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L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori si continua ad applicare agli statali anche dopo le modifiche della legge Fornero e del Job Act.
Che succede, oggi, se un dipendente del settore privato viene licenziato ingiustamente? In generale scatta l’obbligo del risarcimento del danno (indennizzo non superiore a 24 mensilità) e solo in rari casi c’è la reintegra sul posto di lavoro. Ma ciò non vale se, invece, ci spostiamo nel settore pubblico. Per gli statali infatti continua a valere l’obbligo di reintegra ed il semplice indennizzo economico non è da solo sufficiente a ristorare il lavoratore del pregiudizio subìto. Questo perché il “vecchio” articolo 18 dello Statuto dei lavoratori – benché modificato di recente dalla legge Fornero [1] e dal cosiddetto Job Act – continua a valere per il pubblico impiego. Principi importantissimi questi, affermati prima dalla Cassazione [2] e ieri ribaditi dal Consiglio di Stato con un proprio parere [3]. Insomma è ormai certo che, in caso di licenziamento illegittimo, il dipendente pubblico va “riassunto” mentre quello privato resta definitivamente fuori.
Attenzione però: sebbene comunemente si utilizzi il termine “riassumere” questo non è corretto. Difatti non si tratta di una nuova assunzione ma di una continuazione del rapporto precedente, senza soluzione di continuità. Dunque il termine corretto, da un punto di vista giuridico, è “reintegrazione” nel posto di lavoro.
L’obbligo di reintegra per il dipendente pubblico licenziato ingiustamente è peraltro stato recepito dal governo nel decreto legislativo di riforma del pubblico impiego attuativo della delega Madia. Secondo l’intenzione del Governo – fatta propria dai giudici di Palazzo Spada – i dipendenti pubblici godono nei confronti dei licenziamenti illegittimi di una «tutela reale» (così si chiama l’obbligo di reintegra), ossia quella prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nella sua versione anteriore alla legge Fornero.
L’obiettivo, osserva palazzo Spada, è chiaro ed è stato espresso dal governo anche in sede parlamentare: «Escludere l’applicazione delle regole del lavoro privato a quello pubblico per quanto attiene alla disciplina del licenziamento».
La diversità di trattamento, secondo i giudici, è da ricercarsi nelle parole della Consulta che in una sentenza del 2008 (n. 351) si era così espressa: «A differenza di quanto accade nel settore privato, nel quale il potere di licenziamento del datore di lavoro è limitato allo scopo di tutelare il dipendente, nel settore pubblico il potere dell’amministrazione di esonerare un dirigente o un dipendente dall’incarico e di risolvere il relativo rapporto di lavoro è circondato da garanzie e limiti che sono posti non solo e non tanto nell’interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi».