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    Ghibellino
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    Predefinito Come Gorbaciov tradì l'URSS

    Secondo Oleg Nazarov, del Club Zinoviev, Mikhail Gorbaciov non firmò la fine della guerra fredda al vertice di Malta nel 1989, ma la resa totale e irreversibile dell’URSS. Il PCF m’inviò a Malta per il vertice, quando una terribile tempesta scuoteva l’isola e Bush inviò un marinaio sulla nave in cui Gorbaciov lottava per riprendersi. Tutti i partiti progressisti e comunisti al potere furono invitati in quella strana isola dominata dagli inglesi e finanziata dal Colonnello Gheddafi. In realtà eravamo lì per festeggiare la fine della guerra fredda, ma aveva l’apparenza della dissoluzione e non solo per la tempesta. Oggi nel grande dibattito sull’URSS che si svolge in Russia, non solo viene discusso un processo a Gorbaciov, ma gli intellettuali del prestigioso Club Zinoviev denunciano il tradimento dei dirigenti comunisti e del loro massimo leader. Non si tratta solo dell’URSS, ma di ciò che l’allora regime inflisse ai suoi cittadini. Insomma la sconfitta dei leader comunisti come Gorbaciov chiarisce ciò che probabilmente successe nei Paesi occidentali dove i partito comunisti, miscelando venalità e stupidità nel capire i desideri del capitale, si auto-distrussero (Nota di Danielle Bleitrach)Durante l’era sovietica questa ragazza sarebbe stata costretta ad entrare nell’esercito, studiare all’università o lavorare in una fattoria o fabbrica. Lo spietato sistema sovietico ne avrebbe annientato l’anima facendone una scienziata, una dottoressa, un’insegnante, un’operaia o un’impiegata. Grazie Mikey Gorby, per averla liberata potendo scegliere tra disoccupazione e prostituzione.

    Come Gorbaciov tradì il proprio Paese
    Un membro del club Zinoviev, Oleg Nazarov, dà la sua opinione: Mikhail Gorbaciov non firmò al vertice di Malta del 1989 la fine della guerra fredda, ma la capitolazione totale e irreversibile dell’URSS

    Oleg Nazarov SputnikHistoire et Societé 13/05/2015Ognuno oggi è d’accordo sul fatto che l’incontro tra George HW Bush e Mikhail Gorbachev nel dicembre 1989 a Malta lasciò un segno profondo nella storia. Ma ciò è valutato in modi diversi. Alcuni pensano che fosse la fine della guerra fredda. Altri, che vi vedono il tradimento di Gorbaciov e della sua squadra, sono categoricamente contrari a quest’ultimo punto di vista. Per avvicinarsi alla verità, serve un’analisi scientifica.Che cosa è un tradimento
    La chiave per la risposta a questa domanda complessa è data dal grande filosofo e patriota russo Aleksandr Zinoviev, che usò la parola “tradimento” nel senso sociologico, morale e legale. Ne “il fattore tradimento” Zinoviev ha scritto: “Per qualificare le azioni del potere del Soviet Supremo tradimento o rifiutarlo, prima di tutto è necessario partire dal dovere delle autorità verso il popolo, salvaguardare e rafforzare il regime esistente, proteggere l’integrità territoriale, rafforzare e proteggere la sovranità del Paese in tutti gli aspetti dell’organizzazione sociale (alimentazione, diritto, economia, ideologia, cultura), garantire la sicurezza personale dei cittadini, difendere il sistema dell’istruzione, dei diritti sociali e civili… insomma, tutto quello che fu conseguito negli anni sovietici e che era la normale vita della popolazione. Le autorità sapevano che il popolo fosse convinto che la direzione del partito adempisse al dovere e aveva fiducia nei leader. Ma queste autorità fecero il loro dovere? E perché non lo fecero, se si da una risposta negativa? In secondo luogo, va capito se le autorità sovietiche agirono di propria iniziativa o furono manipolate dall’estero; se avevano obbedito a un comportamento pianificato da qualcuno all’estero o meno, o se il potere agì nell’interesse di forze estere“. Zinoviev fu il primo ad intuire che Gorbaciov era capace di tradire quella fiducia. “Prima dell’incarico a Segretario Generale del PCUS, fu nel Regno Unito e si rifiutò di visitare la tomba di Karl Marx ed invece so recò al ricevimento della regina. Mi fu poi chiesto di commentare ciò e dissi che iniziava un tradimento storico senza precedenti. Non mi sbagliavo“. A Londra, in occasione della visita, il futuro leader sovietico incontrò la Prima ministra della Gran Bretagna Margaret Thatcher. E’ interessante che subito dopo questa riunione, la lady di ferro partì per gli Stati Uniti per incontrare l’allora presidente Ronald Reagan, dicendo cosa era possibile fare con Gorbaciov. Nel marzo 1985 Thatcher andò a Mosca per i funerali del Segretario Generale del PCUS e leader sovietico Konstantin Chernenko ed incontrò Gorbaciov, che poco prima fu nominato a capo dell’URSS e del partito.Il primo passo
    Un mese dopo, il plenum del Comitato Centrale del PCUS annunciò l’accelerazione dello sviluppo socio-economico del Paese. La migliore applicazione delle conquiste della scienza e della tecnologia e dello sviluppo dell’ingegneria meccanica. La cosiddetta “perestrojka” iniziò bene. Nel febbraio 1986 fu approvata dal XXVII Congresso del PCUS. Il periodo di Breznev fu spesso chiamato periodo di stagnazione. Zinoviev protestò fortemente contro tale denominazione. Nel suo articolo “La controrivoluzione sovietica“, ricorda: “Negli anni dopo la guerra, la popolazione dell’Unione Sovietica aumentò di cento milioni di persone. Lo standard di vita aumentò. Crebbero i bisogni delle persone… Negli anni dal dopoguerra (e soprattutto della “stagnazione”) aumentarono di dieci volte aziende, istituzioni, organizzazioni e la società divenne più complessa e varia, così rapidamente e con una portata tale che l’umanità non aveva mai visto prima delle magnifiche realizzazioni dell’URSS. Tutti gli aspetti della vita divennero più complessi e diversi nell’istruzione, cultura, comunicazione, relazioni internazionali, ecc. Naturalmente apparvero problemi e difficoltà...” Per superarli, come disse Zinoviev, “Dovevamo difendere, rafforzare e sviluppare tutto ciò che criticavano e deridevano l’ideologia e la propaganda occidentali: era qualcosa su cui effettivamente si lavorava consentendo all’URSS di superare tali difficoltà. Ma i leader sovietici e i loro lacchè ideologici fecero tutto il contrario. Iniziarono la “perestrojka” con conseguenze negative già evidenti. La perestrojka scatenò una crisi universale, anche nel campo economico. Già Gorbaciov e altri critici della stagnazione annunciarono l’accelerazione. Tali parole pompose non si materializzarono mai. I sostenitori della ‘Perestrojka’ non sapevano superare i problemi, molti dovuti alla loro azione. Gorbaciov si rivelò un leader incapace di costruire qualcosa, causando nella società delusione ed irritazione crescenti. Quanto più la situazione peggiorava nel Paese, più Gorbaciov cercava il riconoscimento in occidente. Fu perfino disposto a rinunciare alle conquiste geopolitiche dalla seconda guerra mondiale, pagate con la vita di decine di milioni di cittadini sovietici“. L’ex-capo del Dipartimento di Chimica Analitica del KGB dell’URSS, Nikolaj Leonov, era sicuro che Gorbaciov avviò la caduta dell’impero sovietico dopo essersi recato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nell’autunno del 1988 con l’idea di allietare tutti affermando dal podio che l’URSS non avrebbe impedito con la forza cambiamenti negli altri Paesi dell’Europa orientale. Questo fu il primo passo, e poi non si poté più tornare indietro.L’URSS non volle vedere gli Stati Uniti come avversari
    Henry Kissinger nel suo libro Diplomacy racconta come dalla tribuna delle Nazioni Unite, dopo l’indicazione della riduzione unilaterale delle Forze Armate di 500000 effettivi e 10000 carri armati, Gorbaciov aggiunse con voce piuttosto modesta: “Speriamo che Stati Uniti ed europei facciano lo stesso“… la grande riduzione unilaterale era un esempio di fiducia nelle proprie forze o di debolezza. In quella fase era dubbio che l’URSS potesse dimostrare fiducia nelle proprie forze. In primo luogo, le parole di Kissinger si riferiscono a un Gorbaciov che dimostrò debolezza nei negoziati a Malta. Nel descrivere il comportamento del leader sovietico, l’ambasciatore USA in URSS Jack F. Matlock disse: “Voleva far vedere a tutti che negoziava con Bush alla pari e non da avversario sconfitto“. Ma Gorbaciov non convinse i politici che rispettano la forza, soprattutto degli Stati Uniti. Oggi sappiamo molto poco del contenuto dei negoziati. Ma esiste da qualche parte. I concisi commenti dei media contrastano con le stime pompose che ne diedero Gorbaciov, Bush e le loro cerchie. Tutti insistettero sul fatto che il risultato principale della riunione fu la fine della guerra fredda. Mentre oggi è ovvio che tali affermazioni non corrispondano alla realtà. Ognuno oggi è d’accordo sul fatto che l’incontro tra George HW Bush e Mikhail Gorbaciov a Malta, nel dicembre 1989, lasciò un segno profondo nella storia. Ma è valutato in modi diversi. Alcuni credono che fu la fine della guerra fredda. Altri un tradimento senza precedenti. Gorbaciov e la sua squadra sono categoricamente contrari a quest’ultimo parere. Per sapere la verità serva un’analisi scientifica. L’ex-ambasciatore sovietico negli Stati Uniti, Anatolij Dobrynin, disse che a Malta Gorbaciov ignorò la direttiva dell’Ufficio politico del Comitato Centrale del PCUS secondo cui la riunificazione tedesca era possibile solo se i due blocchi, NATO e Patto di Varsavia, venivano sciolti di comune accordo; Gorbaciov non solo accolse l’affermazione di Bush che “l’URSS non sarebbe stata vista come avversaria degli stati Uniti”, ma continuò a sollecitare gli statunitensi a mediare i mutamenti pacifici in Europa orientale. “Non vi considero nostro nemico” disse Bush. “Molte cose sono cambiate. Auguriamo la vostra presenza in Europa. La vostra presenza è importante per il futuro di questo continente. Perché dovremmo pensare dove andrete…” Non sorprende che alcune settimane dopo il vertice a Malta, l’amministrazione Bush si dimostrò pronta a svolgere il ruolo di mediatrice non solo tra Mosca e Patto di Varsavia, ma anche tra Mosca e la capitale della Repubblica Socialista Sovietica della Lituania, Vilnius. Lo storico Matvei Politnov disse: “Le forze separatiste in Lettonia, Lituania ed Estonia, avendo avuto l’appoggio degli Stati Uniti dopo il vertice di Malta, aumentarono notevolmente le attività per uscire dall’URSS“. Questo è il motivo per cui il diplomatico Anatolij Gromyko descrisse il vertice come la Monaco di Baviera sovietica. Per Gromyko era evidente che a Malta “Gorbaciov aveva perso ogni partita“. E nemmeno provò a vincere. In più, oserei dire che nemmeno cercò di vincere: a giudicare dagli eventi che si svolsero dopo il vertice (riunificazione della Germania, disintegrazione del blocco socialista, dissoluzione del Patto di Varsavia, deterioramento delle relazioni con Cuba, ecc.), Gorbaciov agì da solo a Malta firmando la resa completa e irreversibile dell’URSS.Natale nel giugno 1990
    La risposta alla domanda se Gorbaciov agì nell’interesse degli Stati Uniti o no, è ovvia. Gli stessi statunitensi furono sorpresi dalla velocità con cui il leader sovietico si allineò con le posizioni occidentali, una dopo l’altra. Come riconosciuto dallo storico statunitense Richard Michael Beschloss e dall’analista di politica estera Strobe Talbott, gli statunitensi cercarono di ringraziare Gorbaciov che negoziò una Germania riunificata nella NATO. E quando la visita di Gorbaciov negli Stati Uniti fu prevista nel giugno 1990, Robert D. Blackwill disse: “l’incontro dev’essere la festa di Natale di Gorbaciov a giugno“. Il neopresidente dell’URSS si recò negli Stati Uniti il 30 maggio. Beschloss e Talbott dissero: “Gorbaciov era ubriaco di gioia per il suo successo. Quando la folla l’accolse con un applauso, urlò con l’aiuto dell’interprete “Qui mi sento a casa!” Fu un’espressione inusuale, ma molto eloquente, perché nel suo Paese nessuno pensò di applaudirlo. Gorbaciov voleva tanto sentirsi benvoluto da tale società, e testimoniò la propria popolarità in occidente il giorno dopo, quando per quattro ore raccolse premi da varie organizzazioni (…) con un ampio sorriso ricevette i presidenti di quelle organizzazioni entrati solennemente nelle lussuose sale per ricevimenti dell’ambasciata sovietica, con gli emblemi sul muro, pronunciando discorsi lusinghieri su Gorbaciov davanti alle telecamere sovietiche e statunitensi“. Sempre nel 1990, Gorbaciov fu insignito del prestigioso Premio Nobel per la Pace. Dovette aspettare due anni per il successivo regalo. Nel 1992, quando l’URSS era già sepolta, Reagan invitò l’ex-presidente nel suo ranch e gli diede un cappello da cowboy. Gorbaciov lo scrisse nelle sue memorie. Commentando tali sviluppi, il politologo Sergej Cherniajovski disse con ironia “l’ex-Cesare di metà del mondo mostrò orgoglio per ciò. Così i servi erano orgogliosi quando lo zar gli offriva i suoi mantelli e cappotti. Come loro e Riccardo III di York che implorò al momento del pericolo “il mio regno per un cavallo“, il premio Nobel era orgoglioso dello scambio vantaggioso: la metà del mondo contro il cappello dell’ex-presidente degli Stati Uniti. Dopo, gli ospiti di Reagan pagarono 6000 dollari per una foto dell’ex-presidente dell’URSS con il cappello da bovaro dal Texas. Gorbaciov lo descrisse con orgoglio senza capire che ciò che interessava era vederlo con un cappello da pagliaccio.Epilogo
    Nell’agosto 1991, tre giorni dopo il “cosiddetto golpe di agosto” in Unione Sovietica, Zinoviev scrisse parole profetiche: “Ora tutti credono che la guerra fredda sia finita credendo a Gorbaciov e alla sua squadra. Gli anni passano e i posteri valuteranno che ruolo avrà avuto: voglio dire, come traditore degli interessi nazionali del proprio Paese e del proprio popolo. Non conosco altro caso di tradimento paragonabile per dimensioni e conseguenze. La Grande Guerra Patriottica presentò alcuni casi di tradimento della Patria, ma sono nulla in confronto a ciò che Gorbaciov fece in tempo di pace. Se i capi occidentali l’avessero fatto, nessuno di loro avrebbe avuto lo stesso successo che gli offrì Gorbaciov. Agì da agente esperto dell’apparato del partito, utilizzando tutte le capacità e le leve disponibili dello Stato comunista“. Aleksandr Zinoviev rispose alla domanda che sollevò: “La realtà della storia sovietica dopo il 1985 è tale che un osservatore obiettivo non può esitare a qualificare come tradimento del proprio popolo l’azione delle autorità sovietiche“.Occhio alle iene atlantiste travestite da volpini no-global

    Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

    https://aurorasito.wordpress.com/page/2/
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    Ghibellino
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    Predefinito Re: Come Gorbaciov tradì l'URSS

    MOSCA, 18 agosto 1991 Lo strano golpe del ’91

    Non fu nell’89 la fine del bipolarismo, ma nell’agosto di dieci anni fa a Mosca. I ricordi del corrispondente della Stampa, testimone oculare di quei giorni...

    di Giulietto Chiesa


    Dieci anni fa quel “golpe rosso” segnò – come tutti pensano – la fine dell’Unione Sovietica. Che venne, inesorabile, qualche mese dopo, esattamente la notte di Natale del 1991. Ma la partita finale, quella che resta sui libri di storia, anche se non necessariamente è il momento vero della verità, fu giocata quel 18 agosto 1991, tra Mosca e Foros: la capitale dove risiedevano i congiurati e il resort estivo sul Mar Nero dove stava riposando la vittima.
    Io ebbi la ventura di vederlo tutto in presa diretta. Ero tornato a Mosca, da Jakutsk, per un fortunato concorso di circostanze, proprio la sera prima. Anch’io come Boris Eltsin. Che però tornava da una visita ufficiale in Kazakistan nella sua qualità di presidente della Rsfsr (Repubblica Sovietica Federativa Socialista Russa). La Russia attuale, in poche parole, ma che allora era ancora la più possente delle quindici repubbliche dell’Unione Sovietica.

    Boris Eltsin, in piedi su un mezzo blindato dei golpisti davanti al Parlamento, legge un discorso circondato dai giornalisti

    L’altra differenza, tra me e Eltsin – in quella specifica occasione, s’intende, ché molte altre furono, grazie a Dio, le differenze tra me e lui – era che io ero tornato a Mosca in piedi, cioè con le mie gambe, mentre lui era stato trasportato di nascosto ai giornalisti, all’aeroporto di Alma-Ata, a bordo di un’ambulanza per ultra-vip, essendo completamente ubriaco. Tanto ubriaco che i festeggiamenti, organizzati per lui da Nursultan Nazarbaev, avevano dovuto essere interrotti prematuramente per impossibilità materiale di tenere in piedi Eltsin.
    Ecco dunque un’altra fortuita circostanza: quella che permise a Boris Nikolaevic di essere a Mosca il giorno del “golpe rosso”. Altrimenti, certamente comunque ubriaco, essendo quella la sua abituale condizione, sarebbe stato sorpreso dal golpe nella lussuosa residenza dei capi di Stato di Alma-Ata, invece che nella sua lussuosa dacia fuori Mosca.
    Io fui svegliato da un insistente trillo del telefono. Erano le cinque del mattino e, dopo otto ore di viaggio, naturalmente dormivo. Tre, quattro volte, avevo lasciato suonare senza rispondere. Alla quinta decisi che non potevo esimermi. In fondo un corrispondente deve ritenersi in servizio permanente effettivo.
    All’altro capo del filo c’era una voce nota, simpatica. Jurij, l’addetto stampa del Partito comunista di Jakutsk, mi stava chiamando dai suoi sei fusi orari d’anticipo. Eravamo stati assieme per quattro giorni; mi aveva accudito, come gli era stato detto di fare, ma senza quella patina di noia burocratica che di solito caratterizzava quel tipo di accompagnatori. Il sistema era ancora quello che – per definitivo disdoro di ogni futura idea di giustizia sociale – veniva chiamato comunismo. Un giornalista non poteva girare per il Paese senza essere accompagnato. Qualcuno penserà: da un agente del Kgb. Macché. Spesso si trattava di modesti funzionari del Partito, che avevano il compito di riferire sì, ma non al Kgb (se non in casi eccezionali), bensì al Comitato centrale. Si era fortunati se il Caronte di turno non era un cretino, e Jurij, con il suo sorriso orientale stampato in permanenza negli occhi, era un uomo intelligente.
    Per lui, che il giorno prima mi aveva accompagnato all’aeroporto, erano in quel momento le undici del mattino. Si potrebbe dire che, rispetto a me che dormivo, si trovava nel futuro. Ma un futuro compresente al mio, se non altro perché le televisioni stavano trasmettendo a reti unificate. Tutti i tre canali la stessa cosa, da ore: il Lago dei cigni di Ciajkovskij. E Jurij aveva tratto le sue conclusioni, esatte. E aveva pensato di farmi un piacere, comunicandomele.
    «Giulietto, accendi la televisione, sta succedendo qualcosa di grave». Poche altre parole. Lui non voleva dire di più, io avevo capito subito che non c’era un minuto da perdere. Fu quella telefonata, provvidenziale per un giornalista, che mi consentì di arrivare per primo (con mia moglie, Fiammetta Cucurnia, e la corrispondente di El Pais, Pilar Bonet, che svegliai subito) nella Casa Bianca, la sede del governo della Rsfsr, cioè la sede di Eltsin.

    Gorbaciov ritorna a Mosca dopo il golpe del 18-22 agosto 1991

    Per primi e per ultimi, perché un minuto dopo le porte si chiusero, il palazzo fu assediato dai golpisti, e noi tre potemmo assistere in presa diretta a tutti gli avvenimenti successivi. Dalla parte di coloro che, in seguito – ingiuria della storia – furono chiamati i “democratici” e che, in quel momento, anche a me apparivano come tali, tant’è vero che andai da loro per cercare di capire cosa stesse succedendo. Ma questo è un altro discorso che non posso fare qui.
    Qui voglio solo ricordare perché quel golpe mi apparve subito, fin da quelle ore antelucane della telefonata di Jurij, uno strano golpe. Ma come?! Il Kgb organizza un colpo di Stato contro il segretario generale del Pcus, Michail Gorbaciov, e non si preoccupa neppure di interrompere le comunicazioni telefoniche interne? Questo pensavo, mentre ascoltavo i comunicati radio, sempre gli stessi per ore, il cui contenuto era anch’esso strano. Si capiva che c’era un colpo di Stato, ma sembrava che i golpisti facessero il possibile per negarne l’esistenza. E molti di loro apparivano francamente anomali rispetto a un qualsiasi colpo di Stato: il vicepresidente Janaev, che conoscevo dai tempi della Fgci, era un brav’uomo senza peso politico; il premier Valentin Pavlov aveva un’aria (assolutamente esatta, per altro) da grande bevitore. E così via. L’unico che incuteva timore, in quella compagnia, era Vladimir Kriuchkov, il presidente del Kgb. Ma neanche lui aveva un’aria troppo truce. L’avevo conosciuto personalmente, quattro anni prima, quando mi aveva concesso un’intervista: primo corrispondente straniero a entrare nella sede del Kgb per intervistare il suo presidente. Mi si era presentato come un grande sostenitore di Gorbaciov.
    Così pensavo, aggirandomi negli staliniani corridoi della Casa Bianca semideserta (erano le otto del mattino), tra deputati trafelati che arrivavano alla spicciolata, anche loro in cerca di notizie e di protezione. Poi, dalle grandi vetrate della Casa Bianca, vidi arrivare i carri armati delle divisioni Kantemirovskaja e Tamanskaja. Venivano lenti, con le torrette scoperte e l’ufficiale seduto di sghembo sulla botola, in lunghissime file che si muovevano nella nuvola di fumo nero dei loro scappamenti. Ma soprattutto scortati, preceduti, accompagnati – colonna per colonna – da macchine della polizia con i lampeggianti accesi. I poliziotti all’interno a fumare, tranquilli, come se fossero a una parata militare.
    Strano golpe, pensai. I comunisti mangiano i bambini e poi non sono neanche capaci di sparare qualche cannonata, di sbrecciare un angolo di palazzo, di fare paura? Neanche un colpo fu sparato in quel primo giorno di golpe. Solo la sera, sull’anello circolare interno, un blindato assaltato da un gruppo di giovani nei pressi della piazza Smolenskaja, sbandò e ne travolse tre. Gli unici tre morti del “golpe di agosto” in tutta l’Unione Sovietica.
    Tre a tre. Perché il golpe si concluse, tre giorni dopo, con tre suicidi eccellenti di golpisti e dei loro amici. Vladimir Pugo, ex ministro dell’Interno, si sparò un colpo in bocca; Sergej Akhromeev, maresciallo dell’esercito, s’impiccò; Nikolai Krucina, amministratore del Comitato centrale del Pcus, volò fuori dalla finestra della sua abitazione.

    Manifestazioni contro la giunta dei golpisti

    Due suicidi veri, il terzo un po’ meno, ma il conto era pareggiato sul serio. L’altra stranezza fu l’arrivo di Boris Eltsin alla Casa Bianca. La città era tutta bloccata dalle colonne di blindati, ma lui riuscì a passare con la sua Ciaika. Nessuno lo fermò, lui che a occhio e croce avrebbe dovuto essere il nemico principale dei golpisti. Se n’erano dimenticati? Niente affatto. Era stata una scelta deliberata dei golpisti: non arrestare nessuno. Strani golpisti che volevano apparire legali.
    Fatto sta che Eltsin arrivò verso le undici, quando già Ruslan Khasbulatov, speaker del Soviet supremo e suo braccio destro, aveva convocato il Presidium e discusso la linea da tenere: linea di opposizione ai golpisti. Noi tre giornalisti fummo addirittura ammessi a seguire i lavori del Presidium, con una votazione specifica: meglio avere testimoni. Tutti si aspettavano che i soldati facessero irruzione nella Casa Bianca, ma non ci fu nessuna irruzione.
    Fu in quel momento, appunto verso le undici di mattina, che Eltsin (per meglio dire il suo aiutante più fido, colui che sarebbe divenuto il suo pretoriano, Aleksandr Korzhakov) organizzò la più spettacolare ed efficace “operazione d’immagine” di tutta la sua carriera. Salendo, come tutti ricorderanno, sul carro armato per arringare la folla. Non c’era nessuna folla. C’era solo un gruppetto di giornalisti, fotografi e teleoperatori, tra cui chi scrive, che assistettero a una complicata trattativa tra Korzhakov e l’ufficiale che comandava il carro armato. Il quale, poverino, chiedeva un ordine scritto – per far salire Eltsin – e non potendo ottenerlo pretendeva di far scendere tutto l’equipaggio e di far smontare preventivamente gli otturatori della mitragliatrice e del cannone.
    Così diceva il regolamento. Korzhakov lo convinse, non so come, e Eltsin fu issato, sotto gli occhi delle telecamere, che immortalarono il gesto di supremo coraggio.
    Allora non pensai all’importanza di quella scena, ma mi chiesi che diavolo di golpe era quello se l’ufficiale del carro armato più vicino all’ingresso principale della Casa Bianca non sapeva esattamente cosa fare, alle undici del mattino della prima giornata.
    Che trascorse moltiplicando i miei dubbi. Avrei capito solo qualche mese, e poi via via qualche anno dopo, cos’era accaduto. Ma quel primo giorno ricordo che la mia sensazione più netta fu che il golpe sarebbe fallito molto presto. Non per l’opposizione popolare, niente affatto. Mosca, la Russia intera, non mossero un dito. I dimostranti furono una minoranza irrilevante. Il fatto evidente fu che nessuno avrebbe seguito attivamente i golpisti. Che, anche se non fossero crollati da soli dopo tre giorni, come fecero, sarebbero crollati dopo qualche settimana. Il Paese non “ci credeva più”. Le cose che loro, disperatamente, cercavano di trasmettere: patria, socialismo, non avevano più senso per milioni di sovietici.

    Il 23 agosto, durante una riunione del Parlamento della Federazione russa, Gorbaciov riceve da Eltsin una nota riguardante la posizione assunta da ciascun ministro nel corso del colpo di Stato dei giorni precedenti

    Questa fu la condanna più grave per i golpisti: l’essersi resi conto che il loro golpe non avrebbe potuto vincere. L’unica, grande loro attenuante, fu che non ordinarono di sparare.
    Ma non capirono nulla. L’altro loro errore madornale fu la loro convinzione che Gorbaciov avrebbe ceduto alle loro richieste, avrebbe bloccato la trattativa con le repubbliche per dare vita a un’Unione Sovietica riformata, democratizzata, e soprattutto più piccola (in quel momento solo nove repubbliche su quindici avevano dichiarato la loro disponibilità a entrare nella nuova Unione). Tutto sarebbe stato fermato e si sarebbe ricominciato daccapo, con Mosca che imponeva le sue regole a tutta l’Urss. Se Gorbaciov, isolato a Foros, avesse ceduto, fosse ritornato a Mosca e avesse convocato il Soviet supremo per comunicargli le “sue” nuove convinzioni, ecco che il golpe iniziato il 18 agosto sarebbe divenuto una normale convocazione del Parlamento. Cioè non sarebbe stato un golpe. Ecco perché non avevano dato ordini di arresto, e non avevano sparato. Pensarono che non ce ne sarebbe stato bisogno. Quando cominciarono a capire che ce ne sarebbe stato bisogno, era ormai il secondo giorno, era tardi, Gorbaciov non aveva ceduto, il Paese era rimasto inerte.
    Sbagliarono dunque due volte: su Gorbaciov e sulla Russia.
    Volevano conservare l’Unione Sovietica e ne provocarono il collasso definitivo. Volevano liberarsi del “traditore” Gorbaciov (che comunque parlò fino alla fine come leader di una grande potenza) e consegnarono il proprio Paese nelle mani di un Quisling senza dignità che avrebbe smantellato non solo l’Unione Sovietica ma anche la Russia.



    30Giorni | Lo strano golpe del ?91 (di Giulietto Chiesa)
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    Predefinito Re: Come Gorbaciov tradì l'URSS

    Tra pochi giorni (26 dicembre del 2011) ricorreranno i vent’anni dalle dimissioni di Gorbaciov (26 dicembre 1991) che decretarono lo smembramento ufficiale dell’URSS e la salita al potere degli ubriaconi incaricatisi di trasformare quella che era stata una grande e temibile potenza mondiale in un misero duty free per stranieri ed oligarchi. Qualche mese prima (agosto 1991) c’era stato un tentativo di “colpo di stato” (lo mettiamo tra virgolette perché, contrariamente a ciò che narra la propaganda occidentale, si trattò di un estremo quanto velleitario sforzo dei poteri costituiti per ristabilire la propria legittima autorità) da parte della nomenklatura comunista, la quale non voleva una liquidazione a prezzi di saldo dell’intera Unione Sovietica ma auspicava un programma di riforme all’interno del contesto esistente, al fine contrastare le spinte centrifughe che si erano messe in moto e preservare la sovranità della Russia dalle ingerenze esterne. Respinti i nostalgici e i veterani ed accertato lo sfaldamento degli apparati statali e militari, verificata la distrazione della gente che aveva ben altro a cui pensare a causa della stagnazione economica, i veri golpisti, quelli capeggiati da Eltsin ed assistiti da Bush senior, si sbarazzarono del temporeggiatore Gorbaciov (la storia ci sta già suggerendo che costui fu più traditore che stupido, soltanto che fece male i conti del suo voltafaccia e gli si parò innanzi un soggetto ancor più spregiudicato di lui, come il citato Boris Eltsin) e diedero seguito ai loro piani di dismissione dell’impero rosso secondo le precise indicazioni della Casa Bianca. L’intelligence statunitense aveva precedentemente individuato in Eltsin il quisling al quale affidare il governo della Russia, tanto da averlo avvertito, con settimane di anticipo, dell’imminente tentativo di “golpe” da parte dei “conservatori” del partito. Forte di quest’appoggio estero, l’uomo che per tutti nel PCUS ed in Russia era sempre stato un codardo ed un alcolista, si ritrovò su un carrarmato ad arringare la folla contro il governo regolare, atteggiandosi ad eroe e a salvatore della patria. Gorbaciov, invece, venne tenuto all’oscuro del possibile putsch, nonostante il medesimo Bush lo avesse più volte rassicurato circa le buone intenzioni della Casa Bianca nei suoi confronti, compresa la volontà di non interferire nelle vicende interne di Mosca. E’ vero che Gorbaciov firmerà le sue dimissioni alla fine di dicembre ma di fatto l’Unione smise di esistere il 7 dicembre 2011, allorché Eltsin, Kravcjuk (Presidente dell’Ucraina) e Shuskevic (Presidente della Bielorussia), in una dacia dove aveva dimorato Breznev, rimpinzandosi di vodka e rotolando sotto il tavolo, si rifiutarono di sottoscrivere una bozza di accordo finalizzato alla rifondazione dell’Urss con un nuovo trattato. A conclusione della mancata intesa i tre porcellini brindarono felicemente come si conviene ai beoni che hanno le bollicine nel cervello e le bolle dei pagamenti ricevuti per la diserzione nelle tasche. Precipitarono in questa maniera rapida e funesta (sebbene gli errori e gli orrori dell’URSS fossero atavici) gli eventi di quella che Putin ha giustamente definito come la più grande tragedia geopolitica del 900, la quale portò conseguenze devastanti non solo ad Est ma in tutto il mondo. Di lì in poi lo strapotere americano diventerà pieno e assoluto e gli interventi militari dello zio Sam in tutto il pianeta prenderanno la forma delle operazioni di polizia internazionale, proprio in virtù di questo dominio incontrastato. Tuttavia, dopo la disgrazia di un decennio nefasto ritornò fortunatamente la grazia degli anni duemila, per merito di un ex membro del KGB, Vladimir Putin, sostenuto dagli apparati nazionalisti e sovranisti che riuscirono ad evitare la disintegrazione. Adesso la Russia non è più il gigante di una volta, si è ridotta ad una potenza d’area, poco più che un attrattore regionale, ciononostante rincasando sulle sue storiche zone d’influenza e ricomponendo la sua deterrenza armata è riuscita a porre un freno all’espansionismo di Washington che sembrava non incontrare limiti e oppositori. In seguito a tali drammatiche vicende, appena appena corrette in questi ultimi anni, sentire i voltagabbana di ieri prendere ancora la parola per denunciare la mancanza di democrazia nel Paese e l’illiberalità del Cremlino dà letteralmente il voltastomaco. Gorbaciov si è detto disgustato dai brogli delle ultime consultazioni elettorali per la Duma ed ha invitato Medvedev e Putin a ritornare sui loro passi facendo ripetere le votazioni. Ovviamente, non è stato ascoltato perché non si può prendere sul serio chi ha affossato un popolo intero per consegnarsi, col sorriso sulle labbra, alla pubblicità dei fast food e delle casa di moda. Però la Storia sa vendicarsi con ironia dei ladri di speranze e dei farabutti di mestiere. Gorby, nobel per la pace e pece sulla Russia, da borseggiatore di futuro è finito accanto ad una borsa di Louis Vuitton e da pelato senza sugo su una pizza Hut. Fu così che la brandina degli occidentali divenne un brand delle multinazionali. E’ lui l’agente segreto di Obama con licenza di rosicare e di far volteggiare la pochette.Conflitti e Strategie » Blog Archive » GORBACIOV: LA BRANDINA CHE DIVENNE UN BRAND
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