlinea due.
    Viene invece lasciata ai poeti la più ampia facoltà di adeguare la lunghezza dei loro componimenti al ritmo della loro ispirazione.

    Art. 6 - Ogni componimento deve recare, in luogo della firma dell'autore, uno pseudonimo, o un motto, o un proverbio, o un soprannome non conosciuto, il quale deve essere ripetuto sul retro di una busta chiusa, non trasparante, da unire ai componimenti, e contenente le generalità complete e l'indirizzo dei concorrente.
    Mentre sulla busta di spedizione, entro la quale vanno riposti sia gli elaborati che la succennata busta delle generalità, è fatto obbligo tassativo ai concorrenti di indicare, a macchina o a stampatello, la Sezione alla quale si partecipa.
    In mancanza di tutto questo, anche se il componimento fosse considerato meritevole, l'autore non avrà diritto al premio.

    Art. 7 - Le opere concorrenti non si restituiscono, e il Comitato del Premio si riserva il diritto, a titolo pubblicitario od encomiastico, di pubblicarle, in tutto o in parte, quando lo riterrà opportuno, e di trasmetterle dalla radio di Sardegna.
    Nel caso l'Iscola Sarda decida, a suo inappellabile giudizio, di pubblicare in lingua nazionale sarda, e nella grafia da lei riconosciuta, un saggio o qualunque altra opera di largo respiro, che meriti di imporsi all'attenzione del pubblico per serietà di elaborazione, per originalità di pensiero, per proprietà di linguaggio ed eleganza di stile, ogni diritto spetterà agli autori dei saggi, una volta detratte le spese di stampa e di lancio.
    Dieci copie dell'opera andranno in omaggio all'autore e dieci all'Iscola Sarda, mentre una verrà inviata in dono ai primi premiati tra i concorrenti delle diverse sezioni e sottosezioni, ed una ai componenti le giurie e il Comitato d'Onore.

    Art. 8 - La premiazione avverrà nel corso della «Settimana culturale sarda», che si svolgerà a Sassari, a ridosso della «Cavalcata Sarda», sempre ad inizIativa di 4scola Sarda».

    Art. 9 - 1 temi previsti dal bando di concorso sono:
    - Le prime lotte sociali in Sardegna e la nascita del movimento operaio;
    - Un periodo, un avvenimento o un personaggio della storia della Sardegna;
    - La questione nazionale sarda e la nascita dèl movimento autonomista;
    - L'architettura popolare in Sardegna;
    - Un qualunque argomento di natura tecnica o scientifica di interesse per la Sardegna;
    - La condizione della donna in Sardegna;
    - La situazione scolastica in Sardegna;
    - Un aspetto (o più) della realtà sarda: l'emigrazione, la disoccupazione, il lavoro etc.;
    - Tappe e momenti della colonizzazione linguistica, culturale, economica, politica, sociale e militare della Sardegna;
    - La musica popolare in Sardegna;
    - La geografia fisica, antropica ed ecologica della Sardegna;
    - La flora e la fauna della Sardegna;
    - La proposta di un corso completo di studi per il biennio della Scuola elementare, scritto in sardo per alunni sardi.

    Art. 10 - I premi in palio sono:

    I° Lire 300 mila e medaglia d'oro al primo classificato;
    II° Lire 200 mila e medaglia d'argento al secondo classificato;
    III° Lire 100 mila e medaglia di bronzo al terzo classificato.
    Premio speciale di Lire 500 mila per il miglior testo di lettura per le Elementari.
    Segnalazioni speciali della giuria.
    Menzioni d'onore.
    Diploma ad ognuno dei vincitori.
    Ed altri eventuali premi aggiuntivi in denaro, in quadri, in trofei, in targhe e in coppe, che venissero offerti dalla Regione o da altri Enti patrocinatori, pubblici o privati, e da singole personalità.

    Art. 11 - I vincitori saranno proclamati a giudizio insindacabile di apposite giurie nominate dall'Istituto superiore «Antonio Simon Mossa» di lingua, cultura e tradizioni nazionali sarde della Federazione culturale «Iscola Sarda», che esamineranno le composizioni.

    Art. 12 - Le opere premiate, segnalate o menzionate verranno lette, in tutto o in parte, al pubblico, il giorno della premiazione ufficiale, e gli autori delle stesse saranno avvisati per prendere parte all'apposita cerimonia.




    Da notare il secondo comma dell’art. 2: “È tassativamente vietato l'invio, insieme con le opere scritte in sardo, della versione in Italiano.”
    Grande Zampa!

  5. #35
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    Predefinito Re: Antonio Simon Mossa

    Sa Repubblica Sarda

    Anno V – N. 6-12 Dicembre 1983


    L’Editrice di questo giornale ha dato alle stampe un libro su Antonio Simon Mossa, il teorico dell’indipendentismo sardo.
    «Sa Republica» ne pubblica in anteprima la prefazione dell’autrice.


    Simon Mossa e il Psd’Az
    di Francesca Riggio


    Nel dibattito sulla condizione della Sardegna sviluppatosi in questi ultimi anni assumono un posto di rilievo le elaborazioni di Antonio Simon Mossa. Si deve anzi a queste elaborazioni il tema centrale del dibattito: la ricerca e l'identificazione, in Sardegna, di una specifica «Questione sarda» del «Terzo Mondo Europeo».

    Regista cinematografico, giornalista, architetto Antonio Simon Mossa ha iniziato e portato avanti questo dibattito in un modo che si discosta dalla tradizione culturale italiana presente nell'isola.

    Anziché procedere con saggi specialistici destinati agli intellettuali, così come aveva fatto, ad esempio, la rivista «Ichnusa», ha preferito destinare le sue ricerche ad un gruppo di uomini prevalentemente impegnati nella battaglia per il rinnovamento del Partito Sardo d'Azione; i suoi studi più importanti, per questa ragione, sono stati affidati a numerosi ciclostilati di scarsa tiratura, rimasti fino ad ora quasi sconosciuti negli ambienti culturali isolani di estrazione non sardista.

    Antonio Simon Mossa riteneva che il colonialismo più radicato e più pericoloso, a livello ideologico, in Sardegna, riguardasse soprattutto gli intellettuali, e che per combatterlo con efficacia fosse necessario innanzitutto procedere all'educazione e alla formazione di un gruppo di quadri dirigenti capaci di dar vita a un nuovo Partito Sardo d'Azione, ossia ad un movimento politico ideologicamente decolonizzato che si differenziasse nettamente dalle formazioni partitiche tradizionali. La concezione del Partito Politico come «Moderno principe» non era per lui praticabile perché la riteneva portata a realizzarsi nella pratica non come centro di iniziativa sociale, ma come struttura di potere e organo di condizionamento culturale. Sosteneva che i partiti politici di matrice italiana erano portati ad agire come «Feudatari moderni», come centri di intermediazione, e notava la penetrazione del colonialismo italiano nel suo stesso partito.

    Simon Mossa si impegnò pertanto a ridefinire il concetto di «Sardismo» sia nelle linee teoriche e nella sostanza culturale che nella portata pratica, che riteneva necessario affidare ad una organizzazione federativa e decentrata e ad un metodo di lavoro basato sulla rilevazione delle concrete necessità e delle reali possibilità di sviluppo economico, sociale e culturale della Sardegna e dei Sardi. La fondamentale importanza dell'impegno nella realtà locale e regionale si legava nei suoi intendimenti ad una visione culturale di livello internazionale e di storia politica contemporanea; il movimento politico sardista doveva superare ogni riduttiva e servile mediazione italiana per entrare in rapporti diretti con i popoli emergenti alla storia nel «Terzo mondo Europeo», baschi, catalani, galiziani, friulani, occitani, bretoni, gallesi, scozzesi ecc., con essi porsi in comunità di lotta con il «Terzo Mondo Afroasiatico» contro i blocchi imperialistici sopraffattori.

    Dotato di rilevante autonomia culturale e di profonda autoironia, Simon Mossa concedeva ben poco agli ambienti ed alle istituzioni della cultura ufficiale isolana; Alle «tavole rotonde» reclamizzate preferiva i convegni di pochi uomini nei paesi delle zone interne. Più che una penetrazione delle sue idee nei grandi sistemi delle ideologie al potere o all'opposizione, si proponeva di favorire la crescita critica delle concezioni del mondo affioranti nella cultura popolare.

    Questo spiega l'assenza di riferimenti specifici, nel suo discorso, alle posizioni dei vari studiosi e alle varie interpretazioni storiche e sociologiche della «questione sarda», dalle quali era distante per formazione e per interessi culturali, e delle quali criticava sia la comune matrice ottocentesca liberal-riformista, sia la concezione statalistica euro ed etnocentrica, tesa a ribadire il primato di pretese culturali superiori. Nei confronti della cultura popolare egli non si pose col il distacco accademico della «osservazione partecipante», ma con l'attenzione problematica ad individuarne, oltre i fenomeni e le cause della subalternità, le autentiche ragioni antropologiche e sociali, per la costruzione di una concreta base di sovranità popolare nel nuovo assetto delle nazionalità e degli stati. Di questo atteggiamento critico e costruttivo, è pervasa la sua ricerca sul concetto di etnia, costantemente finalizzata all'elaborazione di una metodologia di azione culturale per un nuovo modo di fare politica con le classi popolari.

    Raccogliere oggi ed esaminare le disperse elaborazioni di Antonio Simon Mossa non è facile. Mancano, per condurre un lavoro completo, alcuni importanti elementi. Innanzitutto è impossibile rintracciare in modo puntuale la letteratura dalla quale il suo pensiero prendeva le mosse. C'è da credere, però, che gli studi di Simon Mossa non venissero dai volumi di una improbabile biblioteca delle minoranze etniche, del resto ancora oggi scarsa, quanto da ciclostilati e bollettini interni delle varie organizzazioni e dalla tradizione orale di queste stesse minoranze.

    La straordinaria conoscenza di un gran numero di lingue consentiva a Simon Mossa la partecipazione diretta a numerosi convegni internazionali dove quella tradizione si andava formando.

    Per quanto il compito sia difficile, è opportuno raccogliere, sia pure in una prima sistemazione documentaria le tesi più significative di Simon Mossa ed esaminarle dettagliatamente. Questo lavoro appare importante al fine di evitare che taluni ciclostilati di notevole valore possano andare dispersi, e di porre a disposizione degli studiosi un materiale assai ricco. La conoscenza del pensiero di Antonio Simon Mossa, attualmente molto scarsa, può anche consentire al dibattito sempre aperto sulla condizione della Sardegna di non ripiegarsi continuamente su se stesso alla ricerca di dati che magari possono risultare da tempo acquisiti.



    Non ho trovato traccia del libro.

  6. #36
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    Predefinito Re: Antonio Simon Mossa

    Sa Repubblica Sarda

    Anno VIII – N. 9-12 Dicembre 1986



    Parlava di federazioni nazionalità, che se realizzate avrebbero provocato un radicale mutamento dei confini tradizionali degli stati.

    Antonio Simon Mossa:
    l’apostolo indipendentista

    di Gianfranco Contu


    L'attuale dibattito sull'indipendentismo, clamorosamente venuto alla ribalta con le fortune elettorali del Partito Sardo d'Azione, non ha ancora trovato, sul piano culturale, quella attenzione che avrebbe meritato, anche per dissipare gli inevitabili equivoci e le inutili polemiche che il termine stesso di indipendenza, molto spesso provoca.

    Soprattutto, e a mio parere incomprensibilmente, sia in sede di congressi politici e di convegni culturali, sia a livello giornalistico, si è sempre tenuto in sordina la figura dell'unico uomo politico e pensatore sardo contemporaneo che, f in dagli anni 60, aveva lavorato per dare un contenuto ideologico al concetto dell'indipendentismo sardo, collegandolo indissolubilmente ai temi della nazionalità e del federalismo.

    Antonio Simon Mossa (che fu chiamato di volta in volta “il padre della patria sarda” o anche, più realisticamente "il profeta inascoltato" era nato nel 1916 a Padova da genitori algheresi. Tornato in Sardegna, esercitò con impegno la professione di architetto, riservando il suo tempo libero al giornalismo radiofonico e alla critica e alla regia cinematografica. Dopo la fine della guerra aderì al risorto Partito Sardo d'Azione e collaborò attivamente sulle pagine di “Il Solco" e di “Il Solco Letterario" usando diversi pseudonimi fra cui Geronimo e Pierre De Croàn.

    I suoi frequenti viaggi e la conoscenza di parecchie lingue gli diedero il modo di studiare da vicino i movimenti di liberazione delle nazionalità minoritarie non riconosciute d’Europa, quelle che egli era solito chiamare “Il Terzo Mondo europeo": Baschi, Catalani, Bretoni Occitani, Irlandesi. Proprio attraverso questi contatti con le "nazioni proibite" d'Europa, Simon Mossa si rese conto del pericoloso processo di genocidio politico-culturale in atto nel continente europeo e nella stessa Italia per quanto riguarda i Sardi, i Friulani, gli Occitani e altre minoranze più piccole. (Egli stesso si considerava membro di una minoranza, quella algherese-catalana, nella minoranza più vasta, quella sarda).

    Fu partendo da queste considerazioni che Simon Mossa maturò un originale disegno federalistico che ribaltava le concezioni del federalismo tradizionale. Anziché delle federazioni degli stati così come esistevano (quindi, come previste anche dai federalisti europei), Simon Mossa parlava di federazioni di regioni autonome e di nazionalità piccole o grandi; federazioni che se realizzate avrebbero provocato un radicale mutamento dei confini tradizionali degli Stati. L'analisi di Simon Mossa nella sua isola, portava a considerare la Sardegna una pura e semplice colonia interna dello stato italiano, una comunità nazionale non riconosciuta, al pari dei Catalani, dei Baschi, degli Occitani e, per restare in Italia, dei Ladino-Friulani.

    L'analisi di Simon Mossa procedeva parallelamente al suo distacco dal Partito Sardo D'Azione. La ragione di questo distacco era duplice: il collaborazionalismo dei Sardisti nei governi regionali DC, responsabili del processo di disgregazione autonomistica e la totale assenza nei programmi o nei dibattiti del Partito della questione nazionalitaria.

    Vi rientrò nel 1961, con l'intenzione di portare una voce nuova nel Partito, anche se si rendeva conto che ormai non esisteva più quel grande movimento rivoluzionario e popolare del primo dopoguerra e perfino dell'immediato secondo dopoguerra.

    La sua speranza era che potesse avvenire il miracolo di una rifondazione del Partito su nuove basi ideologiche. Iniziò dunque la sua difficile battaglia, con articoli giornalistici (spesso firmati con lo pseudonimo di Fidel) con convegni di corrente e dibattiti.

    Il tema centrale era sempre quello: l'indipendentismo, la nazionalità sarda e il federalismo delle regioni e delle etnie.

    Ma fu sempre il classico profeta nel deserto, anche se nel 1968 si trovò a dirigere la federazione distrettuale di Sassari. Il Partito in sostanza lo emarginò come capo di una corrente "separista" e in definitiva ignorò l'ideologo di un sardismo "nuovo".

    Morì quasi dimenticato nel 1971. Quanto al "separatismo" di A. Simon Mossa, questo merita alcune righe di chiarimento.

    In realtà nell'evoluzione del pensiero di A. Simon Mossa si possono distinguere due diversi momenti.

    Fino al 1966 Simon Mossa nei suoi articoli espone le sue idee sulla nazionalità sarda (costantemente raffrontata con le altre minoranze europee) e sul diritto della Sardegna a una “diversa autonomia", politica economica e culturale, per nulla somigliante a quel simulacro di autonomia che è lo Statuto Speciale dell'isola. Tuttavia in questo periodo Simon Mossa non mette "quasi mai” in discussione l'appartenenza della Sardegna ad uno Stato italiano che venga rinnovato in senso federalistico. (Dico “quasi mai" perché l'opzione indipendentistica fu sempre presente in lui come progetto alternativo).

    Fu negli ultimi anni della sua vita che Simon Mossa andò accentuando la stia istanza indipendentistica, fino a parlare apertamente di Stato nazionale sardo "che può e deve fare a meno dell’Italia. Il progetto federalista veniva spostato definitivamente verso una dimensione più ampia, comprendente le nazionalità minoritarie del Terzo mondo europeo.

    In uno dei suoi ultimi articoli (sul ciclostilato "Sardegna Libera") Simon Mossa scriveva: "... Noi vogliamo conquistare l'indipendenza per integrarci, non per separarci, nel mondo moderno. E la scelta non può che essere che nostra, autonoma, cosciente, decisiva. Noi siamo nella stessa posizione di quei paesi del Terzo Mondo che, nelle loro articolazioni nazionali, hanno già compiuto i primi passi verso l'indipendenza ".

    Questo costituisce il punto massimo della sua esasperazione separatistica. Tuttavia resta grandissimo il merito di Simon Mossa di aver contribuito a risvegliare l'idea della Nazione Sarda e di aver elaborato una nuova concezione di federalismo.



    Gianfranco Contu, democratico socialista, federalista, massone giustinianeo, di Gianfranco Murtas | Fondazione Sardinia

  7. #37
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    Predefinito Re: Antonio Simon Mossa

    Sa Repubblica Sarda

    Anno XXIV – N. 1-4 APRILE 2002


    Per l’indipendenza nazionale
    e la giustizia sociale


    di ANTONIO SIMON MOSSA



    Si terrà a Sassari il 21-22-23 Marzo nella "Sala delle Conferenze", della Camera di Commercio il Convegno di studi su Antonio Simon Mossa, a 30 anni dalla morte, organizzato dalla Consulta Locale dei Comuni di Sassari, Portotorres, Stintino, Sorso, Sennori nell'ambito della promozione e valorizzazione della cultura e della lingua sarda.

    Antonio Simon Mossa, originario di Alghero, nacque a Padova il 22 novembre del 1916 e morì a Sassari a soli 54 anni, vittima di un destino inesorabile e beffardo, il 14 luglio del 1971. Fu valente architetto, urbanista, arredatore d'interni, studioso di problemi dell'insediamento umano, disegnatore, critico d'arte e letterario, insegnante dell'istituto Statale d'Arte e docente incaricato di Storia dell'Arte presso il Liceo Classico "Domenico Alberto Azuni" di Sassari, linguista di primaria importanza per la Sardegna, Presidente del "Centre d'Estudis Algueresos" e promotore di “Les Jocs Florals" della Lingua Catalana ad Alghero. Fu inoltre osservatore acuto della realtà isolana e viaggiatore attento alle problematiche delle Comunità Etniche Europee e di tutti i Popoli oppressi del mondo, nonché delle "Nazioni senza Stato", come anche poligrafo, giornalista, redattore e strenuo difensore dell'autonomia di Radio Sardegna, scenografo, cineasta, politologo, massimo ideologo del Sardismo rivoluzionario e libertario, dirigente politico, consigliere comunale di Porto Torres, conoscitore profondo delle culture delle minoranze nazionali di tutta Europa e delle “lingue minoritarie" di sette tra le principali etnie europee, nonché uomo di vastissima cultura e di moralità integerrima.

    Il convegno si prefigge di ricordare e onorare il primo Etnolinguista Sardo del XX Secolo ad aver compreso la valenza politico-rivoluzionaria della Lingua Sarda, come “elemento cementante dell'unità del Popolo e della Nazione Sarda" e ad essersi battuto per la conservazione, l'insegnamento, l'uso e la standardizzazione di questo importantissimo "idioma", come "seconda lingua nazionale" dei Sardi in Italia e "prima" in Sardegna, e per garantire ad esso pari dignità con l'italiano; come pure per la valorizzazione e il potenziamento delle singole varianti linguistiche del sardo (Logudorese-nuorese, Campidanese-ogliastrino e Sardo-còrso: Sassarese-gallurese) e per la salvaguardia del catalano di Alghero, del còrso di La Maddalena, di s'arromanisca di Isili e del tabarchino di Carloforte.

    Antonio Simon Mossa, scrittore poliglotta (scriveva e parlava correntemente in otto “lingue ufficiali di Stato", europee e transcontinentali), ha inoltre tradotto in sardo I quattro Evangeli ed ha pubblicato una lunga serie di articoli (in sardo, in italiano e in altre lingue d’Europa) d'arte, di costume, di letteratura, d'economia, di politica, di attualità e di controinformazione su diverse riviste e giornali italiani e stranieri dal 1941 al 1970. E' stato inoltre premiato per la poesia, in algherese e in logudorese, al Premio di poesia e letteratura sarda "Città di Ozieri", di cui divenne successivamente un autorevole membro di giuria.

    Il convegno di studi - che vede una nutrita schiera di relatori che scandaglieranno la figura e l'opera dell'intellettuale sardo finora volutamente "dimenticato" dalla storiografia ufficiale - prevede che l'intera "sessione convegnistica" si sviluppi in un arco di tempo di tre giornate consecutive, articolantesi in tre sedute antimeridiane e tre pomeridiane, nel corso di ciascuna delle quali è prevista l'illustrazione di sette/otto relazioni e di una o più comunicazioni, cui farà seguito un dibattito.
    Il convegno - da registrare e filmare per archiviazione degli Atti e per una sua possibile diffusione nelle Scuole e nelle Università isolane - dovrebbe riproporre alla attenzione dei sardi, sia di quelli che lo conobbero e lo apprezzarono in vita, sia di quelli che ancora lo ignorano - la figura, la personalità, l'autorità morale, l'autorevolezza, il pensiero, le opere, le geniali intuizioni e il profondo rigore filologico di questo antesignano e precursore carismatico delle prime battaglie per l'identità e per il recupero, la valorizzazione e lo sviluppo della Lingua, della cultura e delle tradizioni del popolo sardo. (Giampiero Marras)

    Pubblichiamo qui di seguito - curato da Giampiero Marras - uno stralcio dell'intervento che Antonio Simon Mossa tenne il 22 giugno del 1969 a San Leonardo di Siete Fuentes ad un Convegno di indipendentisti.



    La lotta del Popolo Sardo
    per l'indipendenza nazionale
    e la giustizia sociale


    La posizione rivoluzionaria anticolonialista


    Se noi non chiariamo una volta per tutte, di fronte al popolo sardo, la nostra posizione rivoluzionaria, le nostre istanze sociali (in termini concreti e precisi) la nostra volontà di lottare con tutti i mezzi per la liberazione della Sardegna dal giogo coloniale, e non in termini genericamente classisti, ma in termini più ampi di azione popolare, con una decisa tendenza verso l'ecumenismo, e con la scelta della via più consona e rispondente al momento storico, che può essere quella della
    resistenza passiva e della non-obbedienza civile (cioè non-violenza), come quella estrema della lotta armata (insurrezione); se noi (dunque non rendiamo chiare e lampanti le nostre posizioni, ciò significa che noi siamo stanchi, che la missione di rigenerazione e riscatto del popolo sardo proposta dai reduci del 1919 non avrebbe più ragione di essere, e saremmo noi stessi che vogliamo essere nucleo di azione rivoluzionaria condannati insieme con tutto il popolo sardo, all'eterna schiavitù politica ed economica.

    Noi vogliamo dire ai sardi, a tutti quei sardi che ancora non si sono venduti all'oppressore, che soffrono in patria o all'estero per non rinunciare alla loro dignità e alla loro condizione di uomini liberi, vogliamo dire a tutti costoro che abbiamo il coraggio e la volontà di batterci per la liberazione della Sardegna, per l'indipendenza politica ed economica del popolo sardo, per l'abolizione dell'ultimo e più brutale regime coloniale d'Europa.

    I motivi profondi della lotta di liberazione


    E non diciamo tutto ciò in termini di contestazione salottiera o letteraria. Saremmo a livello dei demagoghi e dei funzionari dei partiti metropolitani. Non lo diciamo perché questo potrebbe portarci ad avere più o meno voti in una qualunque prossima o remota competizione elettorale.

    Ma lo affermiamo perché noi stessi abbiamo necessità di chiarezza. Dobbiamo riaffermare solennemente, con lo stesso entusiasmo dei reduci del 1919, che la nostra è una lotta esclusivamente anticolonialista. Dobbiamo dire, ancora più chiaramente, che ripudiamo ogni e qualunque forma di conservatorismo equivoco e che ci battiamo nel popolo, con il popolo, per il popolo, contro il Padrone che oggi è l'Italia post-fascista, neopiemontese, essenzialmente reazionaria e autoritaria.

    Una lotta, la nostra, che non si può quindi limitare a una generica o velleitaria dichiarazione di indipendenza.

    Una lotta invece che ricerchi i motivi profondi e gli scopi di questa indipendenza per conseguire la quale ci stiamo battendo. Una lotta veramente e integralmente popolare, nella quale il popolo sardo diventi finalmente protagonista autonomo dei suoi destini. Una lotta con la quale si debbono superare tutte le piccole paure borghesi di un rivolgimento sociale, ma che tale rivolgimento proponga e promuova in termini nettamente rivoluzionari.

    La rivoluzione sociale è lontana?


    Non vi è quindi per noi altra via che assumere finalmente e decisamente la posizione che ci compete, in parallelo e in comunione con la lotta che conducono gli altri popoli coloniali e le comunità etniche che non hanno ancora ottenuto la libertà e l'indipendenza politica ed economica.

    La grande rivoluzione sociale della nostra isola, nonostante lo sforzo disperato che i sardi migliori sino ad oggi hanno compiuto, è ancora molto lontana.

    Alle baronie feudali dei tempi passati si sono sostituite oggi le non meno spietate baronie del neo-capitalismo colonialista, della burocrazia onnipotente, del sindacalismo di importazione, dell'occupazione militare e poliziesca. Baronie di un nuovo feudalesimo che ha svilito e raffrenato ogni e qualunque processo di sviluppo, in una sorta di orgiastica congregazione tra operatori capitalisti e gruppi di sindacalisti politicanti, guidati e sorretti dai gruppi di potere centralisti, tutto a danno dei lavoratori sardi, oggi - come ieri, e più di ieri - costretti ad emigrare per sfamarsi e dare un contenuto umano alle loro esistenze.

    Le minoranze attive nel destino dei popoli oppressi


    In questo caos noti vi è che la strada della verità, da percorrere sino in fondo.

    Quella strada sulla quale si sono incamminati da tempo altri popoli, come i Baschi, i Curdi, i Gallesi, gli Scozzesi, i Bretoni, i Catalani, i Lapponi e gli stessi Corsi: popoli che resistono con ostinazione disperata alla prepotenza dei governi oppressori, e nella loro resistenza tenace e spesso eroica - che assume forme diverse a seconda del grado di civiltà e della situazione politica generale dei loro paesi - ottengono successi sempre più clamorosi.

    Ma quei popoli sono guidati nella lotta da minoranze vivaci, colte, intelligenti, decise, coraggiose. Minoranze che a poco a poco creano una opinione pubblica favorevole; minoranze e nuclei attivi che riescono a risuscitare e a rianimare la coscienza di popoli ormai stanchi di servire e di soffrire, di popoli senza speranza, come il popolo sardo.

    Ma sino a che non daremo un contenuto socialmente avanzato a questa lotta, sino a che non chiariremo a tutte lettere quali dovranno essere le condizioni della nostra società futura, sino a che non definiremo con decisione i precisi termini di una pianificazione realistica e - allo stesso tempo - avveniristica, nessuno dei sardi potrà darci ascolto, né potrà credere alla nostra sincerità. In quanto noi continueremmo a esprimerci in un linguaggio che per loro sarà incomprensibile, in quanto modellato su quello dell'oppressore: un linguaggio privo di chiarezza e ricco di demagogico paternalismo: quello stesso linguaggio di una classe di oppressori che niente altro trovano che servire le ideologie e i mezzi di governo di importazione.

    Libertà significa indipendenza


    Abbiamo sufficienti forze morali per difenderci da questo pericolo sempre incombente. Non dobbiamo confonderci con coloro che servendo fedelmente gli oppressori si sono trasformati in «Kapò». Dobbiamo razionalizzare e rendere comprensibile al popolo sardo, oggi fuorviato dal funzionarismo dei partiti coloniali, quella intuizione di libertà che lo agita.

    Quella libertà si chiama indipendenza politica ed economica e giustizia sociale: libertà che significa che i sardi debbono essere prima di tutto padroni della loro terra, arbitri dei loro destini. Ma dovranno acquisire una profonda fiducia in sé stessi. Dovranno intendere che la redenzione sociale non potrà mai essere importata di là dal mare come una qualunque merce di scambio. Ma dovranno essere essi stessi ed essi soli gli autori di quest'opera di riscatto. Altrimenti dovranno rinunciare ad essere uomini, ad essere popolo libero, e restare per sempre schiavi.

    Se noi non ci battessimo per il riscatto del popolo sardo, per la sua indipendenza totale, per che cosa ci dovremmo battere? Quale bandiera dovremmo agitare? O restare inerti in un mondo che cammina, ove le minoranze nazionali e le comunità etniche acquistano coscienza giorno per giorno?

    Forse che la causa del Biafra non è giusta? Forse che la lotta antisegregazionista americana, rodesiana o sudafricana non è giusta?

    E' mai possibile che noi, che siamo un popolo schiavo, umiliato, sfruttato, perseguitato, disperato, dobbiamo continuare a schierarci a fianco dei dominatori?

    Ed è ancora possibile che dobbiamo accettare supinamente - noi che ci definiamo nucleo promotore del riscatto del popolo sardo una tale servitù coloniale?

    Chi ha il diritto di contrapporre una barriera di incomprensione alle nostre idee? Chi si ostina a soffocare i nostri fermenti? Soltanto chi vuole mantenere lo status quo, l'asservimento a una politica di sfruttamento e di rapina: i manutengoli e i burocrati dello Stato italiano e quella folta schiera di traditori sardi, di piccoli miserabili «quisling», di indegni profittatori della miseria, dell'ingenuità e della rassegnazione secolare del popolo sardo.

    Se noi dunque non promuoviamo lo spirito di ribellione, se non suscitiamo l'atmosfera della resistenza, se non creiamo uno stato di tensione, diventiamo complici di costoro, allo stesso modo traditori del popolo sardo e profittatori indegni.

    E proprio a questo non possiamo più assoggettarci. Non accetteremo più compromessi di qualunque natura. Dobbiamo essere veramente liberi, e avere e infondere la coscienza della nostra libertà. Non dobbiamo più lasciarci condizionare dalle clientele politiche, dalle amicizie tentacolari di una piovra liberticida. Non possiamo più accettare una condizione di inferiorità a nessun livello e in nessun campo della vita pubblica e sociale.

    Che si sappia finalmente, e una volta per tutte, che il nostro obiettivo è la liberazione della Sardegna dal giogo coloniale, la redenzione sociale del popolo sardo e che la nostra lotta assumerà le forme e la durezza che i momenti storici avvenire le riserveranno.

    Noi soltanto possiamo, in piena coscienza, affermare che la liberazione del popolo sardo non può avvenire che con la conquista dell'indipendenza, e che la redenzione sociale che auspichiamo, e che ci siamo configurata ormai in modo preciso, è legata esclusivamente a quella conquista.


    L’indipendenza promossa
    dai valori immutabili
    dell'etnia


    Il disegno di snazionalizzazione del Popolo sardo


    Se un popolo non conquista la sua indipendenza politica non può essere soggetto della sua storia, ma resterà ai margini della storia di quella nazione che lo avrà vinto e dominato. E se un popolo dovrà risorgere dal limbo nel quale si trova dovrà avere il suo «Stato». Con la conquista dell'indipendenza il popolo sardo potrà costituire il suo Stato che avrà i poteri per promuovere il processo di riscatto e di evoluzione economico sociale oggi impossibile, in quanto soggetto ad altra potenza che non mostra alcun interesse né alcuna buona volontà per dare alla Sardegna il posto che le compete per ragioni storiche, geografiche, etniche nel consorzio dei popoli liberi.

    Nei duecentocinquanta anni di dominio piemontese e italiano la volontà di trarre la Sardegna dalle sue condizioni di arretratezza e di miseria non si è mai manifestata. Al contrario il processo di assimilazione, di snazionalizzazione, di spersonalizzazione del popolo sardo si è gradatamente accentuato. La concessione di una autonomia formale, che in realtà non è che un debole decentramento amministrativo, ha creato nell'ultimo ventennio in Sardegna una condizione di disagio generale e uno stato di confusione tale che il risultato è stato quello di una caduta economica inarrestabile, con il fenomeno dell’abbandono sempre crescente delle campagne, la diminuzione dei posti di lavoro (nonostante i notevoli insediamenti industriali), il fenomeno di una emigrazione crescente delle giovani forze di lavoro, lo stentato e inadeguato accrescimento dei redditi (con un divario sempre più marcato in confronto con quelli delle regioni continentali), la creazione nell'isola di zone in forte espansione economica contro altre zone in via di costante degradazione e impoverimento, l'acuirsi dei conflitti sociali, il peso sempre più forte del neo-capitalismo colonialista.

    Una crisi questa che, soltanto a guardare le statistiche e i programmi del governo italiano, non potrà essere arginata, anche perché il potere del governo locale è del tutto limitato e condizionato allo strapotere dei partiti politici italiani e degli organi della burocrazia centrale, tuttora operanti con pieni poteri e nell'ambito della corruzione più disgustosa.

    Del popolo sardo, ridotto alle condizioni di provincia coloniale lontana dai centri decisionali, quasi non vi è traccia. Il disegno di snazionalizzazione del popolo sardo, traguardo dei primi oppressori piemontesi, si svolge secondo una logica assoluta, senza che il popolo sardo possa difendersi né reagire: soprattutto perché il dettato costituzionale nei riguardi dell'autonomia speciale e delle caratteristiche geografiche, storiche, etniche, linguistiche, sociali del popolo sardo non è stato mai rispettato. Se il popolo sardo, nell'ebbrezza della conquistata autonomia, dopo il disastroso conflitto mondiale, aveva creduto e sperato nella Carta Costituzionale e nello Statuto di Autonomia Speciale, si è presto disilluso.

    Lo Statuto Speciale e la Comunità etnica Sarda


    Le condizioni di asservimento coloniale instaurate dai piemontesi agli albori del 18° Secolo si sono fatte sempre più dure. L’azione dello Stato italiano è stata quella di un sottile e ben dosato genocidio.

    Come già durante la dittatura fascista in Sardegna l’azione disgregatrice dell'unità del popolo sardo era stata portata a limiti intollerabili (erano state proibite le manifestazioni folkloristiche e i canti popolari in lingua sarda), con l'avvento della Repubblica l'azione snazionalizzatrice ha superato questi limiti. Infatti nella cornice formale di una cosiddetta «libertà di opinione e di espressione» si sono inaspriti i divieti (come quello del «bilinguismo» negli uffici pubblici e nelle scuole) e si è instaurata una persecuzione velata ma tenace contro qualunque manifestazione pubblica o privata che tendesse in qualche modo a rendere evidente la personalità distinta del popolo sardo nei confronti di quello italiano. Ma soprattutto non si è applicato l'art. 6 della Costituzione nei riguardi delle minoranze linguistiche.

    Indubbiamente la lingua non è tutto, ma è uno degli elementi fondamentali che consentono il cementamento e la socialità di una comunità etnica, quale quella sarda. Orbene il popolo saldo, che conta un milione e mezzo di persone, parla per circa l'ottantacinque per cento la lingua sarda. Una lingua ben differente da quella italiana, lingua che non è riconosciuta dallo Stato italiano, ciò nonostante l'art. 6 della Costituzione, e che è proibito parlare e insegnare nelle scuole pubbliche, alla radio, nei seminari cattolici. Sulla tradizione piemontese lo Stato italiano vuole distruggere questo elemento di coesione e di comprensione tra i sardi.

    E come per la lingua l'azione sottile dello Stato italiano si estende agli antichi istituti giuridici, alle tradizioni, all'organizzazione sociale.

    I valori fondamentali dell'etnia


    La concessione di un'autonomia speciale per la Sardegna, consacrata dalla Carta Costituzionale, significava nella sostanza un tardivo riconoscimento da parte del rinnovato Stato italiano, della comunità etnica sarda e dei suoi diritti a risorgere pur nell'ambito della Repubblica. Diremmo di più: si trattava di uno «status» prefederale che, con uno statuto idoneo, avrebbe consentito al popolo sardo non soltanto la conquista dell'autogoverno, ma la possibilità di darsi una struttura giuridica, economica e sociale nuova, conseguendo rapidamente gli obiettivi di rinascita mediante una pianificazione moderna e veramente autonoma. Al contrario lo statuto concesso alla Sardegna si è rivelato uno strumento di semplice «decentramento» amministrativo, non solo, ma tutta l'impalcatura burocratica e di potere dello Stato è stata mantenuta nell'isola, rendendo così immane lo sforzo del parlamento e del governo regionale per un riscatto effettivo e una evoluzione positiva.

    I valori fondamentali che giustificano la lotta per l'indipendenza sono stati compressi e combattuti duramente. Innanzi tutto, ripetiamo, l'uso e l’insegnamento della lingua nelle scuole pubbliche, la programmazione economica, la pianificazione, il controllo dei trasporti, una politica finanziaria, creditizia e fiscale, l'espansione economica, la legislazione sul lavoro, la riforma agraria, l'industrializzazione.

    E' proprio invece sui valori etnici che, opportunamente posti in luce, si sarebbe potuto e dovuto trovare la strada per il risorgimento del popolo sardo e per il suo adeguamento alla realtà europea. Invece quella italiana è stata una politica negativa, basata sul principio che «se non esiste un popolo non esistono problemi», tendente a emarginare sempre più la nostra isola e la nostra gente dal processo di sviluppo, a fare della Sardegna un'area di servizio, a mantenere in eterno il regime coloniale.

    Valori etnici e 1oro funzione positiva


    Noi crediamo nei valori fondamentali dell'etnia e nella loro funzione positiva nel processo di evoluzione. Vi sono valori come quelli morali, religiosi e sociali, come le tradizioni e le consuetudini che non possono essere cancellati con una semplice norma legislativa. Il passaggio da uno stato di arretratezza secolare, le cui cause sono complesse, non può avvenire verso condizioni moderne e socialmente accettabili se non rivalutando quei valori sostanziali propri della comunità, allo scopo di suscitare forze da tempo sopite nei lembi della tradizione, troppo spesso considerate anacronistiche.

    Tutto ciò costituisce un substrato culturale che è lo strumento più valido per intraprendere la lotta per il riscatto. Certo una nazione, come quella italiana, che ha una storia differente dalla nostra, una cultura differente, una economia e una struttura sociale diversissime, non può pretendere, in nome di un «nazionalismo unitario e accentratore», di cancellare il nostro bagaglio storico e culturale per sostituirlo, con i moderni mezzi di penetrazione e colonizzazione, con quella che è un'altra «civiltà».

    E' questo un principio tipico di dominazione; è la sorte che i vincitori riservano ai vinti. Ma tutto ciò è ben contrario ai principi e ai diritti umani, a questa definizione di libertà che presiede alle stesse costituzioni di stati moderni. E' un principio in contrasto cori la stessa Carta delle Nazioni Unite e con il «diritto di autodeterminazione».

    Noi possiamo risorgere soltanto se alla nostra cultura, alle nostre caratteristiche etniche, alla nostra posizione geografica, alla nostra tradizione e - soprattutto - alla nostra ansia di rinnovamento e di redenzione sociale, si lascia lo spazio necessario. Tale spazio, come abbiamo dimostrato, non può esistere sino a che la Sardegna sarà sottoposta alla dominazione coloniale. Tale spazio potremo averlo soltanto con la conquista dell'indipendenza, quando saremo veramente padroni e arbitri di quei valori fondamentali che caratterizzano la nostra etnia e che, se rivalutati in una atmosfera nuova, potranno consentire al popolo sardo quel balzo in avanti sulla strada del progresso in un consorzio di eguali.


    La nostra lotta è comune a quella di altri popoli oppressi



    La nostra lotta però dovrà svolgersi nel quadro più vasto della lotta che combattono gli altri popoli oppressi per la conquista della loro libertà. Se dovessimo agire da soli saremmo destinati al fallimento più clamoroso. Il nostro principio, quello di una «Europa delle Etnie», supera il vecchio concetto di una «Europa degli Stati». E' questo l'unico modo che ci consente di superare il punto morto degli egoismi nazionalistici, nel pieno rispetto dei principi dei diritti umani e dell'autodeterminazione.

    Il popolo sardo, come quello basco e quello bretone, fonda la sua sopravvivenza sulle tradizioni ancestrali, sul suo profondo spirito religioso, sulla sua lingua, su i legami tribali, sulla struttura sociale comunitaria. Tanti secoli di dominazione e di politica snazionalizzatrice non hanno distrutto né intaccato questa sostanziale unità. E facendo appello a questi valori tradizionali sarà possibile restituire ai sardi quella fiducia in sé stessi, quella coscienza comunitaria, necessarie per una lotta che abbia come obiettivo l'indipendenza e la redenzione sociale.

    Saremmo ciechi se trascurassimo questa condizione essenziale per la lotta. Quei valori etnici sono serviti in passato agli irlandesi, ai maltesi, agli algerini, ai tunisini per la conquista della loro indipendenza politica ed economica. Quegli stessi valori consentono oggi la lotta ai bretoni, ai baschi, ai catalani, ai gallesi, agli scozzesi, ai cattolici dell'Irlanda del Nord, ai Curdi, ai Biafrani, e a tutte le comunità e minoranze che non hanno conquistato intera la loro libertà.

    L’Italia ha dimostrato la sua incapacità e la sua impotenza nel risolvere i nostri problemi. Troppe volte e per troppo tempo abbiamo concesso una dilazione allo Stato italiano perché facesse ammenda dei passati errori. Ma lo Stato italiano ha dimostrato e dimostra oggi di essere ferocemente colonialista e liberticida nei nostri riguardi.

    Fare a meno dell'Italia diviene oggi per noi una necessità, in assoluto.

    Non vi sono altre strade da percorrere.

    Noi vogliamo conquistare l'indipendenza per integrarci, non per separarci, nel mondo moderno. E la scelta non può essere che nostra, autonoma, cosciente, decisiva.

    Noi siamo nella stessa posizione di quei paesi del Terzo Mondo che, nelle loro articolazioni nazionali, hanno già compiuto i primi passi verso l'indipendenza.

    Ma noi siamo rimasti indietro. Abbiamo dato credito allo Stato italiano. Abbiamo perso venti e più anni nutrendoci di speranze e promesse mai mantenute.

    Non vi sono altre vie né altre speranze


    Non vi sono per noi altri tipi di libertà se non quella che otterremo con la conquista della piena indipendenza.

    La strada è aperta, ma è dura e cosparsa di ostacoli. Noi siamo certi che la «Questione Sarda» che si trascina senza speranza da centoventi anni, da quando cioè il Piemonte con un colpo di mano procedette all'annessione della nostra isola, potrà avere una soluzione soddisfacente soltanto quando avremo il nostro «Stato».

    E su questa strada ci incamminiamo con la certezza che i sardi acquisiranno quella coscienza che tanti secoli di dominazioni, di oppressione e di persecuzione hanno in parte sopito.

    E così costruiremo la nostra storia, la nostra economia, la nostra redenzione sociale: in un mondo di popoli liberi e uguali.


    San Leonardo de Siete Fuentes, 22 giugno 1969

  8. #38
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    Predefinito Re: Antonio Simon Mossa

    Sa Repubblica Sarda

    Anno XXV – N. AGOSTO 2003


    Antonio Simon Mossa
    e il federalismo
    delle regioni e delle etnie.


    “L’identità, la nuova identità della Sardegna, può essere un punto di partenza per confrontarsi con il mondo e non il circolo chiuso che crea un nuovo e più pericoloso etnocentrismo.”


    di GIANFRANCO CONTU


    La Sardegna, al pari di altri popoli europei ed extraeuropei costituisce una comunità etnico -linguistica non riconosciuta dallo Stato a cui appartiene giuridicamente, e pertanto ha il sacrosanto
    diritto ad autogovernarsi.



    L’idea di una federazione delle regioni euro-mediterranee non è recente e non nasce con Simon Mossa. Essa è presente, sia pure in forma embrionale, sin dalla seconda metà dei secolo XIX in alcuni pensatori sardi (Azuni, Sanna, Tuveri) e della Penisola (Della Marmora, Del Zio) attraverso la mediazione degli studi di Gioele Solari sulla questione sarda. Alle tesi solariane torneranno nel primo dopoguerra alcuni padri fondatori dei sardismo

    a) Camillo Bellieni nel 1922, nelle pagine di “Critica politica", richiamandosi proprio a Floriano Dei Zio, parlò di «funzione mediterranea della Sardegna»;

    b) Luigi Battista Puggioni, sempre nel 1922, su Il Solco con il suo Saluto ai fratelli di Catalogna, rilanciò l'idea della federazione mediterranea allarmando lo stesso Mussolini, che ne fece cenno in un suo discorso alla Camera subito dopo la Marcia su Roma;

    c) ma fu soprattutto Egidio Pilia con il suo saggio L'autonomia delle grandi Isole su “Il Solco" nel 1921, e più tardi con la missione mediterranea della Sardegna nella mente di Alberto La Marmora, pubblicato su "Il Nuraghe" nel 1926, a tornare con prepotenza sulla tematica della Federazione mediterranea, non senza un cenno ad una sorta di vocazione egemonica dell'Italia (tramite la Sardegna) verso il Mediterraneo.

    Non bisogna dimenticare che quelli tra il 1923 e il 1926 erano gli anni dell'esperimento del Sardo-fascismo a cui Pilla aveva, sia pure temporaneamente, aderito. Altri esponenti sardisti invece, Lussu in testa, non presero sul serio la questione, limitandosi a dibattere il tema di una Repubblica federale in Italia, nella quale venisse inquadrata una Sardegna autonoma. Fu anzi soprattutto Lussu, nel periodo dell’emigrazione in Francia, con il movimento “Giustizia e Libertà" e i suoi organi di stampa, a compiere una trattazione organica del federalismo italiano, continuando poi quella battaglia nel secondo dopoguerra in seno alla Costituente culminata in una cocente sconfitta.

    Ci vorranno quasi venti anni, verso la metà degli anni '60, perché il discorso sul federalismo, entro una formula completamente rinnovata, venga ripreso e rilanciato politicamente. Fu Antonio Simon Mossa, esponente del Partito Sardo d'Azione, e sia pure su posizioni di minoranza, a imprimere la svolta. Li nuova formula era quella della Federazione Euromediterranea delle Regioni e delle Etnie, che richiamava certo l'antico sogno dei sardisti degli anni Venti.

    L’originalità di Simon Mossa, però, stava proprio nell'aver saputo fondere l'idea federalista con quella delle minoranze etnicolinguistiche e delle comunità nazionali non riconosciute, fra le quali anche la Sardegna doveva trovare adeguata collocazione. Infatti i sardisti, per il lungo periodo che va dal combattentismo al 1968 (cioè per circa un cinquantennio), e con la sola eccezione di Egidio Pilia, non ebbero mai - come si vede dai documenti congressuali e dalla stampa - la chiara percezione dell'esistenza di una nazionalità sarda ben distinta da quella italiana. La confusione fra il concetto di Nazione e quello dì Stato è evidente, e il problema etnico-linguistico è completamente ignorato.

    Per Simon Mossa la Sardegna, al pari di altri popoli europei ed extraeuropei (Catalani, Baschi, Occitani, Curdi, ecc.) costituisce una comunità etnico-linguistica non riconosciuta dallo Stato a cui appartiene giuridicamente, e pertanto ha il sacrosanto diritto ad autogovernarsi.

    Nella sua minuziosa analisi delle nazionalità senza Stato, Simon Mossa opera una magistrale distinzione:
    a) da un lato si pongono le «minoranze nazionali» (tali sono ad es.: in Italia i Sud Tirolesi e i Valdostani, che confinano con Stati stranieri di eguale nazionalità, rispettivamente l'Austria e la Francia), costituenti popolazioni minoritarie incorporate politicamente in uno Stato, l'Italia, dal quale differiscono per lingua, cultura e tradizioni, e comunque da questo oggi riconosciute come tali;
    b) dall'altro si pongono le «comunità nazionali», popolazioni cioè più o meno vaste e compatte le cui lingue, cultura e tradizioni, sono egualmente diverse dallo Stato che le incorpora, e che però non hanno alcun riferimento ad un altro stato che abbia le stesse caratteristiche etniche, con l’aggravante di non essere, riconosciute come tali dallo Stato: fuori d'Italia è il caso dei Catalani e dei Ba-schi in Spagna, dei Bretoni e degli Occitani in Francia, e in Italia è il caso dei Friulani, e finalmente dei Sardi. Simon M ossa definisce queste comunità come «colonie interne» dello Stato egemone. La lotta quindi deve essere condotta per costringere lo Stato a riconoscere, queste comunità etnico-linguistiche ai sensi dell’art. 6 della Costituzione) e contemporaneamente per rivendicare il diritto delle stesse comunità all'autogoverno.

    Tuttavia, nel pensiero politico di Simon Mossa, nel corso degli anni '60, è possibile individuare due momenti diversi:

    a) dal 1961 al 1966, pur esponendo i suoi concetti sulla nazionalità sarda e sull'esigenza per l'isola di una autonomia politica ed economica munita di vaste competenze, egli non mette sostanzialmente in discussione l'appartenenza della Sardegna ad uno Stato italiano che si trasformi in Repubblica federale. Nella sua Nota critica introduttiva alle tesi per il Congresso provinciale sardista di Ozieri del 21 novembre 1965, Simon Mossa parla di una «Sardegna libera e autonoma, integrata in una maggiore comunità come quella italiana»;

    b) successivamente, Simon Mossa perderà gran parte del suo ottimismo circa la possibilità di approdare a un riconoscimento della comunità sarda per la via naturale delle trattative. Il suo indipendentismo va accentuando la sua carica rivoluzionaria, mentre prende sempre più corpo la prospettiva di una futura Federazione di Regioni e di Comunità Etniche, in primo luogo di quelle non riconosciute dagli Stati che le incorporano, e che da lui sono denominate «Terzo mondo europeo». Qualcosa di diverso, insomma, dal tipo di Europa degli Stati che andava delineandosi. Al Convegno di Ollolai nel 1967 egli tuonava: «Noi siamo per il sistema aperto, armonico ed equilibrato dell'Europa delle Etnie, contro il principio chiuso degli Stati; sarà così possibile per noi, come per altre comunità etniche, giungere alla riforma delle strutture sociali, fuori dei nazionalismi dei domini coloniali».

    Al Convegno di S. Leonardo nel 1969, la posizione di Simon Mossa è ancora più chiara: «Se un popolo dovrà risorgere dal limbo in cui si trova, dovrà avere il suo Stato. Fare a meno dell'Italia diviene per noi una necessità in assoluto Non ci sono altre strade da percorrere. Noi vogliamo conquistare l'indipendenza per integrarci, non per separarci, nel mondo moderno».

    Ormai prossimo alla fine scriverà nell'agosto 1971 su “Sardegna libera”: «Se noi non ci battessimo per il riscatto del popolo sardo, per la sua indipendenza totale, per che cosa ci do dovremmo battere? quale bandiera dovremmo agitare? ... Forse che la causa del popolo basco non è giusta? È mai possibile che noi che siamo un popolo schiavo umiliati, sfruttati, perseguitati, dispersi, dobbiamo continuare a schierarci a fianco dei dominatori?».

    Nello stesso anno, a soli 58 anni, Simon Mossa si spegnerà prematuramente. La battaglia nazionalitaria non si fermò comunque con la morte di Fidél (uno degli pseudonimi più usati da Si mon Mossa). Essa continuava nei circoli e nei movimenti esterni al Partito Sardo d'Azione (ricordiamo tra i più importanti, “Città Campagna” e successivamente "Su populu sardu” con il suo giornale bilingue omonimo, e “Sardegna cultura" con il suo periodico d’assalto, anch’esso bilingue, Nazione Sarda”).

    Fu soprattutto "Nazione Sarda" (con gli altri giornali di orientamento neosardista) a portare avutiti la campagna a favore dì una legge dì iniziativa popolare per il riconoscimento giuridico della lingua sarda e contemporaneamente per la revisione dello Statuto speciale in un'ottica federalista, senza però cadere nella spirale del separatismo. Dal canto suo il PsdAz, nel corso di una serie di Congressi operò una salutare revisione ideologica, accogliendo le tematiche che venivano dal movimentismo e dall'opera di Simon Mossa, mutuando da quest'ultimo l'opzione indipendentistica.

    Aveva inizio così il terzo momento del sardismo, quello del sardismo nazionalitario, o, se si vuole usare un'espressione da me introdotta, aveva inizio il «Terzo sardismo», che doveva rivoluzionare il panorama politico isolano. Negli anni seguenti, dopo una prima impennata elettorale, dovuta proprio al nuovo corso ideologico, il PsdAz non seppe far tesoro di quel momento favorevole e il c.d. «vento sardista» si attenuò, fino a tornare quasi ai minimi storici dei primi anni '70.

    Forse, era mancata la guida di un leader carismatico come Simon Mossa (scomparso troppo presto) per far crescere culturalmente il partito secondo le nuove tematiche. D'altro canto, il movimentismo neosardista è durato pochi anni, è vero, però ha avuto il merito di compiere il miracolo di far entrare tematiche prima ritenute eretiche (come «nazionalità sarda», «nuova autonomia», «federalismo») all'interno di quasi tutte le forze politiche isolane.

    Oggi, purtroppo, esauritosi lo spirito rivoluzionario del movimentismo e dopo la "debacle" del PsdAz si comincia a parlare sempre più di «post-sardismo» (fortunata espressione coniata da Antonello satta, scomparso recentemente). E questo appare un segnale di rilevante importanza simbolica che sembra decretare la disfatta stessa di quel sardismo che ha finito una lunga parabola storica e culturale, senza riuscire a rinforzarla di senso politico strategico.

    Io non so se il sardismo tradizionale sia compatibile con i problemi dello sviluppo globale. Quel che è certo è che senza un forte sentimento di identità nazionalitaria, le piccole patrie sono destinate ad essere fagocitate dal mercato globale. Ma l'identità, la nuova identità della Sardegna, può essere un punto di partenza per confrontarsi con il mondo e non il circolo chiuso che crea un nuovo e più pericoloso etnocentrismo. Simon Mossa avrebbe sicuramente appoggiato questa nuova idea della Modernità, e avrebbe probabilmente valutato che dietro le maschere dell'identità si possono nascondere anche pericoli mortali. Simon Mossa era contrario a ogni ipotesi di riserva indiana.

    Il compito della nuova politica dell'identità deve assumersi la grave responsabilità di liberare la nostra identità etnica dai pericoli del circolo chiuso; è questo il modo più produttivo per passare dalla celebrazione alla attualizzazione di un grande inascoltato.

  9. #39
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito Re: Antonio Simon Mossa

    Ovviamente, il titolo corretto della Testata è Sa Republica Sarda, con una sola "b".
    Il correttore automatico non perdona.

  10. #40
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito Re: Antonio Simon Mossa

    In occasione del 50° anniversario della morte di Antonio Simon Mossa, avvenuta il 14 luglio del 1971, alcune personalità e associazioni ne hanno ricordato la Sua immensa statura.
    Tra questi, l’unico ad averlo conosciuto e frequentato, diventandone il “discepolo” più rappresentativo, è ovviamente Giampiero “Zampa” Marras.
    Ho scelto di riportare alcuni degli interventi tratti dai rispettivi profili facebook, in ordine:

    Giampiero Zampa Marras
    UN RICORDO DI SIMON MOSSA NELLA RICORRENZA DELLA SUA MORTE.

    Giampiero Zampa Marras
    LA NASCITA DEL M.I.R.SA.

    Francesco Casula
    ANNIVERSARI. Ricordando Antonio Simon Mossa a 50 anni dalla sua scomparsa, il 14 luglio 1971.

    Andrìa Pili
    14 LUGLIO 1971-2021

    Liberu - Lìberos Rispetados Uguales (Pier Franco Devias)
    In ammentu de su Babbu de sa Patria sarda.


    Dal sito della Fondazione Sardinia:
    Il 14 luglio 1971 è morto Antonio Simon Mossa, di Salvatore Cubeddu.
    Link:
    http://www.fondazionesardinia.eu/ita...MuBJ5gshhFBFg4

 

 
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