[IL MERCOLEDI’ DI PADRE BROWN] “La croce azzurra”: la prima volta del sacerdote investigatore
di Luca Fumagalli
Inizia con questo articolo una nuova rubrica infrasettimanale dedicata all’approfondimento e al commento dei racconti di Padre Brown, il celeberrimo sacerdote detective nato dalla penna di G. K. Chesterton, tra i più grandi intellettuali cattolici del Novecento. I racconti, a metà strada tra investigazione e apologetica, hanno per protagonista il buffo e goffo Padre Brown, interessato sia a risolvere i crimini che a salvare le anime dei colpevoli.
Per una disamina introduttiva sulla figura di Padre Brown – protagonista pure di vari film, sceneggiati per la televisione e, addirittura, fumetti – si veda il breve articolo al seguente link: https://www.radiospada.org/2018/11/padre-brown-il-grande-sacerdote-investigatore-ideato-da-chesterton/
Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire l’opera di G. K. Chesterton e quella di molti altri scrittori cattolici britannici si segnala l’uscita del saggio “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto: http://www.edizioniradiospada.com/component/virtuemart/ecommerce/narrativa/dio-strabenedica-gli-inglesi-note-per-una-storia-della-letteratura-cattolica-britannica-tra-xix-e-xx-secolo-308-detail.html?Itemid=0
La prima raccolta dedicata al famoso prete detective, L’innocenza di Padre Brown[1] (The Innocence of Father Brown, 1911), si apre con La croce azzurra (The Blue Cross), uno dei racconti più conosciuti ed emblematici di tutta la produzione chestertoniana, dallo stile effervescente, infarcito di arguzia e saturo di paradossi.
Oltre a presentare per la prima volta la figura di Padre Brown e le sue peculiari risorse investigative, la storia è una piccola miniera di aforismi che rivelano il genio umano dello scrittore inglese. Un esempio su tutti è la toccante riflessione sulla possibilità del miracolo e sul valore dell’imprevisto, intuizioni che anticipano quelle espresse da Montale nei suoi versi migliori: «Il fatto più incredibile dei miracoli è che essi accadono veramente. Alcune nuvole in cielo si fondono veramente insieme e si trasformano in un occhio umano che guarda fisso. Un albero sorge nel paesaggio di un viaggio incerto nella forma precisa e complicata di un punto interrogativo. Io stesso ho visto entrambe queste cose in questi ultimi giorni. Così Nelson muore proprio al momento della vittoria; un uomo chiamato William uccide per puro caso un altro chiamato Williamson, il che sembra come una specie d’infanticidio. Insomma, c’è nella vita un elemento di magica coincidenza che la gente che fonda tutto sulla realtà normale può anche non rilevare mai. Come è stato magistralmente espresso nel paradosso di Poe, la saggezza deve pur fare i conti con l’imprevisto».
Non mancano nemmeno considerazioni pungenti del tipo «Egli non era “una macchina che pensa”, perché questa è una frase stupida del fatalismo e materialismo moderno. Una macchina è tale appunto perché con può pensare»; oppure «I francesi elettrizzano il mondo non col dar vita a un paradosso, ma presentando semplicemente una verità di per se stessa evidente; e spingono una verità alle estreme conseguenze, come nella rivoluzione francese»; c’è pure spazio per un certo retrogusto lirico: «La gloria del cielo s’addensava e diveniva sempre più profonda attorno alla sublime volgarità dell’uomo».
Tornando alla trama, i protagonisti de La croce azzurra sono tre, ed è forse parte del piglio paradossale di Chesterton la scelta di narrare la vicenda a partire dalla prospettiva angolare di quello che si può considerare il “minore”, ovvero Aristide Valentin (mentre Padre Brown e Flambueau faranno la loro comparsa praticamente solo nel finale). Valentin è il capo della polizia di Parigi, «uno dei più poderosi cervelli d’Europa», «il più famoso indagatore del mondo», ed è sulle tracce del famigerato Flambeau, il temutissimo ladro gentiluomo. Per quanto quest’ultimo sia scomparso da diversi anni – «ai suoi giorni migliori (intendo dire, naturalmente, i suoi giorni peggiori) era un personaggio monumentale e internazionale» – ora è tornato sulla scena con l’intenzione di rubare la preziosa croce azzurra, una reliquia d’argento adornata di pietre preziose che Padre Brown reca con sé per mostrarla ai confratelli riuniti a Londra in occasione del Congresso Eucaristico.
I tre uomini non potrebbero essere più diversi: se Valentin – per cui «il criminale è l’artista creatore; l’investigatore il critico» – «era uno scettico nel severo stile francese e non poteva avere alcuna simpatia per i preti», Flambeau, «di statura gigantesca e di grande coraggio fisico» nonché «acrobata straordinario», nonostante i numerosi crimi commessi conserva un fondo di bonarietà: «Bisogna riconoscere, però, ch’egli usava questa sua fantastica forza fisica quasi sempre in tali scene incruente sebbene poco dignitose; i suoi veri delitti erano principalmente furti ingegnosi e su vasta scala. […] Però, caratteristica di molti dei suoi espedienti, era un’incredibile semplicità». Padre Brown, al contrario, sembra in apparenza non possedere alcuna dote eccezionale, nulla che sia paragonabile all’intuito di Valentin o alla furbizia di Flambeau. Anzi, la sua prima descrizione, filtrata dal giudizio (pregiudizio?) dell’investigatore francese, è un vero e proprio monumento alla mediocrità: «Era un prete cattolico-romano di statura bassissima, che veniva da un villaggio dell’Essex [Cobhole, “foro di pannocchia”, come è rivelato nel racconto successivo, Il giardino segreto ndr]. Quel pretucolo era proprio l’essenza delle pianure dell’Essex: aveva un viso rotondo e inespressivo come gnocchi di Norfolk, gli occhi incolori come il mare del Nord, e recava parecchi involti di carta scura, che non riusciva a tenere riuniti. Il Congresso Eucaristico aveva senza dubbio tratto fuori dalla morta gora locale molte di quelle creature, cieche e inutili come povere talpe dissotterrate. […] Ma gli potevano far compassione, specialmente quello che aveva davanti, che avrebbe destato la compassione di chiunque. Aveva un grosso ombrello malandato che gli cadeva di continuo; e pareva che non sapesse quale fosse la parte del biglietto da serbare per il ritorno». Qualche riga dopo Valentin lo definisce una «curiosa mescolanza di stupidità essexiana con la santa semplicità».
Tuttavia, come recita l’adagio, mai giudicare dalle apparenze: difatti nel corso della storia Padre Brown si rivela poco alla volta per quello che realmente è, ossia un ometto perspicace, capace come pochi altri di cogliere la verità al di là delle menzogne. Tale talento è frutto delle lunghe ore passate al confessionale, il luogo perfetto per fare esperienza di tutto il male che l’uomo è in grado di commettere: «Non possiamo fare a meno di imparare, noi preti. La gente ci racconta queste cose». Ancora: «Non avete mai pensato che un uomo che non fa mai altro che ascoltare i peccati commessi dagli uomini, non ha probabilità di rimanere ignaro del male umano?». Padre Brown riesce a smascherare Flambeau – travestito da sacerdote e con lui a passeggio per le vie della città – e a evitare il furto della croce azzurra proprio mettendo in atto quei trucchi che furfanti e truffatori pentiti gli hanno confessato. Addirittura alcuni di questi sono sconosciuti persino al grande ladro: «Non importa, non importa che vi dica. Sono contento che non siete ancora sceso proprio in fondo alla china del male, altrimenti sapreste di che parlo».
A convincere Padre Brown che sotto la talare del compagno si nasconda in realtà Flambeau è però un argomento religioso: «Voi attaccaste la ragione. Questa è cattiva teologia». Poco prima i due si erano trattenuti in una vivace discussione in cui Flambeau aveva sostenuto un approccio irrazionale alla Fede, cosa che naturalmente Padre Brown non poteva condividere. La sua replica è una breve ma brillante difesa della ragionevolezza del cristianesimo, con tanto di stoccata finale al povero ladro: «No, la ragione è sempre ragionevole, anche nell’ultimo limbo, anche al limite ultimo delle cose. So bene che si accusa la Chiesa di abbassare la religione, ma è proprio il contrario, invece. Sola, sulla terra, la Chiesa fa la ragione veramente suprema. Sola, sulla terra, la Chiesa afferma che Dio stesso è legato alla ragione […] La ragione e la giustizia comprendono in modo inscindibile anche le stelle più remote e solitarie. […] Ma non crediate che una così fantastica astronomia possa influire momentaneamente sulla ragione e sulla giustizia della condotta umana. Su pianure di opale, sotto declivi tagliati nella pura perla, trovereste ancora un cartello con la scritta: “Tu non devi rubare!”».
Valentin è invece un devoto seguace della deduzione, profondamente francese nella sua intelligenza che è «specialmente e solamente intelligenza», e «tutti i suoi meravigliosi successi, che sembravano miracolosi, erano puro frutto e risultato di tenacissima logica e di chiaro e ragionevole pensiero». Ciononostante, anche al netto del suo ateismo, Valentin non è un bieco razionalista, non nutre una fiducia illimitata nella ragione: «Ma, appunto perché conosceva il valore della logica, ne sapeva anche i limiti. Come chi non conosce nulla di motori, può parlare di farli andare senza petrolio, così solo chi si intende di logica può sostenere di essere ragionevolmente logico senza saldi e incontestabili fondamenti». Non avendo alcuna pista sicura da battere, si affida quindi all’imprevisto – «Egli difendeva in modo rigorosamente logico questo suo illogico procedimento» – e grazie ai vari indizi disseminati lungo la via da Padre Brown, indizi pensati dal sacerdote pure per smascherare Flambeau, l’ispettore giunge infine ad acciuffare il ladro.
La scena finale, che vede tutti e tre i protagonisti per la prima volta insieme, ha il sapore di un’ironica allegoria, quasi a voler mostrare l’ingiustizia (Flambeau) e la giustizia umana (Velentin) che si sottomettono alla verità e alla misericordiosa di Dio (Padre Brown): «Inchiniamoci entrambi al nostro maestro. E tutt’e due si scoprirono il capo per un momento davanti al piccolo prete dell’Essex, che cercava con occhi semichiusi il suo ombrello».
[1] La traduzione targata Morganti del 2007 propone il titolo alternativo Il candore di Padre Brown.