Via al dialogo tra forze nazionaliste: noi proponiamo un metodo (di Pierfranco Devias) - Anthony Muroni
Via al dialogo tra forze nazionaliste: noi proponiamo un metodo (di Pierfranco Devias)
Non so se i tempi siano maturi per ipotizzare una grande alleanza nazionalista e non ho la possibilità, né io né nessuno, di stabilirlo a priori.
Credo invece che i tempi siano maturi per avviare una stagione di dialogo tra le forze nazionaliste sarde.
Premetto innanzitutto che per “forze nazionaliste” intendo quelle strutture politiche organizzate che si prefiggono di raggiungere l’autodeterminazione e l’indipendenza politica della nazione sarda.
Come tutti sappiamo le forze nazionaliste negli ultimi quarant’anni si sono moltiplicate e alcune si sono anche estinte, sono andate incontro ad accorpamenti e scissioni, trascorrendo periodi di ricerca di unità alternati a periodi di chiusura e ostilità reciproche.
Oggi, per la prima volta nella storia recente del nostro Paese, si percepisce, diffusa e tangibile, la possibilità che le forze nazionaliste possano riuscire a mettere in minoranza le forze unioniste nel governo della Regione, che si vada ad elezioni anticipate o che si vada a regolare scadenza.
Ma ciò che serve immediatamente, oggi, è l’apertura di una stagione di dialogo e non, tout court, una raffazzonata ammucchiata elettorale.
Io sono solito pensare che i matrimoni combinati non funzionino: forzano la volontà delle parti e finiscono nel peggiore dei modi.
Per questo motivo credo che le forze nazionaliste debbano approcciarsi in maniera libera, spontanea e volontaria per instaurare un dialogo. Che, beninteso, come tutti i dialoghi può durare a lungo o finire presto, instaurare una grande amicizia o concludersi sbattendo la porta. Però un dialogo è preliminare a qualsiasi progetto politico ed è nel dibattito che si capisce se qualcosa di più è possibile o meno.
Davanti alle pressanti richieste del nostro popolo, davanti alle speranze di riscatto e di rivalsa per la situazione tragica in cui versa, noi tutti abbiamo il dovere di provare a dialogare.
Da più parti arrivano segnali di apertura e appare paradossale che tutti vogliano dialogare ma il dialogo non parta.
Probabilmente finora si è commesso un errore metodologico e coloro che propongono il dibattito anziché esaminare la propria azione in maniera autocritica preferiscono incolpare gli altri di chiusura e scarsa disponibilità.
Nell’ultimo periodo, ma gli esempi non mancano anche nel passato, ci sono state diverse proposte di dialogo ma tutte hanno, a mio parere, il peccato originale di non fare tesoro delle esperienze.
Io credo che l’esperienza dovrebbe farci capire che le unioni chiamate da “unitori” non funzionano. E non vale a niente dichiarare, come da lunga tradizione, massima apertura, disponibilità e porte aperte.
Nessuno è disposto ad accorrere alla chiamata di nessuno, chiunque ne sia promotore, perché le forze nazionaliste hanno avuto tra loro una lunga serie di trascorsi, le persone che ne fanno parte hanno una storia politica e personale, qualcuno ha anche vecchie ruggini, e nessuno è pronto ad accorrere a schiocco di dita alla corte di nessuno per la trecentesima proposta di unità.
Chi pensa che questo possa accadere non conosce sufficientemente il mondo nazionalista o ne ha una concezione molto idealista e ben poco pratica. Infatti dopo i proclami altisonanti puntualmente non succede niente.
Che fare dunque?
Come prima cosa direi che sarebbe il caso di smettere di allestire salotti in casa propria e invitare gli altri a sedersi e comportarsi “come se si fosse in casa propria”. In casa d’altri nessuno si sente a casa, e nessuno è realmente libero da soggezioni.
Abbandoniamo quindi (tutti!) sogni suprematisti e presuntuosi tentativi egemonici e anziché perdere tempo a sognare noi stessi nei libri di storia come novelli Angioy pensiamo a come risolvere la situazione.
Se si insiste a commettere lo stesso errore è difficile che si possa trovare una soluzione.
Stabilito quindi ciò che è bene non fare, veniamo alla proposta sul che fare.
Io credo che l’unica proposta concreta per aprire il dialogo tra le forze nazionaliste sia la formula dell’autoconvocazione, unica formula realmente paritaria, democratica, dignitosa per tutti.
In cosa consisterebbe questa autoconvocazione?
Credo che le segreterie delle forze nazionaliste debbano contattarsi reciprocamente attraverso trattative riservate (quindi contatti privati, niente annunci pubblici stile “unitori”), senza scaletta di chi-chiama-chi, ma liberamente, secondo un principio di assunzione di responsabilità, e accordarsi tra loro in massima discrezione per vedersi in un luogo stabilito in un giorno stabilito e a porte chiuse.
Questa è una proposta di metodo che assicura pari dignità alle parti, che non ha “unitori”, che mette tutti nelle condizioni di prendere l’iniziativa e far nascere e crescere un dialogo senza seguire la chiamata di nessuno, costituendolo da zero con un processo senza egemonie e in cui tutti siano ugualmente attori.
Ci saranno esclusi? Certo. In ogni consesso c’è chi è dentro e chi è fuori, altrimenti se ci sono tutti si chiama società.
Io proporrei che la forbice sia ampia al punto che ne dovrebbero restare fuori solo:
a) le forze politiche italiane e anche quelle di genesi sarda che non si prefiggono la conquista dell’indipendenza nazionale, perché non ci stanno a fare niente in un luogo di dibattito tra nazionalisti sardi.
b) le forze che sostengono il governo coloniale, perchè continuando a sostenere il governo unionista di Pigliaru hanno scelto di stare dalla parte del problema e non dalla parte della soluzione
c) quelle concepite come emanazione del “capo assoluto”, perché chi non è capace di concepire la democrazia neanche in casa propria non è nelle condizioni di contribuire ad una proposta democratica di dialogo.
Cosa devono fare le forze nazionaliste una volta autoconvocatesi?
Questo lo decideranno loro, si metteranno al lavoro e ”Se son rose fioriranno, se son spine pungeranno”. Io credo, e spero, che si mettano a discutere di punti condivisi, di affinità piuttosto che di divergenze, di futuro piuttosto che di passato. A noi basta che ci si sieda, ci si guardi in faccia e si pratichi ogni sforzo per dare una risposta seria e responsabile al grido d’aiuto che viene dal popolo.
Si pone da subito un problema: quale è il peso contrattuale tra le parti? Cioè, le segreterie che si siedono al tavolo prendono decisioni in maniera paritaria uno-a-uno sebbene alcuni segretari rappresentano migliaia di persone e altri appena dieci? Non sarebbe equo e democratico, questo nodo va sciolto.
Faccio una proposta che naturalmente non è assolutamente vincolante.
Le segreterie nei loro incontri congiunti potrebbero scrivere dei punti programmatici, in questa prima fase anche in maniera paritaria uno-a-uno, stilare un lungo elenco di proposte come con una sorta di brainstorming. In una fase successiva queste proposte devono essere sottoposte all’approvazione di una grande assemblea di delegati, che so, massimo cinquanta/sessanta per partito (sapendo che alcuni partiti dispongono di cinquanta delegati, altri probabilmente no e porteranno i delegati di cui dispongono), con votazione democratica su base “una persona un voto”.
Questo consentirebbe:
1) che tutti i partiti esprimano proporzionalmente il loro reale peso
2) che nella delegazione di ogni partito possano essere presenti anche le diverse anime di quel partito e non solo la segreteria, scardinando scuderie e dando respiro alla base che giustamente vuole rappresentatività in delegazione
3) di porre un tetto massimo di rappresentatività oltre che di gestione pratica dal punto di vista organizzativo e logistico.
4) di far sì che ad esprimersi sui punti siano chiamate persone bene informate, partecipi del dibattito tramite la vita di partito
5)che i delegati possano approvare o disapprovare una determinata proposta, votando anche in maniera differente rispetto alla maggioranza del loro partito di appartenenza, con maggioranze e minoranze che si formano e si spostano su argomenti precisi in base alle opinioni dei delegati
Sarebbe bene studiare un modo affinchè possano trovare rappresentanza e dare il loro contributo anche gli intellettuali da tempo impegnati nel dibattito nazionalista. Magari le forze politiche potrebbero ospitarli come delegati nella propria quota di rappresentanza o si potrà comunque ragionare su altre formule di rappresentatività e partecipazione.
Quando (e se) si troveranno dieci, venti, trenta punti democraticamente condivisi e approvati a maggioranza potremmo parlare di progettualità e di coordinamento programmatico tra forze nazionaliste. Non prima. A quel punto (se mai arriverà quel punto) le forze nazionaliste potranno valutare l’ipotesi di un percorso elettorale comune per rovesciare la politica unionista, cercando una persona capace di rappresentare le loro istanze alle elezioni e la sceglieranno con metodologia ampiamente democratica nei modi che esse stabiliranno.
In chiusura ci tengo a ribadire che questa non è, non può e non vuole essere una proposta politica, ma solo una proposta metodologica per poter iniziare un dialogo.
Con chi ha onestamente volontà di instaurare un confronto equo e paritario ci troveremo sicuramente.
PS: giocoforza questa proposta deve essere messa in pubblico e non può essere inviata in maniera riservata alle segreterie, perché ciò mi imporrebbe di scegliere a discrezione mia a chi inviarla e a chi no, stravolgendone la sua stessa natura.