Giuliano Pisapia, il ?pacco? meglio riuscito della politica italiana - Linkiesta.it

Una “post-verità” si definisce come quella condizione in cui, in una discussione relativa a un fatto, la verità viene percepita come questione di secondaria importanza e ciò che conta davvero sono le emozioni e le convinzioni personali pre-esistenti. Ci sono post-verità terribili, come quelle agitate dalle mamme contro i vaccini; ma ci sono anche post-verità bellissime, capaci di farci sognare. In fin dei conti, che cos’è il Paradiso, se non la più dolce delle post-verità’?

Un esempio simile è Giuliano Pisapia. Il leader di “Campo Progressista”, già ex Sindaco di Milano, è la post-verità più riuscita della politica italiana e se si analizza la sua recente carriera politica non si può che restare sbalorditi davanti allo scarto tra i risultati effettivamente raggiunti e l’estasi mistica di cui è preda il popolo di Sinistra quando sente il nome “Giuliano”.

Quanto si parla di Pisapia, infatti, si pensa immediatamente alla vittoria contro Letizia Moratti del 2011, l’inizio della cosiddetta “Rivoluzione Arancione” che avrebbe dovuto cambiare per sempre Milano. Nella realtà, i numeri di quella “Rivoluzione” appaiono da subito non esattamente trionfali.
Pisapia ebbe dalla sua 315.862 voti, meno dei 319.487 mila che quattro anni prima aveva conquistato l’allora candidato di centro sinistra, l’ex prefetto Bruno Ferrante sconfitto dalla Moratti. Non si trattò, dunque, di uno “sfondamento” del candidato Pisapia nella società civile, come si volle far credere; al contrario, si trattò di una débâcle della Moratti stessa, stretta tra la reticenza della Lega ad appoggiarla e – soprattutto - la crisi profonda di Berlusconi, colpito sei mesi prima dallo scandalo Ruby e costretto a dimettersi sei mesi dopo dalla crisi dello spread.

Ma come per ogni post-verità che si rispetti, i numeri contano poco se la percezione emotiva dell’opinione pubblica è di segno diverso: e infatti l’insediamento di “Giuliano” a Palazzo Marino venne accolto da un entusiasmo di portata storica. Del resto, il programma di Pisapia era di quelli destinati a lasciare il segno.

Tra i punti più ambiziosi, sicuramente la costruzione della Moschea di Milano. Un punto importantissimo per una città dove centinaia di musulmani, in barba alla libertà di culto sancita dalla Costituzione, sono costretti a pregare nei sottoscala; un punto, non a caso, citato all’infinito in campagna elettorale e, tuttavia, un punto che rimase lettera morta. Della Moschea si parlò fino all’estate del 2012, poi il tema venne inghiottito da una coltre di nebbia in cui giace sepolto ancora oggi.

Stessa sorte per l’altra proposta con cui la “Giunta Arancione” allettò l’elettorato più giovane poi risultato decisivo: quei “parchi aperti di notte” sul modello di Berlino, per andare a risolvere uno dei grandi nervi scoperti della città, la ricerca di un equilibrio tra la “movida” notturna e i diritti dei Residenti. Anche qui il tema dell’apertura notturna dei parchi finì subito nel dimenticatoio, e non andò meglio all’idea di trasformare le aree degli ex Scali Ferroviari in centri per la vita notturna, agitata più volte in campagna elettorale: nessuno ne ha mai saputo più niente.

Controversi anche i risultati sul settore cultura, l’altro grande tema su cui era stata impostata la campagna elettorale 2011. Il mitico teatro Smeraldo è stato chiuso per far posto a un supermercato; Corso Vittorio Emanuele, un tempo “la piccola Broadway” con le luci al neon, i cinema e i teatri dove i milanesi passeggiavano la sera, è diventata da anni un ghetto di negozi di lusso e centri commerciali, deserto dopo le otto di sera; della vibrante scena musicale e artistica underground che chi è cresciuto negli anni ’90 ricorda bene, non è rimasto nulla.

Le spettacolari immagini di piazza Gae Aulenti o di piazza XXIV maggio celebrano l’operato della Giunta guidata da Gabriele Albertini, che immaginò e poi realizzò la Milano di oggi. Quanto ad Expo, non serve ricordare che fu l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi a ringraziare per primi Letizia Moratti e il suo antico collaboratore Beppe Sala il giorno dell’inaugurazione dell’Esposizione Universale; mentre su Area C bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di definirla per quello è, ovvero una versione migliorata di Ecopass voluto anch’esso da Donna Letizia
Certo, Milano resta una città unica in Italia in molti settori, incluso quello culturale: ma proprio per questo, capire dove finiscano i meriti della città e inizino quelli delle Giunte che negli anni si sono succedute è compito assai arduo, spesso strumentalizzato a seconda delle partigianerie politiche. Di certo, il tema degli spazi abbandonati e inutilizzati, che l’occupazione della Torre Galfa da parte del collettivo Macao aveva avuto il merito di sottolineare nel 2012, nonostante i proclami è rimasto, ancora una volta, lettera morta. Ma come già detto, quello che conta davvero non sono i fatti ma la percezione, la pancia, insomma quel “credere per vedere” che ha sostituito, da anni, l’antico “vedere per credere”.

E così invece che parlare dei fallimenti sulla Moschea o sulla gestione degli ex Scali Ferroviari, l’opinione pubblica, quando pensa a Milano e a Pisapia, gonfia il petto davanti alla Nuova Darsena, o ai grattacieli di Porta Nuova o alle nuove linee della metropolitana. Cartoline magnifiche, ci mancherebbe, ma che non sono certo da ascrivere alla “rivoluzione Arancione”. Le spettacolari immagini di piazza Gae Aulenti o di piazza XXIV maggio o delle nuove linee celebrano, al contrario, l’operato della Giunta guidata da Gabriele Albertini, che immaginò e poi realizzò (tra alti e bassi, vedi lo scandalo dei parcheggi) la Milano di oggi.

Quanto ad Expo, non serve ricordare che fu l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi a ringraziare per primi Letizia Moratti e il suo antico collaboratore Beppe Sala il giorno dell’inaugurazione dell’Esposizione Universale; mentre su Area C, bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di definirla per quello è, ovvero una versione migliorata di Ecopass voluto anch’esso da Donna Letizia.

E se, tralasciando le opere, guardiamo all’immagine del politico Pisapia, notiamo anche qui una severa contraddizione di fondo. La percezione che si ha di “Giuliano” è quella di un simpatico signore, allegro e trasparente, antitetico agli oscuri modi di porsi della vecchia politica; eppure i cinque anni arancioni ci restituiscono un animale politico puro, nella cui azione il calcolo è unito sempre da una segretezza impenetrabile.

Pisapia, nel 2013, caccia dalla sua Giunta Stefano Boeri, assessore alla Cultura, senza una vera motivazione ufficiale, tanto che fu lo stesso Boeri, eletto con 12 mila preferenze, a parlare di “pedata nel sedere”. Nell’estate 2015, in pieno Expo, la sua vice Ada De Cesaris, accreditata dalla stampa come suo possibile successore, si dimette dall’incarico ufficialmente per un dissenso su un’area cani: il mistero, a distanza di anni, non è mai stato risolto. Ma il vero capolavoro di opacità è quanto accadde nel 2016, con le Primarie che incoronarono Beppe Sala.

Se, tralasciando le opere, guardiamo all’immagine del politico Pisapia, notiamo anche qui una severa contraddizione di fondo. La percezione che si ha di “Giuliano” è quella di un simpatico signore, allegro e trasparente, antitetico agli oscuri modi di porsi della vecchia politica; eppure i cinque anni arancioni ci restituiscono un animale politico puro, nella cui azione il calcolo è unito sempre da una segretezza impenetrabile
Pierfrancesco Majorino, che ben aveva operato come Assessore al Welfare, annuncia la propria candidatura a luglio – dopo che Pisapia aveva rivelato l’intenzione a non ricandidarsi. Majorino, sulla carta, è l’uomo giusto per raccogliere l’eredità arancione: è del Pd, ma è lontano da Renzi e vicino al mondo delle associazioni e dei movimenti, ovvero a quella sinistra “scarpe da tennis” che cinque anni prima si era incendiata per “Giuliano”. Ma invece di sostenerlo contro Sala, che da ex braccio destro della Moratti (definita per anni, con disprezzo, “la petroliera” da importanti esponenti arancioni) non potrebbe essere a lui più distante, Pisapia si inventa la candidatura del suo Assessore al Bilancio, quella Francesca Balzani che ha la simpatia di un insegnante di greco e il carisma di una supplente, e che deve ordinare in tutta fretta il certificato di residenza. Perché “Giuliano” sostenne Balzani invece che Majorino, consegnando la città a Sala? Nessuno lo sa.

Il resto invece è storia nota: Beppe Sala plana in scioltezza alle elezioni contro Stefano Parisi, e però vince di un soffio, dopo una colossale emorragia di voti e uno scarto di appena 264 mila, a dimostrazione di quanto, della supposta Rivoluzione Arancione, non esista più nulla. Per chi lo conosce dunque le oscillazioni registrate in queste settimane dal leader di Campo Progressista sullo scacchiere politico – un giorno federatore e l’altro alleato, un giorno alternativo a Renzi e l’altro abbracciato alla Boschi – non stupiscono affatto. Quello che stupisce è, piuttosto, come mai nessuno, prima di eleggere Giuliano a ennesimo Uomo Nuovo della Sinistra Italiana, si sia preso la briga di una verifica. Del resto si sa: spesso i Paradisi a cui è più bello credere sono quelli Artificiali.