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    Predefinito 31 agosto 2010: San Raimondo Nonnato, confessore

    DOMENICA DECIMA
    DOPO LA PENTECOSTE

    Fine dell'antico culto.

    La rovina di Gerusalemme ha chiuso il ciclo profetico nella sua parte consacrata alle istituzioni e alla storia del tempo delle figure. L'altare del vero Dio, fissato da Salomone sul monte Moriah, era per il mondo antico il segno autentico della vera religione. Anche dopo la promulgazione del nuovo Testamento, la persistenza di quell'altare, riconosciuto una volta dall'Altissimo come il solo legittimo (Dt 12,13-14), poteva fino a un certo punto proteggere ancora i sostenitori dell'antico ordine di cose. Dopo la sua definitiva distruzione, non esiste più alcuna scusa; anche i ciechi sono costretti a riconoscere la completa abrogazione d'una religione ridotta dal Signore all'impossibilità di offrire ormai quei sacrifici che costituivano la sua essenza.

    Le premure che la delicatezza della Chiesa conservava fin qui per la sinagoga morente non hanno più motivo di essere. E ormai continuerà ad andare alle genti con tutta libertà, per domare con la potenza dello Spirito i loro istinti feroci, unificarle in Gesù Cristo e stabilirle mediante la fede nel possesso sostanziale, benché non ancora visibile (Ebr 11,1), delle eterne realtà che la legge delle figure annunciava.

    Il culto nuovo.

    Il nuovo Sacrificio, che non è altro se non quello della croce e dell'eternità, appariva sempre più come l'unico centro in cui la sua vita è fissata in Dio con Cristo suo Sposo (Col 3,3) e da cui deriva l'attività che essa dispiega per convertire e santificare gli uomini delle successive generazioni. La Chiesa, sempre più feconda, rimane più che mai stabilita nella vita d'unione che le vale quella meravigliosa fecondità.

    L'insegnamento della liturgia.

    Non si deve dunque stupire se la Liturgia, che è l'espressione della vita intima della Chiesa, rifletta ora meglio che mai quella stabilità dell'unione divina. Ogni gradazione scompare, quanto alle formule preparatorie del Sacrificio, nella serie delle settimane che seguiranno. Nelle stesse lezioni dell'Ufficio della notte, a partire dal mese d'agosto, i libri storici hanno fatto o faranno subito posto agli insegnamenti della divina Sapienza, che saranno presto seguiti dai libri di Giobbe, Giuditta, Ester, senza altro legame fra loro che quello della santità in precetto o in atto. Gli accostamenti che si notavano ancora fin qui fra quelle letture e la composizione delle Messe del Tempo dopo la Pentecoste, non si incontrano più.

    Dovremo dunque d'ora in poi racchiuderci, per ciascuna Domenica, nel commento dell'Epistola e del Vangelo, lasciando come la Chiesa allo Spirito divino la cura di far sorgere e svilupparsi, secondo che vorrà in ciascuno (1Cor 12,11), la dottrina che essa seminerà in unione con lui in modo così vario. È il consiglio che si ricava anche dall'Epistola del giorno.

    Il grande evento che doveva segnare la consumazione delle profezie rovesciando le barriere giudaiche, ha affermato in maniera evidente l'universalità del regno dello Spirito santificatore. Dalla gloriosa Pentecoste in poi, esso ha infatti conquistato la terra (Sap 1,17); e la Chiesa, preoccupandosi poco ormai di seguire un ordine logico negli insegnamenti della sua Liturgia, professa di affidarsi, per la riforma delle anime, meno a un metodo qualunque che alla virtù del Sacrificio e della parola sacra, messa divinamente in opera dalla spontaneità di quello Spirito d'amore (Gv 3,8).

    Questa Domenica può essere già la seconda della serie che una volta aveva il punto di partenza dalla festa di san Lorenzo, e traeva il nome (post sancti Laurentii) dalla solennità del grande diacono martire. Viene anche chiamata Domenica dell'umiltà o del Fariseo e del Pubblicano, a motivo del Vangelo del giorno. I Greci la computano come la decima di san Matteo e vi leggono l'episodio del Lunatico, riportato al capitolo XVII di quell'Evangelista.

    MESSA

    EPISTOLA (1Cor 12,2-11). - Fratelli: Sapete che quando eravate Gentili vi lasciavate trascinare dietro agl'idoli muti a talento di chi vi conduceva. Per questo vi fo' sapere che nessuno, il quale parli per lo Spirito di Dio, dice anatema a Gesù e che nessuno può dire "Signor Gesù" se non per lo Spirito Santo. Or c'è varietà nei doni, ma è il medesimo Spirito e vi sono diversi ministeri, ma il Signore è lo stesso; e vi è diversità nelle operazioni, ma è lo stesso Dio che opera tutto in tutti. A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito ad utilità (comune). Infatti ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza; all'altro il linguaggio della scienza, secondo il medesimo Spirito; ad un altro la fede, pel medesimo Spirito; ad un altro il dono delle guarigioni, per l'unico e medesimo Spirito; a chi la potenza d'operar miracoli, a chi la profezia, a chi il discernimento degli spiriti, a chi ogni genere di lingue, a chi il dono d'interpretarle. Ma tutte queste cose le opera l'unico e medesimo Spirito, che distribuisce a ciascuno come vuole.

    Virtù e carismi.

    "I capitoli XII, XIII e XIV della prima Epistola ai Corinti sono relativi all'uso dei doni dello Spirito Santo. La Chiesa e le anime che la compongono sono animate dallo Spirito di Dio; ma l'influsso dello Spirito si esercita insieme nell'ordine della nostra santificazione e in vista dell'edificazione del prossimo. È così che esistono doni dello Spirito Santo che sono il complemento delle virtù. Essi costituiscono nell'anima un tesoro di disposizioni e di docilità interiori alla mozione dello Spirito di Dio riguardo alla preghiera, al pensiero e all'azione, quando preghiera, pensiero e azione si elevano al disopra delle capacità umane. Ma esistono inoltre doni spirituali, che sono in noi il frutto d'una attività superiore alla nostra, e che sono ordinati direttamente all'edificazione del prossimo. L'effusione di questi ultimi, i doni carismatici, fu abbondante alle origini della Chiesa, poiché la Chiesa non aveva storia; lo è meno oggi, poiché la storia e l'azione della Chiesa vi suppliscono con profitto. Quei doni spirituali formavano così la dote esteriore della Chiesa fino al giorno in cui non ne avrebbe avuto più bisogno; indicavano ai più superficiali che lo Spirito di Dio era in essa, e dirigeva i suoi membri.

    "Nella IIa-IIae, q. 171, il Dottore Angelico ha parlato di queste grazie gratis datae e ha distinto quelle che illuminano l'intelletto, e alle quali da il nome generico di profezia; quelle che hanno per oggetto la parola e la comunicazione della verità, come il dono delle lingue; infine quelle che sono relative all'azione, e che designa anche con un termine comune: il dono dei miracoli. Questi carismi sono diversi, ma non vi è tuttavia che una stessa sorgente e uno stesso Spirito; i ministeri sono diversi, ma non esiste tuttavia che un solo Signore; differenti sono le funzioni, ma non vi è che un solo Dio il quale fa tutto in ciascuno di noi; e ognuno riceve da una stessa scaturigine il suo particolare vigore spirituale per la comune edificazione.

    Viene quindi l'enumerazione dei doni spirituali: a uno lo Spirito di Dio da, nell'interesse interiore ed esteriore della Chiesa, il potere di manifestare la sapienza e di esporre i misteri più nascosti di Dio e delle sue opere; a un altro il potere o il discorso della scienza e dell'insegnamento della dottrina, ma secondo lo stesso Spirito. Un terzo riceverà, ma sempre dallo stesso Spirito, quel vigore di fede che produce i miracoli e trasporta le montagne; per un altro vi saranno, ma sempre nello stesso Spirito, le guarigioni miracolose, i prodigi, la profezia, il discernimento degli spiriti, il dono delle lingue, la loro interpretazione, in una parola tutta la gamma dei doni carismatici. Qualunque ne sia il numero, essi derivano da un solo e medesimo Spirito che, secondo la sua volontà, definisce il compito di ciascuno" [1].

    Quale pratica conclusione trarremo noi, se non quelle stesse parole che riassumono la dottrina dell'Apostolo: In voi stessi stimate tutti questi doni come l'opera dello Spirito Santo che in diverso modo arricchisce mediante essi il corpo sociale (1Cor 12,11-30); non ne disprezzate alcuno (ivi 14,39); ma quando li scoprirete, preferite come migliori (ivi 12,31) quelli che tornano a maggior profitto della Chiesa e delle anime (ivi 14,12).

    Infine, e soprattutto, ascoltiamo san Paolo che ci dice ancora: "Vi insegno una via più sublime! (ivi 12,31). Quand'io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, e quando avessi la profezia e conoscessi tutti i misteri ed ogni scienza, e quando avessi la fede che trasporta i monti, se non ho la carità, sono un niente. Le profezie passeranno, cesseranno le lingue, avrà fine la scienza: la carità non finirà, essa vince tutto" (ivi 13,1-13).

    VANGELO (Lc 18,9-14). - In quel tempo: Gesù disse pure questa parabola, per certuni i quali confidavano in se stessi, come giusti e disprezzavano gli altri: Due uomini ascesero al tempio a pregare; uno era Fariseo, l'altro pubblicano. Il Fariseo, stando in piedi, così dentro di sé pregava: O Dio, ti ringrazio di non essere io come gli altri: rapaci, ingiusti, adulteri, come anche questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana, pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, stando da lungi, non ardiva nemmeno alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi assicuro che questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro; perché chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.

    Giudei e Gentili.

    Il Venerabile Beda, commentando questo passo di san Luca, ne spiega così il significato recondito: "il fariseo, è il popolo giudaico il quale, valendosi delle giustizie della legge, vanta i propri meriti; il pubblicano è il gentile il quale, rimasto lontano da Dio, confessa i suoi peccati. L'orgoglio dell'uno fa sì ch'egli si allontani umiliato; l'altro, sollevato dai suoi gemiti, merita di avvicinarsi nella lode. È dei due popoli, come di ogni umile e di ogni superbo, che è scritto anche altrove: L'innalzamento del cuore precede la rovina, e l'umiliazione dell'uomo la sua elevazione in gloria" (Pr 18,12).

    Non si poteva dunque scegliere, nel santo Vangelo, un insegnamento che convenisse meglio dopo il racconto della caduta di Gerusalemme. I fedeli che videro la Chiesa, nei suoi primi giorni, umiliata in Sion sotto l'arroganza della sinagoga, comprendono ora quelle parole del Savio: È meglio essere umiliati con i pii che dividere le spoglie con i superbi! (Pr 16,19). Secondo un'altra massima dei Proverbi, la lingua del Giudeo, quella lingua che rimproverava il pubblicano e accusava il gentile, è diventata nella sua bocca come una verga d'orgoglio (ivi 14,3) che l'ha colpito a sua volta attirando su di lui la rovina. Tuttavia la gentilità, mentre adora le giuste vendette del Signore che celebra i benefici, deve evitare di prendere essa stessa la via nella quale si è perduto il popolo disgraziato di cui occupa il posto. La colpa d'Israele ha posto il principio della salvezza delle genti, dice san Paolo (Rm 11,11), ma l'orgoglio di lui sarà anche la loro rovina; e mentre Israele è assicurato dalle profezie circa un ritorno alla grazia alla fine dei tempi (ivi 25-27), nulla garantisce una seconda chiamata della misericordia alle genti ridiventate colpevoli dopo il battesimo. Se oggi la bontà dell'eterna Sapienza fa portare ai gentili frutti di gloria e d'onore (Eccli 24,23), non dimentichino mai la loro primitiva sterilità; allora l'umiltà che sola può custodirli - come è stata la sola ad attirare poco fa su di essi gli sguardi dell'Altissimo - resterà facile, e nello stesso tempo comprenderanno la considerazione di cui deve sempre, malgrado le sue colpe, essere circondato l'antico popolo.

    L'umiltà.

    L'umiltà, che produce in noi il timore salutare, è la virtù che pone l'uomo al suo vero posto, nella propria stima, riguardo a Dio come riguardo ai suoi simili. Essa risiede nella coscienza intima, che la grazia ci mette in cuore, del tutto di Dio nell'uomo e del vuoto della nostra natura, umiliata per di più dal peccato, al disotto del nulla. La sola ragione basta per dare a chi riflette un poco la convinzione del nulla di ogni creatura; ma allo stato di conclusione puramente teorica, questa convinzione non è ancora l'umiltà: essa s'impone al demonio nell'inferno, e il dispetto che gli ispira è il più attivo alimento della rabbia del principe degli orgogliosi. Al pari dunque della fede, la quale ci rivela ciò che è Dio nell'ordine del fine soprannaturale, l'umiltà, la quale ci insegna ciò che siamo noi di fronte a Dio, non procede dalla pura ragione e non risiede nel solo intelletto; per essere vera virtù, deve ricavare dall'alto la sua luce, e muovere nello Spirito le nostre volontà. Nello stesso tempo in cui lo Spirito divino fa penetrare nelle anime nostre la nozione della loro piccolezza, le inclina dolcemente all'accettazione e all'amore di quella virtù che la ragione da sola sarebbe tentata di trovare importuna.

    Meditiamo questi pensieri; comprenderemo meglio come i più grandi santi sono stati i più umili degli uomini quaggiù, poiché è ancora così perfino nel cielo, dove la luce aumenta per gli eletti in proporzione della loro gloria. Presso il trono del suo divin Figliolo come a Nazareth, la Madonna è sempre la più umile delle creature, poiché è la più illuminata, poiché comprende meglio dei cherubini e dei serafini la grandezza di Dio e il nulla della creatura.

    PREGHIAMO

    O Dio, che mostri la tua onnipotenza soprattutto nel perdonarci e nel compatirci, moltiplica su di noi la tua grazia, affinché ci faccia raggiungere la patria celeste alla quale aneliamo dietro le tue promesse.

    [1] Dom Delatte, Epitres de saint Paul, I, p. 352-354.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 463-469

    Ultima modifica di Guelfo Nero; 01-08-10 alle 00:03

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    Predefinito Rif: 1 agosto 2010: Decima domenica dopo Pentecoste

    Maccabei, santi, martiri, sotto l’altare della confessione di S. Pietro in Vincoli vi è un sarcofago del IV secolo contenente le loro spoglie, che è diviso in sette scomparti. Rinvenuto sotto la predella dell’altare maggiore nel 1876, in esso fu trovata una lamina di bronzo dell’autentica delle reliquie. I sette fratelli: Aber, Acasfo, Aratsfo, Giacomo, Giuda, Macabco e Macuro furono martirizzati verso il 168 a.C. e traslati a S. Pietro in Vincoli nel pontificato di Pelagio I (556-61).
    M.R.: 1 agosto - In Antiochia la passione dei sette santi Fratelli Maccabei Martiri, colla loro madre, patirono sotto il Re Antioco Epifane. Le loro reliquie, trasportate a Roma, furono riposte nella chiesa di san Pietro in Vincoli.

    [ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]

    Ultima modifica di Guelfo Nero; 01-08-10 alle 00:03

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    Predefinito Rif: 1 agosto 2010: Decima domenica dopo Pentecoste


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    Predefinito Rif: 1 agosto 2010: Decima domenica dopo Pentecoste

    Alfonso Maria de Liguori - missionario, fondatore della Congregazione del Santissimo Redentore (C. Ss. R.), vescovo, dottore della Chiesa, patrono del confessori e dei moralisti - nacque a Marianella, presso Napoli, il 27 settembre 1696, e morì a Pagani (Salerno) il 1° agosto 1787.
    Compiuti in casa, come tutti i ragazzi di nobili famiglie, gli studi letterari e scientifici, nei quali ebbero la loro parte rilevante anche la pittura e la musica (è sua la canzoncina natalizia "Tu scendi dalle stelle" ), nel 1708 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza all'università di Napoli, dove si laureò col massimo dei voti in diritto civile ed ecclesiastico appena sedicenne, con quattro anni di anticipo sull'età; richiesta dalle leggi del tempo.
    Dopo dieci anni di memorabili successi come avvocato nel foro napoletano, a causa di una violenta delusione morale dovuta a interferenze politiche in una causa dai grandi risvolti sociali, decise di farsi prete.
    Ricevuta l'ordinazione sacerdotale il 21 dicembre 1726, cominciò immediatamente a svolgere il suo ministero in mezzo al popolo più abbandonato e più bisognoso di aiuti spirituali.
    Osservando la miseria di tante anime, non riusciva a darsi pace né si concedeva riposo. Si portava dovunque: nei paesi intorno al Vesuvio, lungo la costa amalfitana, nelle sparute e dimenticate contrade di campagna lungo gli Appennini della Puglia e della Calabria, dove il clero locale, pur numeroso, rifiutava di andare.
    La salvezza di quelle anime era la sua idea dominante, l'elemento catalizzatore di tutte le sue energie e delle straordinarie doti intellettuali. E per rendere la sua opera più profonda e duratura, e per giungere con la sua azione di salvezza anche dove non poteva arrivare con la voce, e per andare oltre il tempo della sua esistenza terrena ed oltre gli spazi - troppo ristretti per il suo zelo evangelico - del Regno di Napoli, fondò; un istituto essenzialmente missionario e si diede, con altrettanto entusiasmo, all'apostolato della penna.
    Come scrittore, sant'Alfonso è popolarissimo. Pubblicò centoundici opere tra grandi e piccole. Alcune di esse hanno raggiunto centinaia di edizioni in gran parte delle lingue del mondo. Quelle di ascetica e di spiritualità si ristampano continuamente ancora oggi: Uniformità alla volontà di Dio; Modo di conversare continuamente e alla familiare con Dio; Pratica di amare Gesù Cristo; Visite al Ss. Sacramento e a Maria santissima; Meditazioni sulla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo; Glorie di Maria; Massime eterne; Necessità della preghiera.
    Nel 1748 stampava la sua THEOLOGIA MORALIS, l'opera per la quale il papa Leone XIII lo definì "il più insigne e il più mite dei moralisti".
    Come fondatore Alfonso de Liguori sta continuando ancora oggi la sua missione di annunciatore della salvezza attraverso gli oltre 5.600 discepoli (i missionari redentoristi) in oltre 60 paesi dei cinque continenti.
    La Congregazione del SS. Redentore, da lui fondata a Scala (Salerno) il 9 novembre 1732, ha lo scopo di "continuare l'esempio del nostro Salvatore Gesù Cristo in predicare alle anime più abbandonate, specialmente ai poveri, la divina parola". E si impegna a raggiungere questa finalità prima di tutto con le missioni popolari e con la predicazione degli esercizi spirituali. All'occorrenza i congregati accettano la predicazione in terre straniere, particolarmente in quelle del terzo mondo (i Redentoristi italiani hanno aperto, già da alcuni decenni, una missione in Paraguay e una in Madagascar). Anche se raramente essi si fanno carico dell'insegnamento nelle scuole e della cura di parrocchie.
    Nel 1762 Alfonso fu eletto vescovo di Sant'Agata dei Goti (Benevento). Ma dopo 13 anni dovette rinunciarvi a causa dell'artrite deformante.
    Canonizzato nel 1839, fu dichiarato dottore della Chiesa nel 1871, patrono dei confessori e dei moralisti nel 1950.
    Alla sua scuola, i Redentoristi sono incamminati sulla via della perfezione e della santità. E i frutti, dopo circa 270 anni di vita, sono veramente abbondanti avendo dato alla Chiesa santi, beati, venerabili e servi di Dio. Si ricordano, insieme al Fondatore, san Gerardo Maiella, san Clemente Maria Hofbauer, san Giovanni Neumann, il beato Pietro Donders, il beato Gennaro M. Sarnelli, il beato Francesco Saverio Seelos.

    Testo di Padre Ezio Marcelli

    Ultima modifica di Guelfo Nero; 01-08-10 alle 20:58

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    Predefinito Rif: 1 agosto 2010: Decima domenica dopo Pentecoste

    Stefano I, papa, santo, Romano (12 maggio 254 - 2 agosto 257), fu sepolto nella Cripta dei Papi nel Cimitero di Callisto e da Paolo I trasferito, il 17 agosto 761, a S. Silvestro in Capite dove, nel corso di restauri effettuati nel 1596, fu ritrovato e da Clemente VIII posto sotto l’altare maggiore. La reliquia di una gamba si credeva a S. Maria in Via Lata, come, parte del cranio, a S. Maria in Aracoeli. Nel 1160 il corpo fu donato a S. Maria della Colonna presso Trani e, sempre secondo la tradizione, nel 1682 traslato alla chiesa dei Cavalieri Stefanini di Pisa.

    M.R.: 2 agosto - A Roma, nel cimitero di Callisto, il natale di santo Stefano primo, Papa e Martire, il quale, nella persecuzione di Valeriano, mentre celebrava il Sacrificio della Messa, e, al sopraggiungere dei soldati, intrepido ed immobile dinanzi all'altare compiva i cominciati misteri, fu decapitato nella sua sede.

    Ultima modifica di Guelfo Nero; 02-08-11 alle 01:22

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    Predefinito Rif: 2 agosto 2010: Sant'Alfonso Maria de Liguori, vescovo, confessore e dottore


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    Predefinito Rif: 3 agosto 2010: Invenzione di Santo Stefano Protomartire

    Nasce nel 1170 a Caleruega (Vecchia Castiglia). Studia teologia a Palenza e diventa canonico a Osma. Durante un viaggio con il suo vescovo Diego in Danimarca si rende conto che nessuno annuncia più il Vangelo e che molta gente ascolta la predicazione dei 'catari' che nascone la misericordia di Dio anziché manifestarla. Insieme al vescovo Diego inizia una missione di rievangelizzazione. Il loro desiderio è quello di portare l'annuncio nell'est dell'Europa, ma il Papa li invia nel sud della Francia a contrastare l'eresia catara con la predicazione e l'esempio. Durante questa missione muore il vescovo Diego. Domenico fonda una piccola comunità di suore di vita contemplativa e attorno a lui si riunisce un gruppo di amici. Da questo primo nucleo nasce nel 1216 con l'approvazione della Chiesa l'Ordine dei frati Predicatori (chiamati comunemente Domenicani). Domenico li invia nelle città universitarie a studiare e quindi a "predicare e camminare" come recita il suo motto. Tra il 1220 e il 1221 rappresentanti di tutte le comunità domenicane si riuniscono e si danno delle norme. Il 6 agosto 1221 debilitato nel fisico e dalle fatiche Domenico muore a Bologna, dove per suo desiderio viene seppellito.
    Canonizzato il 13 luglio 1234 da Papa Gregorio IX.

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    Predefinito Rif: 3 agosto 2010: Invenzione di Santo Stefano Protomartire


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    Predefinito Rif: 4 agosto 2010: San Domenico de Guzman, confessore

    5 AGOSTO

    MADONNA DELLA NEVE



    La liturgia del 5 Agosto.

    Per quanto siano semplicemente di rito doppio maggiore e passino inavvertite a molti, le due feste del 16 luglio e del 5 agosto non sono tuttavia meno care alla pietà cristiana. Esse sono un preludio al trionfo dell'Assunzione e vi preparano le nostre anime invitandole al raccoglimento e a una tenera devozione verso la Madre di Dio. I mesi estivi attraggono i fedeli ai luoghi di pellegrinaggio e ai santuari dedicati alla Vergine dove sentono maggiormente la sua presenza e ottengono più abbondanti benefici dalla Mediatrice di tutte le grazie. È a un pellegrinaggio da compiere con il pensiero e il desiderio che ci invita oggi la Liturgia festeggiando da tanti secoli la Dedicazione della chiesa che fu la prima a portare a Roma il santo nome di Maria e che è non soltanto una delle più belle e delle più ricche della Città eterna, ma anche l'antenata delle innumerevoli chiese dedicate alla Vergine che la pietà cristiana doveva erigere su tutta la terra, dalle modeste cappelle di campagna fino alle splendide cattedrali di Chartres, di Reims o di Parigi.



    Storia e leggenda.

    Verso la metà del secolo IV il Papa Liberio aggiunse un'abside a una vasta sala chiamata il "Sicininum" e la consacrò al culto. Appunto per questo si dà ancora talvolta a quell'edificio il nome di basilica liberiana. Sisto III la ricostruì quasi interamente e la dedicò quindi, verso il 435, alla Vergine di cui il Concilio di Efeso aveva, nel 431, definito la divina Maternità e consacrato il nome di "Theotókos", cioè Madre di Dio. La basilica ricevette allora e conservò in seguito il nome di S. Maria Maggiore.

    Una graziosa leggenda, fiorita nel Medioevo, narra che la Santa Vergine apparve in sogno a Liberio, ordinandogli di costruirle una basilica sull'Esquilino, nel luogo che egli avrebbe trovato, l'indomani, tutto coperto di neve. E il giorno dopo, infatti, per quanto si fosse in piena estate, una neve miracolosa indicava il punto in cui costruire la basilica desiderata dalla Vergine. Per questo si sarebbe chiamata quella chiesa la Madonna della Neve. La leggenda non è senza relazione con l'usanza di far cadere in quel giorno una pioggia di fiori bianchi nella basilica. Tale usanza, che esprime la purezza di Maria, fu forse all'origine della leggenda, oppure per la leggenda a dar luogo al profumato rito [1]? Non lo sappiamo. Certo è, invece, che S. Maria Maggiore merita giustamente il suo nome: è infatti la basilica mariana per eccellenza. E se, "tante volte la spirituale purezza di Nostra Signora di Chartres o di Amiens ha fatto sprigionare dal cuore dei pellegrini un grido di gioia e di lode, l'armonia della Madonna di Roma invita alla tranquilla fiducia nell'indulgenza infinita della Madre" [2].



    Presenza mariana.

    La Madonna: è lei che troviamo in questo luogo ammirando sul frontone dell'abside i mosaici che ricordano i misteri dell'Incarnazione e della divina Maternità. È lei che veneriamo davanti alla bella icone di stile bizantino, chiamata "Madonna di san Luca", per lungo tempo attribuita all'Evangelista e che, pur essendo d'un'epoca più recente, è certo la riproduzione di un'opera antica. Roma che conserva con pietà tante meravigliose immagini della Vergine, ama quest'ultima come la più veneranda fra tutte; questo dipinto è il suo palladio, e lo considera come "la salvezza del popolo romano". È la Madonna infine che ritroviamo ancora nei ricordi della mangiatoia del Salvatore: cinque pezzi di legno tarlato racchiusi in un reliquiario che vengono posti sull'altare maggiore, a Natale, durante la messa di mezzanotte.

    Innumerevoli sono i pellegrini venuti ad implorare in questa basilica la materna protezione della Vergine o a presentarle i loro omaggi di filiale tenerezza. E quanti santi vi ricevettero grazie particolari! Appunto qui, in una notte di Natale, la Santa Vergine depose il Bambino Gesù fra le braccia di san Gaetano da Thiene; qui, durante un'altra notte di Natale, sant'Ignazio di Loyola celebrò la sua prima messa; qui i rosari sgranati da san Pio V ottennero ai Crociati la vittoria di Lepanto; davanti alla Madonna di san Luca amava pregare san Carlo Borromeo quando era arciprete della basilica e fu appunto lui che, per testimoniare la sua gratitudine verso la Madre di Dio, riformò il coro dei canonici, gli diede un regolamento del tutto monastico e assicurò una esemplare celebrazione dell'Ufficio divino.



    Ricordi liturgici.

    E quali ricordi, o Maria, ridesta in noi questa festa della tua basilica Maggiore! E quale più degna lode, quale migliore preghiera potremmo offrirti oggi se non ricordare, supplicandoti di rinnovarle e di confermarle per sempre, le grazie ricevute da noi in questo benedetto recinto? Non è forse alla sua ombra che, uniti alla nostra madre, la Chiesa, a dispetto delle distanze, abbiamo gustato le più dolci e più elevate emozioni della Liturgia?

    È qui che nella prima Domenica di Avvento ha avuto inizio l'anno, come nel "luogo più conveniente per salutare l'avvicinarsi della divina Nascita che doveva allietare il cielo e la terra, e mostrare il sublime prodigio della fecondità d'una Vergine" [3]. Traboccanti di desiderio erano le anime nostre nella santa Vigilia che, fin dal mattino, ci radunava nella radiosa basilica "dove la Rosa mistica si sarebbe alfine schiusa e avrebbe effuso il suo divino profumo. Regina di tutte le numerose chiese che la devozione romana ha dedicate alla Madre di Dio, essa si ergeva dinanzi a noi risplendente di marmi e di oro, ma soprattutto beata di possedere nel suo seno, insieme con il ritratto della Vergine Madre, l'umile e gloriosa Mangiatoia. Durante la notte, un popolo immenso faceva ressa dentro le sue mura, aspettando il beato istante in cui quello stupendo monumento dell'amore e delle umiliazioni d'un Dio sarebbe apparso portato a spalle dai ministri sacri, come un'arca della nuova alleanza, la cui vista rassicura il peccatore e fa palpitare il cuore del giusto" [4].

    Appena trascorso qualche mese, eccoci nuovamente nell'insigne santuario, "per partecipare questa volta ai dolori della nostra Madre nell'attesa del sacrificio che si preparava" [5]. Ma tosto, quali nuovi gaudi nell'augusta basilica! "Roma faceva omaggio della solennità pasquale a colei che, più di ogni altra creatura, ebbe il diritto di provarne la gioia, sia per le angosce che il suo cuore materno aveva sopportate, sia per la fedeltà nel custodire la fede nella Risurrezione durante le ore crudeli che il suo divin Figliolo dovette trascorrere nell'umiliazione del sepolcro" [6]. Splendente come la neve, o Maria, una candida schiera di neonati usciti dalle acque formava la tua corte e rinnovava il trionfo di quel giorno.



    Preghiera.

    Fa' che in essi come in tutti noi, o Maria, gli affetti siano sempre puri come il marmo bianco delle colonne della tua chiesa prediletta, la carità risplendente come l'oro che brilla nella sua volta, e le opere luminose come il cero pasquale, simbolo di Cristo vincitore della morte e che ti fa omaggio dei suoi primi fuochi.



    [1] N. Maurice-Denis et Boulet, Romée, 1948, p. 351.

    [2] Ibidem.

    [3] L'Avvento, p. 36.

    [4] Il Tempo di Natale, p. 123.

    [5] La Passione, p. 692; Stazione del Mercoledì Santo.

    [6] Il Tempo Pasquale, p. 37.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 938-941
    Ultima modifica di Guelfo Nero; 05-08-11 alle 00:51

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    Predefinito Rif: 5 agosto 2010: Madonna della Neve

    6 AGOSTO

    TRASFIGURAZIONE DI NOSTRO SIGNORE



    "O Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione del tuo Unigenito confermasti con la testimonianza dei patriarchi i misteri della fede, e con la voce uscita dalla nube luminosa proclamasti mirabilmente la perfetta adozione dei figli, concedici, nella tua bontà, di divenire coeredi della gloria e partecipi della medesima" (Colletta del giorno). Nobile formula, che riassume la preghiera della Chiesa e ci presenta il suo pensiero in questa festa di testimonianza e di speranza.



    Senso del mistero.

    Ma è bene osservare subito che la memoria della gloriosa Trasfigurazione è già stata fatta due volte nel Calendario liturgico: la seconda Domenica di Quaresima e il Sabato precedente. Che cosa significa ciò, se non che la solennità odierna ha come oggetto, più che il fatto storico già noto, il mistero permanente che vi si ricollega, e più che il favore personale che onorò Simon Pietro e i figli di Zebedeo, il compimento dell'augusto messaggio di cui essi furono allora incaricati per la Chiesa? Non parlate ad alcuno di questa visione, fino a quando il Figlio dell'uomo non sia risuscitato dai morti (Mt 17,9). La Chiesa, nata dal costato squarciato dell'Uomo-Dio sulla croce, non doveva incontrarsi con lui faccia a faccia quaggiù; e quando, risuscitato dai morti, avrebbe sigillato la sua alleanza con lei nello Spirito Santo, solo della fede doveva alimentarsi il suo amore. Ma, per la testimonianza che supplisce la visione, nulla doveva mancare alle sue legittime aspirazioni di conoscere.



    La scena evangelica.

    A motivo di ciò, appunto per lei, in un giorno della sua vita mortale, ponendo tregua alla comune legge di sofferenza e di oscurità che si era imposta per salvare il mondo, egli lasciò risplendere la gloria che colmava la sua anima beata. Il Re dei Giudei e dei Gentili (Inno dei Vespri) si rivelava sul monte dove il suo pacifico splendore eclissava per sempre i bagliori del Sinai; il Testamento dell'eterna alleanza si manifestava, non più con la promulgazione d'una legge di servitù incisa sulla pietra, ma con la manifestazione del Legislatore stesso, che veniva sotto le sembianze dello Sposo a regnare con la grazia e lo splendore sui cuori (Sal 44,5). La profezia e la legge, che prepararono le sue vie nei secoli dell'attesa, Elia e Mosè, partiti da punti diversi, si incontravano accanto a lui come fedeli corrieri al punto di arrivo; facendo omaggio della loro missione al comune Signore, scomparivano dinanzi a lui alla voce del Padre che diceva: Questi è il mio Figlio diletto! Tre testimoni, autorizzati più di tutti gli altri, assistevano a quella scena solenne: il discepolo della fede, quello dell'amore, e l'altro figlio di Zebedeo che doveva per primo sigillare con il sangue la fede e l'amore apostolico. Conforme all'ordine dato e alla convenienza, essi custodirono gelosamente il segreto, fino al giorno in cui colei che ne era interessata potesse per prima riceverne comunicazione dalle loro bocche predestinate.



    Data della festa.

    Fu proprio quel giorno eternamente prezioso per la Chiesa ? Parecchi lo affermano. Certo, era giusto che il suo ricordo fosse celebrato di preferenza nel mese dell'eterna Sapienza: Splendore della luce increata, specchio immacolato dell'infinita bontà (Verso alleluiatico; cfr. Sap 7,26).

    Oggi, i sette mesi trascorsi dall'Epifania manifestano pienamente il mistero il cui primo annuncio illuminò di così dolci raggi il Ciclo ai suoi inizi; per la virtù del settenario qui nuovamente rivelata, gli inizi della beata speranza [1] sono cresciuti al pari dell'Uomo-Dio e della Chiesa; e quest'ultima, stabilita nella pace del pieno sviluppo che l'offre allo Sposo (Ct 8,10), chiama tutti i suoi figli a crescere come lei mediante la contemplazione del Figlio di Dio fino alla misura dell'età perfetta di Cristo (Ef 4,13). Comprendiamo dunque perché vengano riprese in questo giorno, nella sacra Liturgia, formule e cantici della gloriosa Teofania. Sorgi, o Gerusalemme; sii illuminata; poiché è venuta la tua luce, e la gloria del Signore s'è levata su di te (I Responsorio di Mattutino; cfr. Is 60,1). Sul monte, infatti, insieme con il Signore viene glorificata la sua Sposa, che risplende anch'essa della luce di Dio (Capitolo di nona; cfr. Ap 21,11).



    Le vesti di Gesù.

    Mentre infatti "il suo volto risplendeva come il sole - dice di Gesù il Vangelo - le sue vesti divennero bianche come la neve" (Mt 17,2). Ora quelle vesti, d'un tale splendore di neve - osserva san Marco - che nessun tintore potrebbe farne di così bianche sulla terra (Mc 9,2), che altro sono se non i giusti, inseparabili dall'Uomo-Dio e suo regale ornamento, se non la tunica inconsutile, che è la Chiesa, e che Maria continua a tessere al suo Figliuolo con la più pura lana e con il più prezioso lino? Sicché, per quanto il Signore, attraversato il torrente della sofferenza, sia personalmente già entrato nella sua gloria, il mistero della Trasfigurazione non sarà completo se non allorché l'ultimo degli eletti, passato anch'egli attraverso la laboriosa preparazione della prova e gustata la morte, avrà raggiunto il capo nella sua resurrezione. O volto del Salvatore, estasi dei cieli, allora risplenderanno in te tutta la gloria, tutta la bellezza e tutto l'amore. Manifestando Dio nella diretta rassomiglianza del suo Figliuolo per natura, tu estenderai le compiacenze del Padre al riflesso del suo Verbo che costituisce i figli di adozione, e che vagheggia nello Spirito Santo fino alle estremità del manto che riempie il tempio (Is 6,1).



    Il mistero dell'adozione divina.

    Secondo la dottrina di san Tommaso, infatti (III, qu. 45, art. 4), l'adozione dei figli di Dio, che consiste in una conformità di immagine con il Figlio di Dio per natura (Rm 8,29-30), si opera in duplice modo: innanzitutto per la grazia di questa vita, ed è la conformità imperfetta; quindi per la gloria della patria, ed è la conformità perfetta, secondo le parole di san Giovanni: "Ora noi siamo figli di Dio; ma non si è manifestato ancora quel che saremo. Sappiamo che quando si manifesterà saremo simili a lui, perché lo vedremo quale egli è" (1Gv 3,2).

    Le parole eterne: Tu sei il mio Figliuolo, OGGI io ti ho generato (Sal 2,7) hanno due echi nel tempo, nel Giordano e sul Tabor; e Dio, che non si ripete mai (Gb 33,14) non ha in ciò fatto eccezione alla regola di dire una sola volta quello che dice. Poiché, per quanto i termini usati nelle due circostanze siano identici, non tendono però allo stesso fine - dice sempre san Tommaso - ma a mostrare quel modo diverso in cui l'uomo partecipa alla rassomiglianza con la filiazione eterna. Nel battesimo del Signore, in cui fu dichiarato il mistero della prima rigenerazione, come nella sua Trasfigurazione che ci manifesta la seconda, apparve tutta la Trinità: il Padre nella voce intesa, il Figlio nella sua umanità, lo Spirito Santo prima sotto forma di colomba e quindi nella nube risplendente; poiché se, nel battesimo, egli conferisce l'innocenza indicata dalla semplicità della colomba, nella resurrezione concederà agli eletti lo splendore della gloria e il ristoro di ogni male, che sono significati dalla nube luminosa (III, qu. 45, ad 1 et 2).



    Insegnamento dei padri.

    "Saliamo il monte - esclama sant'Ambrogio; - supplichiamo il Verbo di Dio di mostrarsi a noi nel suo splendore e nella sua magnificenza; che fortifichi se stesso e progredisca felicemente, e regni nelle anime nostre (Sal 44). Alla tua stregua infatti, o mistero profondo, il Verbo diminuisce o cresce in te. Se tu non raggiungi quella vetta più elevata dell'umano pensiero, non ti appare la Sapienza; il Verbo si mostra a te come in un corpo senza splendore e senza gloria" (Comm. su san Luca, l. vii, 12).

    Se la vocazione che si rivela per te in questo giorno è così santa e sublime (VII Responsorio di Mattutino; cfr. Tm 1,9-10), "adora la chiamata di Dio - riprende a sua volta Andrea da Creta (Discorso sulla Trasfigurazione): - non ignorare te stesso, non disdegnare un dono così sublime, non ti mostrare indegno della grazia, non essere tanto pusillanime nella tua vita da perdere questo celeste tesoro. Lascia la terra alla terra, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Mt 8,22); disprezzando tutto ciò che passa, tutto ciò che muore con il secolo e con la carne, segui fino al cielo senza mai separartene Cristo che per te compie il suo cammino in questo mondo. Aiutati con il timore e con il desiderio, per sfuggire alla caduta e conservare l'amore. Donati interamente; sii docile al Verbo nello Spirito Santo, per raggiungere quel fine beato e puro che è la tua deificazione, con il gaudio di indescrivibili beni. Con lo zelo delle virtù, con la contemplazione della verità, con la sapienza, arriva alla Sapienza principio di tutto e in cui sussistono tutte le cose" (Col 1,16-17).



    Storia della festa.

    Gli Orientali celebrano questa festa da lunghi secoli. La vediamo fin dagli inizi del secolo IV in Armenia, sotto il nome di "splendore della rosa", rosae coruscatio, sostituire una festa floreale in onore di Diana, e figura tra le cinque feste principali della Chiesa armena. I Greci la celebrano nella settima Domenica dopo Pentecoste, benché il loro Martirologio ne faccia menzione il 6 di agosto.

    In Occidente, viene celebrata soprattutto dal 1457, data in cui il Papa Callisto III promulgò un nuovo Ufficio e la rese obbligatoria in ringraziamento della vittoria riportata l'anno precedente dai cristiani sui Turchi, sotto le mura di Belgrado. Ma questa festa era già celebrata in parecchie chiese particolari. Pietro il Venerabile, abate di Cluny, ne aveva prescritto la celebrazione in tutte le chiese del suo Ordine quando Cluny ebbe preso possesso, nel secolo XII, del monte Thabor.



    La benedizione delle uve.

    Vige l'usanza, presso i Greci come presso i Latini, di benedire in questo giorno le uve nuove. Questa benedizione si compie durante il santo Sacrificio della Messa, al termine del Nobis quoque peccatoribus. I Liturgisti, insieme con Sicardo di Cremona, ci hanno spiegato la ragione di tale benedizione in un simile giorno: "Siccome la Trasfigurazione si riferisce allo stato che dev'essere quello dei fedeli dopo la resurrezione, si consacra il sangue del Signore con vino nuovo, se è possibile averne, onde significare quanto è detto nel Vangelo: Non berrò più di questo frutto della vite, fino a quando non ne beva del nuovo insieme con voi nel regno del Padre mio" (Mt 26,29).

    Terminiamo con la recita dell'Inno di Prudenzio, che la Chiesa canta nei Vespri ed al Mattutino di questo giorno:



    INNO

    O tu che cerchi Cristo, leva gli occhi in alto; ivi scorgerai il segno della sua eterna gloria.

    La luce che risplende manifesta Colui che non conosce termine, il Dio sublime, immenso, senza limiti, la cui durata precede quella del cielo e del caos.

    Egli è il Re delle genti, il Re del popolo giudaico, e fu promesso al patriarca Abramo e alla sua stirpe per tutti i secoli.

    I Profeti sono i suoi testimoni, e sotto la loro garanzia, testimone egli stesso, il Padre ci ordina di ascoltarlo e di credere in lui.

    Gesù, sia gloria a te che ti riveli agli umili, a te insieme con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.


    [1] San Leone: II Discorso sull'Epifania.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 941-946

 

 
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