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  1. #11
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Sempre nel Perù ci sarebbe la figura un po' controversa di Humala Ollanta e del Partito Nazionalista Peruviano che dovrebbe inserirsi in pieno nel filone della Terza Via. Che ne pensate?
    PATRIA E SOCIALISMO

  2. #12
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Citazione Originariamente Scritto da Italicvs Visualizza Messaggio
    Sempre nel Perù ci sarebbe la figura un po' controversa di Humala Ollanta e del Partito Nazionalista Peruviano che dovrebbe inserirsi in pieno nel filone della Terza Via. Che ne pensate?
    Ho postato un articolo qui https://forum.termometropolitico.it/...zionale-2.html
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

  3. #13
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Citazione Originariamente Scritto da LupoSciolto° Visualizza Messaggio
    Ottimo!
    PATRIA E SOCIALISMO

  4. #14
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    ll LIBRO VERDE di Gheddafi

    Muammar Al Gheddafi non è solo il rivoluzionario che ha conquistato l’unità, l’autonomia e la prosperità della Libia e del suo popolo. Come altri rivoluzionari , ha prodotto una teoria originale anticapitalistica - filosofica e politica- dello Stato, della democrazia ,dell’economia e della società, altra e diversa da quella marxista e liberal-borghese (3^ teoria universale).Le sue idee sono sintetizzate nel”Libro Verde”qui descritto in una sua versione del 1980. Conferenze internazionali periodiche hanno discusso ed aggiornato questa teoria e queste idee.

    1.Un pò di storia misconosciuta

    La Libia è diventata formalmente “indipendente” nel 1951, a seguito delle lotte anticoloniali di molti popoli del mondo e dell’Africa. Per 22 anni (dal 1911) aveva subito una disumana e cruenta colonizzazione italiana e mussoliniana , fatta di barbare atrocità contro il popolo libico (di cui dobbiamo vergognarci). Dal 1943 al 1951 ha subito l’occupazione militare franco-britannica (vincitori della 2^ guerra mondiale), che – dopo il 1951 - avevano affidato ad un loro “suddito” – il re Idris Al Senussi - il governo del Paese.
    Ma nel 1969- con un colpo di Stato militare- Muammar Al Gheddafi ha deposto un sovrano screditato ed ha proclamato la Repubblica , conquistando e rafforzando il sostegno del popolo libico. In tutti questi anni il suo prestigio e la politica socialista del governo libico ha prodotto benessere, dignità ,unità ed autonomia in un popolo “tribale”, colonizzato e diviso. Conquiste sociali enormi – che non hanno esempi in tutta l’Africa- sono state realizzate : lavoro ,casa, istruzione, salute, trasporti,ecc. Queste conquiste hanno richiamato da altri Paesi masse di africani diseredati, accolti in Libia, anche se non con gli stessi diritti dei libici. Gheddafi non ha mai assunto cariche istituzionali, mantenendo un ruolo di “guida (e garanzia) della Rivoluzione”, sia in senso ideale e teorico che in senso pratico e concreto.
    Non è vero –come scrive l’Atlante De Agostini – che Gheddafi abbia “abolito elezioni e partiti politici”, egli ha costruito invece un Paese di “democrazia popolare diretta” basato sulle idee – da lui stesso avanzate- della “3^ teoria universale” e del “Libro verde”. Sono idee alternative a quelle neoliberiste e capitaliste.
    Con la riforma costituzionale del 1977, il Paese ha assunto i caratteri e la denominazione di “Jamaharia araba libica popolare socialista”, una identità “invisa” agli imperialisti occidentali per più di un motivo l carattere popolare e socialista, la matrice araba, il modello sociale vincente (e non solo in Africa). Tra 2700 rappresentanti -eletti nei congressi popolari di base- vengono scelti i membri collegiali dei vari livelli territoriali, fino al congresso generale del popolo, da cui promanano solo 5 Ministri (!!).
    Una teoria ideale, politica, economica e sociale – universale, anticapitalistica ed anticolonialista - altra e diversa da quella marxista e comunista pre-esistente, che ha avuto un seguito importante in Africa e nel mondo arabo: non a caso Gheddafi fu eletto segretario della Lega araba. Le elezioni popolari esistono esono altre dalle truffe partitiche e oligarchiche che conosciamo in occidente. La teoria sociale libica critica sia il pluripartitismo borghese- capitalista (vanificazione del potere popolare) sia il monopartitismo sovietico o cinese(fonte di degenerazione burocratica e di svuotamento del potere popolare).Una lezione che ci riguarda da vicino, stante il monopolio partitocratico e mediatico dell’Europa e dell’Italia.
    Grande attenzione la 3^ Teoria universale dedica alle comunicazioni di massa , come strumento diretto del potere popolare (non delegato). Altra lezione che ci riguarda direttamente, in Italia e in Europa.In un convegno internazionale del 1994 – invitato a riferire- ho espresso le mie proposte sul “Diritto AComunicare”, riprese poi in una intervista riportata dal quotidiano nazionale libico.Dunque una teoria/prassi che si potrà anche criticare, ma solo dopo averla conosciuta e valutata seriamente.
    Naturalmente la propaganda capitalistica, le difficoltà di lingua, l’ostilità- permanente, ingiustificata ed unilaterale- dell’occidente imperialista contro Gheddafi, hanno impedito ai popoli europei di conoscere alcunchè della storia della Libia o di Gheddafi, meno che mai delle sue teorie politiche e sociali.
    Ciò è tanto più grave per noi italiani che dipendiamo dalla Libia per gas e petrolio e per affari commerciali consistenti ; elementi che ci hanno portato a siglare unaccordo di cooperazione e di pace , oggi violato unilateralmente dal governo italiano, che partecipa all’aggressione militare contro la Libia di Gheddafi.
    Siamo arrivati al punto di criminalizzare il legittimo governo libico – pro-Gheddafi - accusandolo di usare le armi contro gruppi (“patrioti “ ?) che usano la Nato e le armi per rovesciarlo.Strani “patrioti”! : nati dal nulla, armati e foraggiati da imperialisti stranieri, chiedono loro di bombardare e uccidere i loro concittadini per sconfiggere.... Gheddafi e il governo libico legittimo !!.
    Gli imperialisti sono anche vigliacchi e opportunisti, disprezzano i popoli del mondo (anche i propri), per cui pensano che i leader rivoluzionari- come Gheddafi e Fidel Castro- o quelli che difendono gli interessi del loro popolo – come Milosevic e Saddam Hussein- siano della loro stessa pasta. Come nel tentativo di aggressione fallita contro Cuba e Fidel Castro (baia dei porci), si illudevano oggi che- a fronte dello strapotere delle armi USA-Nato, Gheddafi fuggisse, abbandonando il suo popolo. Questa notizia falsa hanno diffuso nei primi giorni dell’aggressione. Ma la cosa è andata diversamente, come vediamo, Gheddafi sta resistendo alla Nato ed ai “patrioti”, grazie all’appoggio diffuso e convinto del popolo libico.
    Abbiamo approfittato dell’aggressione armata e delle bombe – che moltiplicano le morti dei civili- per rapinare le somme di danaro e le partecipazioni versate o acquisite dal governo libico in Occidente.Peraltro Gheddafi ha subito innumerevoli attentati,sempre falliti : nel 1986 aerei USA- con la copertura di U.K e dell’Italia- hanno bombardato proditoriamente la sua residenza, uccidendogli la piccola figlia.Un atto di brigantaggio e di terrorismo internazionale, come quello dell’aggressione di oggi (2011).
    E’ impossibile per noi italiani conoscere la versione del governo libico sui fatti di oggi e di ieri.Il recente discorso di Gheddafi (2009) all’Università di Roma è introvabile, anche su Internet. Un coro sgangherato e strumentale reclamizza solo le sue presunte “nefandezze “ gheddafiane” Pochissimi dicono che si tratta di una neo-colonizzazione imperialista di rapina delle risorse energetiche e di eversione del modello socialista libico. Una neo-colonizzazione che usa perfino i vessilli monarchici del 1950.
    Ma i nostri “soloni” dicono che Gheddafi - cioè il governo libico di cui egli non fa parte- ha oggi “tradito” la sua rivoluzione e il suo popolo, ma non ci dicono nè come nè quando ciò sia accaduto realmente. Lo accusano di essersi “legato all’occidente ed alle sue logiche”(!?), che essi sostengono qui in Europa.
    Ma non forniscono mai dati di interesse sociale : quali diritti e conquiste sociali ha perduto in questi anni il popolo libico o gli immigrati dall’Africa ? Quali sono le idee e le conquiste tradite ?
    Le aperture della Libia all’occidente imperialista ,e viceversa, sono dettate da interessi intuitivi e logici : da un lato il bisogno della Libia di stabilire accordi di pace e di non invasione (oggi traditi dagli imperialisti); dall’altro la necessità dell’Occidente di avere petrolio e gas e di fare affari ed investimenti nel Paese libico. Un rapporto messo in crisi da altri imperialisti concorrenti –USA, UK,Francia- che, approfittando delle sommosse popolari in Nord Africa ,vogliono colonizzare e rapinare la Libia con la forza delle armi.

    2. Gheddafi e il “ Libro verde”

    Il libro verde descrive una teoria politica socialista (anticapitalistica) innovativa, diversa da quella sovietica, basata sulla esperienza rivoluzionaria e di governo popolare arabo e sui valori “naturali ed universali” di equità individuale, di pace, di giustizia sociale e di partecipazione (democrazia diretta).
    Altro che “dittatura di un folle”!! Il “libro verde” è articolato in tre parti , elaborate in tempi successivi .
    A)- La soluzione del problema della democrazia ;
    B)- La soluzione del problema economico;
    C)- La base sociale della 3^ teoria universale.

    A)- Democrazia :
    Vengono criticate alla radice le forme di governo finora sperimentate, siano esse espressioni di un individuo, di un gruppo, di un partito o di una classe : forme mascherate di dittatura (falsa democrazia).Criticato anche il Parlamento -pseudo-rappresentanza popolare- mentre la vera democrazia consiste nella diretta partecipazione popolare senza intermediari.L’autorità e il potere deve essere esercitato direttamente dal popolo, non da eletti con i sistemi che conosciamo. Una volta eletto, il rappresentante esercita il potere a suo arbitrio, isolando la masse popolari dalle relative decisioni. Dove il Parlamento è formato da un solo partito, diviene lo strumento di quel partito, non del popolo. Lo stesso accade nei Parlamenti formati da più partiti. In altre parole , il popolo o rimane vittima del suo voto , o rimane sedotto, apatico rispetto alle scelte che lo riguardano. Il voto è basato su una propaganda fuorviante ed oligarchica (non è il caso dell’Italia ?).
    Anche il/i partito/i, moderno strumento di governo dittatoriale, non è democratico, ma espressione degli interessi comuni e specifici di quelli che lo sostengono. Nella comunità il partito rappresenta sempre una minoranza. Lo scopo di formare un partito è quello di creare uno strumento di dominio sul popolo, cioè sui “non membri” del partito. L’esistenza di più partiti non risolve il problema, anzi lo complica , perchè intensifica la lotta di potere tra di loro, a tutto svantaggio degli interessi popolari.
    Questa lotta è politicamente, socialmente ed economicamente distruttiva della società. Il partito rappresenta un segmento di popolo, ma la sovranità popolare è indivisibile. Il sistema partitico è l’equivalente moderno dei sistemi tribali o settari. Inaccettabile anche il concetto di classe, analogo a quello di partito, di setta o di tribù. Così ,ad es. ,la classe lavoratrice svilupperà una società separata che include tutte le contraddizioni della società precedente e tenterà di conseguire il governo di tutta la società ,senza mutazioni. Invece la base materiale di una società è mutevole nel tempo, per cui essa produce inevitabilmente società multi-classe.
    Anche i plebisciti- o i referendum- sono una frode antidemocratica. La prassi del SI/NO nasconde la impossibilità di risolvere sul serio il problema della democrazia e del consenso.
    La soluzione sta nelle conferenze popolari e nei comitati del popolo(democrazia diretta). In esse il popolo esercita direttamente il suo potere e la sua autorità, senza intermediari di sorta. Il meccanismo funziona dal livello di base (locale) fino a quello nazionale (generale). Ciascuna conferenza popolare di base elegge il suo segretariato. I segretariati di tutte le conferenze di base formano le conferenze popolari non-basiche. Le conferenze popolari di base eleggono i loro comitati amministrativi del popolo. Tutte le Istituzioni, a vari livelli, sono gestite dai comitati del popolo in connessione alle conferenze popolari che ne dettano la politica e ne controllano l’esecuzione. Si arriva così al congresso generale del popolo, i cui membri sono espressione delle Conferenze popolari e dei comitati del popolo (non di un Parlamento eletto).
    La legge della società è l’altro problema da risolvere, insieme a quello della rappresentanza di governo.Tale legge deve essere basata sulla tradizioni del Paese o sulla religione. La Costituzione non può considerarsi espressione di una legge naturale, ma di una legge positiva, prodotto dei governi del Paese.
    Inoltre la legge fondamentale (naturale) di una società non deve assoggettarsi a modificazioni storiche. E’ il governo che deve assoggettarsi alla legge naturale (eredità umana) e non viceversa. La religioni includono le tradizioni popolari, cioè la vita naturale del popolo e vanno rispettate.
    Ma chi ha il diritto di supervisionare la società o di segnalare deviazioni di leggi ? Nessuna persona o gruppo ha questo diritto, esso appartiene a tutta la società e solo ad essa. Mediante i suoi strumenti di rappresentanza e di governo , la società garantisce l‘auto-supervisione delle sue leggi.
    Come può una società re-indirizzare il suo corso, quando intervengano deviazioni dalle sue leggi ?
    Tali deviazioni vanno corrette - non con la forza o la violenza- ma mediante sostituzioni e correzioni nell’ambito degli organismi decisionali e di rappresentanza popolare indicati.
    La stampa e i mass media debbono essere mezzi di espressione per la società, quindi non debbono appartenere a singole persone, gruppi, multinazionali, ecc. La stampa democratica è allora quella gestita dai comitati del popolo, in rapporto a tutti i gruppi della società. Se un ordine professionale pubblica un giornale, questo deve riguardare solo questioni inerenti quella professione (es. medico-sanitaria).

    B)- economia
    Qui si criticano , in modo radicale , tutte le formestoriche di lavoro salariato, sia nella versione liberista e capitalistica che in quella socialista sovietica e di matrice marxista. Descritti i guasti e le ingiustizie “ineliminabili” associati ai due sistemi in lizza , Gheddafi- coerentemente con i principi della 1^ parte- proponel’azzeramento del lavoro salariato sotto qualsiasi forma, proponendo una disciplina del lavoro e della produzione nella quale i “produttori componenti” sianopartner equivalenti e di pari dignità, che si dividono in parti uguali i frutti del loro lavoro. Una produzione che non deve creare accumulazione o surplus, rispetto ai bisogni concreti della società di appartenenza, per non generare profitti e sfruttamento.
    Esemplifica il caso della produzione industriale e di quella agricola. Nel primo caso i “ produttori componenti” sono tre : materie prime, mezzi di produzione (macchinari e tecnologie), produttori (lavoratori).Nel secondo caso, sono due- terra e agricoltori- oppure tre – se si aggiungono i mezzi di produzione.In ogni caso il prodotto e i benefici della produzione vanno divisi in parti uguali (dividendo per 3 o per 2 ).
    Passa poi ad esaminare i bisogni umani- personali e collettivi – affermando che non c’è libertà se il bisogno di uno viene gestito o controllato da altri (sfruttamento), siano essi soggetti privati o pubblici (lo Stato).Espone poi 4 esigenze primarie individuali : l’abitazione, il reddito, i mezzi di trasporto, la terra.
    La casa deve essere proprietà di chi vi abita ; debbono essere vietati affitti e speculazioni abitative.
    Il reddito non deve dipendere dal salario, ma dalla quota di produzione assunta come “partner”.
    La mobilità è un diritto individuale, perciò i mezzi di trasporto non possono essere proprietà di Enti privati o pubblici che li concedono in cambio di tariffe imposte.
    La terra non deve essere proprietà di alcuno : deve essere usata direttamente da chi la coltiva e da chi cura il bestiame, ma senza ricorrere a lavoratori salariati (auto-impiego). Vengono poi descritti le assurdità, i privilegi, lo sfruttamento, le ingiustizie conseguenti alla proprietà privata o statuale della terra.
    Anche l’utilizzo di servitori domestici - a pagamento o non- è una forma di sfruttamento da vietare.
    In sostanza, esigenze e bisogni regolati dal diritto naturale, più che da leggi e procedure imposte.

    C)- base sociale della 3^ teoria universale
    Il fattore sociale- fattore nazionale- è la forza dinamica della storia umana. Il legame sociale che unisce le comunità umane – dalla famiglia,mediante la tribù fino alla nazione –è la base del movimento della storia.Il nazionalismo è allora è la base da cui emerge la nazione e della sua sopravvivenza. Quindi l’unità nazionale è la base della sopravvivenza nazionale (avviso per la Lega di Bossi e per gli aggressori di oggi).
    Solo il fattore religioso è rivale del fattore sociale che influenza l’unità di un gruppo. Una nazione dovrebbe avere una sua religione (unica).
    Per l’individuo la famiglia è più importante dello Stato, che è un sistema artificiale politico, economico e talvolta militare. La famiglia è come una pianta con fusto, rami, foglie e fiori. La società fiorente è quella in cui l’individuo cresce naturalmente nella famiglia e la famiglia nella società (consonanza umana e sociale).
    La tribù è una famiglia cresciuta con la procreazione allargata, allo stesso modo che la nazione è una tribù allargata. I legami sociali, la coesione,l’unità,l’intimità e l’amore sono più forti a livello di famiglia che di tribù, più forti nella tribù che nella nazione, più forti nella nazione che a livello mondiale. E allora necessario salvaguardare e rispettare queste entità dentro la nazione e tra le nazioni. La tribù è anche l’ombrello naturale per la sicurezza sociale : nata su fattori di sangue si estende verso una unità sociale e fisica.
    La Nazione è un ombrello politico per gli individui (cittadini), un ombrello più ampio di quello tribale. La legalità nazionale è essenziale, ma al tempo stesso, una minaccia per l’umanità (nazionalismo aggressivo).La nazione si caratterizza per le sue origini, per la sua storia,per le sue tradizioni. La nazione è anche una struttura sociale il cui legame è il nazionalismo, ma è anche una struttura politica che non sempre è consonante con le strutture sociali. Qunado questa affinità/consonanza di interrompe, nascono rivolte sociali.
    Gli Stati che sono composti da più nazionalità per motivi vari- religiosi,economici, militari,ideologici- saranno attraversati da conflitti nazionali finchè ciascuna nazione non avrà raggiunto la sua indipendenza, perchè il fattore sociale prevale inevitabilmente su quello politico.
    Un lungo capitolo del libro verde è dedicato alla DONNA, essere umano che deve avere gli stessi diritti dell’uomo. In più, come soggetto di procreazione, deve avere- in famiglia, nel lavoro e nella società- un trattamento consono al suo ruolo materno e di stretto rapporto umano con la prole. Nè le “bambinaie” possono sostituire il ruolo materno, così come sono contrari al diritto naturale gli interventi anti-concezionali imposti da motivi di costrizione o di disagio. Le società moderne guardano alla donna come ad una merce : l’est come un bene da comprare e vendere, l’ovest non ne riconosce la sua femminilità. Comunque non deve esserci nessuna differenza di diritti umani tra uomo e donna o tra bambino ed adulto.
    Altri temi trattati riguardano le minoranze -che le maggioranze non debbono coartare - i negri – destinati a diventare maggioranza nel mondo. Alla educazione e alla scuola- che non deve essere coercitiva secondo schemi imposti da individui o dallo Stato – ma libera scelta in base ad un offerta ricca e varia.
    Seguono altre considerazioni che riguardano l’arte e la musica e lo sport – concepito come pratica sportiva libera e pubblica,accessibile a tutti i cittadini di ogni età.

    Questi in sintesi i contenuti del “libro verde” che possiamo condividere o non, ma che meritano considerazione e rispetto, perchè abbiamo poco da insegnare su materie e valori di questo tipo. Sarebbe anche utile e giusto conoscere e valutare quante e quali di questi principi hanno trovato (o non hanno trovato)
    realizzazione concreta nella Libia di Gheddafi, ieri come oggi. Alcuni sostengono che dopo una fase positiva ed evolutiva per il popolo di quel Paese, il governo libico e le sue rappresentanze popolari hanno tradito i valori iniziali e degradato lo stato sociale e il benessere dei cittadini o dei migranti ospiti. Ci portino le prove di quanto affermano e ci dicano quando e come ciò sarebbe accaduto. Non saranno certo gli aggressori bugiardi della Nato e i loro complici a spiegarci come stanno le cose, nè in Libia nè altrove.
    Noi sappiamo bene che in questi anni , nei Paesi capitalistici, le condizioni di vita di cittadini, lavoratori, giovani, pensionati , sono notevolmente peggiorate, senza che si intravvedano soluzioni accettabili.Dopo il crollo dell’URSS e lo sfacelo del capitalismo, le “ricette” di Gheddafi vanno valutate e rispettate.

    Roma 22 aprile 2011

    Il libro verde di Gheddafi
    Ultima modifica di LupoSciolto°; 23-07-16 alle 17:32

  5. #15
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Bolivarismo

    7 gennaio 2016. -- Continenti



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    (Maddalena Celano) – Bolivar desiderò attuare con tenacia l’idea di unità latinoamericana. Altri, come Miranda e Picornell originariamente avevano incoraggiato un progetto di unità continentale, ma non furono in grado di articolare i primi passi. Bolivar, nello stesso percorso pionieristico, riuscì a realizzare ciò in parte, attraverso la realizzazione della Gran Colombia. Ha anche proposto una formula specifica per la fattibilità del singolo progetto: una confederazione di Stati latino-americani. Dal momento che i precedenti tentativi di unificare le nazioni si sono basati sulla conquista e la sottomissione, come l’ esempio egizio, quella assiro, quello persiano o greco-romano e altre varianti di imperi in Africa e Asia;
    in contrasto con queste esperienze, Bolívar si proiettò verso l’idea di nazioni confederate costituite da popoli della stessa origine, lingua, costumi o tradizione storica comune, sulla base di accordi volontari e autonomi. Il progetto di Bolívar era costruire una confederazione di repubbliche, di rispettare la parità e l’autonomia degli Stati, con la finalità di garantire alle nuove nazioni limiti ai vicereami e ai governatori. Il piano di creare una confederazione di repubbliche è chiaramente espresso in uno dei suoi proclami e nei documenti del Congresso di Panama, dal 1822 al 1826.
    Il combattente infaticabile venezuelano torna a ripensare l’unità nel manifesto di Cartagena del 1812. Nel novembre 1814, arringa i soldati: “Per noi la Patria è l’America”.
    Costretto all’esilio, dopo il trionfo di Boves e la controrivoluzione in Venezuela, Bolivar riuscì a pensare alla sua Carta de Jamaica (1815).
    Il “pensiero bolivariano” prevede l’organizzazione del Nuovo Mondo su basi solidaristiche, di omogeneità giuridica tra nazioni e comuni. Un regime democratico e repubblicano, caratterizzato dall’ assenza d’antagonismo e identità d’aspirazioni. Scrive:
    Io desidero più di tutti gli altri vedere formarsi in America la più grande nazione del mondo meno per la sua estensione e ricchezza che per la sua libertà e gloria. È un’idea grandiosa pretendere di formare di tutto il nuovo mondo una sola nazione con un solo vincolo che leghi le parti tra loro. Poiché hanno una sola origine, lingua, costumi e religione, dovrebbe di conseguenza avere un solo governo che confederi i differenti Stati che la formano; di più non è possibile perché situazioni diverse, interessi opposti, caratteri diversi dividono l’America.
    Che bello sarebbe che l’istmo di Panama fosse per noi ciò che quello di Corinto era per i greci…
    Io dirò a voi ciò che può metterci in grado di espellere gli spagnoli e di fondare un governo libero: è l’unione, certamente, ma quest’unione non avverrà per prodigi divini, ma per effetto di sforzi ben precisi. L’America si trova in questa situazione perché e stata abbandonata da tutte le nazioni, senza relazioni diplomatiche, né aiuti militari[1].
    Nella “Carta di Jamaica” (testo da lui scritto nel 1815) si fonde l’uomo di stato, il militare, il diplomatico e l’apostolo della libertà. Questo è uno dei documenti più celebri tra quelli che riguardano il Libertador.
    Bolivar polarizza, intorno al suo genio politico e al suo prestigio,
    le aspirazioni d’indipendenza in tutti i popoli del continente.
    Egli cerca, non solo di costituire un gruppo di nazioni libere e indipendenti, ma anche di allacciarle una all’altra con vincoli di solidarietà.
    Per lui, l’America Latina deve divenire una vera famiglia unita per diritto e democrazia. L’idea che Bolivar ha è:
    …stessa razza, stessa religione, lingua, pericoli e speranze comuni, uguale destino nella storia, identica concezione del mondo, della vita e la coscienza di formare una stessa famiglia di nazioni.[2]
    La ricerca dell’unità americana è presente sin dall’inizio della sua epopea militare e politica. Egli pensa che l’America rappresenti in piccolo l’intera umanità; un’umanità diversa e nuova:
    …I popoli americani sono il prodotto di una razza mista; essi non sono né indios, né europei, ma un ibrido prodotto dall’incrocio fra le legittime popolazioni del continente e gli usurpatori spagnoli. L’unica strategia possibile è l’unità. L’America latina dalla “disgrazia” della conquista e della colonizzazione può trarre vantaggio nel consolidare il progetto democratico[3].
    Essendo le varie province in lotta per l’indipendenza e le loro popolazioni eguagliate dallo stesso “destino storico” diviene indispensabile associarle in un progetto comune di riscatto ed emancipazione.
    Infatti quando si dice che Hugo Chavez abbia ripreso la figura del Libertador de America, Simon Bolívar, non si intende solo che ne ha rinnovato il mito agli occhi del suo popolo ma, soprattutto, che cercò di riprenderne i progetti e gli ideali. Nel luglio del 2010, il presidente venezuelano ordina la riesumazione del corpo di quest’uomo morto da duecento anni. Non solo, ma assiste e commenta in diretta su YouTube i vari passaggi della cerimonia. L’azione di Chávez non risponde però a un’ideologia ben definita e coerente: Chavez promosse la sua visione di “socialismo democratico” come modello da esportare in America Latina in un’ottica di consolidamento dell’indipendenza regionale dalle influenze esterne.
    Il Chavismo, infatti, ha rilanciato l’ideale di panamericanismo attraverso un rafforzamento del ruolo dello stato e della politica come soluzione ai problemi economici e sociali di questi paesi. Proprio in tale ottica è sorta l’ALBA (Alleanza Bolivariana per le Americhe), un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica bolivariana tra i paesi del Sud America sorto nel 2004 per volontà di Chavez e Fidel Castro in contrapposizione alle iniziative di integrazione regionale liberiste come il Mercosur o l’Alca.[4] L’Alba che conta otto paesi membri – Antigua & Barbuda, Bolivia, Cuba, Dominica, Ecuador, Nicaragua, Venezuela, e St. Vincent & Grenadines – e numerosi partner nella cooperazione energetica, ha scompaginato gli equilibri regionali proponendo un’integrazione politica ed economica soprattutto grazie alle risorse petrolifere venezuelane. Altri progetti di recente fondazione sono l’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane), una piattaforma di integrazione economica regionale sul modello dell’Unione Europea istituito nel 2008 e operativo nel 2011, e il CELAC (Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici), sorto nel 2011 anche questo per volontà di Chavez e del gruppo bolivarista, con lo scopo di contenere l’influenza nordamericana nello spazio meridionale del Continente e sostituire politicamente l’OSA (Organizzazione degli Stati Americani). I progetti di integrazione regionale di stampo bolivariano e il conseguente peso geopolitico acquisito grazie al petrolio, le alleanze politiche con Correa in Ecuador e Morales in Bolivia, la special partnership con i Castro e Cuba[5].
    Il progetto bolivariano iniziò a rivestire un carattere sociale, dopo la visita di Simon Bolívar alla prima repubblica di schiavi nel mondo, Haiti, che in realtà era diventata la prima repubblica indipendente di schiavi in America Latina. Bolívar parlò ad Haiti, comprendendo che non si può conquistare l’indipendenza e l’unità del continente, se non combattendo per la libertà degli schiavi neri. Le sue prime sconfitte furono il risultato della mancanza di partecipazione popolare e, in molti casi, la mancanza di supporto da parte di schiavi. Anne Alexandre Sabès, detto Pétion, il presidente haitiano, non solo gli suggerì l’idea di liberare gli schiavi, ma fornì a Bolivar un aiuto incondizionato attraverso la fornitura di militari, di armi, di navi e uomini per riavviare la campagna che si è conclusa con la liberazione del Venezuela. A quel tempo, Bolìvar affermò senza mezzi termini: “Pétion è l’autore della nostra indipendenza”, notando che ogni nazione europea, tranne gli Stati Uniti, fornì aiuto efficace all’indipendenza dell’America Latina, e che il successo fu ampiamente raggiunto con l’aiuto di Haiti.
    In patria, Bolívar non ha mai dimenticato la promessa fatta a Pétion, dichiarando nel 1816 e nel 1817 la liberazione degli schiavi in un paese dominato prevalentemente da schiavitù impiegata nelle piantagioni di cacao. Di conseguenza, cominciò la lotta di liberazione nazionale per l’eguaglianza sociale. La guerra d’indipendenza ha cominciato ad acquisire un carattere popolare e la struttura di classe dell’esercito andò in crisi per via di un massivo arruolamento di neri e mulatti (non visti di buon occhio dalla casta militare tradizionale). Uno dei uno dei personaggi più influenti fu Manuel Piar, un mulatto figlio illegittimo della nobile Maria Isabel Gomez. Nato a Curaçao nel 1774, emigrò ad Haiti presso Piar, diventando uno dei latino-americani autore della più importante esperienza rivoluzionaria del tempo. Tornò in Venezuela per partecipare al processo di indipendenza. Temporaneamente sconfitto, tornò ad Haiti nel 1816, dove si unì alla spedizione di Bolívar, finanziata da Pétion. Invase il Venezuela a est, liberando la Guyana orientale con una divisione di 800 neri, per lo più haitiani.
    Con queste misure egualitarie, Piar riuscì ad integrare nell’esercito patriottico vasti settori indigeni e neri, un fatto riconosciuto dal generale spagnolo Morillo. Ma Piar commise l’errore di provocare una crisi durante la guerra contro il nemico spagnolo, avviando una campagna diffamatoria contro Marillo e Bolívar.
    Bolívar vide un pericolo in Piar perciò l’accusò di disobbedienza, pertanto venne giustiziato.
    Negli ultimi anni della sua vita, Bolìvar si rese conto di aver commesso un errore ordinando l’esecuzione di Piar. Nelle lettere a Paez e Pedro Mendez Briceno, il Libertador scrisse: “Mi dispiace per la morte di Piar, Padilla e altri morti per la stessa causa (…)”.
    Bolivar nel 1817 delineò i primi segni di una campagna continentale, liberando le Ande. In una lettera a Pedro Briceño e, attraverso di lui, ai suoi soldati, dichiarò, una volta raggiunta l’indipendenza del Venezuela:
    Non vorresti volare a rompere le catene degli altri fratelli che soffrono la tirannia del nemico?[6]
    Continuò la sua marcia trionfale per sconfiggere gli spagnoli a Pichincha (24/05/1822) liberando Quito e Guayaquil e aggiunse un nuovo paese alla Grande Colombia. I suoi riferimenti alla Colombia derivano dal vecchio termine “Colombeia”, la parola usata da Miranda per riferirsi al continente conquistato da Colombo. “Colombeia” divenne così il simbolo dell’unità del continente.
    Così l’America Latina realizzò rapidamente la necessità storica di porre fine ai rapporti servili di produzione e una rivisitazione del sistema dei salari. Il 5 luglio 1820 si ordinò che tutte le forme di schiavitù venissero abolite, e che lo stipendio dei lavoratori venisse corrisposto interamente in contanti. Inoltre si cercò di applicare un concetto di giustizia sociale basato sulla redistribuzione delle terre ai nativi ed ai contadini poveri.

    [1] Tratto da: “La Rivoluzione Bolivariana” – ed. La Città del Sole, Napoli
    A cura della delegazione italiana comunista per il XVI F.M.G.S. di Caracas 2005, dal sito: Simon Bolivar e l'America Latina
    [2] Tratto da: “La Rivoluzione Bolivariana” – ed. La Città del Sole, Napoli
    A cura della delegazione italiana comunista per il XVI F.M.G.S. di Caracas 2005, dal sito: Simon Bolivar e l'America Latina
    [3] Tratto da: “La Rivoluzione Bolivariana” – ed. La Città del Sole, Napoli
    A cura della delegazione italiana comunista per il XVI F.M.G.S. di Caracas 2005, dal sito: Simon Bolivar e l'America Latina
    [4] Chavez, Venezuela e il sogno bolivariano - Background | ISPI
    [5] Chavez, Venezuela e il sogno bolivariano - Background | ISPI
    [6] https://www.google.it/#q=bolivar+sim...co%3F&start=20


    Le radici anti-schiaviste nel Bolivarismo - Spondasud | Spondasud
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  6. #16
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Ciudad Caribia, l’utopia chavista








    di Geraldina Colotti – il manifesto
    Venezuela. Nello stato Vargas, tra le montagne e il mare una città eco-socialista
    8gen2016.- L’autobus lascia l’autostrada e sale tra le curve per più di 2 chilometri, fin quasi a 1.000 metri di altezza. In una zona montagnosa dello Stato Vargas, tra Caracas e il Litorale Centrale, si trova Ciudad Caribia, «la prima città socialista» del Venezuela. Due ragazze si fermano, curiose, alcuni bambini corrono verso i nuovi venuti. Dalle case intorno, arriva musica llanera. Una donna ci tende la mano e si presenta: Xiomara Alfaro, prima cittadina, o meglio «autorità unica di questo Distretto motorio». Così viene definito il circuito che racchiude le «città nuove», le città inventate dal chavismo per coniugare dignità e utopia.
    Sotto un porticato, c’è la ricostruzione in miniatura di Ciudad Caribia, i progetti realizzati e quelli ancora da costruire. «Prima, qui non c’era nulla — spiega Alfaro — solo vento, nuvole e animali. Tutto è cominciato nel 2007, da un’idea di Hugo Chavez, che ha voluto sperimentare una scommessa: costruire una comune eco-socialista, libera dalla violenza di genere e dalla sopraffazione, basata sui principi umanisti della rivoluzione bolivariana». Grazie al lavoro comunitario di operai, ingegneri e architetti, nel 2011 le prime famiglie hanno potuto trasferirsi: inizialmente erano 602, oggi abitano qui 7.000 persone. Quando la città sarà completa, dovrebbe ospitare 20.000 famiglie, circa 100.000 persone.
    «I primi ad arrivare — racconta Xiomara — sono stati gli alluvionati del Vargas. Nel 2010, il fango si portò via case e vite, oltre 100.000 persone furono trasferite nei rifugi. Oggi più nessuna di loro è senza casa, ma allora la questione dell’abitare emerse nella sua drammaticità, mostrando l’estrema vulnerabilità delle persone che vivevano nelle baracche, prive di condizioni minime di sicurezza e conseguenti regole di vita». Oggi, intorno vi sono le case costruite dalla Gran Mision Vivienda Venezuela (Gmv), un gigantesco progetto di case popolari ammobiliate consegnate dal governo chavista con un contributo per fasce di reddito, pari a zero per chi è privo di risorse. Alla fine del 2015, è stata assegnata la milionesima abitazione popolare. Ora, le destre maggioritarie alle ultime elezioni parlamentari, dicono di voler trasformare le case in proprietà individuali che chiunque può vendersi o affittare: un modo demagogico di attaccare la «proprietà collettiva. A Ciudad Caribia vi sono un Centro diagnostico integrato (Cdi), promosso dai medici cubani; due scuole elementari, un asilo nido e un liceo; una radio comunitaria; e anche una stazione di polizia, una Casa Penale, un tribunale per piccoli reati e una Casa di mediazione e soluzione dei conflitti.
    «Da noi — dice ancora Xiomara — vengono persone che non avevano mai avuto un’opportunità, che hanno vissuto situazioni di marginalità e violenza, donne provate da una vita dura, che qui imparano a vivere in pace e a sviluppare la parte migliore di sé. La popolazione va da zero ai trent’anni ed è in maggioranza femminile. I ragazzi vengono educati in base alla pedagogia libertaria di Paulo Freire, basata sull’inclusione, il rispetto delle differenze e della comunità. Gli educatori vengono selezionati in base alla motivazione e alla preparazione. Centrale è una formazione di genere, che metta al centro la relazione di rispetto per le donne e per la loro libertà». I reati? «Liti, diverbi, che cerchiamo di ricomporre con il dialogo e nella Casa di mediazione. Anche droga. I problemi ci sono, e non scompariranno per incanto. La gente che sta qui non viene dai quartieri alti. E non pensiamo di aver costruito un paradiso. Sono percorsi lenti, ma poi i risultati perdurano. Il socialismo in cui crediamo è basato sul consenso».
    Da un balcone, un ragazzino con la maglietta rossa ci saluta a pugno chiuso. E’ uno dei piccoli campioni di judo — ci spiega Gregorio Antonio, un istruttore che prima viveva nelle baracche e ora si dedica a «fabbricare» atleti, per aumentare «la generazione d’oro» che negli ultimi anni ha fatto onore alle grandi risorse investite dal governo nello sport e nella cultura: oltre il 60% delle entrate del Venezuela è dedicato ai progetti sociali. A Ciudad Caribia c’è anche un sistema d’orchestra, in linea con quello che ha reso il «sistema Abreu» famoso in tutto il mondo.
    In un paese che custodisce le più grandi riserve di petrolio al mondo ma che è ancora troppo dipendente dalla rendita che ne deriva, Ciudad Caribia «punta sull’autonomia produttiva». Spiega Xiomara Alfaro: «Abbiamo studiato le potenzialità della zona, è una zona montagnosa con un buon potenziale turistico, agricolo, anche industriale, stiamo promuovendo i saperi locali. Tutto il progetto è volto all’ecologico, allo sviluppo delle energie alternative e regolato in base all’economia comunale. Abbiamo un mercato locale e un Pdval, un centro di distribuzione dei prodotti».
    Il Venezuela ha un quadro di leggi che da spazio al mutualismo, al «potere popolare» e allo sviluppo delle comuni, basate sui consigli comunali che decidono la ripartizione e l’impiego delle risorse. «I consigli comunali — spiega ancora Xiomara — discutono con l’Autorità unica e con le diverse equipe, che hanno una funzione di accompagnamento e non di comando. L’obiettivo è che le comunità imparino a governare le politiche pubbliche, che discutano e risolvano i problemi insieme, che imparino a riconoscersi e a mettere le energie al servizio dello sviluppo collettivo. Di volta in volta si decide la distribuzione degli incarichi per i vari settori. Abbiamo 8 consigli comunali e 8 poligonali per la distribuzione degli alimenti».
    A Ciudad Caribia — dice Margarita, che torna dall’università — «siamo chavisti al 98,7% perché la rivoluzione ci ha dato dignità e possibilità. Tuttavia, non vi sono preclusioni, anche chi è d’opposizione può venire: a condizione di non voler imporre le proprie idee con la violenza, e di rispettare lo spazio altrui. La prima sfida che abbiamo dovuto affrontare, qui, è stata quella di imparare a convivere».
    Alle ultime elezioni parlamentari, anche fra i 2.500 votanti di Ciudad Caribia c’è stato chi ha scelto le destre, che hanno ottenuto un’ampia maggioranza e promettono di cancellare tutti i progetti sociali sviluppati dal chavismo in quasi 17 anni. Che ne sarà di Ciudad Caribia?
    Xiomara Alfaro è preoccupata ma non ha dubbi: «La rivoluzione — afferma — non è a rischio. Un popolo che prima aveva fame e non sapeva leggere, non lascerà che tutto si spenga. Quando le parti si ribaltano, bisogna assumere la sfida con più forza. Ora la parola è al parlamento comunale». Margarita fa un gesto circolare in direzione del ritmo che arriva dalle finestre: «… E alla musica — dice — che può trasformare l’essere umano».

    Ciudad Caribia, l?utopia*chavista
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  7. #17
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Il peronismo, terza via sudamericanaAzione Culturale

    Il peronismo, terza via sudamericana


    14 aprile 2016
    Alessandro Catto Ideologie
    Il 17 ottobre 1945 il generale Juan Domingo Perón venne rilasciato sotto pressione dei lavoratori argentini facenti parte della Confederazione Generale del Lavoro (CJT) dopo la sua incarcerazione avvenuta qualche giorno prima da parte del governo militare del GOU (Gruppo di Ufficiali Uniti). Il “Giorno della Lealtà” venne da allora riproposto ogni anno dal governo peronista per ricordare quel grande momento per la storia del Paese sudamericano che in qualche modo fece da spartiacque per la sua storia nazionale.E’ impossibile discernere il peronismo da quella che fu la storia non solo argentina, ma latinoamericana nel secondo dopoguerra. Perón iniziò a prestare servizio militare all’inizio della decade degli anni Dieci, e nel decennio successivo viaggiò molto per l’Europa (polveriera non ancora ristabilita dai fuochi della Grande Guerra). Il vecchio continente fu di ispirazione per il giovane Juan, visto che gli permise di osservare il diffondersi delle più svariate idee riguardo la conduzione politica di paesi e masse.Rientrato a Buenos Aires negli anni Trenta, fece parte del gruppo di militari del GOU che nel 1943 deposero il presidente Ramón Castillo (anch’esso arrivato al potere nel ’41 con un colpo di stato), e lì lavorò alla direzione della Segreteria del Lavoro. Proprio durante i suoi anni come segretario, Perón elaborò le basi di quella che sarebbe stata la sua dottrina politica, molto pragmatica e versatile durante i suoi primi due governi, che si posizionava a metà tra i due grandi blocchi ideologici del dopoguerra: quello comunista sovietico, e quello capitalista americano.Una tercera posición (terza posizione) che rivendicava la sua autonomia tra le due ideologie: la prima troppo collettivista tanto da sacrificare tutte le qualità e i bisogni del singolo a favore della società, rendendo la persona incapace di esprimere il suo potenziale; la seconda estremamente individualista e cieca alle reazioni della società di fronte a questo concentrarsi sul singolo.Quello che cercava Perón era un equilibrio tra queste due visioni del mondo, rivendicando anche un’ unicità nello scacchiere internazionale. Una dottrina basata sulla giustizia sociale (da non confondere con l’odierno senso del termine) che non si limitava solo alle relazioni tra persone ma anche alla gestione dell’economia: il capitale non veniva demonizzato, né quello nazionale, né quello estero, ma doveva essere coordinato a fin che il maggior numero di persone potessero ottenerne i benefici.La formula ricercata non era semplicemente l’arricchimento individuale dei lavoratori, ma l’insistenza su quell’equilibrio che, quanto maggiore era il benessere individuale, potesse portare a una maggiore ricchezza per la Nazione. “Per loro [i lavoratori] abbiamo proibito lo sfruttamento dell’uomo per l’uomo, abbiamo creato e realizzato i Diritti dei Lavoratori, abbiamo stabilito che la proprietà privata ha una funzione sociale da compiere, che il capitale deve restare al servizio dell’economia nazionale e tenere come obiettivo il benessere sociale”.Questa, in sintesi, la ricetta con la quale si poteva consolidare una società abitata da persone mediamente felici, oltre che libere di esprimere se stesse contribuendo allo sviluppo nazionale. Una dottrina populista, sicuramente molto attenta ai problemi dei lavoratori argentini, zoccolo duro dell’elettorato peronista, che durante i primi due governi di Perón (1946-1955) videro crescere di molto il loro benessere, visto che durante la segreteria del lavoro guadagnavano meno di quanto imposto dal costo della vita.Con Perón e la cooperazione con la CJT i lavoratori argentini entrarono formalmente della società di massa e dei consumi, poterono iniziare a comprare beni materiali che anni prima sarebbero stati impossibili per loro, senza contare che la concessione delle ferie pagate fece crescere il mercato turistico nazionale a livelli insperati (Mar del Plata, nel Sud della provincia di Buenos Aires, si sviluppò turisticamente proprio in questo periodo).Non solo cambiamenti nei beni di consumo durevole, ma anche in quelli alimentari caratterizzarono questi anni. Il consumo di carne pro capite aumentò del doppio, costringendo il governo a chiedere ai suoi cittadini di variare le proprie abitudini, in quanto la produzione nazionale non era quasi più in grado di soddisfare la richiesta.Comunque, l’applicazione delle politiche sociali portò l’Argentina a un benessere diffuso che in Italia raggiungemmo solo dieci anni dopo, all’inizio del grande boom economico degli anni Sessanta. Il lavoratore era, in sostanza, al centro della dottrina peronista.Per Perón, “se il lavoratore è quello che costruisce e realizza, bisogna rispettarlo e dignificarlo, e, inoltre, accudirlo, alimentarlo, e accompagnarlo, perché è, in sintesi, la grandezza della Nazione”. Il lavoro è quindi un diritto fondamentale che collabora e definisce la dignità di una persona, ed è giusto che quindi esso produca, per lo meno, quanto è necessario per vivere.Lo statista argentino venne deposto da un colpo di stato nel 1955, dopo 9 anni. Tornò di nuovo al governo nel 1973, ormai vecchio e stanco, morendo l’anno successivo, ma la sua influenza a livello internazionale non venne mai meno. Molti sono i leader latini che fecero propria la lezione del Generale, ultimo tra tutti il defunto presidente del Venezuela Hugo Chavez, che si può considerare il vero erede spirituale di Perón sia per storia personale che per ideologia (il socialismo bolivariano ha molti punti in comune con quello che fu il justicialismo argentino). Senza dimenticare l’inconfonbile stile di direzione politica.
    "L'odio per la propria Nazione è l'internazionalismo degli imbecilli"- Lenin
    "Solo i ricchi possono permettersi il lusso di non avere Patria."- Ledesma Ramos
    "O siamo un Popolo rivoluzionario o cesseremo di essere un popolo libero" - Niekisch

  8. #18
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Chávez e il socialismo del XXI secolo

    Pubblicato il 26 agosto 2007 · in America Latina ·

    di Raúl Isaías Baduel (traduzione di Irene Caporale)
    [Mentre continuano a ritmo quasi quotidiano le diffamazioni del presidente del Venezuela Hugo Chávez, e mentre Il Corriere della Sera giunge a dedicare un’intera pagina all’ “idea balorda” di spostare di mezz’ora l’ora ufficiale venezuelana, dimostrando la più crassa ignoranza (condivisa dalla totalità dei nostri media) (1), conviene interrogarsi su cosa sia quel “socialismo del XXI secolo” di cui parla Chávez. Proponiamo a questo fine il discorso pronunciato dal generale Raúl Isaías Baduel, già ministro della difesa e capo delle forze armate, il 18 luglio 2007, alla fine del suo mandato. Alcuni giornali lo hanno menzionato, interpretandolo — convinti come sono che Chávez intenda imporre un modello castrista — nel senso che Baduel avesse intenzione di prendere le distanze dal suo presidente. In realtà Chávez la pensa esattamente alla stessa maniera, come dimostra la sua intervista alla giornalista uruguaiana Raquel Daruech, visibile qui.

    Rimando a una nota finale altre considerazioni. In realtà, la polemica di Baduel era rivolta alle ali del futuro PSUV (Partito socialista unito del Venezuela: NON “PARTITO UNICO”, bensì tentativo di riunire il frastagliato arcipelago politico che appoggia Chávez alle elezioni) che professano un marxismo troppo dogmatico.
    Non meraviglino i frequenti richiami religiosi, tipici dello stesso presidente. Caracas ha ospitato, due settimane fa, il congresso continentale della Teologia della Liberazione.
    Altre considerazioni in una nota in coda.] (V.E.)
    Discorso del Generale Raúl Isaías Baduel, capo dell’esercito
    Ministro del Potere Popolare per la Difesa alla fine del mandato. 18 Luglio 2007

    Voglio iniziare ringraziando dal profondo dell’animo innanzitutto Dio Onnipotente ed Eterno, per avermi concesso il privilegio di servirlo da questa mia posizione, con la protezione della sua potentissima mano, e a tutte le persone che col loro appoggio, lavoro, dedizione e reciprocità mi hanno aiutato a terminare felicemente la gestione del mio incarico nel Ministero.
    Ringrazio il Signor Presidente della fiducia che mi ha dato nell’assegnarmi questa responsabilità: a lei vanno tutta la mia amicizia e il mio affetto.
    Meritano una speciale menzione i miei diretti compagni d’armi, che hanno costruito attorno a me un gruppo davvero importante, senza il quale il successo del nostro lavoro quotidiano sarebbe stato impossibile: a loro la mia eterna gratitudine ed amicizia, qualunque sia la trincea che si occuperà.
    Oggi, per volontà dell’Altissimo, alla quale mi dono mansuetamente, mi sostituisce il Generale Capo Gustavo Rangel Briceño, compagno e amico, del quale conosco, tra le altre virtù, i saldi principi religiosi, che gli saranno di solido supporto durante il suo incarico. A lei i miei migliori auguri, e che Dio la guidi ed illumini in tutte le decisioni.
    Ho avuto l’onore di esercitare l’incarico di Ministro del Potere Popolare per la Difesa, posizione che obbliga chiunque lo occupi, per principio e per legge, a mostrare il proprio pensiero sull’esercizio della direzione degli uomini e sulla strategia politica dello Stato, con la mente al futuro, affinché il cittadino della nostra Nazione, che oggi vive un inedito periodo di transizione politica, conosca la professionalità delle sue azioni, e di conseguenza possa finalmente riposarsi e rilassarsi, come gli è dovuto, al vedere la predisposizione del capo militare per il carattere istituzionale dello Stato venezuelano, conservando la disciplina, l’ubbidienza e la subordinazione, pilastri fondamentali della nostra istituzione, con l’aiuto dell’esempio e della perseveranza dei valori degli appartenenti ad essa..
    Quando dico che ci troviamo in un periodo di transizione politica, che sta attraversando la nostra Nazione nel campo politico e sociale mi riferisco, tra altre cose, al processo di costruzione di un nuovo modello politico, economico e sociale che abbiamo chiamato Socialismo del XXI Secolo.
    Il termine Socialismo purtroppo non ha un significato uniforme e omogeneo per tutti, e di qui vengono l’incertezza e l’inquietudine generate in alcuni settori della vita nazionale non appena è menzionato. La convocazione del Signor Presidente Hugo Chávez per la costruzione del Socialismo del XXI Secolo implica la necessità imperiosa e urgente di formalizzare un modello teorico proprio e autoctono del Socialismo che si accordi con il nostro contesto storico, sociale, culturale e politico. Bisogna ammettere che questo modello, fino ad oggi, non esiste ancora né è mai stato formulato, e reputo che, finché sarà così, persisterà l’incertezza in alcuni dei nostri gruppi sociali.
    Come ho già detto altrove, dobbiamo sì “inventarci” il Socialismo del XXI Secolo, ma non in maniera disordinata e caotica, bensì avvalendoci degli strumenti e dei riferimenti che ci da’ la scienza.
    Nella puntata di Aló Presidente del 27 Marzo 2005, il Signor Presidente Chávez indicò che “il Socialismo del Venezuela si costruirà in accordo con le idee originali di Karl Marx e Friedrich Engels”. Ribadendo quanto detto in un’altra occasione, se la base per il Socialismo del XXI Secolo è una teoria scientifica al pari di quelle di Marx ed Engels, quello che ci costruiremo sopra non deve essere da meno, per non rischiare che la struttura costruita sia come una capanna costruita sulle fondamenta di un grattacielo.
    Ultimamente alcuni teorici, che desiderano dare il loro apporto alla costruzione di un modello socialista venezuelano, hanno parlato largamente di quanto poco conveniente sarebbe ripetere gli errori commessi dai cosiddetti paesi del “socialismo reale”, tra i quali l’ex Unione Sovietica. Ritengo comunque che gli errori che questi teorici segnalano rimangano esclusivamente legati alle falle dell’ordine politico del modello sovietico, come per esempio la relazione tra il partito rivoluzionario e lo Stato e quella tra il partito rivoluzionario e il popolo, o nel pericolo di commettere gli errori del Partito Comunista dell’Unione Sovietica che si è presto trasformato in un’organizzazione che ha sostituito e spiazzato la società, e che ha finito per essere manipolata dal Comitato Centrale del partito.
    Nell’ordine politico, il nostro modello di socialismo deve essere profondamente democratico. Deve chiarire, una volta per tutte, che un regime di origine socialista non è incompatibile con un sistema politico profondamente democratico, con contrappesi e divisioni di potere. È da questo punto di vista, credo, che dovremmo allontanarci dalla ortodossia marxista, che ritiene che la divisione dei poteri nella democrazia sia solo uno strumento della dominazione borghese. Come ha già detto il nostro Presidente Hugo Chávez in un’intervista concessa a Manuel Cabieses, direttore della rivista Punto Final, “uno dei fattori determinanti nella linea politica del Socialismo del XXI Secolo deve essere la democrazia partecipativa e protagonista. Il Potere Popolare. Bisogna concentrare tutto sul popolo, il partito deve essere subordinato al popolo, non il contrario”.
    Di certo non sono solo gli errori politici a dover essere considerati. Non dobbiamo dimenticare una cosa fondamentale: il socialismo è, in senso stretto, un sistema di produzione economica, tanto quanto il capitalismo, che deve sostituire, è anche esso un sistema di produzione economica. Anche nei paesi dove il socialismo era reale sono stati commessi errori di tipo economico. Bisogna stare in guardia anche nei confronti di questi errori, per non ripeterli. Gli errori economici di questi paesi del socialismo reale, come l’URSS, includono l’insufficiente ge-nerazione di ricchezza, considerato che nonostante l’aver raggiunto un’industrializzazione molto rapida, l’avere un’economia pianificata centralmente e i piani quinquennali, l’economia sovietica non poté essere redditizia, non poté generare la ricchezza necessaria per mantenere il suo popolo in maniera confortevole. Uno dei più grandi paradossi dell’economia sovietica si riflette nel fatto che questa nazione arrivò a dipendere dall’importazione del grano, proveniente proprio dal suo acerrimo nemico durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti D’America, per poter alimentare il suo popolo; come esempio di ciò abbiamo il fatto che nel 1979 il governo nordamericano inviò all’Unione Sovietica 25 milioni di tonnellate di mais e grano. L’URRS non poté fare il passo definitivo in avanti per raggiungere i livelli di efficacia, nella generazione della ricchezza, dei suoi competitori capitalisti, nonostante avesse fatto grandi progressi nei campi del sociale, dell’istruzione, dello sport, della salute, dell’arte, ecc… Di certo non vogliamo ripetere anche noi questi errori.
    Non possiamo permettere che il nostro sistema si trasformi in un Capitalismo di Stato, dove lo Stato sia l’unico padrone dei grandi mezzi di produzione. Si può rischiare di commettere l’errore di chiamarsi socialista e in realtà praticare un capitalismo di Stato. Durante un periodo conosciuto come comunismo di guerra, l’URRS, nonostante si chiamasse ancora Repubblica Socialista, praticò il Capitalismo di Stato per mano dello stesso Lenin. In quei tempi, dal 1921 al 1927, tappa storica conosciuta come la “Nuova Politica Economica”, tali azioni furono giustificate con il comunismo di guerra, e portarono alla rivolta di Kronstadt e ad altri accadimenti che quasi superarono quelli della Rivoluzione d’Ottobre. Questo periodo di comuni-smo di guerra che si estese dal 1917 al 1921, fu caratterizzato soprattutto dall’insuccesso nell’agricoltura e nell’attività industriale. La politica di nazionalizzazione totale delle imprese agricole, industriali e commerciali creò, tra il governo e il popolo, gravi malintesi e un’insoddisfazione generale che sfociarono nell’anarchia, nella fame e nella ribellione anticomunista. I prezzi subirono un rialzo verticale, mentre la produzione calava vor-ticosamente, la moneta si svalutava e smetteva di essere un normale mezzo di scambio. La produzione agricola era ridotta ad una terzo di quello che era stata nel 1913, quella industriale al 13% e il traffico ferroviario al 12%. Nel 1921 5 milioni di persone morivano di fame, in Unione Sovietica.
    Il comunismo di guerra ci ha insegnato che non si possono installare cambi radicali nel sistema economico; non si può decidere l’abolizione a tutti i costi della proprietà privata e la socializzazione brutale dei mezzi di produzione senza che ciò si ripercuota negativamente nella produzione di beni e servizi e senza che allo stesso tempo si generi uno scontento generale nel popolo. Lenin coniò il termine “Capitalismo di Stato” per riferirsi a ciò che egli considerava essere una fase di transizione ideale tra il capitalismo e il socialismo. Questo significò, per un periodo di 7 anni, la convivenza del capitalismo e del socialismo. Si permise la proprietà privata di piccoli o medi mezzi di produzione, ma indubbiamente lo Stato riservò quelli grandi per sé. La banca rimase nazionalizzata, ma il commercio fu messo in mano ai privati e si permise la vendita di prodotti ai prezzi fissati dal mercato.
    Uno dei maggiori fascini del socialismo classico è sempre stato l’immagine sottintesa di una divi-sione più equa delle ricchezze, rispetto all’ordine capitalista, dove le disuguaglianze sono all’ordine del giorno. Non dobbiamo dimenticarci, però, di qualcosa che spesso riteniamo ovvia, forse perché estremamente evidente: le ricchezze, prima di essere divise, devono essere generate. Non si può distribuire qualcosa che non esiste, questa formula ancora non è stata inventata. Il modello di socialismo che costruiremo deve essere tale da mostrarci il cammino socialista verso un’iniziale produzione e generazione delle risorse, e poi la possibilità di una di-stribuzione equa delle stesse tra quelli che le hanno generate, o come direbbe Marx “ad ognuno secondo le sue capacità, e ad ognuno secondo le sue necessità”. Per far sì che il modello socialista che ci prefiggiamo abbia successo, questo deve far trovare a noi venezuelani il modo di essere più produttivi.
    In passato, durante la IV Repubblica, i governi impiegavano la ricchezza eccessiva generata dal boom del petrolio per finanziare qualsiasi tipo di aiuti economici e sussidi. Numerosi venezuelani arrivarono a dipendere letteralmente da questi aiuti ufficiali. Invece di insegnare al popolo a produrre ricchezza grazie al lavoro e allo sforzo, gli si insegnò a chiedere aiuto al governo di turno. Quando il boom del petrolio terminò, lo Stato si trovò immediatamente senza fondi per il sostentamento dell’economia nazionale. Fu allora che il Paese entrò in crisi, la peggiore di tutta la storia del Venezuela. Il nostro modello di socialismo deve evitare la ripetizione di questi errori. Dobbiamo imparare dagli errori compiuti negli ultimi quattro decenni ed evitare di ripeterli.
    Visto che la convocazione del nostro Presidente a costruire ed inventare il Socialismo del XXI Secolo è stata accompagnata da alcune linee direttrici, come il fatto che il nostro modello debba essere profondamente cristiano e basato sulle idee di Giustizia Sociale di Cristo Redentore, credo sia pertinente citare un passaggio del Vangelo che bene illustra quello che Nostro Signore Gesù pensava a proposito della produzione e distribuzione della ricchezza. È la famosa parabola dei talenti che si trova nel Vangelo secondo Matteo, capitolo 25, versetti dal 14 al 30. Dice Gesù:
    “Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.”
    Qui Gesù Cristo va apertamente contro il concetto assolutista della proprietà che a quei tempi era fonte di privazione per molti e che tuttora alcuni continuano a sostenere: ognuno può fare con le sue proprietà quello che vuole; questo, secondo nostro Signore Gesù, è contraddetto immediatamente dall’obbligazione di doverne rendere conto, secondo l’uso dei beni morali, intellettuali e materiali. E la resa dei conti implica un castigo molto duro. Il Vangelo continua dicendo: “Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.”
    Le esigenze erano calcolate secondo le capacità di ognuno. Ad ognuno venne assegnato un numero equo di talenti. Ad ognuno secondo i beni che aveva ricevuto. Non si poteva pretendere lo stesso rendiconto di colui che aveva ricevuto 5 da quello che aveva ricevuto 2. Gli obblighi degli esseri umani non sono equiparabili, le nostre responsabilità, seppure della stessa natura, non sono uguali per tutti. A chi verrà dato molto, verrà chiesto molto in cambio.
    Infine Gesù condanna, in questo Vangelo, in maniera molto chiara, l’accumulo delle ricchezze: “Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il talento sotterra: ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.”
    A colui che venne dato poco, venne chiesto poco. Se però egli non compie neanche quel poco, lo aspettano “le tenebre”. L’inferno è, nel Vangelo, il castigo inesorabile per coloro che, pur avendo le possibilità, non producono; per coloro che nonostante abbiano l’attitudine, non la usano; per coloro che, essendo poveri perché gli è stato dato poco, non utilizzano il poco che hanno per il bene di tutti.
    Per poter raggiungere la meta del generare la ricchezza in maniera differente dal modello capitalista, il nostro socialismo deve “fare popolo”, giacché, come disse il maestro Simón Rodríguez: “Non ci può essere repubblica senza popolo”. Per fare il popolo Simón Rodríguez suggeriva l’implementazione di ciò che chiamava, in modo alquanto visionario, “Educazione Sociale”. Affermava il maestro Simón Rodríguez nel 1828:
    “I costumi formati dall’Educazione Sociale producono un’autorità pubblica, non un’autorità personale; un’autorità sostenuta dalla volontà di tutti, non di uno solo, convertita in Autorità o in altro modo, l’autorità si forma nell’educazione, perché educare è creare volontà. Si sviluppa nei costumi, che sono effetti necessari dell’educazione, e ritorna all’educazione per la tendenza degli effetti a riprodurre l’autorità. E’ una circolazione dello spirito di Unione tra soci, come lo è quella del sangue nel corpo di ogni individuo associato, ma la circolazione inizia con la vita”.
    Il nostro modello socialista deve chiudere con la brutta abitudine del passato di insegnare al popolo solo diritti e nessun dovere. Il nostro modello Socialista deve insegnare al popolo quello che deve fare per ottenere ciò che non ha. Il nostro modello Socialista deve insegnare al popolo che le cose non appaiono per magia, ma che si deve ottenerle con lo sforzo ed il lavoro. Questo è il compito della vera educazione sociale: deve permettere di formare il repubblicano di cui abbiamo bisogno per ottenere tutto il potenziale del quale è capace questa terra venezuelana di grazia, tanto amata, tanto benedetta e protetta da Dio.
    In questo senso, la Forza Armata può essere di grande aiuto alla costruzione del modello, giacché nell’istituzione armata l’equazione è sempre stata quella inversa, visto che abbiamo appreso e messo in pratica l’insegnamento che i nostri doveri sono di primissima importanza. Il compimento dei doveri è uno dei maggiori motivi di ponderatezza nella vita del soldato. Potremmo addirittura affermare che negli ultimi anni, e con l’approvazione popolare della Costituzione del 1999, i nostri doveri e responsabilità sono aumentati, in quanto oltre a quelli tradizionali inerenti alla sicurezza e difesa della nazione e alla cooperazione nel mantenimento dell’ordine nazionale, si è aggiunta la partecipazione attiva delle Forze Armate allo sviluppo della Nazione. Abbiamo portato a compimento quest’ultima missione in maniera fedele e definitiva, ed è un onore per l’istituzione armata il fatto di essere stata considerata per portarla a termine; tuttavia, riteniamo necessario un affinamento degli strumenti legali che la regolano, e speriamo che venga permesso alla FAN di poter partecipare a queste migliorie con maggior efficienza amministrativa, operativa e finanziaria.
    Il popolo venezuelano ha dato ai militari un compito chiaro nell’articolo 328 della Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela; il popolo venezuelano ci ha dato, parlando in termini militari, “una finalità”, “un motivo”, che si traduce nel garantire l’indipendenza e la sovranità della nazione, e nell’assicurare l’integrità dello spazio geografico. Il popolo venezuelano ci ha dato anche un “come”, attraverso l’esercizio di tre missioni fondamentali: la difesa militare, la cooperazione nel mantenimento dell’ordine interno e la partecipazione attiva allo sviluppo nazionale.
    Sono tre missioni che devono essere in perfetto equilibrio dinamico, e da esse si evince che il popolo venezuelano ci ha assegnato il compito di custodire le armi della Repubblica per difendere i suoi interessi ed amministrare la violenza legale e legittima dello Stato. Tuttavia, più che amministratori della violenza, dobbiamo diffondere e mantenere la pace, generare il conforto e costruire il giusto sentiero verso lo sviluppo del popolo stesso.
    Invoco le parole pronunciate dal Papa Giovanni Paolo II il Grande, il Pellegrino della Pace, di felice e incancellabile memoria: “In un clima dilatato di concordia e rispetto della giustizia può maturare un’autentica cultura della pace, capace di estendersi alla comunità internazionale” (Discorso pronunciato al Corpo Diplomatico, Gennaio 1997).
    E navigando nelle pagine del II Concilio Vaticano, nella Gaudium et Spest (allegria e speranza), cito: “La pace non è la mera assenza di guerra, né si riduce al solo equilibrio della forza avversaria, bensì è il frutto dell’ordine piantato nella società umana dal suo divino fondatore e che gli uomini assetati di una giustizia perfetta dovranno portare a termine”.
    La Forza Armata Nazionale deve essere uno strumento di potere per la democrazia politica, la pace e lo sviluppo, la cui attuazione sta nella sfida lanciata dalla volontà nazionale e la leadership, con mire alla rivendicazione delle istituzioni e dei procedimenti a favore del collettivo nazionale.
    Da ora in poi si impone, a questo umile soldato della fanteria paracadutista, un tempo di riflessione.
    Questi sono i sette principi che vigono nel codice di Bushido, la guida morale della maggioranza dei Samurai. Siate fedeli ad essi e il vostro onore crescerà. Rompete il codice e il vostro nome sarà infamato dalle generazioni a venire:
    1. Gi — Onore e giustizia. Sii onorevole nelle trattative con tutti. Credi nella giustizia
    2. Yu — Valore eroico. Alzati al di sopra della massa di gente che teme l’azione. Nascondersi come la tartaruga nel suo guscio non è vivere. Il coraggio eroico non è cieco. È intelligente e forte. Sostituisci la paura con il rispetto e la precauzione.
    3. Jin — Compassione. Sviluppa un potere che verrà usato per il bene di tutti. Aiuta i tuoi simili quando ti si presenta la possibilità. Se non si presenta, vai a cercarla.
    4. Rei — Cortesia. Un Samurai è cortese anche con i suoi avversari. Riceve rispetto non solo per la sua fierezza, ma anche per il suo modo di trattare gli altri. L’autentica forza interiore del Samurai si vede nei tempi difficili.
    5. Meyo — Onore. Le decisioni che prendi e il modo in cui le porti a termine sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nascondere te stesso.
    6. Makoto — Sincerità Assoluta. Quando un samurai dice che farà qualcosa, è come se fosse già fatta. Il semplice fatto di parlare ha messo in funzione l’azione. Parlare e fare sono la stessa cosa.
    7. Chugo — Dovere e Lealtà — Le parole di un uomo sono come le sue impronte: può seguirle ovunque egli voglia andare.
    Che Yahvé, Elhoim degli Eserciti, Supremo creatore di tutte le cose, benedica e protegga per sempre la Repubblica Bolivariana del Venezuela.
    1) Venerdì della settimana scorsa, nella trasmissione di Radio Rai Due Trame, il conduttore Favetto ha ironizzato su Chávez che vorrebbe “adeguare il tempo ai suoi desideri, come tutti i dittatori”. Riecheggiava, ahimè, parole in libertà di Massimo Cacciari. Il giorno prima, il conduttore con gravi deficit di cultura de Il cammello di Radio Due aveva detto, all’incirca: “Avete sentito di Chávez? Vuole spostare di mezz’ora l’ora legale! Per cui qua sono le 19,30, là le 20!” (!!!!!!! Testuale, lo giuro!).
    Mezzi cretini a parte, la risposta migliore è venuta dal blog raccomandabile di Gennaro Carotenuto. Riassumo. Sono numerosi i paesi situati ai tropici che spostano di mezz’ora il tempo assegnato loro dai cartografi britannici dell’Ottocento. Non si tratta di “ora legale”, che là non può esistere: le giornate sono più o meno uguali. Si tratta invece di sfruttare al meglio la luce. E non per fare lavorare di più, come insinua Il Corriere della Sera. Uno degli articoli della nuova costituzione venezuelana che meno garbano al suo vicedirettore, l’ex picista Pierluigi Battista, è quello che fissa la settimana lavorativa in 36 ore. Per tutti e ovunque. Dio ci guardi dagli ex, dai post e dai pentiti del “socialismo reale”. Hanno conservato la mentalità di prima (insinuare, calunniare, mentire, stravolgere, specie nei riguardi del “nemico a sinistra”) al servizio di una diversa ideologia.
    LA NOTA IN CODA
    Certo il “socialismo del XXI secolo” proposto dal Venezuela è ancora tutto da definire. Chávez propone varie forme di proprietà: statale (materie prime, comunicazioni), privata, mista, cooperativa (specie nelle campagne), comunale. “Pazzo” com’è, sostiene la subordinazione della Banca Centrale al potere politico. Grande eresia, si strilla in Occidente. Niente affatto, si risponde dall’altra parte dell’Oceano. Guai a lasciare la finanza rendersi autonoma. Lo avevano intuito i sandinisti negli anni ’80, in Nicaragua, e Marx ne Le guerre civili in Francia, scritto più di un secolo prima. La finanza ha l’eterna tendenza a rendersi indipendente dall’economia concreta, e a trascurare le ricadute sociali della sua dinamica. Lo sanno bene, o l’intuiscono, i cittadini europei, soggetti alle scelte di una BCE svincolata da forme democratiche di controllo.
    Il progetto di “economia mista” avanzato da Chávez non è comunque di natura autoritaria, tanto che ha l’appoggio di alcuni gruppi libertari venezuelani (vedi qui e qui). Non è nemmeno particolarmente ambizioso. Intende dare priorità all’emancipazione dalla miseria, piaga tradizionale latinoamericana, e all’innalzamento del tenore di vita dei mestizos, componente maggioritaria della popolazione del Venezuela, fino a dieci anni fa totalmente esclusi dalla vita democratica (al punto che molti di essi, per non parlare degli indios veri e propri, non erano iscritti né nelle liste elettorali né all’anagrafe).
    Il “modello cubano”, difficile da esportare, non c’entra nulla; tanto è vero che, per quanto Chávez renda spesso omaggio a Fidel Castro, in nome della resistenza cinquantennale di Cuba all’Impero, oggi è il Venezuela che inietta risorse nell’economia cubana, e non il contrario. L’alleggerimento della logica dell’ “emergenza” a Cuba, e l’ampliamento, per quanto molto parziale, delle libertà sull’isola, a Chávez devono molto.
    Poi ci sarebbe da dire dell’Argentina, del Nicaragua, dell’Ecuador, della Bolivia ecc. Il Venezuela persegue un progetto di “commercio equo e solidale” (diciamolo in termini europei) totalmente diverso dall’ingerenza indubbia, anche se contrapposta al più ingerente dei nemici, che fu praticata dall’ex URSS e dagli stessi cubani. E ha un’idea di pace molto coerente. Le parole del generale Baduel, vecchio compagno di Chávez, già danno l’idea di militari diversi da come ce li figuriamo, specie in rapporto all’America Latina. Quanto alla solidarietà tra Venezuela e Iran, letta frettolosamente dal povero Pierluigi Battista e da altri come alleanza tra “Stati canaglia”, può assai meglio essere vista come un superamento dello “scontro tra civiltà” che l’Occidente — e, di converso, gli integralisti musulmani disseminati per il mondo a partire dalla “democratica” Arabia Saudita — persegue forsennatamente, spinto da pulsioni suicide. Nel primo incontro tra Chávez e Mahmoud Ahmadinejad, il presidente venezuelano richiamò ripetutamente, nel suo discorso, “Cristo redentore”. Non fu fischiato, bensì applaudito. Senza che ciò implichi che il Venezuela sia uno Stato confessionale, naturalmente.
    Ma torniamo al “socialismo del XXI secolo”. Chávez, indubbiamente senza saperlo, pare richiamarsi a Hilferding (autore de Il capitale finanziario), scomunicato da Lenin e da allora detestato dai comunisti. Non si ispira a Cuba: semmai, in parte, il suo modello ancora imperfetto ricorda quello che i sandinisti intendevano costruire negli anni Ottanta, senza riuscirvi a causa della sanguinosissima rappresaglia scatenata dagli Usa. Però le vere radici del pensiero di Chávez vanno ricercate altrove. Nelle sue radici di indio, compartite da Morales e Correa. Di qui il suo insistere sulla base comunale della proprietà (quando, negato il rinnovo della concessione a RCTV, ha dato vita alla televisione “comunalista” TVES, questa è stata immediatamente definita da un’opposizione indecente “la tv dei negri”: non si era abituati alla comparsa di gente dalla pelle scura sullo schermo).
    Ciò apparenta Chávez alla rivolta di Marcos, e a tante altre rivolte che stanno avendo luogo in America Latina. Sono gli indios e i meticci che, un tempo esclusi da tutto, riprendono la parola, a Caracas come a La Paz come a Oaxaca. Il modello sociale di cui sono portatori non è il comunismo né la socialdemocrazia, ma qualcos’altro: il comunitarismo tradizionale dei loro insediamenti, fondati sull’autogoverno (2). Difficile da sopprimere, una volta scoperchiato, dopo secoli, il vaso di Pandora. La rivoluzione messicana, durata un ventennio e vittoriosa, ebbe proprio questa origine.
    Ci sono lezioni da apprendere, per il movimento no-global (chiamiamolo così) italiano? Non sta a me dirlo. Mi basta sapere che Chávez, in ogni pubblica apparizione, è acclamato in tutto il mondo, mentre il brasiliano Lula (commerciante dell’anti-ecologico etanolo, combustibile fatto con mais strappato alle bocche degli affamati) è accolto con freddezza. Per non parlare del pietoso presidente spurio del Messico, il neoliberale e filo-Usa Calderón, che non osa nemmeno uscire dalla propria tana, dopo un’elezione scandalosamente truffaldina. Dovunque appaia lo accolgono pernacchie.
    L’auspicio è che, prima o poi, i portabandiera (di destra e di sinistra) dell’ideologia neoliberale, fonte di guerra e matrice di precariato e miseria, siano spernacchiati dappertutto, come meritano.
    (V.E.)
    (2) Karl Marx vide nel mir, la proprietà collettiva contadina, l’embrione della futura rivoluzione russa. Idea fatta propria dagli SR, i “socialisti rivoluzionari”, e avversata da Lenin, che liquidò, teoricamente e materialmente, gli SR dell’ala sinistra (ce n’era anche una di destra, bellicista) come “forza reazionaria”.

    Chávez e il socialismo del XXI secolo - Carmilla on line ®
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  9. #19
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    L’esplosione del Potere Popolare

    di Geraldina Colotti
    Per inquadrare il tema – potere popolare e governo partecipato dei comuni – occorre partire da una elementare considerazione di fondo: che l’esperimento socialista bolivariano si mette in moto a seguito di un cambiamento strutturale nelle relazioni societarie e di potere. Una premessa utile per evitare equivoci o paragoni inopinati con la situazione italiana ove anche il comune più “virtuoso” e “partecipato” deve fare i conti con gli indirizzi e i colori del governo centrale. Andare al governo, d’altronde, non significa prendere il potere. Tuttavia, siamo un paese di forti tradizioni comunali, e il territorio è oggi il luogo dove s’incontrano e si scontrano tensioni e progetti, vecchie e nuove articolazioni produttive e sociali. Guardare alle esperienze partecipate del Venezuela, che hanno portato a sintesi le indicazioni più avanzate emerse dai forum sociali mondiali – prima di tutto quello di Porto Alegre, in Brasile – consente anche di riflettere su limiti e meriti delle esperienze che, durante l’ultimo governo di centro-sinistra, in Italia, hanno cercato di proporre un modello “partecipato” di gestione comunale, articolandolo tra conflitto e consenso, fra contro-potere locale e indicazioni generali. Significa riflettere, soprattutto, sul ruolo dei movimenti e delle organizzazioni popolari nell’amministrazione e nel governo dei territori quando si inaridiscono la luce prospettica e il contropotere reale. Significa riflettere, insomma, sull’articolazione tra locale e globale: sul nesso che c’è – a partire dalla critica del capitalismo e del suo modello di sviluppo – tra la fontana, gli ulivi, il caporalato o le fabbriche di morte del nostro territorio, e quel che accade nei sud più lontani, perché il costo (e i costi) di lavoro e non lavoro si decidono a livello globale. Potremmo dire che, pur nelle sue “complesse ingenuità”, l’esperimento bolivariano sta tentando di ripartire dai punti di frattura determinatasi nel Novecento tra municipalismo e centralismo, riprendendone i momenti più alti e fecondi: dalla Spagna libertaria al comunismo sovietico, alla Jugoslavia dei tempi migliori.
    La partecipazione sociale e politica delle comunità organizzate, in Venezuela, si sperimenta dai primi agglomerati urbani degli anni ’30. Da forme organizzative nate per risolvere problemi contingenti, si trasformano in organizzazioni popolari che hanno la capacità di mobilitare le comunità facendo pressione sui governi per far cambiare leggi considerate ingiuste. Durante i governi nati dal Patto di Punto Fijo, seguiti alla cacciata del dittatore Marco Pérez Jimenez, accompagnano, con alterne vicende, la scena politica, andando spesso oltre le rivendicazioni territoriali. Quando i progetti assistenzialistici dei governi di Accion Democratica (Ad, il centro-sinistra di allora) riescono a cooptare le organizzazioni popolari per garantire la governabilità e depotenziare l’influenza delle forze rivoluzionarie escluse dal Patto di Punto Fijo, la loro spinta rifluisce: lo stato permea le organizzazioni comunitarie, che diventano cinghie di trasmissione di Ad e strumenti di consenso per le elite. Quando, invece, l’esperienza le spinge a trascendere la natura puramente rivendicativa e contingente, esse accompagnano le lotte di resistenza e propongono embrioni di trasformazione politica della società venezuelana.
    Le organizzazioni comunitarie, sia contadine che urbane, che occupavano le terre e le case, i collettivi, le cooperative, le radio comunitarie (allora illegali), hanno appoggiato e sostenuto le ribellioni civico-militari del 4 febbraio e del 27 novembre del 1992, e poi il progetto di Chavez.
    Dopo la vittoria di Chavez alle elezioni del 1998, l’approvazione dell’Assemblea costituente prefigura l’articolazione di un doppio movimento, dal basso e dall’alto per modificare dall’interno l’architrave del vecchio stato borghese che non è stato sepolto da una rivoluzione di stampo novecentesco.
    La nuova Costituzione, approvata nel 1999, contiene almeno 70 articoli che promuovono la partecipazione cittadina in diversi settori del paese e molti fanno riferimento alla partecipazione popolare. Si individua il quadro che porterà all’istituzione dei Consigli comunali: l’articolo 62 si riferisce alla partecipazione popolare nella gestione pubblica. L’articolo 70 stabilisce le forme di partecipazione in campo economico, sociale e politico. L’articolo 182 riguarda la creazione del Consiglio locale di pianificazione pubblica. Il presidente Chavez, prima e dopo essere eletto, ha sempre messo l’accento sull’importanza della partecipazione popolare nella gestione della cosa pubblica.
    Il 7 aprile del 2006, il Parlamento promulga la legge dei Consigli comunali. L’articolo 30 crea la Commissione nazionale presidenziale del Potere popolare, designata dal presidente della Repubblica, e così si stabilisce un legame diretto con lo Stato. La legge definisce i Consigli comunali come “istanze di partecipazione, articolazione e integrazione tra le diverse organizzazioni comunitarie, gruppi sociali, cittadine e cittadini, che consentono al popolo organizzato di esercitare direttamente la gestione delle politiche pubbliche e i progetti orientati a rispondere alle necessità e alle aspirazioni delle comunità nella costruzione di una società di equità e giustizia sociale”.
    Prima di questa legge, organizzazioni analoghe facevano riferimento alla Legge dei Consigli locali di pianificazione pubblica. Ora, i Consigli comunali possono maneggiare fondi pubblici per realizzare progetti comunitari attraverso l’Unità di gestione finanziaria, composta da 5 abitanti della comunità, eletti dall’assemblea per amministrare le risorse in forma di cooperativa, denominata dalla legge Banca comunale. Le risorse vengono trasferite dalle varie istanze di governo: dal centro, dalle governaciones, dai comuni.
    In Venezuela, le organizzazioni popolari crescono in modo esponenziale. Per farsi un’idea della consistenza di organizzazioni sociali e comitati, basta scorrere un elenco ufficiale del 2009: si contavano 3.600 banche comunali, 6.740 comitati di Terra urbana, 27.872 Consigli comunali, 485 media comunitari, 7.800 comitati per la salute, 6.600 Tavoli tecnici per l’acqua…. Lo sforzo del governo bolivariano, del Partito socialista unito (Psuv) e di quelle strutture, come il Partito comunista, che hanno mantenuto un’influenza nelle organizzazioni popolari – attraverso cooperative e comitati – fin dalla IV repubblica, è stato ed è quello di trasformare la cosiddetta “società civile” (come si dice in Italia) in “società politica” partecipe e consapevole.
    Nel 2010, la Ley organica del Poder Popular stabilirà il quadro dei diritti, delle finalità e delle relazioni del Potere popolare con gli altri poteri della Repubblica. Le istanze del Potere popolare per l’esercizio di autogoverno, sono: il consiglio comunale, la comuna, la città comunale, i sistemi di aggregazione comunali.
    Il Consiglio comunale è definito “un’istanza di partecipazione, articolazione e integrazione tra i cittadini, le cittadine e le diverse organizzazioni comunitarie, movimenti sociali e popolari, che consentono al popolo organizzato di esercitare il governo comunitario e la gestione diretta delle politiche pubbliche e i progetti orientati a rispondere alle necessità, potenzialità e aspirazioni delle comunità, nella costruzione del nuovo modello di società socialista di uguaglianza, equità e giustizia sociale”. La comuna, regolata da un’apposita e concomitante legge e dal ministero delle Comunas, è: “uno spazio socialista che come entità locale è definita dall’integrazione di comunità contigue con una memoria storica condivisa, tratti culturali, usi e costumi che si riconoscono nel territorio che occupano e nelle attività produttive che servono al loro sostentamento e sul quale esercitano principi di sovranità e partecipazione protagonista come espressione del Potere popolare, in concordanza con un regime di produzione sociale e con il modello di sviluppo endogeno e sostenibile contemplato dal Piano di sviluppo economico e sociale della Nazione”. La città comunale si costituisce per iniziativa popolare mediante l’aggregazione di varie comunas in un ambito territoriale determinato. I sistemi di aggregazione comunale sono quelli che sorgono per iniziativa popolare tra consigli comunali e tra le comunas.
    Tutti i portavoce di tutte le istanze del Potere popolare, elette per votazione popolare, sono revocabili a metà mandato, come stabilisce la legge. Il testo stabilisce che verrà applicato alle comunità indigene in base ai loro usi, costumi e tradizioni.
    Diversi articoli della legge definiscono le competenze finanziarie, giuridiche e amministrative del Potere popolare, nonché l’esenzione da tasse e tributi nazionali “a tutte le istanze e alle organizzazioni di base”. Centrale, la funzione di Controllo sociale, stabilita dall’articolo 19, che consente alle organizzazioni del Potere popolare il controllo dal basso della gestione del Potere pubblico.
    Una funzione che collettivi e comitati hanno esercitato spesso durante la guerra economica, che si è fatta più intensa dopo l’elezione di Nicolas Maduro e che ancora persiste.
    “Sono qui, con il popolo organizzato e con Elías Jaua, vicepresidente di una nuova area di governo. Stiamo creando la quinta rivoluzione, quella dell’ecosocialismo. La rivoluzione delle Comunas, la rivoluzione del socialismo territoriale”. Con queste parole, il 16 settembre del 2014, Maduro si è rivolto al Consiglio presidenziale del Governo comunale in cui ha accolto le proposte elaborate dalle Comunas. All’inizio di quel settembre, Maduro aveva annunciato la necessità di costruire “cinque rivoluzioni nella rivoluzione”, e di creare una struttura di interlocuzione diretta tra il governo e le organizzazioni del Potere popolare.
    Il quinto obiettivo era per l’appunto “la rivoluzione del socialismo territoriale”, teso a consolidare “il modo di vita comunale”. Oggi sono 1509 le comunas registrate. Dopo la vittoria delle destre all’Assemblea, Maduro ha contrapposto un’altra volta il “popolo legislatore” e il suo organo di autogoverno – il Parlamento comunale, che richiama il soviet bolscevico – alle modalità di gestione delle élite: per una nuova articolazione tra Potere popolare e Potere esecutivo. “Dobbiamo rifare lo Stato, uno dei compiti principali analizzati da Lenin in Stato e rivoluzione. – aveva detto Maduro a settembre del 2014 – Senza una rivoluzione dello Stato continueremo ad assorbire il veleno inoculato dalle antiche classi dominanti, dal capitalismo e dalla borghesia. I problemi di inefficienza, di indolenza, di burocratismo e di corruzione – aveva aggiunto – hanno a che vedere con questi mali dello Stato borghese che sono rimasti intatti. E così capita che quando mettiamo un compagno che è un ottimo militante di base in un posto di governo, egli finisce per soccombere alle tentazioni del potere corrotto borghese, del capitalismo. Crede di essere in una nuvola, si dimentica che è popolo. Quindi dobbiamo andare verso uno Stato di tipo nuovo, dare il potere al popolo organizzato: non solo il potere politico, ma economico, educativo, sociale, solo così si costruisce la vera democrazia. E il presidente deve essere il recettore delle proposte provenienti dalle comunità”.

    https://albainformazione.com/2016/04/14/15952/
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

  10. #20
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Vorrei tornare su queste parole del presidente Maduro:
    “Dobbiamo rifare lo Stato, uno dei compiti principali analizzati da Lenin in Stato e rivoluzione. – aveva detto Maduro a settembre del 2014 – Senza una rivoluzione dello Stato continueremo ad assorbire il veleno inoculato dalle antiche classi dominanti, dal capitalismo e dalla borghesia. I problemi di inefficienza, di indolenza, di burocratismo e di corruzione – aveva aggiunto – hanno a che vedere con questi mali dello Stato borghese che sono rimasti intatti. E così capita che quando mettiamo un compagno che è un ottimo militante di base in un posto di governo, egli finisce per soccombere alle tentazioni del potere corrotto borghese, del capitalismo. Crede di essere in una nuvola, si dimentica che è popolo. Quindi dobbiamo andare verso uno Stato di tipo nuovo, dare il potere al popolo organizzato: non solo il potere politico, ma economico, educativo, sociale, solo così si costruisce la vera democrazia. E il presidente deve essere il recettore delle proposte provenienti dalle comunità”.

    Queste parole direi che illustrano molto bene il problema del Socialismo del XXI°, socialismo che Chavez ebbe modo di enunciare in maniera teorica, ideale e che cominciò, ma solo cominciò, a mettere in pratica durante la sua presidenza, il problema cioè di costruire un Socialismo senza ricorrere ai metodi bolscevichi o giacobini, ma cercando comunque di muoversi nell'ambito di una democrazia borghese, almeno all'inizio, e cercare di cambiare pian piano questa democrazia borghese in una democrazia socialista. Stiamo vedendo tutti come questo sia difficilissimo, a volte sono portato a credere che sia anche impossibile, il nemico è fortissimo, sia a livello interno che a livello internazionale, è un nemico che può distruggere l'economia di una nazione e attraverso questo passaggio può riuscire ad alienare le simpatie popolari per i governi socialisti. Lo abbiamo visto in Venezuela, lo abbiamo visto in questi giorni in Brasile, ecco dunque l'eterno dilemma: governare con gli strumenti della democrazia borghese o andare fino in fondo con la Rivoluzione e farlo in termini bolscevichi e staliniani? La mia simpatia va al primo metodo, ed il bolivarismo prima di Chavez e poi di Maduro stava e sta ancora cercando di muoversi in questa direzione, ma le difficoltà sono tante, tantissime e la tentazione di farla finita e di andare allo scontro definitivo coi capitalisti e con gli yankee è forte. Come quindi cercare di costruire il Socialismo adesso, nel XXI° secolo? Questo è il dilemma, io non sarei così pessimista come tanti che oramai pronunciano la fatidica frase: o rivoluzione totale o sconfitta, secondo me esistono ancora margini di manovra anche se il sentiero si fa sempre più stretto.
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

 

 
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