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Lo principe d’i novi Farisei,
avendo guerra presso a Laterano,
e non con Saracin né con Giudei, 87
ché ciascun suo nimico era cristiano,
e nessun era stato a vincer Acri
né mercatante in terra di Soldano; 90
né sommo officio né ordini sacri
guardò in sé, né in me quel capestro
che solea fare i suoi cinti più macri. 93
Ma come Costantin chiese Silvestro
d’entro Siratti a guerir de la lebbre;
così mi chiese questi per maestro 96
a guerir de la sua superba febbre:
domandommi consiglio, e io tacetti
perché le sue parole parver ebbre. 99
E’ poi ridisse: "Tuo cuor non sospetti;
finor t’assolvo, e tu m’insegna fare
sì come Penestrino in terra getti. 102
Lo ciel poss’io serrare e diserrare,
come tu sai; però son due le chiavi
che ’l mio antecessor non ebbe care". 105
Allor mi pinser li argomenti gravi
là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio,
e dissi: "Padre, da che tu mi lavi 108
di quel peccato ov’io mo cader deggio,
lunga promessa con l’attender corto
ti farà triunfar ne l’alto seggio". 111
Francesco venne poi com’io fu’ morto,
per me; ma un d’i neri cherubini
li disse: "Non portar: non mi far torto. 114
Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini
perché diede ’l consiglio frodolente,
dal quale in qua stato li sono a’ crini; 117
ch’assolver non si può chi non si pente,
né pentere e volere insieme puossi
per la contradizion che nol consente". 120
Oh me dolente! come mi riscossi
quando mi prese dicendomi: "Forse
tu non pensavi ch’io loico fossi!". 123
A Minòs mi portò; e quelli attorse
otto volte la coda al dosso duro;
e poi che per gran rabbia la si morse, 126
disse: "Questi è d’i rei del foco furo";
per ch’io là dove vedi son perduto,
e sì vestito, andando, mi rancuro».
Dante, Inferno, canto XXVII, vv. 85-129