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    Predefinito Il Quarto Stato e la rifondazione del PSI (1977)



    di Simona Colarizi – “Mondoperaio”, settembre 1977, pp. 116-119.


    Il dibattito su alcuni nodi fondamentali della storia del socialismo che si va sviluppando da qualche tempo e l’interesse crescente che questi temi sollecitano anche al di fuori dei confini di un confronto strettamente storiografico, hanno alla base, a mio avviso, un duplice ordine di considerazioni.
    Con lo sviluppo e l’approfondirsi degli studi sull’avvento del fascismo, sugli anni del regime, sul periodo dalla Resistenza alla Repubblica, sugli ultimi trent’anni, si è venuto formando un terreno di ricerca sempre più vasto e aperto a interventi e ad analisi necessariamente interdisciplinari che consentono la individuazione delle zone rimaste in ombra, la valorizzazione di componenti storiche, politiche, sociali, economiche tralasciate o sottovalutate dalla storiografia tradizionale. Si è in sostanza verificata una maturazione dell’indagine storiografica tradottasi molto speso in una vera e propria rottura con gli schemi interpretativi del passato e nel superamento di quel conformismo politico che era alla base di un certo tipo di storiografia celebrativa decisamente datata.
    D’altra parte, l’evoluzione della politica italiana ha contribuito ad accelerare questo processo, stimolando il ripensamento e l’analisi critica dei momenti storici più significativi e di conseguenza risultando a sua volta investita dai problemi che l’indagine storica andava via via sollevando.
    Per quanto riguarda la storiografia socialista, è indubbio che il momento politico attuale, nelle sue implicazioni contingenti e nelle prospettive del domani, gioca un ruolo di potente acceleratore sollecitando una serie di interrogativi e di risposte che investono la funzione, l’identità, la strategia e l’ideologia del PSI e delle diverse componenti politiche della cosiddetta “area socialista”. Intorno alla “questione socialista” è così cresciuto un fermento e una tensione nuova rivolta ad identificare le radici, l’evoluzione, gli sviluppi del socialismo italiano attraverso la sua storia, a scioglierne i nodi più controversi in una ricerca critica e autocritica delle carenze, degli errori, delle debolezze, ma anche e soprattutto in una tentativo di recuperare al socialismo come forza operante della sinistra italiana, portatrice di un progetto e di una strategia politica, il suo patrimonio ideologico e culturale, le sue potenzialità di sviluppo, le sue componenti politiche e ideali rimaste vitali anche se atomizzate in un contesto disgregato.
    È significativo infatti che nei momenti di confronto, divenuti più frequenti in questi ultimi due anni, sui temi e i problemi della politica socialista di oggi si sono venute intrecciando costantemente la valutazione e l’analisi del passato, anche remoto, attraverso le quali da un quadro frammentario si va ricomponendo una fisionomia del Partito socialista e del socialismo italiano su alcune linee direttrici la cui continuità storica e politica costituisce la indispensabile base di partenza per individuare il terreno ideologico e politico del dibattito attuale.
    In questa prospettiva la recente pubblicazione dell’antologia de “Il Quarto Stato” (Il Quarto Stato di Nenni e di Rosselli, Sugarco, Milano, 1977) e la riedizione della Storia di quattro anni di Pietro Nenni (Sugarco, Milano, 1976), entrambe curate da Domenico Zucàro, acquistano non solo dal punto di vista dell’interesse storico, ma, come dicevo, anche sul piano politico, un valore particolare. Anche perché esse offrono un contributo documentario a tutta una serie di recenti interventi sulla storia del PSI che, nella molteplicità dei temi dibattuti, hanno individuato negli anni successivi al primo conflitto mondiale il momento di continuità o di frattura all’origine del partito che si ricostruisce in Italia dopo la Resistenza e affronta nel ’46 le prime libere elezioni.
    La chiave di lettura della politica socialista di questo periodo offerta da questi due volumi è di interesse eccezionale: gli anni dalla fine della grande guerra alla marcia su Roma, rivissuti e interpretati criticamente durante l’Aventino da Pietro Nenni, uno dei principali protagonisti, si saldano alla diretta testimonianza del fermento politico in atto nelle file socialiste nell’estrema fase della lotta in Italia, diventano cioè per Nenni già materiale storico di indagine sul quale impostare le linee della nuova strategia socialista quale egli viene elaborando sulle pagine del “Quarto Stato”. Scritta nel ’26, la Storia di quattro anni costituisce dunque parte integrante dell’azione politica del leader socialista, supporto indispensabile di quel processo autocritico aperto dalle nuove generazioni socialiste che, per loro esplicita dichiarazione, costituisce la base necessaria per procedere a un profondo rinnovamento del partito e per la definizione di una strategia socialista.
    Si tratta di un momento estremamente significativo nella storia del PSI: alla vigilia della definitiva soppressione di tutte le libertà e della messa fuori legge dei partiti, nell’area socialista si apre un confronto politico e ideologico serrato che palesa non solo la volontà dei giovani militanti di ridiscutere a fondo le scelte tattiche e strategiche offrendo anche sul piano operativo un nuovo indirizzo di lotta contro il fascismo; ma soprattutto, nella ormai lucida consapevolezza di lavorare su tempi lunghi, emerge nel dibattito aperto dal “Quarto Stato” lo sforzo di fissare i grandi temi di un progetto di società per il dopo fascismo, e quindi del ruolo e dell’identità del Partito socialista.


    (...)
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

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  2. #2
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    Predefinito Re: Il Quarto Stato e la rifondazione del PSI (1977)

    Alla luce di questa elaborazione, mi pare vada rivista la tesi esposta recentemente da Bobbio che, per valutare il processo di ridimensionamento subito dal Partito socialista in questi ultimi trent’anni, individua già nel ’46 una fase calante del PSI: l’affermazione socialista alle elezioni per la Costituente come primo partito della sinistra, anche se con esili margini rispetto al PCI, andrebbe, secondo Bobbio, ulteriormente ridimensionata dal confronto con i dati elettorali e con la forza del partito nel lontano 1919. Il legame di continuità istituito da Bobbio è quello con il PSI del primo dopoguerra, che aveva via via subito in una successione ininterrotta le conseguenze di una serie di sconfitte e di errori di direzione, perdendo progressivamente la sua forza iniziale e ritrovandosi all’indomani della seconda guerra mondiale pericolosamente indebolito e soprattutto ormai portatore al suo interno di carenze politiche, ideologiche, organizzative destinate negli anni seguenti ad accelerarne il processo di disgregazione e a privarlo del ruolo di rappresentanza primaria della classe lavoratrice.
    Consumatasi la vecchia immagine del socialismo italiano negli anni del conflitto mondiale, il Congresso di Bologna del ’19 segna per Bobbio la rottura con la tradizione del passato. Ma il nuovo partito, sviluppatosi sulla contraddizione irrisolta tra massimalismo e riformismo, passa attraverso il biennio rosso e viene poi investito dalla reazione squadrista in una situazione di debolezza ideologica e di incertezza strategica che non può essere controbilanciata dall’enorme crescita di un movimento lasciato privo di un disegno organizzativo rigoroso. L’accettazione del modello rivoluzionario sovietico, assorbito attraverso i moduli massimalisti elevati a ideologia, e insieme le interferenze del riformismo della tradizione, ancora dominante in ruoli chiave, rendono il PSI incapace prima di condurre vittoriosamente la offensiva e in seguito di difendere il movimento operaio dall’attacco fascista. Lacerato dalle scissioni a sinistra e a destra, il Partito socialista si ritrova alla vigilia della clandestinità privo nella sostanza di una identità, diviso dalle masse schiacciate e disperse dal fascismo, incapace di preordinare una strategia di lotta per il futuro che gli assicuri una presenza organizzata nell’Italia del regime. Malgrado il ricco fermento di elaborazione ideologica e politica che per il quindicennio successivo pone il PSI come uno dei centri di riferimento vitale della lotta antifascista e della rivoluzione socialista, la particolare situazione di quegli anni – clandestinità, esilio – le drammatiche condizioni in cui avviene in Italia il passaggio alla lotta armata, impediscono uno sviluppo organico del Partito socialista, condizionando profondamente il suo atto di rinascita all’indomani della liberazione.
    Pur ripercorrendo puntualmente nelle sue grandi linee i problemi del socialismo italiano tra le due guerre, rimane discutibile il punto di partenza di questo tipo di analisi: non è indifferente, infatti, per una lettura della storia del PSI del secondo dopoguerra, stabilire quale partito ha affrontato la responsabilità della politica socialista nel ventennio fascista; vale a dire che è importante stabilire se tra il PSI di Serrati del Congresso di Bologna e quello di Nenni dal ’26 in poi, corra un filo continuo.
    L’ipotesi che si potrebbe avanzare – e che a mio avviso trova nei volumi di Nenni una convincente verifica – parte invece dall’identificazione del periodo 1919-1922 come l’ultima, tormentata fase in cui si consuma e si esaurisce, tra contraddizioni vecchie e fermenti nuovi, l’immagine del socialismo italiano della tradizione, coevo e partecipe fino in fondo dell’ascesa e del declino dello Stato liberale.
    La crisi del vecchio sistema coinvolge il Partito socialista in una contemporanea crisi di cui è espressione preminente proprio quell’incertezza ideologica e politica tradottasi sul piano pratico in una debolezza di direzione suicida, che viene invece assunta, nella tesi di Bobbio, come la fase di origine del nuovo partito. Se invece si individua nel socialismo italiano del biennio rosso il prevalere di aspetti e di componenti ideologiche e politiche tipiche della tradizione del vecchio partito, e si valorizza di contro l’azione di rinnovamento del PSI iniziata da Nenni e dai giovani del “Quarto Stato” nel ’26, nonché le esperienze originali di altri gruppi – e penso soprattutto a Morandi e a GL – come fattori qualificanti di una vera e propria soluzione di continuità nell’evoluzione del socialismo italiano, allora la frattura con la tradizione del passato trova la sua reale datazione in questi anni, e nella fisionomia che va acquistando il Partito socialista dopo il ’26 si deve ricercare il vero antecedente storico del PSI del ’46: di conseguenza viene a cadere il confronto che Bobbio fa con il successo elettorale e la forza organizzativa del partito nel ’19; ma viene meno soprattutto la sostanza di un’analisi che offre come chiave di lettura della storia del partito quella di un progressivo declino del socialismo italiano, dall’epoca prefascista di massima ascesa fino ai giorni nostri.
    Ad avvalorare la tesi che vede nell’attività dei giovani socialisti – i Nenni, i Rosselli, i Morandi – nell’ultima fase della lotta in Italia e poi negli anni della clandestinità e dell’esilio, l’origine diretta del PSI quale si viene ricostruendo dopo la liberazione, contribuiscono a mio avviso una serie di elementi che richiederebbero un discorso lungo e complesso. Vorrei fermarmi perciò solo su alcuni spunti, limitatamente al contributo che a questo discorso è offerto dagli scritti di Nenni del ’26.
    Innanzi tutto alla stessa nascita di “Quarto Stato” presiede una esplicita esigenza di rottura: riconquista dei principi informatori del socialismo attraverso un’opera di rielaborazione critica e ideologica. Spetta ai giovani – scrive Nenni – “riscattare il socialismo dalla recente disfatta”; ai giovani “che male si adattano a ricevere in eredità senza beneficio di inventario, tutto il patrimonio di esperienze e di dottrine della passata generazione”[1]. Dove la volontà di sottrarre il partito alla tutela dei capi storici e di porre in sostanza la propria investitura alla guida del socialismo italiano, si accompagna alla chiara consapevolezza dell’avvenuto esaurimento dopo l’insuccesso anche dell’ultima battaglia aventiniana, di tutta una fase della storia del partito. Ma non si tratta di un mero ricambio generazionale di direzione, del tutto insufficiente di per sé ad avvalorare la tesi di una rottura; piuttosto è il legame indissolubile istituito dai giovani tra movimento socialista e sistema liberale l’elemento che più interessa il nostro discorso. L’individuazione di questo vincolo è la costante della nuova elaborazione; si può dire che costituisca la chiave dell’autocritica, ma direi piuttosto della critica: lo si ritrova nell’analisi del riformismo e del massimalismo, nella nuova affermazione dei valori di libertà e di democrazia sui quali si basa tutto lo sforzo di definizione della nuova identità del partito.
    Del resto il momento drammatico in cui si determina la contestazione della nuova generazione è significativo di una svolta che necessariamente si viene esprimendo a livello giovanile: a guidare il partito nei tormentati anni del dopoguerra sono ancora quei dirigenti che hanno vissuto e operato nell’epoca precedente, che sono di conseguenza, portatori degli ideali politici sviluppatisi nel ventennio precedente a livello italiano e internazionale. Investita dallo sconvolgimento della guerra, responsabile della gestione del partito coinvolto in pieno dall’esplodere di fermenti rivoluzionari di tipo nuovo, la vecchia direzione del PSI si dimostra incapace di far fronte ai problemi della realtà postbellica nella quale sono saltati i termini della dinamica politica tradizionale. La responsabilità della terribile sconfitta del movimento socialista, tradottasi in un atteggiamento impotente e passivo in occasione dell’Aventino, spinge i vertici del PSI al momento dell’applicazione delle leggi eccezionali in uno stato d’animo liquidatorio molto vicino alla rinuncia vera e propria.

    (...)


    [1] P. Nenni, Perché, in “il quarto Stato”, 27 marzo 1926 (firmato NOI); ora in Il quarto Stato di Nenni e Rosselli, a cura di Domenico Zucàro, Milano, 1977, p. 45.
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    Predefinito Re: Il Quarto Stato e la rifondazione del PSI (1977)

    È naturale dunque che tra i giovani, maturati alla politica proprio nel dopoguerra, si sviluppino i germi del fermento critico e di una volontà d’azione che deriva anche dalla loro maggiore aderenza all’attuale tessuto politico e sociale e di conseguenza da una capacità di comprensione più diretta degli avvenimenti in atto nel paese. E questa esigenza conoscitiva, finalizzata però allo sforzo di superare le contraddizioni, gli antichi, inadeguati schemi in funzione di una nuova strategia socialista, si esprime negli articoli di Nenni in un processo al riformismo e al massimalismo, in una prima già articolata interpretazione del fenomeno fascista, nella riscoperta e nella riappropriazione dei valori democratici: e basterebbe, a mio avviso, quest’ultimo elemento per definire la portata della svolta. Del resto, nel momento in cui ci si impegna a sciogliere i nodi delle scissioni, a valutare le contraddizioni tra le parole d’ordine e l’azione concreta, al centro dell’indagine sono sempre i due filoni ideologici tradizionali del socialismo italiano dell’età giolittiana dei quali si devono misurare le apparenti modificazioni subite nel dopoguerra, ma soprattutto la loro inadeguatezza in una situazione che era in primo luogo il risultato della disgregazione del sistema politico in cui avevano avuto origine.
    E non è casuale che la critica dei giovani socialisti, specie di Nenni, sorvoli – a livello di analisi ideologica – sulla componente comunista, quasi ad identificare in essa un filone autonomo, figlio del dopoguerra, già di per sé portatore di un discorso rinnovato rispetto alla tradizione. (Diverso al proposito sarà l’atteggiamento di Morandi che considera riformismo, massimalismo e comunismo tre diversi aspetti del vecchio socialismo). Respinta però l’ideologia comunista, Nenni e i giovani socialisti si trovano nella necessità di procedere ad una vera e propria rifondazione del partito. Il contributo specifico di Nenni, più che su un piano strettamente dottrinario, si sviluppa soprattutto sul terreno strategico, attraverso una serie di indicazioni di massima enunciate nel ’25 e destinate a rimanere i motivi qualificanti della politica del partito negli anni dell’esilio fino al 1934: riunificazione socialista sulla base del superamento della scissione di Roma; politica delle alleanze con le forze borghesi schierate sul terreno della lotta antifascista; adesione all’Internazionale socialista[1]. Questi tre obiettivi che presuppongono la soluzione della dicotomia riformismo-massimalismo, l’acquisizione del patrimonio democratico, l’inserimento del socialismo italiano in un contesto internazionale ben determinato, segnano il completo superamento del Congresso di Bologna.
    Dittatura del proletariato, insufficienza del metodo democratico, teorizzazione dell’azione insurrezionale, organizzazione del partito in schemi rivoluzionari che erano stati i postulati alla base del programma del ’19, avevano avuto del resto già negli anni della lotta e della sconfitta la loro verifica in negativo. Ma superata appare anche la linea riformista turatiana: collaborazione parlamentare, lenta ascesa del movimento operaio attraverso le istituzioni democratiche borghesi, sono obiettivi che il fascismo al potere ha reso improponibili e privi di qualunque sostanza politica come programma di lotta.
    D’altra parte, è proprio l’avvento della dittatura mussoliniana a costringere il PSI ad una rottura con il passato: rimanere fedeli al programma di Bologna significava adottare inevitabilmente le scelte di lotta del PCI, identificando il fascismo come un esclusivo fenomeno di reazione di classe e aderendo quindi alla proposta comunista di “un fronte unico socialcomunista contro l’insieme della borghesia, in tutte le sue divisioni e sfumature”[2]. E questo infatti diventa l’esito politico della maggioranza della componente socialista rimasta fedele al massimalismo negli anni dell’esilio.
    Per i riformisti il discorso è diverso: la perdita di ogni margine d’azione democratica all’interno del sistema fascista, li porta necessariamente sul terreno della rivoluzione antifascista; la scelta dell’alleanza con la borghesia antifascista e l’adozione dell’obiettivo della repubblica democratica li rende disponibili al progetto di unità perseguito tenacemente da Nenni. Certo, la liquidazione del vecchio riformismo si traduce in un’operazione molto più formale che sostanziale, per lo meno alla luce della riunificazione del partito nel ’30. Essa è destinata però, col passare dell’elaborazione classista del Centro Interno, con le modificazioni strategiche del ’34, ad acquistare spessore: attraverso il confronto proprio sul terreno della democrazia, si delinea un discorso autonomo e originale rispetto alla mitizzazione riformista delle istituzioni democratiche a cui si riconosce solo un valore strumentale per lo sviluppo del movimento operaio. “Una vera democrazia non esiste là dove esistono profonde disparità economiche” – scrive Nenni. “Il criterio della maggioranza, della sovranità popolare, che è in sé sacrosanto, acquista un valore puramente formale, quando una minoranza detiene nelle sue mani gli strumenti effettivi del potere”[3].
    Contro l’illusione riformista delle potenzialità democratiche del sistema capitalistico si va dunque affermando una visione della democrazia come valore originale esclusivamente di una società socialista, come forza rivoluzionaria, come – per usare le parole di Nenni – essa stessa “rivoluzione permanente”. In questa luce l’elaborazione socialista iniziata nel ’26, pur attraverso le successive modificazioni, si sviluppa sul tema costante della democrazia nel quale la politica delle alleanze e le fasi intermedie ipotizzabili nella lunga battaglia per la costruzione della nuova società diventano altrettante tappe di una lotta democratica antifascista che finisce per coincidere con la lotta per il socialismo.

    Simona Colarizi


    https://www.facebook.com/notes/pietr...2434280206405/


    [1] P. Nenni, Lettera ai compagni, 14 novembre 1925: il testo della lettera è pubblicato in R. DE FELICE, L’ “unità socialista” nel 1925-26, “Mondo Operaio”, nn. 8-9, agosto-settembre 1965. Cit. in Il quarto Stato di Nenni e Rosselli… op. cit., pp. 11-12.

    [2] P. Nenni, La politica socialista, “Il quarto Stato”, 27 marzo 1926; Il quarto Stato di Nenni e di Rosselli… op. cit., p. 50.

    [3] P. Nenni, La milizia proletaria, “Il quarto Stato”, 17 luglio 1926; Il quarto Stato di Nenni… op. cit., p. 106.
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