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Steven Forti
«Tutto il potere ai Soviet!»
Il dibattito sulla costituzione dei Soviet
nel socialismo italiano del biennio rosso:
una lettura critica dei testi
Introduzione
I Testi
1. Nicola Bombacci, I Soviet in Italia. Pregiudiziali, critiche e proposte concrete, «Avanti!», 27 febbraio 1920
2. Egidio Gennari, Formiamo i Soviet, «La Squilla», 28 febbraio 1920
3. Amadeo Bordiga, Per la costituzione dei Consigli operai in Italia, «Il Soviet», 4 gennaio, 11 gennaio, 1 febbraio, 8 febbraio e 22 febbraio 1920
4. Palmiro Togliatti, La costituzione dei Soviet in Italia. Dal progetto Bombacci all’elezione dei Consigli di fabbrica, «L’Ordine Nuovo», 14 febbraio e 13 marzo 1920
5. Carlo Niccolini, La costituzione dei Soviety, «Avanti!», 5 febbraio 1920
6. Giacinto Menotti Serrati, Qualche osservazione critica preliminare, «Avanti!», 14 marzo 1920
Introduzione
«Invece di considerare i dati della realtà sociale e politica in cui vivevano, invece di individuare i problemi particolari di una rivoluzione "italiana" e di "inventare" un programma di lotta che potesse metterla in pratica, i socialisti italiani non sapevano che gridare come allucinati: "Viva i Soviet!"».[1]
Così dall’esilio parigino, Angelo Tasca commentava, vent’anni più tardi, l’atteggiamento del suo stesso partito in quel drammatico frangente della storia italiana etichettato come “biennio rosso”.
Il periodo compreso tra la fine della Grande Guerra e la Marcia su Roma è generalmente bollato dalla storiografia come “crisi dello stato liberale” e “origini del fascismo”. In esso spicca per intensità il biennio 1919-1920, ricordato e studiato come un inaspettato antecedente del successivo ventennio nero. Allo stesso tempo, momento di massima auge e di capitolazione definitiva del movimento operaio italiano: alle immagini delle pacifiche occupazioni delle campagne e delle fabbriche si succedono rapidamente le immagini delle violenze delle squadre fasciste.
La storiografia repubblicana ha versato litri d’inchiostro sulla Comune di Parigi del movimento operaio italiano, soprattutto nel decennio posteriore al Sessantotto. Come per il soggetto politico principale – il socialismo massimalista – anche per una delle questioni cruciali di quel momento – la costituzione dei Soviet – l’oblio, consapevole ed inconsapevole, ha avuto il sopravvento. Negli anni del pansindacalismo e dell’ultima sfida a grande scala della “democrazia operaia” al sistema capitalista, l’attenzione, se non è andata alla nascita del PCd’I e alla figura di Bordiga, è stata tutta per gli esperimenti consigliari del gruppo ordinovista e per le teorizzazioni di Antonio Gramsci[2]. Lo studio del passato rifletteva un interesse determinato alla messa in pratica nella politica del presente. Così, la questione della costituzione dei Soviet in Italia non ha avuto fortuna né in campo politico né in sede storiografica, al pari del personaggio che per primo la propose, Nicola Bombacci. Al di là di qualche superficiale accenno in opere di più vasta portata o in qualche sporadico articolo[3], questa problematica e questo pezzo di storia del socialismo italiano sono stati lasciati in un cassetto.
La questione della costituzione dei Soviet fu, al contrario, un tema centrale nel socialismo italiano del “biennio rosso”. Già al XVI Congresso Nazionale del PSI (Bologna, ottobre 1919), nella mozione della frazione massimalista elezionista di Serrati, Gennari, Salvatori e Bombacci si riconobbe
«che gli strumenti di oppressione e di sfruttamento del dominio borghese (Stati, Comuni e amministrazioni pubbliche) non possono in alcun modo trasformarsi in organismi di liberazione del proletariato; che a tali organi dovranno essere opposti organi nuovi proletari (Consigli dei lavoratori, contadini e soldati, Consigli dell’economia pubblica, ecc.), i quali, funzionanti da prima (in dominio borghese) quali strumenti della violenta lotta di liberazione, divengano poi organismi di trasformazione sociale ed economica, e di ricostruzione del nuovo ordine comunista»[4].
Alla Camera dei deputati, il 13 dicembre 1919, il segretario politico del PSI Bombacci, nel documento parlamentare di risposta al discorso della Corona del 1 dicembre, propose l’emendamento:
«è quindi legittima la costituzione dei Consigli dei Lavoratori, assegnando ad essi tutto il potere politico ed economico, affinché anche in Italia, come nella gloriosa Russia dei Soviets, si giunga ad un assetto sociale basato sul principio: Chi non lavora non mangia»[5].
Ed esattamente un mese più tardi, al primo Consiglio Nazionale del PSI (Firenze, 11-13 gennaio 1920), lo stesso Bombacci espose il progetto per la costituzione dei Soviet in Italia. Il leader massimalista romagnolo invitava, in questo modo, «la Direzione del Partito ad iniziare un’ampia discussione fra le masse operaie del Partito e coi rappresentanti dell’organismo di classe”, affinché si provvedesse “alla definitiva costituzione dei Consigli dei lavoratori»[6].
Tra l’ottobre del 1919 e il gennaio del 1920 si era già sviluppata una certa discussione riguardo alla questione soviettista. A. Tasca sull’«Ordine Nuovo» e A. Bordiga su «Il Soviet» avevano iniziato a delineare due delle posizioni chiave del futuro dibattito interno al socialismo italiano. Dopo la lettura del progetto bombacciano al C. N. del PSI di Firenze, calò però per due settimane il silenzio sulla costituzione dei Soviet in Italia. Il 28 gennaio venne finalmente pubblicato sulle pagine dell’edizione milanese dell’«Avanti!» il progetto, dopo che se ne andava chiedendo la divulgazione a livello nazionale dalla metà del mese.
H. König, nel suo studio dei rapporti intercorsi tra il socialismo italiano e Lenin nel periodo 1915-1921, rileva come, dopo tale pubblicazione, continuò la discussione «invero assai astratta, sull’essenza e la funzione dei Soviet, dando alle singole correnti del PSI l’occasione di rimproverarsi a vicenda di non aver capito l’essenza del sistema sovietico, di misconoscere lo spirito dei tempi e di mancanza d’autentico spirito rivoluzionario.»[7] E come Tasca, un altro dirigente socialista in esilio, P. Nenni, sosteneva nel 1926 che «la discussione fu assai confusa e mostrò come si trattasse di un problema non sentito dal Partito»[8]. Se ciò può anche essere vero parzialmente per quanto concerne la base, i militanti, tale affermazione non è assolutamente applicabile alle alte sfere del partito socialista. Seppur a fatica, la discussione tanto sollecitata da Bombacci in qualità di segretario politico e di promotore del progetto soviettista venne infine accolta al punto che si può affermare con certezza che il dibattito riguardo alla costituzione dei Soviet in Italia, tanto rapidamente dimenticato nei decenni seguenti, fu centrale nel socialismo italiano per almeno quattro mesi, dal gennaio all’aprile 1920. Registrò gli interventi di tutti i maggiori dirigenti del PSI e degli intellettuali socialisti del tempo sia sulle colonne del quotidiano nazionale del partito, l’«Avanti!», sia sulle riviste socialiste contemporanee come «Comunismo», «L’Ordine Nuovo» e «Soviet», rappresentative delle varie correnti del PSI. Gli si dedicò ampio spazio anche sulla stampa locale del partito, con un notevole impegno teso alla divulgazione del progetto e della problematica, e nelle riunioni delle federazioni provinciali socialiste e delle Camere del Lavoro, dove si contarono numerosi ordini del giorno concernenti la costituzione dei Soviet. L’interesse riguardo al nuovo organismo proletario si protrasse fino al seguente Consiglio Nazionale del PSI tenutosi a Milano a metà aprile, dove tre intere sedute, alla presenza della Direzione e dei fiduciari del Partito, furono dedicate alla questione. La mancata chiarificazione tra le correnti e la votazione di un ordine del giorno di massima che accontentò tutti e nessuno, insieme all’emergere di altre impellenti problematiche[9], stroncarono le gambe a qualunque serio tentativo di procedere alla costituzione del sistema soviettista in Italia.
La quasi completa bocciatura della proposta d’instaurazione dei Soviet e il fallimento della prospettiva rivoluzionaria unitamente ai rimpianti per le possibilità che si perdettero nel “biennio rosso” non giovarono assolutamente a che la questione venisse ricordata e studiata. Così i Soviet e tutta la grande attività teorica e propagandistica svolta caddero presto nel dimenticatoio, finirono solo per essere un vago ricordo, un errore di percorso, frutto della luce emanata dal primo paese dove il socialismo era al potere. L’organismo sulla cui instaurazione bene o male tutti si trovavano d’accordo nell’inverno del 1920 fu così scavalcato nella ricerca teorica e in quella storica successiva dal Consiglio di fabbrica. Quest’ultimo ebbe il merito sia di essere studiato con una maggiore profondità qualitativa da un gruppo omogeneo sia di essere messo in pratica nella realtà della fabbrica. Come notano Benzoni e Tedesco,
«il Soviet invece resta e resterà sulla carta; perché allora ricordarne la sterile gestazione? Il fatto è che questa gestazione vide un considerevole impegno del partito: una attenzione, al limite, superiore per entità (anche se, naturalmente del tutto inferiore per analisi critica) a quella riservata alla stessa esperienza dei Consigli di fabbrica.»[10]
La questione dei Soviet non è però solo interessante per la sua entità, ma anche per la sua qualità intrinseca. Parlare dei Soviet in quei mesi significava anzitutto parlare del Partito, della Guerra, della Rivoluzione, dello Stato. Al contrario di essere una quaestio esotica, quella dei Soviet è, dunque, una porta che permette l’accesso a molte altre stanze. I Soviet finiscono, insomma, per essere una specie di cartina tornasole della questione della rivoluzione socialista nell’Italia del “biennio rosso”. Le posizioni che vengono a delinearsi con sempre maggiore chiarezza nell’arco di quei primi quattro mesi del 1920 indicano il peso che in Italia veniva dato (o meno) all’Ottobre russo ed alle sue innovazioni politiche, mettendo in primo piano la centralità della questione dell’incontro con il leninismo e del rapporto con il passato. Approfondire tale tematica permette di accedere alla comprensione in Italia della Rivoluzione vittoriosa: quale è il suo vero insegnamento politico e teorico? Dove si confonde l’insegnamento col mito? Cosa raccolgono dall’esperienza bolscevica i socialisti del nostro paese? Le risposte al progetto di Bombacci mostrano le idee circolanti nel PSI riguardo alle questioni del Partito, della Rivoluzione e della Dittatura del Proletariato, facendo comprendere le parole d’ordine sotto le quali si muovono i dirigenti socialisti.
Nel leggere i testi dell’epoca è necessario prestare molta attenzione, in primo luogo, alla terminologia utilizzata. Nenni non sbagliava affatto quando scrisse che «voler trapiantare dalla Russia i Soviet, voleva dire creare un elemento di maggiore confusione»[11]. La confusione, difatti, regnò spesso sovrana, tanto che anche lo stesso «Avanti!» chiamò la relazione sulla costituzione dei Soviet presentata da Bombacci a Firenze «relazione sulla costituzione dei Consigli di fabbrica»: una differenza sostanziale. Questa confusione riguardava il significato dello stesso vocabolo soviet[12] ed andava di pari passo con l’ignoranza del processo rivoluzionario russo: l’estrema difficoltà e aleatorietà delle comunicazioni e dei rapporti tra socialisti italiani e bolscevichi contribuì per tutto il biennio a creare incomprensioni ed equivoci[13]. Alla scarsità di analisi e di informazioni sull’insieme delle vicende che avevano reso possibile la rivoluzione bolscevica si univa una mitizzazione tanto dei vincitori della rivoluzione quanto dell’organismo ritenuto il detentore del potere nel nuovo Stato proletario. Non esiste in alcun organo del socialismo italiano «una sola analisi delle condizioni obiettive, o soggettive, che avevano consentito il trionfo di Ottobre». Il tema del Soviet, al pari, fu
«totalmente ignorato sia nella fase antecedente che nella fase successiva alla Rivoluzione di Ottobre: con il risultato, paradossale ma indicativo, di individuarne, quasi unanimemente, il maggiore ruolo nel periodo successivo anziché antecedente alla presa del potere da parte dei bolscevichi»[14].
I socialisti italiani o presero per vangelo ciò che dicevano i bolscevichi e parlarono di Soviet come di una realtà lontana e inafferrabile da creare ex-novo o si barcamenarono in un difficile tentativo di interpretazione dei Soviet alla luce degli organismi esistenti nella realtà del socialismo italiano, finendo per mantenere valido ciò che era già stato concepito dalla tradizione socialista e dandogli solamente una patina di sovieticità. Si finì, di conseguenza, per denominare Soviet organismi che avevano già un loro nome ed una loro identità, per assegnare ad organismi che erano altro un significato, un ruolo, delle caratteristiche che non gli appartenevano e che non avrebbero mai posseduto. A seconda della persona e del momento, consigli di fabbrica e commissioni di fabbrica, o anche camere del lavoro, cooperative e sezioni del partito vennero ad essere intese come la forma organizzativa italiana che più si avvicinava al Soviet russo, vennero ad essere identificate quasi come la versione italiana dei Soviet.
Tutti i maggiori dirigenti ed intellettuali del socialismo italiano del primo dopoguerra parlarono dei Soviet, prendendo una posizione più o meno chiara riguardo alla loro costituzione nella penisola. Il variegato spettro di posizioni che conviveva ad inizio 1920 – ancora per poco tempo – all’interno del PSI si trovò inaspettatamente d’accordo nel riconoscere l’errore della proposta di Bombacci. Ma se la gran parte degli esponenti del socialismo fu concorde nella condanna, ogni corrente partì da premesse differenti e giunse a conclusioni altrettanto differenti. Nelle risposte al progetto bombacciano e nella discussione che esso avviò, è possibile pertanto individuare e riconoscere le diverse anime del partito socialista italiano, abbozzandone uno schema di comprensione.
Si sono, dunque, riconosciute cinque posizioni, rappresentate da una persona o da un gruppo di persone, che rimasero sostanzialmente coerenti, per questo lasso di tempo, nel loro detto[15]. La questione dei Soviet e della loro costituzione si intrecciò indissolubilmente con almeno altre quattro problematiche politiche ed organizzative di ampio respiro: il Partito, la Rivoluzione, il Consiglio di Fabbrica, il Sindacato. Dare, cioè, un significato (od un altro) al Soviet ed essere favorevole (o meno) alla sua creazione in Italia implicava una determinata concezione politica ed organizzativa di fondo.
Nicola Bombacci – insieme ad Egidio Gennari – viene a rappresentare una prospettiva prettamente soviettista. Il Soviet è il motore di tutto, l’organismo dalla cui creazione dipende qualunque possibilità rivoluzionaria. I Soviet, nelle parole di Bombacci, sono
«la base dello Stato socialista dei lavoratori quali unici organi di potere e di direzione suprema per l’organizzazione della produzione e della ripartizione comunista, nonché per la regolarizzazione di tutto il complesso dei rapporti economici, sociali e politici interni ed esterni che ne derivano»[16].
Essi devono crearsi immediatamente ed in tutta Italia grazie alla collaborazione del Partito che guida, dirige e controlla la loro costituzione prima e durante la rivoluzione. Secondo Bombacci e Gennari, difatti, il primo passo deve essere la conquista del potere politico e solo dopo può avvenire la trasformazione economica, con la creazione dei Consigli di Fabbrica, i quali possono esistere unicamente in regime di dittatura proletaria. Dopo l’evento rivoluzionario, il potere sarà nelle mani della classe lavoratrice, che controllerà sia il Partito sia il Soviet.
Amadeo Bordiga – e con lui la Frazione Comunista Astensionista – si pone da una prospettiva assolutamente partitica. Il dirigente socialista napoletano è tanto critico verso il progetto bombacciano quanto verso gli esperimenti consigliari torinesi. Spostando la prospettiva sulla questione del partito politico comunista, la frazione astensionista vede nelle direttive bolsceviche, riflesse in Italia dal compagno Niccolini, l’unica posizione corretta. Nelle parole del futuro segretario del PCd’I, il Partito – che dev’essere comunista – è «l’avanguardia del Proletariato», lo «strumento della lotta politica di classe del Proletariato», l’agente necessario per l’azione rivoluzionaria, mentre i Soviet sono unicamente la soprastruttura, gli «organi di Stato del proletariato» con i quali la classe lavoratrice esercita il potere politico dopo la rivoluzione. Imprescindibile non è dunque la creazione dei Soviet, bensì la costituzione di un partito comunista «puro da elementi riformisti e collaborazionisti» che faccia la Rivoluzione, prima politica, ossia «del Partito di Classe», poi economica, ossia «per la costruzione del nuovo meccanismo di produzione». Soltanto in un secondo momento possono dunque formarsi i Consigli di Fabbrica, «rappresentanza di interessi operai limitati», che assumono un valore rivoluzionario solo in seguito alla conquista del potere politico.
«L’Ordine Nuovo» – ma riguardo a tale questione soprattutto P. Togliatti, U. Terracini e A. Leonetti – si pone da una prospettiva consigliare. Tra il febbraio e il marzo Palmiro Togliatti condensa in due corposi articoli la visione del gruppo torinese. La condanna della proposta della Direzione – come di tutto il suo operato – si affianca alla difesa dalle accuse lanciate dall’agente bolscevico Niccolini. Anche qui la prospettiva è altra: quella dei Consigli di Fabbrica, accennata già nell’ottobre da Tasca e ribadita anche da Leonetti e Gramsci nei mesi seguenti. Secondo la rivista torinese, la Rivoluzione bisogna che sia anzitutto economica: deve partire dalla «intimità della vita produttiva», ossia dai Consigli di Fabbrica, che riflettono l’«applicazione di un principio nuovo», essendo le basi di una «organizzazione naturale di massa che sorge sul terreno della produzione». Il Partito è dunque «esterno al luogo centrale dello scontro di classe» ed i Soviet – che sono semplicemente «l’estrema impalcatura politica della società» – non devono costituirsi prima della trasformazione economica della società. La sostanza della questione, per gli ordinovisti, sta «nel luogo stesso della produzione» e il compito principale è quello di «educare gli operai a governarsi da sé».
Carlo Niccolini, alias Nikolaj Markovič Ljubarskij, rappresenta fisicamente e teoricamente il punto di vista bolscevico, la prospettiva dei padri della Rivoluzione Vittoriosa sulla questione dei Soviet e della loro costituzione. I ripetuti interventi dell’inviato ufficiale della Internazionale Comunista in Italia mirano dunque ad indicare ai rivoluzionari italiani l’insegnamento russo, che viene però mischiato accortamente alle necessità bolsceviche dell’ora presente. Ancora vicino a Serrati, Niccolini è, come Bordiga, estremamente critico verso la proposta Bombacci e decisamente avverso ai tentativi ordinovisti. Ciò che è fondamentale è «seguire la via comunista»: la Rivoluzione dev’essere quindi prima politica, un «urto violento per la conquista del potere»; ad essa seguirà lo stadio della «lotta per il trapasso di tutto il potere ai Soviety». Secondo Niccolini, il Partito, per poter essere l’elemento trainante della rivoluzione, deve necessariamente essere comunista, sbarazzandosi delle concezioni riformiste. I Soviet sono il risultato dell’urto rivoluzionario, gli «istituti d’azione proletaria rivoluzionaria della dittatura comunista», mentre i Consigli di Fabbrica sono spesso penetrati da «idee localistiche e riformistiche» e dopo la conquista del potere devono fondersi con il Sindacato.
Il direttore dell’«Avanti!» Giacinto Menotti Serrati viene a ricoprire uno spazio vasto e non ben definito nel socialismo italiano riguardo a tale questione. Una posizione che cerca ancora di tenere insieme gli accesi soviettisti bombacciani e i denigratori riformisti dell’esperimento bolscevico. La prospettiva serratiana può definirsi pertanto unitaria, in quanto le risposte del leader massimalista in tale dibattito sembrano più che altro rivolte alla questione dell’unità del PSI, del mantenimento delle divergenti frazioni del partito sotto le sue ampie ali protettrici. Serrati è estremamente cauto e realista sulla questione, le sue risposte propendono per una soluzione intermedia, avulsa da ogni radicalità. Il leader massimalista ha una «concezione collaborazionista e relativistica» del processo rivoluzionario. Il Partito deve dirigere gli esperimenti di costituzione dei Soviet, che sono gli «organi politici della collettività», i nuclei di «diretta presa di possesso del potere politico». Essi possono però costituirsi opportunamente «solo durante e dopo la rivoluzione»: Serrati è pertanto favorevole alla deliberazione di un esperimento di costituzione di un Soviet urbano in una località determinata. Il Sindacato è invece l’unico che possiede «la visione universale della situazione economica»: esso deve procedere congiuntamente al Consiglio di Fabbrica che si occupa solo del «lato della produzione o del controllo della fabbrica» ed ha in sé il germe delle «tendenze riformistiche».
Il dibattito sulla costituzione dei Soviet nel socialismo italiano del biennio rosso