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Discussione: Il filone "nazionale"

  1. #1
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Il filone "nazionale"

    Thread dedicata al confronto con le forze nazionali, nazionalitarie e sovraniste.

    Indipendenza, Comunismo E Comunità, Patria Socialista, Socialismo Patriottico, Fronte Sovranista Italiano ma anche l'ex "Sinistra Nazionale".

    E' inoltre prevista la possibilità di dibattito storico su personaggi non marxisti (Strasser, Niekisch, Stanis Ruinas, Thiriart), purché non venga effettuata apologia di fascismo.
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

  2. #2
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    Predefinito Re: Il filone "nazionale"

    Patria Socialista quale? perchè ce ne sono molti di gruppi/blog con nomi simili o uguali.
    "L'odio per la propria Nazione è l'internazionalismo degli imbecilli"- Lenin
    "Solo i ricchi possono permettersi il lusso di non avere Patria."- Ledesma Ramos
    "O siamo un Popolo rivoluzionario o cesseremo di essere un popolo libero" - Niekisch

  3. #3
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: Il filone "nazionale"

    Citazione Originariamente Scritto da Kavalerists Visualizza Messaggio
    Patria Socialista quale? perchè ce ne sono molti di gruppi/blog con nomi simili o uguali.
    Quelli di Roma. Comunisti ma di ispirazione "fiumana" e "ardita".

    Patria Socialista
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

  4. #4
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: Il filone "nazionale"

    L’attualità del “Pensiero Nazionale” di Stanis Ruinas al tempo del turbocapitalismo


    Fa scalpore, nell’Italia normalizzata da Monti e poteri finanziari, scoprire che esistono ancora i comunisti. Quelli veri: brutti, cattivi e violenti. Non i democratici bersaniani, pronti all’inciucio con il professore bocconiano; e neanche gli scoloriti vendoliani. I comunisti che, fedeli alla propria tradizione, hanno messo in pratica la filosofia del partito armato. E pazienza se adesso hanno i capelli bianchi e stonano cantando l’Internazionale ai funerali di Prospero Gallinari. L’odierno stupore dei moderati fa il paio con le indignate lamentele di poco più di un mese fa, quando i giornali scoprirono con orrore che al funerale di Pino Rauti era pieno di fascisti non propriopolitically correct.

    Fascisti e brigatisti, Rauti e Gallinari. Difficile immaginare due realtà così diverse fra loro, quasi antitetiche. Eppure ci fu un tempo, molto più tragico e violento di oggi, in cui i due mondi si parlavano, cercavano intese e punti di contatto. Erano gli anni della guerra civile, periodi di scontri fratricidi e reciproche violenze che non si sono mai più cicatrizzate. Mentre da Radio Londra si ascoltavano voci italiane che incitavano il popolo ad abbandonare il fascismo morente, a disertare, a unirsi alle file dei partigiani; dall’altra parte c’era chi lanciava un appello al proletariato e alla classe operaia, invitandoli a stringersi intorno alla bandiera della Rsi, in funzione antinglese e anticapitalista. «Il nemico comune è il capitalismo; e il capitalismo è la peggiore dittatura. Churchill e Roosevelt non sono dittatori nel significato corrente della parola; ma il sistema che essi rappresentano, il capitalismo, anzi il supercapitalismo, è la più opprimente e mostruosa delle dittature».
    Sono parole di Stanis Ruinas, di cui oggi ricorre il ventinovesimo anniversario della scomparsa, avvenuta a Roma, nell’indifferenza generale, il 21 gennaio del 1984. Il giornalista e intellettuale sardo (vero nome Giovanni Antonio De Rosas) nel Dopoguerra animerà uno dei più originali ed anomali percorsi politici compiuti da un gruppo, non piccolo, di giovani usciti dall’esperienza della Rsi. «Fascisti-comunisti» venivano chiamati, oppure «comun-fascisti», «camicie nere di Togliatti» e «fascisti rossi». Oggi, per usare il felice neologismo che ha dato il titolo al romanzo di Antonio Pennacchi, diremmo fasciocomunisti.
    Un manipolo di intellettuali, giornalisti e militanti che si riunì intorno al quindicinale Pensiero Nazionale, che arrivò a fiancheggiare il Pci e a caldeggiare l’ingresso di molti ex fascisti nelle file comuniste, trovando l’appoggio (e anche finanziamenti) di alcuni illustri dirigenti del partito di Togliatti, come Pajetta, Longo e il futuro segretario Enrico Berlinguer. A metà degli Anni Cinquanta, esaurita l’esperienza filo-comunista, la redazione di Pensiero Nazionale si avvicinò alle idee diEnrico Mattei in tema di politica economica, energetica ed estera e sul piano culturale si aprì verso tutto ciò che costituiva un fenomeno di rottura con il conformismo dell’Italia democristiana, come pure della più ottusa ortodossia comunista.
    Ma facciamo un passo indietro, per comprendere meglio la parabola di Stanis Ruinas. Nato a Usini, in provincia di Sassari, nel 1899, Giovanni Antonio De Rosas cresce con ideali mazziniani ed è quindi repubblicano, antiborghese e anticapitalista. Comincia a collaborare a giornali e varie testate con lo pseudonimo di Stanis Ruinas, sposando fin da subito le idee del fascismo “sansepolcrista”, cioè socialista, antimonarchico, contrario all’ingerenza del Vaticano. Nell’arco del Ventennio collabora a L’Impero, Il Popolo d’Italia, Il Resto del Carlino e dirige il Popolo Apuano e ilCorriere Emiliano. Nel periodo del massimo consenso mussoliniano le sue idee intransigenti lo fanno un po’ cadere in disgrazia agli occhi del regime: Ruinas viene sospeso e poi radiato dal Pnf «per indisciplina e scarsa fede» e sottoposto a vigilanza speciale, fino alla riconciliazione avvenuta alla vigilia della Seconda guerra mondiale grazie al libro Viaggio per le città di Mussolini del 1939.
    Nella guerra contro le forze «plutocratiche» e «trustistiche» inglesi e statunitensi, e ancor più con la nascita della Repubblica sociale italiana, Stanis Ruinas vede finalmente incarnarsi il fascismo delle origini e la possibilità di realizzare quella rivoluzione per la quale si è sempre battuto. La socializzazione e la ricerca di un accordo con gli antifascisti per impedire la guerra civile diventano i cardini attorno ai quali ruota la sua azione giornalistica e politica. Ma l’evolversi della situazione, con la Rsi nelle mani dei tedeschi e comunque condizionata da mille equilibrismi, frustrerà le sue aspettative; anche se Ruinas respingerà sempre l’accusa secondo cui il fascismo repubblicano sarebbe stato l’espressione estrema della reazione capitalista. Anzi, nel Dopoguerra ribalterà l’accusa sui comunisti italiani, colpevoli di collusione con la borghesia per aver scelto di partecipare al governo Bonomi e di aver accettato l’alleanza con l’Inghilterra e gli Usa. «A costo di passare per un ingenuo – scriverà – confesso di non comprendere come uomini che si autoproclamano rivoluzionari, socialisti, comunisti, anarchici, e che per i loro ideali hanno sofferto la galera e l’esilio, possano plaudire all’Inghilterra plutocratica e all’America trustistica, che in nome della democrazia e della libertà democratica devastano l’Europa».
    Nel maggio del ’45 Ruinas viene arrestato per un mese e processato, ma poi assolto. Finirà di nuovo in carcere cinque anni dopo e ci resterà per 40 giorni, prima di essere prosciolto per mancanza di prove. L’accusa? «Istigazione alla rivolta armata contro i poteri costituiti». In alcuni articoli, infatti, aveva invitato il Pci a rifarsi con la forza per l’estromissione dal governo De Gasperi e, davvero incredibile, a prendere le armi assieme agli ex militanti di Salò.
    La rivista Pensiero Nazionale viene fondata nel ’47 e anche se avrà sempre una diffusione limitata (non più di 15 mila copie) riesce comunque ad essere presente in tutti i capoluoghi di provincia e ad animare il dibattito politico. All’inizio degli Anni Cinquanta i gruppi che fanno capo al quindicinale si costituiscono in movimento politico, raccogliendo circa 20 mila iscritti; ma l’iniziativa non dà risultati significativi, anche perché il Pci ostacola la nascita di un partito indipendente della Sinistra Nazionale, che pure avrebbe dovuto essere alleato e contiguo. In seguito, come detto, Ruinas e i suoi collaboratori (tra cui figurano il linguista Tullio De Mauro, l’ ex diva degli Anni Quaranta Elsa De Giorgi, i pittori Giulio Turcato e Tonino Caputo, lo scrittore e critico cinematografico Alessandro Damiani, giovani reduci della Decima Mas, come Lando Dell’Amico,Giampaolo Testa ed Alvise Gigante) si avvicinano alle posizioni di Mattei e negli Anni Sessanta assumono posizioni filo-arabe, terzomondiste e favorevoli ad una più stretta collaborazione con i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo.
    Con l’Msi, che raccoglie gran parte degli “ex camerati” di Stanis Ruinas, il giornalista sardo avrà sempre un rapporto conflittuale. Il direttore di Pensiero Nazionale considera chiuso il capitolo del Ventennio, respinge le posizioni nostalgiche e “bolla” il partito neofascista come un movimento conservatore e atlantista, usato dalla Dc per irregimentare la gioventù in funzione anticomunista. Nella sua polemica contro i dirigenti missini (in particolare Michelini e poi Almirante), Ruinas risparmia però i militanti più giovani e in buona fede, tra i quali non mancano fra l’altro coloro che in larga parte condividono le idee di Pensiero Nazionale e dei “fascisti rossi”. Si pensi a Giorgio Pini, Roberto Mieville, Beppe Niccolai, Giano Accame… E in seguito all’ala rautiana e ad esperienze editoriali come La voce della fogna e Linea.
    Il quindicinale di Ruinas continua a uscire fino al 1977, quando ormai ridotto ai minimi termini cessa le pubblicazioni. Il suo vulcanico direttore muore sette anni più tardi, il 21 gennaio del 1984. Negli ultimi tempi la sua originale parabola politica, e quella dei “fasciocomunisti”, è stata riscoperta grazie importanti libri storici come Fascisti rossi di Paolo Buchignani (Mondadori) e La sinistra fascista di Giuseppe Parlato (Il Mulino). Attualmente esiste un piccolo movimento che definisce Sinistra Nazionale e si rifà in parte alle idee di Stanis Ruinas anche il quotidiano Rinascita, diretto da Ugo Gaudenzi.
    Di Giorgio Ballario

    L?attualità del ?Pensiero Nazionale? di Stanis Ruinas al tempo del turbocapitalismo | Barbadillo



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  5. #5
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    Predefinito Re: Il filone "nazionale"

    Ottima cosa.
    Rilancio la mia proposta "romantica" che accenai tempo fa, di trasformare (col tempo e la volontà) questo spazio in un laboratorio che rilanci una nuova proposta anticapitalista, sociale, sovranista e repubblicana. Le menti ci sono, le persone anche. Visto che l'area cui fate riferimento sembra ormai assente o spezzettata, perche' non immaginare la nascita di nuovi punti di riferimento, se non politici, almeno culturali?

    E' il caso di aprire una nuova discussione?

  6. #6
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    Predefinito Re: Il filone "nazionale"

    Citazione Originariamente Scritto da LupoSciolto° Visualizza Messaggio
    Quelli di Roma. Comunisti ma di ispirazione "fiumana" e "ardita".

    Patria Socialista
    Pensavo non esistessero più, meglio così
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

  7. #7
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: Il filone "nazionale"

    Citazione Originariamente Scritto da Dean M. Visualizza Messaggio
    Ottima cosa.
    Rilancio la mia proposta "romantica" che accenai tempo fa, di trasformare (col tempo e la volontà) questo spazio in un laboratorio che rilanci una nuova proposta anticapitalista, sociale, sovranista e repubblicana. Le menti ci sono, le persone anche. Visto che l'area cui fate riferimento sembra ormai assente o spezzettata, perche' non immaginare la nascita di nuovi punti di riferimento, se non politici, almeno culturali?

    E' il caso di aprire una nuova discussione?
    Se lo ritieni necessario fallo pure. Saremo tutti lieti di partecipare
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  8. #8
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: Il filone "nazionale"

    DUE DIVERSE INTERPRETAZIONI DEL PENSIERO E DELL'OPERATO DI JEAN THRIART



    Il pensiero di J. Thiriart*****
    Rene Pellissier
    Thiriart il Lenin della rivoluzione europea
    Co-fondatore del Comité d'Action et de Défense des Belges d'Afrique (CADBA), costituito nel Luglio 1960 immediatamente dopo le violenze di Léopoldville e di Thysville, di cui furono vittime i Belgi del Congo, e co-fondatore del Mouvement d'Action Civique che successe al CADBA, il belga Jean Thiriart nel Dicembre 1960 lanciò l'organizzazione Jeune Europe che per diversi mesi sarà il principale sostegno logistico e base di retrovia dell'OAS-Metro. Fino a qui, sembrerebbe, niente di più che l'itinerario, tutto sommato classico, di un uomo della destra più estrema. Tuttavia, i partigiani europei devono molto a Thiriart - e quello che gli devono non permette certo di classificarlo di "estrema destra"! Gli devono la denuncia della "impostura chiamata Occidente" (è il titolo di un editoriale di Jean Thiriart nel mensile La Nation Européen, no.3, 15 Marzo/15 Aprile 1966) (1) e la denuncia dei sinistri pagliacci che sono i suoi difensori, da Henri Massis a Ronald Reagan; la designazione degli Stati Uniti come nemico principale dell'Europa (Thiriart vi aggiunse, dal 1966, il Sionismo - la rivista Conscience Européenne che si rifaceva a Thiriart, titolava il suo numero 7 dell'Aprile 1984: "Imperialismo americano, sionismo: un solo nemico per la Nazione Europea"). Gli devono l'idea di un'Europa indipendente ed unita, da Dublino a Bucarest, poi da Dublino a Vladivostok (2) e l'idea di un'alleanza con i nazionalisti arabi e i rivoluzionari del Terzo Mondo. Gli devono infine l'abbozzo, con l'organizzazione Jeaune Europe, di un Partito Rivoluzionario europeo, che s'inspira ai principi leninisti, e la versione modernizzata di un socialismo che vuole essere nazionale (Nazione europea), comunitario e "prussiano". I trascorsi di Thiriart e le influenze ideologiche che ha subito, non fanno di lui, a priori, un uomo d'estrema destra. Nato a Liegi in una famiglia liberale che aveva forti simpatie per la sinistra, Thiriart milita dapprima nella Jeaune Garde socialista e nell'Unione Socialista antifascista. Poi, durante la guerra, collabora al Fichte Bund, organizzazione d'ispirazione nazionalbolscevica, diretta ad Amburgo dal dottor Kessemaier. Nello stesso tempo è membro dell'AGRA (Amici del Grande Reich Tedesco) che raggruppava, in Belgio, gli elementi d'estrema sinistra favorevoli alla collaborazione europea, e all'annessione al Reich. Negli anni '40, il corpus dottrinale thiriartiano è già in opera. Da quest'epoca, lo si può qualificare come rivoluzionario ed europeo. Solo particolari circostanze politiche (indipendenza del Congo, secessione katanghese, questione algerina, problema rhodesiano, etc...) portano, negli anni dal 1960 al 1965, Thiriart a sposare, provvisoriamente, le tesi dell'estrema destra. Si impegna in effetti nella lotta per il Congo belga (poi il Katanga di Moise Chombé), per l'Algeria francese e la Rhodesia, perché gli sembra che all'Europa, economicamente e strategicamente, sia necessario il controllo dell'Africa: Thiriart è un fermo sostenitore dell'Eurafrica. Inoltre, Thiriart porta il sostegno di Jeune Europe all'OAS, perché una Francia-OAS gli pare l'ideale trampolino per l'auspicata Rivoluzione europea. Ma dal 1964/65, Thiriart si separa dall'estrema destra, della quale respinge in blocco il piccolo-nazionalismo, l'anticomunismo intransigente, la sottomissione agli interessi capitalisti, l'atlantismo, il pro-sionismo e, particolarmente tra i Francesi, il razzismo antiarabo e lo spirito di crociata contro l'Islam. Essendo fallita l'esperienza dell'OAS (divisa, pusillanime, senza ideologia rivoluzionaria o coerente progetto politico), Thiriart rivolge le sue speranze prima sul gollismo (1966), tenta poi d'ottenere l'appoggio cinese (tramite Ceausescu incontra Chu-en-Lai a Bucarest) ed infine l'appoggio arabo. Il suo impegno rivoluzionario e il suo pragmatismo lo portano, dopo aver combattuto per il Congo belga e l'Algeria francese, ad auspicare l'alleanza Europa-Terzo Mondo (3). Thiriart non si è tuttavia rinnegato, il suo progetto rimane lo stesso: l'indipendenza e l'unità dell'Europa. La sua lucidità gli permette di distinguere nelle guerre coloniali come nelle lotte politiche che vi sono succedute, lo stesso nemico dell'Europa: gli Stati Uniti che un tempo armavano e appoggiavano le rivolte contro le colonie europee per sostituirsi ai colonizzatori europei e che, oggi, sostengono massicciamente il sionismo la cui agitazione bellicista ed "antirazzista" in Europa (razzista in Israele, il sionismo è antirazzista nel resto del mondo) minaccia la sopravvivenza stessa dell'Europa. Nel 1969, deluso dal relativo fallimento di Jeaune Europe e dalla timidezza degli appoggi esterni, Jean Thiriart rinuncia provvisoriamente alla lotta. Ma negli anni '70-'80, la sua influenza, il più delle volte indiretta, si fa sentire sull'ala radicale (neo-fascista) dei movimenti d'estrema destra, dove l'ideale europeo fa la sua strada; sui gruppo nazionalrivoluzionari e socialisti europei che s'ispirano allo stesso tempo a Evola, Thiriart ed al maoismo (4) (si tratta in particolare dell'Organizzazione Lotta di Popolo in Italia, Francia e Spagna, e, in larga misura, dei suoi corrispondenti tedeschi dell'Aktion Neue Rechte, poi di Sache des Volkes, cfr. Orion no.62); ed infine, sulla Nouvelle Droite (a partire dalla svolta ideologica operata dagli anni '70-'80 dalla giovane generazione del GRECE, attorno a Guillaume Faye). Nel 1981 Thiriart rompe il silenzio che osservava dal 1969 e annuncia la pubblicazione di un libro: L'Impero eurosovietico da Vladivostok a Dublino. Ormai preconizza l'unificazione dell'Europa da parte dell'Armata Rossa e sotto la guida di un Partito Comunista (euro-)sovietico preventivamente sbarazzato dallo sciovinismo pan-russo e dal dogmatismo marxista (5). Oggi Thiriart si definisce un nazionalbolscevico europeo. Ma non ha fatto che precisare ed aggiustare alla situazione politica attuale i temi che difendeva negli anni '60. Nello stesso tempo, sotto l'impulso di Luc Michel, hanno visto la luce un Parti Communautaire National-Européen, e una rivista, Conscience Européenne, che riprendono l'essenziale delle idee di Thiriart. Se si vuole, Thiriart è stato il Lenin della Rivoluzione Europa, ma un Lenin che aspetta sempre il suo Ottobre 1917. Con l'organizzazione Jeune Europe, ha tentato di creare un Partito rivoluzionario europeo e di suscitare un movimento di liberazione su scala continentale nell'epoca in cui l'ordine di Yalta era contestato tanto ad Ovest da De Gaulle, che all'Est da Ceausescu e dai diversi nazionalcomunismi. Ma questo tentativo non è potuto riuscire per mancanza di seri aiuti esterni e di un terreno favorevole all'interno (ossia una crisi politica ed economica che avrebbe potuto rendere le masse disponibili per un'azione rivoluzionaria a vasto raggio). Non è certo che questo appoggio e questo terreno manchino ancora per molto! E' importante seguire, ininterrottamente, la via tracciata da Jean Thiriart. Cioè diffondere i concetti thiriartiani e formare, sul modello di Jeune Europe, i quadri dell'Europa rivoluzionaria di domani.
    Note
    1) Il tema antioccidentale sarà ripreso, circa 15 anni più tardi, dalla Nuovelle Droite, nella rivista Eléments (no.34, "Pour en finir avec la civilisation occidentale", Aprile/Maggio 1980). 2) L'idea della Grande Europa, da Dublino a Vladivostok, apparve timidamente negli scritti di Jean Thiriart all'inizio degli anni '60. Il neo-destrista Pierre Vial, difende chiaramente quest'idea nell'articolo intitolato "Objectif Sakhaline", in Eléments no.39, estate 1981. 3) L'alleanza Europa-Terzo Mondo è oggetto di un libro di Alain de Benoist, Oltre l'Occidente. Europa-Terzo Mondo: la nuova alleanza, La Roccia di Erec. 4) Per molti militanti nazionalrivoluzionari, la Libia del Colonnello Gheddafi, così come la Rivoluzione Islamica, hanno rimpiazzato, oggi, la Cina popolare come modello. 5) Negli anni '60, Thiriart teorizzava la formazione di Brigate Europee che, dopo essersi addestrate in teatri d'operazione esterni (Vicino Oriente, America Latina), ritornerebbero a portare sul suolo europeo, quando si verificassero circostanze politiche, una guerra di liberazione. La direzione politica di quest'operazione sarebbe spettata al Partito Rivoluzionario Europeo, prefigurato da Jeune Europe. Negli anni '80, nello spirito di Thiriart, l'Armata Rossa e il PCUS, hanno rimpiazzato le Brigate Europee e Jeune Europe.
    fonte: Le Partisan Européen, 9 Gennaio 1937; tratto dal volume La Grande Nazione, SEB, Milano 1993; visto su La Nazione Eurasia FONTE: http://xoomer.virgilio.it/controvoce/doc-pellissier-thir.htm
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  9. #9
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: Il filone "nazionale"

    LE RADICI DEL COMUNITARISMO DI THIRIART

    Al di là della disinvoltura con cui Thiriart condusse la propria azione (del resto era un grande estimatore di Machiavelli), bisogna tener presente che l’ elaborazione politica da lui compiuta trovava le sue radici nelle idee sviluppate durante la Seconda guerra mondiale da alcune figure del collaborazionismo francofono. Emblematico il caso dello scrittore Drieu La Rochelle (1893 – 1945), che già nel 1942 aveva parlato di un Impero Europeo in via di riunificazione sotto il vessillo croceuncinato:“Trecento milioni di uomini cantano in un solo campo. Un solo stendardo rosso sta sulla cima delle Alpi”Era stato lo stesso Drieu ad enunciare per primo l’ idea eurasista di un grande blocco estendentesi da Lisbona a Vladivostok. Quando il conflitto si andava avviando verso una concluzione catastrofica per gli eserciti dell’ Asse, l’ intellettuale francese vide nell’ Armata Rossa l’ unico strumento storico in grado di sostituirli nella costruzione dell’ unità continentale. Fra le sue ultime, allucinate righe (marzo 1944), si poteva leggere:“Saluto con gioia l’ avvento della Russia e del comunismo. Sarà atroce, atrocemente devastante per la nostra generazione che perirà tutta di morte lenta o improvvisa, ma è meglio questo che il ritorno del vecchiume, del ciarpame anglosassone, della ripresa borghese, della democrazia rabberciata”E già qualche mese prima (settembre 1943) aveva avuto modo di chiarire:“Del resto, il mio odio per la democrazia mi fa desiderare il trionfo del comunismo. In mancanza del fascismo solo il comunismo può mettere veramente l’ Uomo con le spalle al muro costringendolo ad ammettere di nuovo, come non avveniva più dal medioevo, che ha dei Padroni. Stalin più che Hitler è l’ espressione della legge suprema”.Dopo la sconfitta del fascismo e del nazismo, l’ autocrazia sovietica veniva individuata come unica alternativa alla democrazia e all’ individualismo prodotti della décadence , perché i Russi avevano una “forma” ed il marxismo non era altro che “una febbre di crescenza in un corpo sano”:“Scompariranno così tutte le assurdità del Rinascimento, della Riforma, della Rivoluzione americana e francese. Si torna all’ Asia: ne abbiamo bisogno” (aprile 1943)Il mito dell’ Europa imperiale, il complementare “orrore” per la democrazia, la positiva valutazione della Russia sovietica per lottare contro le potenze atlantiche nascono quindi come patrimonio teorico di ambienti ben individuabili e catalogabili. Thiriart non farà che riprendere queste idee aggiornandole ed adattandole all’ epoca del secondo dopoguerra.

    3. ECONOMIA E SOCIETA’ NEL COMUNITARISMO DI THIRIART

    E’ in un simile quadro, allora, che dovranno essere collocati anche gli spunti economici e sociali del Comunitarismo di matrice thiriartiana. Fu in seguito all’ eliminazione dell’ “estrema destra razzista” esasperatamente anticomunista dalla Jeune Europe, avvenuta tra il 1964 ed il 1965, che all’ interno del gruppo divennero dominanti due orientamenti: da una parte un radicale anti-americanismo, dall’ altro il Comunitarismo inteso come teoria economico-sociale che “superava” il marxismo (L’ analyse négative de Marx est correcte.Son plan positif est enfantin, normatif, vertuiste).Per la verità già nel Manifesto fondativo della Jeune Europe veniva abbozzato un discorso di “alternativa” al Sistema, proclamando la “superiorità del lavoratore sul capitalista e dell’ uomo sul formicaio”, auspicando una “comunità dinamica” che vedesse “la partecipazione nel lavoro di tutti gli uomini che la compongono”. Alla democrazia parlamentare veniva contrapposta una rappresentanza organica riunita in un “Senato della Nazione Europea formato dalle più alte personalità nel campo della scienza, del lavoro, delle arti, delle lettere” ed in una “Camera sindacale che rappresenti gli interessi di tutti i produttori dell’ Europa liberata dalla tirannia finanziaria e politica straniera”.Si trattava, in sostanza, di un trasferimento sul piano continentale del corporativismo di matrice fascista. Nel 1965, Thiriart definiva il Comunitarismo come un “socialismo nazional-europeo” e profetizzava che “in mezzo secolo il comunismo giungerà, malgrado o di buon grado, al comunitarismo”. Una ventina d’ anni più tardi, egli precisava che il comunitarismo era un “comunismo europeo de-marxistizzato”. Di qui derivò il suo sempre maggiore interesse ed avvicinamento a quei regimi che evolvevano nel senso del “nazional-comunismo”, ossia la Jugoslavia di Tito e la Romania di Nicolae Ceausescu.Ma è necessario guardare oltre la cortina fumogena di termini usati spesso ambiguamente.Per capirci qualcosa, si rivela significativa la lettura di un documento steso da Thiriart negli anni Ottanta, intitolato Approche du Communitarisme.Esso delinea un contraddittorio modello in cui convivono elementi di ascendenza socialista, con altri liberisti:“Il faut donc responsabiliser les entreprises collectives. Actuellement toutes les pagailles son couvert par l’ anonymat de ‘majorités non responsables’ et payéès par l’ Etat. Le Communauitarisme tendra à encourager les sociétés coopératives, mais simultanément il les considérera comme des entités responsables d’ elles-memes (autogestion)”In che modo potranno stare assieme libera concorrenza e “forme cooperative” nel Comunitarismo? Non viene specificato, ma resta fermo per Thiriart che la ricerca del profitto rimarrà l’ elemento essenziale in quanto“pour le commun des mortels la motivation la plus efficace demeure l’ intéret. On peut le deplorer sur le plan éthique, mas c’ est une réalitè”Egli vede un fattore positivo nell’ economia di mercato, perché la libera impresa e la concorrenza generano “selezione”. La gerarchia sociale sussisterà, basandosi “essenzialmente sul lavoro”. Anzi, già negli anni Sessanta, nell’ opuscolo La grande nazione. 65 Tesi sull’ Europa, Thiriart aveva chiarito che il suo Comunitarismo in concreto era “un massimo di proprietà privata nei limiti seguenti: non sfruttamento del lavoro altrui, non ingerenza nella politica per ipertrofia di potenza economica; non collaborazione con interessi estranei all’ Europa”. Solo la grande proprietà privata delle industrie strategiche, che può mettere in pericolo la sovranità politica, va eliminata. Per questo i settori dell’ energia, degli armamenti, delle comunicazioni) dovranno essere nazionalizzati e strettamente controllati dallo Stato:“Par exemple, une centrale hydro-életrique exige (…) la nationalisation. Par contre, la production et la répartition des produits agricoles et avicoles exige l’ économie libre (…) Le marxisme dogmatique veut tout nationaliser, le libéralisme veut tout laisser faire, Le Communautarisme veut conserver le control politique absolou tout en laissant subsister le maximum de liberté économique possibile”Queste teorie trovano un loro inquadramento logico se si considera che l’ interesse di Thiriart è interamente rivolto alla creazione di una economia di potenza (économie de puissance ) nella quale la “libera impresa” è un elemento molto positivo (est un facteur trés positif ), mentre semmai dovranno esser castrate politicamente le oligarchie del denaro (les oligarchies d’ argent), poiché il capitalismo ha interessi contrastanti con quelli della Nazione. Come si vede, anche in questo caso riemergono elementi tipici di certe correnti fasciste e nazionalsocialiste degli anni Trenta – Quaranta del Novecento. Alla stessa temperie culturale richiamano alcune considerazioni circa la natura dell’ Uomo Europeo che ricercherebbe lo sviluppo dell’ Essere, contrapposto all’ Uomo Americano interessato unicamente all’ incremento dell’ Avere… E se nell’ antichità i Persiani e i Cartaginesi, esempio di coloro che sono protesi solo verso quest’ ultima dimensione, furono distrutti, così nella nostra epoca- suggerisce Thiriart- gli americani saranno destinati a confrontarsi con la Nazione Europea. Si arriva per questa strada ad un altro aspetto essenziale del Comunitarismo thiriartiano: esso ipotizza un modello autarchico sempre su scala continentale in vista dello scontro finale con gli Stati Uniti:“Le Nationalisme économique consiste nottament à veiller à ce que l’ Europe soit totalement autonome en matière d’ armament et totalement autonome dans le domaine du ravitaillement en matiéres premières”Gli Stati Uniti hanno potuto approfittare del fatto che “i capitalisti europei sono meno dinamici, meno giovani dei loro cugini americani”. La Nazione Europea ed il Comunitarismo, così come concepiti da Thiriart, dovrebbero essere i due fattori in grado di colmare lo svantaggio della disparità di forze.

    4. IL COMUNITARISMO ITALIANO E THIRIART

    Chi in Italia, tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del nuovo secolo, ha tentato di dare forma politica al Comunitarismo, ha dovuto fare i conti con la pesante eredità dell’ esperienza thiriartiana. Da essa, dopo una fase di studio e approfondimento (ottobre 1999 – ottobre 2000), sono state prese le distanze. E’ apparsa, infatti, sempre più evidente dall’ analisi degli scritti dell’ uomo politico belga e dalle scelte dei suoi epigoni, la strumentalizzazione del termine “comunitarismo” per giustificare una visione che ha al suo centro l’ evocazione della guerra tra opposti imperialismi (americano ed europeo) per il dominio del mondo, senza peraltro proporre alcun modello economico – sociale realmente alternativo a quello capitalistico. A ciò va aggiunta- come dato negativo- la riproposizione, a livello organizzativo, di una struttura di tipo leninista, di cui peraltro vengono enfatizzati gli aspetti gerarchici e leaderistici. Ma, al termine di questo saggio, si può avanzare una spiegazione della vicenda di Thiriart, dei suoi precursori e dei suoi seguaci anche di tipo psico-sociologico, sintetizzabile nella definizione “incontro degli estremi”. Si nota infatti una prossimità caratteriale tra “fascisti” e “stalinisti”. Essi sono entrambi “autoritari” e “attivi”. Il modo di concepire l’ atto politico è lo stesso, va oltre le divergenze ideologiche. Il temperamento “autoritario/attivo” sfocia nel totalitarismo. D’ altra parte, vi è convergenza di temperamento tra liberali e gauchistes, data dalla prossimità di queste correnti nella fede verso la democrazia ed il cosmopolitismo (sia che si presenti sotto forma di liberoscambismo, sia che si presenti sotto forma di internazionalismo). I passaggi tra queste due correnti sono frequenti allo stesso modo, se non di più. La maggior parte dei leaders gauchistes della fine degli anni sessanta del Novecento sono oggi buoni borghesi integrati nel sistema.

    BIBLIOGRAFIA Moreno Marchi, I duri di Parigi. L’ ideologia, le riviste, i libri, Settimo Sigillo, 1997Luc Michel, Da Jeune Europe alle Brigate Rosse, Società Editrice Barbarossa, 1992Claudio Mutti, Drieu un solo stendardo rosso…, in Rinascita, 1 febbraio 2004Jean Thiriart, La grande nazione. 65 Tesi sull’ Europa, Società Editrice Barbarossa, 1993Jean Thiriart, Europa. Un impero di 400 milioni di uomini, Volpe, 2003Jean Thiriart – Luc Michel, Le socialisme communautaire, PCN

    FONTE: IL COMUNITARISMO DI JEAN THIRIART - Comunismo e Comunità
    Ultima modifica di LupoSciolto°; 16-03-16 alle 18:43
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

  10. #10
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: Il filone "nazionale"

    UNA LUNGA INTERVISTA A LUC MICHEL, LEADER DEL PARTITO COMUNITARISTA NAZIONAL-EUROPEO. UN RINGRAZIAMENTO A SOCIALISMO PATRIOTTICO PER I SOTTOTITOLI.


    Ultima modifica di LupoSciolto°; 01-05-19 alle 12:12
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

 

 
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