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  1. #2921
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    Perché Pfizer, Moderna e i vaccini mRNA hanno una marcia in più

    Adalgisa Marrocco - HuffPost - martedì 13 aprile 2021

    Versatilità e adattabilità contro le varianti, facilità di produzione, meccanismo sofisticato. Nella sfida tecnologica che ha spinto il mondo scientifico e le case farmaceutiche a uno sprint inedito per contrastare la pandemia di Covid-19, la grande innovazione sembrerebbe rappresentata dai vaccini a RNA messaggero, o mRNA.
    A differenza del già noto vettore virale adenovirus (su cui si basano Oxford/AstraZeneca, Johnson&Johnson, il russo Sputnik), la tecnologia a mRNA (di Moderna e Pfizer/BioNTech) segna un approccio inedito per quanto riguarda lo sviluppo dei vaccini. Di solito nel paziente da immunizzare viene iniettato il virus (o il batterio) “indebolito”, oppure una parte di esso: il sistema immunitario riconosce “l’intruso” e produce gli anticorpi che utilizzerà quando incontrerà il vero virus. Nel caso dei vaccini a mRNA, invece, si inoculano le “istruzioni” per produrre una particolare proteina, detta “Spike”, che è quella che il virus utilizza per attaccarsi alle cellule. La cellula genera quindi da sola la proteina estranea, che una volta riconosciuta fa attivare gli anticorpi che combattono il virus.
    Al di là dell’alta efficacia, i vaccini a mRNA sono caratterizzati da una grande “versatilità”. Visto che l’mRNA contiene le informazioni per la creazione della proteina Spike, soltanto cambiando la sua sequenza sarà possibile ottenere nuovi vaccini efficaci contro le varianti del virus. A sottolinearlo all’HuffPost è Francesco Broccolo, virologo dell’Università Milano-Bicocca: “Questa tecnologia consente in poche settimane di ridisegnare il vaccino sulla base delle mutazioni rilevate. Un aspetto vincente che ci consentirà di affrontare le sfide del futuro”.
    “Tra le varie tipologie, i vaccini a RNA messaggero sono i più rapidi da ‘disegnare’ e rimodulare”, afferma Broccolo. Lo scienziato sottolinea inoltre che anche “la produzione può essere maggiore e più rapida, poiché non ha bisogno di ‘contenitori’ in cui si coltivano le cellule infettate dal virus, ma si basa su sintesi chimica. E quando si parla di pandemia, la parola d’ordine è ‘velocità’”.
    “Bisogna tenere conto del fatto che Pfizer e Moderna sono stati i primi vaccini a mRna prodotti al mondo: le loro piattaforme andavano ‘organizzate’. Nonostante ciò, sono stati ‘disegnati’ in maniera molto rapida: questo gioca a favore della scienza, semmai ci trovassimo a fronteggiare nuovi virus. Un aspetto da migliorare sarà però la modalità di conservazione, che per i vaccini a mRNA deve avvenire a temperature molto basse (fino a 80 gradi sotto lo zero, ndr) una criticità parzialmente risolta da Moderna (il cui vaccino resta stabile tra i 2 e gli 8 gradi Celsius per 30 giorni, ndr)”, afferma il virologo.
    Insomma, una promessa per il futuro. D’altronde, l’Europa ha fatto sapere che punterà proprio sui vaccini a mRNA per il biennio 2022-2023: Bruxelles è pronta all’acquisto di ben 900 milioni di dosi efficaci anche contro le varianti di Sars-CoV-2, con un’opzione contrattuale di altri 900 milioni di fiale per l’approvvigionamento dei paesi membri. Secondo fonti europee citate da HuffPost, la Commissione Europea potrebbe firmare un nuovo contratto nei prossimi giorni con Pfizer/BioNTech, che al momento ha maggiori capacità produttive. Rimangono tra le opzioni anche Moderna e CureVac (il vaccino tedesco a Rna messaggero che potrebbe ottenere il via libera dall’Ema tra fine maggio e inizio giugno, ndr).
    Intanto i pur sicuri ed efficaci vaccini ad adenovirus, a dispetto della loro facilità di conservazione e maneggevolezza, stanno pagando lo scotto dei rari eventi trombotici post-somministrazione finiti sotto la lente d’ingrandimento degli enti regolatori internazionali. Nelle scorse settimane anomalie di coagulazione hanno portato i paesi di tutto il mondo a mettere in pausa o rivedere i loro piani per l’uso del prodotto Oxford/AstraZeneca. L’Ema, Agenzia europea del farmaco, ha recentemente ribadito che i benefici del vaccino anglo-svedese superano i rischi (“Non ci sono rischi generalizzati nella somministrazione quindi non saranno raccomandate misure specifiche per ridurre il rischio”; “Non è stato mostrato un nesso con l’età” tra gli eventi rari di trombosi e AstraZeneca), pur annunciando la revisione del bugiardino. E oggi sembra un déjà vu la decisione da parte degli Stati Uniti di sospendere in via precauzionale la somministrazione del vaccino monodose Johnson&Johnson, dopo aver registrato sei casi (su quasi 7 milioni di vaccinati) in cui i pazienti hanno manifestato eventi trombotici entro due settimane dall’inoculazione. Come riporta il New York Times, si tratta in tutti i casi di donne tra i 18 e i 48 anni. Una di loro è morta e una seconda è ricoverata in gravi condizioni.
    La decisione della Food and Drug Administration americana giunge proprio nelle ore in cui Johnson&Johnson arriva in Italia (una prima tranche da 184 mila dosi è sbarcata oggi, 13 aprile, a Pratica di Mare, ndr). Unico vaccino anti-Covid monodose disponibile, conservabile in frigorifero e somministrabile a tutte le persone con un’età superiore ai 18 anni: un farmaco maneggevole e molto atteso che, come accennato, utilizza la tecnologia del vettore virale, proprio come AstraZeneca. Un frammento di Dna corrispondente alla proteina Spike, la chiave con cui il virus Sars-CoV-2 entra nelle cellule, viene inserito in un virus innocuo per l’uomo e opportunamente modificato. Il virus infetta le cellule umane e il DNA viene così letto e tradotto in proteina. Quest’ultima è l’antigene contro cui poi si innesca la risposta immunitaria.
    Ancora sul fronte immunizzazione di massa, l’efficacia dei vaccini anti-Covid sviluppati dalla Cina si sta rivelando bassa: ad ammetterlo è stato Gao Fu, capo del Centro di controllo e la prevenzione delle malattie di Pechino. Il Paese, è stato spiegato in una conferenza stampa a Chendgu, sta esaminando le strade per risolvere il problema che riguarda i vaccini Sinovac e Sinopharm (a virus inattivato) e CanSino (a vettore virale). Le contromosse al vaglio sono varie: aggiustare il dosaggio, l’intervallo tra le due dosi, o aumentare il numero di dosi; mixare vaccini con diverse tecnologie.
    Esisterebbe anche un’altra via rappresentata da un nuovo farmaco basato, come Moderna e Pfizer/BioNTech, proprio sul promettente Rna messaggero, per cui Sinopharm ha appena ricevuto l’approvazione ai test clinici dalle autorità della Cina. 

  2. #2922
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    lo avevo ribadito anche ieri, ma lo avevo detto parecchio tempo fa. adesso se ne accorge anche la van der Leyen
    Nell'annunciare i nuovi contratti per l'acquisto di vaccini nell'Ue, Ursula Von der Leyen ha sottolineato che bisogna "trarre la lezione dalla prima fase della nostra risposta alla pandemia". Dobbiamo concentrarci, ha detto, "sulle tecnologie che hanno dimostrato di meritarlo, e questo è il caso dei vaccini basati sull'mRNA". La tecnologia dell'RNA messaggero è usata da BioNTech-Pfizer e da Moderna, mentre AstraZeneca e Johnson&Johnson sono a vettore virale.

  3. #2923
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    J&J mi pare abbia entrambi.
    Sputnik non è mRNA e funziona.
    La parte che non funziona e ammazza di AZ e JJ è il vettore.

  4. #2924
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    che Sputnik funzionasse bene lo predicavo da moltissimo tempo. io leggo the Lancet che già quasi un anno fa ne parlava bene. Lancet è una delle più quotate riviste scientifiche mediche.
    a parte i funzionamenti (a vettore virale o a mRNA), i vaccini a mRNA sono più duttili e maneggevoli : in breve tempo si possono tarare sulle nuove varianti. è per questo che prevedo che l'era dei vaccini vecchia maniera sia terminata per lasciare il posto a quelli mRNA.

  5. #2925
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    Com'è dolce la teoria
    Che mi sfugge tuttavia
    Chi desía vada di lezza
    Del doman non v'è certezza

  6. #2926
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    Rispetto ai primi esemplari di Homo Sapiens, in cosa siamo diversi?
    Una ricerca di Marta Lahr, co-direttore del Centro per gli Studi sull’evoluzione umana dell’Università di Cambridge, ha messo in luce che per quasi 200 mila anni i Sapiens hanno mantenuto dimensioni superiori a quelle attuali. Durante il Paleolitico l'uomo era più alto e possente di oggi, le dimensioni corporee si sono via via ridotte alla fine dell'era glaciale. Lo testimoniano i resti fossili, le armi e gli utensili. I Cro-Magnon, i primi umani anatomicamente moderni giunti in Europa oltre 40 mila anni fa (Cultura aurignaziana), sono stati raggiunti circa 15 mila anni dopo da nuovi gruppi umani dalla struttura meno massiccia (Cultura gravettiana) provenienti da est. Il primo ridimensionamento infatti si registra 25 mila anni fa, ma l'uomo ha subito un vero e proprio crollo dimensionale negli ultimi 10-12 mila anni. Le indagini sui resti ritrovati in Africa, Europa e Asia rivelano chiaramente il percorso di "restringimento". Una riduzione di almeno il 10 per cento, che ha coinvolto in uguale misura ossa e muscoli, ma anche il cervello. Ai Balzi Rossi, al confine italo-francese, è stata ritrovata una sepoltura di un cromagnoide di 22 mila anni fa più alto di 190 centimetri. Le ossa delle braccia dell'uomo erano molto sviluppate e aveva una diversa strutturazione delle scapole, in grado di conferirgli enorme potenza muscolare. In generale gli appartenenti a questa tipologia umana erano superiori ai 180 centimetri. Anche i paleoasiatici erano molto più strutturati rispetto alle popolazioni mongoliche cha hanno occupato l'Oriente dopo il massimo glaciale. Secondo alcuni studi le ridotte dimensioni dell'uomo moderno sarebbero dovute al passaggio dalla caccia all'agricoltura.

    L’antropologa Amanda Mummert dell’Università Emory di Atlanta riferisce che l’analisi di 21 organizzazioni che hanno abbandonato la caccia in favore dell’agricoltura mostra una riduzione dell’altezza media. Le stime rivelano che cacciatori-raccoglitori paleolitici avevano una massa ossea superiore del 20 per cento rispetto agli agricoltori neolitici. I popoli mediorientali che hanno occupato l'Europa a partire dal Mesolitico, non più cromagnoidi ma di tipo capelloide (dal sito di Combe-Capelle in Francia), avevano una stazza decisamente inferiore a quella dei loro predecessori. Chris Stringer, docente presso il Natural History Museum di Londra sostiene che il processo è da imputare al passaggio dalla vita nomade a quella sedentaria. La questione resta comunque discussa in quanto la necessità per i cacciatori di essere più robusti è una soluzione che non spiega la diminuzione della massa cerebrale. Peraltro, c'è chi ha osservato che anche la fauna ha subito un analogo processo. La generale robustezza dei primi Sapiens fuoriusciti dall'Africa potrebbe essere spiegata chiamando in causa l'ibridazione con altre tipologie umane. Pure Neanderthal aveva una massa complessiva maggiore rispetto agli uomini attuali e un cranio più grande. E risalendo nel tempo, il famoso ragazzo di Turkana, un Homo ergaster di 1,6 milioni di anni fa, da adulto sarebbe diventato 185 centimentri. Le stime fatte su alcuni resti di Heidelbergensis, ritrovati in Sudafrica e datati tra i 500 e i 300 mila anni fa, indicano che questi ominini avevano un'altezza media di 213 centimetri, veri e propri giganti. Gli Heidelbergensis di Sima de los Huesos, in Spagna, vissuti circa 400 mila anni fa, in media erano alti 190 centimetri, una riduzione rispetto ai corrispettivi africani verosimilmente dovuta a un adattamento alle più rigide condizioni climatiche europee. Le stesse che hanno determinato la struttura fisica compatta del Neanderthal, più basso dei cromagnoidi, ma forse non così tanto come si è sempre ritenuto: nuove osservazioni, infatti, hanno stabilito che aveva una statura simile a quella degli occidentali di oggi.

  7. #2927
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    E i taru di un metro e venti che in fila per due con le mogli si vedono ai seggi i giorni delle elezioni da che incrocio derivano?
    Forse con l'homo komunistense?

  8. #2928
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    https://news.google.com/articles/CAI...T&ceid=IT%3Ait
    Questa è una cosina più seriosa.

  9. #2929
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    a proposito di Inglese ...
    Perché gli italiani in generale non parlano bene inglese?
    Dopo quasi 30 anni negli USA (ho vissuto pure 2 anni a Londra) penso di poterti dare delle diritte in base anche alla mia esperienza diretta.

    Gli italiani, se si applicano, imparano molto bene la grammatica inglese. Del resto e' assai piu' facile di quella italiana. Leggono e scrivono piuttosto bene o anche proprio bene. Tuttavia la "comprehension" e' decisamente piu' debole e anche parlarlo, quasi mai e' all'altezza della loro abilita' a leggerlo e scriverlo. Solo coloro che veramente lo usano in modo serio, raggiungono quell'abilita' anche a parlarlo ed ascoltarlo.
    Purtroppo, i suoni delle pronunce in inglese sono relativamente ostici per gli italiani. Io, ad esempio, per molto tempo ho avuto problemi con il suono del "th" inglese. La pratica aiuta, ma se uno comincia quando e' gia' adulto l'accento quasi mai lo abbandonera' del tutto. Ci sono scuole particolari per ridurre l'accento. E questo l'ho visto anche con amici di altre nazionalita'. Il mio amico bulgaro ha un accento pesante, ma i suoi figli, venuti negli USA a 5–6 anni e andati a scuola qui, non hanno nessun accento. Si divertono anzi a correggere il padre tanto che lui un poco se ne ha a male.
    Molti italiani, ma non solo, finche' non pensano direttamente in inglese, continuano a costruire la frase in italiano e poi la traducono. Questo, quasi mai porta al successo totale perche' le frasi si costruiscono diversamente nelle due lingue. Penso di averci messo 5–6 anni a pensare completamente in inglese (e io vivevo in "inglese" 24 ore al giorno, 7 giorni la settimana, 365 giorni l'anno!). Figurati uno che studia 1 ora qui, 2 li, … , ma parla sempre in italiano tutto il resto del tempo.
    La mancanza di vocabolario. Io leggo moltissimo e anche in inglese ho un vocabolario molto ampio. Molti altri non altrettanto. Cosa voglio dire? Spesso si fermano perche' gli manca il termine tecnico o non conoscono il modo di dire in inglese e ricorrono ad una traduzione letterale dall'italiano di qualcosa di simile che li smaschera immediatamente come stranieri. A volte sono compresi, ma e' chiaramente un uso improprio della lingua inglese.
    Pertano, non credo che gli italiano siano peggiori di altri con la lingua inglese: quando si applicano e si trovano in full-immersion, di solito la parlano piuttosto bene. Le pronunce, pero', quelle no.. tante volte io stesso riconosco un italiano dalla sua pronuncia. Ho anche notato che certi dialetti italiani sono piu' conducivi ad un accento pesante in inglese che non altri. Ma al giorno d'oggi la maggior parte dei giovani non usa piu' il dialetto a casa. Alcuni italiani che sono un poco fanatici e vogliono eliminare l'accento possono riuscirci seppure e' un sacco di lavoro e non credo ci riescano quasi mai al 100%, ma e' comunque un accento molto meno marcato che all'inizio.

    Un grande svantaggio e' che molti italiani non hanno occasioni di parlare in inglese al di fuori della scuola. Lo vedo pure nella mia famiglia: le mie nipoti potrebbero parlarlo con me o mia moglie. Una l'ha fatto perche' e' meno timida e difatti parla un inglese decente che le permette di comunicare con mia moglie anche se ogni tanto guarda me e mi chiede "come si dice….?" L'altra invece, piu' riservata, si blocca. E, a parita' di eta', lo parla assai meno bene della sorella.

    Per quanto riguarda l'insegnamento non posso dire molto. Io ebbi insegnanti piu' che decenti almeno a livello di grammatica. Ma mancava il tempo di parlarlo siccome le poche ore dovevano servire a fare grammatica e traduzioni o a studiare la letteratura inglese. Effettivamente 3–4 ore a settimana a scuola sono troppo poche se lo studente non studia a casa in proprio.

    Quando arrivai negli USA, scrivere e leggere non avevo nessun problema, quasi zero assoluto, infatti. Ma farmi capire e, soprattutto, capire il mio interlocutore era veramente penoso. E cosi' cominciavo a vergognarmi. Tuttavia vi fu un aspetto pratico molto grave: cercavo un appartamento da affittare e quasi tutte le negoziazioni, almeno fino a che si sia individuato un appartamento adatto, si svolgevano via telefono (oggi ci sarebbe internet) e quello fu un dramma. Al telefono si capiva molto meno che in persona e tante volte non avevo capito granche' di quello che mi veniva detto e, vergognandomi di farmi ripetere molte volte, facevo finta di avere capito e poi mi rendevo conto di non aver capito niente quando, presentatomi sul luogo, magari dopo aver camminato 2–3 km mi rendevo conto che c'era un cartello "no vacancy". Ad una mia amica ando' forse pure peggio: lei vide degli avvisi di locatori che si concludevano con un "Call ASAP". Da brava italiana lei lesse ASAP come se fosse una parola"ASAP" o un nome e cerco' questa ditta ASAP nella guida telefonica dove non esisteva. Insomma, disperata, chiede aiuto e l'impiegata si mette a ridere e poi si scusa e le spiega che "ASAP" e' come in "A.S.A.P" ossia "As Soon As Possible", ovvero "chiamate prima possibile". E lei per giorni a cercare questa fantomatica ditta ASAP dovunque. Purtroppo, fa ridere, ma per chi ha necessita' di trovare un posto, non e' tanto divertente. Putroppo, nessuna classe prepara a questo, ossia all'uso molto ampio di acronimi, ecc..

    Ma, se ci portiamo in avanti di circa 8 anni, quando dopo il dottorato gia' lavoravo, nel mio ufficio americano, molti americani aveano il terrore di parlare con clienti inglesi e soprattutto australiani. Eravamo al ridicolo che io, lo straniero, dovevo contattare costoro! Un giorno lo dissi al cliente australiano "they complain that they cannot understand you. I can and so I am in charge of contacting you" e lui si mise a ridere e aggiunse "these Americans…." (immagino scuotendo la testa) e mi promise una "tinny" un giorno che fosse capitato negli USA o io in Australia. Una tinny o tinnie altro non e' che una birra (in lattina)… Ma chi insegna agli italiani tutto questo slang? Purtroppo fa parte della lingua parlata e senza si fa fatica.

    Ma, come dicono in inglese "if there is a wish, there is a way…" E l'inglese si acquisisce e l'accento si riduce, ecc…. Pure gli iltaliani. Spesso, ai madrelingua inglese, l'accento di chi parla inglese, risulta simpatico. Per gli americani anche gli inglesi hanno un accento! Gli inglesi ci fanno meno caso, invece. Ma sono, o almeno erano, piu' difficili da capire degli americani che fanno sentire molto di piu' le vocali.

    Io poi mi divertivo a finire le frasi con una preposizione: Whom should I make this check payable to? Mi dava anzi una grande soddisfazione perche' e' cosi' diverso da quello che avrei fatto in italiano. Un giorno un collega, laureato ad Harvard, mi disse di non farlo piu' se volevo essere preso come veramente colto. Cosi' smisi, ma un poco mi dispiacque. Come vedi, nessuno e' un'isola e anche il nostro parlare bene o meno bene in inglese risente delle nostre interazioni con altri (madrelingua e stranieri). Se per molti italiani queste interazioni mancano o sono rare, sarebbe ingiusto aspettarsi che parlassero l'inglese come quasi un madrelingua.

    Per quattro anni divisi l'appartamento con uno di Boston che mi corresse molto. Lui anzi si vergognava a correggermi e non voleva, ma io gli dissi di farlo e che era "per il mio bene". Cosi' lo fece. Lui mi insegno' anche molto slang, anche quello che non posso usare qui. Immaginati che sei arrabbiato, molto arrabbiato. Come lo fai capire in inglese?" Se dici " I am very upset and displeased" o qualcosa del genere, letteralmente e' corretto, ma e' troppo compito, non sembra neanche che uno sia arrabbiato in realta'. Se invece gridi " Mother fucker you are getting on my nerves, huge piece of shit, you dickhead, … " adesso nessuno piu' ha dei dubbi se tu sia veramente incazzato o meno. Diversi anni a guardare lo Jerry Springer's Show, mi hanno "regalato" un inglese pure molto sboccato. Ovvio che non parlo cosi' spesso, ma quando ci vuole, ci vuole.

  10. #2930
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    Gli Italiani popolo fortemente stupido e ignorante?
    Secondo il rapporto Piaac-Ocse 2019 in Italia il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Un dato tra i più alti in Europa eguagliato da Spagna e superato dalla Turchia con il 47%.
    Un italiano su tre non è grado di decodificare correttamente un testo scritto se appena presenta una struttura sintattica leggermente più complessa.
    Mediamente circa il 20% degli italiani non hanno mai aperto un libro o un giornale né, tantomeno, si sono recati al cinema o a teatro o a un concerto e 23 milioni di italiani, circa il 40% per cento, non ha alcun titolo di studio o ha, al massimo, la licenza della scuola elementare.
    Gli italiani sono anche totalmente analfabeti sul piano iconico.
    Quasi nessun italiano è in grado di decodificare e comprendere il linguaggio delle immagini in movimento.
    Siamo l’unico paese dell’Unione Europea in cui lo studio dei media e dei linguaggi audiovisivi (cinema, tv, new media) non è previsto nei curricula scolastici.
    I nostri governi sono stati sanzionati più volte dalla UE che ci imponeva di introdurre la media literacy cioè l’educazione ai media come obbligatoria nei programmi, ma i nostri governi si sono sempre rifiutati pagando per questo multe salatissime.
    Evidentemente non c’è la volontà politica di farlo. C’è da chiedersi se questo stato di cose faccia comodo a qualcuno; nel qual caso più che parlare di analfabetismo funzionale, dovremmo parlare di analfabetismo istituzionale e istituzionalizzato. Una volontà politica trasversale che attraversa tutte le forze politiche.

 

 
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