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  1. #2881
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    io scrivo quando ho qualcosa da dire.

    Il trattamento Lilly con due monoclonali porta a -70% di ricoveri e decessi
    AGI - martedì 26 gennaio 2021

    AGI - Il trattamento con due anticorpi monoclonali prodotti da Lilly, bamlanivimab ed etesevimab, riduce il rischio di ospedalizzazione e morte per Covid-19 del 70%. È quanto emerge dallo studio BLAZE-1 su pazienti ad alto rischio recentemente diagnosticati Covid. Lo annuncia Eli Lilly and Company. In 1.035 pazienti, ci sono stati 11 eventi (2,1%) nei pazienti che assumevano la terapia e 36 eventi (7,0%) nei pazienti che assumevano placebo, che rappresentano una riduzione del rischio del 70%.

    Ci sono stati 10 decessi in totale, tutti verificatisi in pazienti che assumevano placebo, e nessun decesso nei pazienti che assumevano bamlanivimab ed etesevimab insieme. I due anticorpi hanno anche dimostrato miglioramenti statisticamente significativi su tutti i principali endpoint secondari, fornendo una forte evidenza che la terapia ha ridotto la carica virale e accelerato la risoluzione dei sintomi.
    "Questi risultati entusiasmanti, che replicano i dati positivi di Fase 2, aggiungono un'importante evidenza clinica sul ruolo che gli anticorpi neutralizzanti possono svolgere nella lotta contro questa pandemia. Mentre la natura preliminare dei risultati di fase 2 sugli anticorpi monoclonali neutralizzanti per Covid-19 poteva determinare un'accettazione limitata del trattamento, questi dati di fase 3 rafforzano ulteriormente le prove disponibili", ha affermato Daniel Skovronsky, direttore scientifico di Lilly e presidente dei Lilly Research Laboratories.

    "Il bilancio delle vittime di Covid-19 continua a salire in tutto il mondo e i ricoveri, in particolare negli Stati Uniti, hanno raggiunto livelli record. Questi dati supportano ulteriormente la nostra convinzione che bamlanivimab ed etesevimab insieme abbiano il potenziale per essere un trattamento importante che riduce significativamente le ospedalizzazioni e la morte in pazienti Covid-19 ad alto rischio" ha spiegato.
    "Siamo in attesa di ricevere l'autorizzazione dell'uso di emergenza della Fda per questa terapia potenzialmente salvavita - ha proseguito Skovronsky - in particolare, la diminuzione del 70% del rischio di ospedalizzazioni o morte osservata in questo studio di fase 3 di bamlanivimab ed etesevimab insieme è coerente con la riduzione del rischio di ospedalizzazione o accessi in pronto soccorso osservata con bamlanivimab da solo nello studio di fase 2. Bamlanivimab da solo è autorizzato per l'uso di emergenza come trattamento per i pazienti ad alto rischio con Covid-19 da lieve a moderato negli Stati Uniti e in altri paesi nel mondo". 

    Nello studio, il profilo di sicurezza di bamlanivimab ed etesevimab insieme era coerente con le osservazioni di altri studi di Fase 1, Fase 2 e Fase 3 che valutavano questi anticorpi. Eventi avversi seri sono stati riportati con una frequenza simile nei gruppi bamlanivimab ed etesevimab insieme e nel gruppo placebo. In più studi clinici, Lilly ha raccolto dati di sicurezza ed efficacia in più di 4.000 pazienti trattati con gli anticorpi neutralizzanti di Lilly, bamlanivimab da solo o bamlanivimab ed etesevimab insieme".
    Inoltre, i risultati iniziali dello studio in corso BLAZE-4 forniscono dati sulla carica virale e di farmacodinamica e di farmacocinetica che hanno dimostrato come dosi più basse, tra cui bamlanivimab 700 mg ed etesevimab 1400 mg insieme, siano simili a bamlanivimab 2800 mg ed etesevimab 2800 mg insieme. Lilly prevede di esplorare dosi ancora più basse di bamlanivimab ed etesevimab insieme, dal momento che dosi più basse possono massimizzare l'offerta disponibile per trattare più pazienti, consentire il potenziale di dosaggio sottocutaneo, e potenzialmente ridurre l'onere sul sistema sanitario e sui pazienti riducendo i tempi di infusione.

    Bamlanivimab è autorizzato per l'uso di emergenza dalla Food and Drug Administration (Fda) statunitense per il trattamento del Covid-19 da lieve a moderato in pazienti ad alto rischio e ha ottenuto autorizzazioni anche in diversi altri paesi. A novembre, Lilly ha presentato una richiesta alla Fda per l'autorizzazione all'uso di emergenza per bamlanivimab ed etesevimab insieme come altro trattamento per Covid-19 da lieve a moderato in pazienti ad alto rischio. Rimane in fase di revisione da parte della Fda.
    Lilly ha ricevuto feedback da infermieri e medici di prima linea che somministrano queste infusioni per quanto riguarda la complessità e i tempi necessari per la preparazione e la somministrazione. Di conseguenza, Lilly sta lavorando con la Fda per ridurre potenzialmente i tempi di infusione a 16 minuti - una riduzione significativa dal tempo attualmente autorizzato di 60 minuti. Questo potenziale cambiamento mira a semplificare la somministrazione e a ridurre l'onere per il sistema sanitario.

    Lilly continua ad accelerare la produzione di etesevimab in collaborazione con Amgen, fornendo fino a 1 milioni di dosi di etesevimab da somministrare con bamlanivimab entro la metà del 2021 - comprese più di 250.000 dosi nel primo trimestre - per l'utilizzo in tutto il mondo.

  2. #2882
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    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  3. #2883
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    Nella sua essenza la Genetica è una disciplina storica
    Le mutazioni sono scivolate via da generazione a generazione e si accumulano come risultato tanto del caso che della selezione entro le popolazioni e tra le specie. Tuttavia, fino a tempi molto recenti, i genetisti rimanevano confinati allo studio del presente delle variazioni genetiche e potevano inferire solo indirettamente qualcosa sui processi storici che portano agli attuali pool genici. I genetisti usano l’orologio molecolare per calendarizzare le trasformazioni, ma solo dagli anni sessanta del secolo scorso ; prima utilizzavano metodi geologici che vanno bene per continenti, catene montuose, laghi alpini e di sbarramento e cambiamenti nel corso dei fiumi, come quello del fiume Congo, che due milioni e mezzo di anni fa fu determinante per la separazione degli scimpanzé dai bonobo. Questa “trappola del tempo” è stata ora superata, grazie all’abilità di analizzare DNA estratto da antichi resti fossili e tutto ciò è sul punto di rivoluzionare parecchi aspetti della Genetica, oltre che della Paleoantropologia.
    Orologio molecolare
    Si cominciò con l’emoglobina, osservando il tasso di variazione degli aminoacidi. Ma presto fu evidente che ogni proteina aveva un suo peculiare tasso di variazione. Allora furono presi in esame i mitocondri e si osservarono i tassi di variazione sui loro nucleotidi. Il loro genoma, con una struttura a doppia elica di forma circolare, è costituito da 16569 coppie di basi, raggruppate in 37 geni. Ma anche qui le cose si complicarono. In questo scenario di continui dibattiti, fu quindi abbandonata l’idea di un orologio universale e si cominciò a pensare agli orologi molecolari tassonomicamente “locali”, ovvero che possono essere trovati in particolari geni e in taxa strettamente affini. Gli orologi molecolari locali sono più affidabili degli universali in quanto le principali fonti di eterogeneità fra linee evolutive sono rappresentate da differenze
    • nella dimensione di popolazione
    • nel tasso metabolico
    • nel tempo di generazione
    • nell’efficienza di riparazione del DNA.
    Ci si aspetta che questi parametri siano più simili fra taxa affini che quindi potranno presentare tassi di evoluzione molecolare piuttosto simili. Per ottenere stime accurate dei tempi di divergenza è quindi necessario che i tassi di sostituzione siano omogenei fra le diverse linee evolutive. La calibrazione dell’ orologio molecolare rappresenta un altro problema. Normalmente si utilizzano le datazioni ricavate dai reperti fossili per un particolare evento di speciazione o le datazioni di particolari eventi biogeografici. Queste date devono essere scelte con molta attenzione per non influenzare l’accuratezza dell’orologio molecolare. In conclusione gli orologi molecolari hanno rivoluzionato la biologia evoluzionistica, offrendo un canovaccio su cui lavorare per ottenere le stime dei tempi di divergenza fra popolazioni e specie, di diversificazione delle famiglie genetiche e dell’origine della variazione delle sequenze. In assenza di reperti fossili o di notizie biogeografiche, l’orologio molecolare è l’unico strumento per capire i processi e i meccanismi dell’evoluzione.
    Organismi estinti
    Molte specie che sono esistite sul pianeta sono estinte. Resti di alcune di esse sono preservati come fossili e da una frazione di questi possiamo ora estrarre il DNA. Ciò contribuisce alla nostra abilità nel capire i processi evolutivi. Per esempio, la spiegazione della filogenesi degli uccelli Ratiti che non volano, come il Moa e il Kiwi, molti dei quali sono estinti, ha dimostrato che l’impossibilità del volo si sia evoluta molteplici volte nell’emisfero meridionale.

    Dinornis maximus - a sinistra - il più gigantesco tra i Moa, viveva in Nuova Zelanda.
    Aepyornis maximus - a destra - viveva in Madagascar ed era tridattilo, a differenza del Moa che era tetradattilo.
    Altri esempi di evoluzione convergente si sono trovati tra marsupiali carnivori estinti in Sud Africa e Sud America, e DNA ricavato da molti animali estinti, come l’Orso delle Caverne e la Tigre dai denti a sciabola, per citarne solo alcuni, è stato recuperato. I genomi completi del Mammouth e di un cavallo di 700 mila anni fa fanno presagire che molte altre specie estinte potranno essere sequenziale entro la prossima decade. Ciò metterà in chiaro le relazioni evolutive di queste specie e ci darà la possibilità di capire gli adattamenti funzionali in organismi estinti.

    Origini umane
    Il sequenziamento del genoma dei Neanderthal ha aperto prospettive intriganti per le origini degli umani, poiché è stato dimostrato che i Neanderthal hanno contribuito al pool genetico di una parte dell’umanità di oggi, esclusi i Subsahariani, che però hanno avuto il loro 2% di contributo da parte di uno o più ominini africani tuttora sconosciuti. Le specie di Homo della quali conosciamo il DNA includono anche un parente stretto dei Neanderthal, l’uomo di Denisova. La scoperta fu assolutamente casuale : si tratta di un mignolo, trovato nella stessa grotta di Denisova, negli Altai, che inizialmente fu ritenuto appartenente a un Neanderthal, ma che dopo il sequenziamento, rivelò essere appartenuto a una ragazzina di una nuova specie, diversa da quella umana, ma geneticamente più vicina ai Neanderthal. E’ evidente che tali contributi genetici possano avere effetti fisiologici importanti sugli umani attuali, interessando il sistema immunitario, il metabolismo dei lipidi e l’adattamento alle altitudini. Ci sono anche controindicazioni , come la suscettibilità a Helicobacter pylori, depressione, infiammazione della cornea, diabete tipo due, ipercoaugulazione del sangue e altri disturbi. Inoltre il sequenziamento dei genomi Neanderthal e Denisova ci permette di identificare le mutazioni genetiche condivise da tutti (o quasi) gli uomini di oggi, ma assenti in Neanderthal e nelle grandi scimmie. Il loro numero totale è solamente circa 30 mila nucleotidi. Un compito importante sarà capire le conseguenze funzionali di queste poche mutazioni. Tutto questo può illuminare le basi biologiche della storia evolutiva umana negli ultimi 100 mila anni.
    Conclusioni sulle possibilità del DNA antico
    Durante gli ultimi anni appena passati, centinaia di genomi completi di antichi umani sono stati pubblicati. Questo andamento sarà indubbiamente accelerato ed esteso ad altri organismi. Tuttavia, l’estrazione di DNA ha dei limiti. Poiché il DNA antico è quasi invariabilmente degradato in corti frammenti, il riassemblamento dei genomi rimarrà sempre difficile, e mappare le parti ripetitive del genoma sarà possibile solo parzialmente. La conservazione del DNA è soprattutto limitata dall’età e dalle condizioni ambientali. Ad eccezione dei campioni conservati nel permafrost (non ci sono finora resti di Homo), il più antico DNA di ominino estratto fino ad oggi è un po’ sopra i 400 mila anni. Nella maggior parte dei siti del mondo, sarà probabilmente impossibile studiare sequenze di DNA molto più antiche di mezzo milione di anni o al massimo un milione di anni. Ma lo studio genetico degli umani e di altri organismi, inclusi i loro patogeni e parassiti, nei passati 100 mila anni diventerà presto routine.
    Recentissime tecnologie che affiancano il DNA nucleare antico
    L’Antropologia Molecolare, grazie al raggiungimento di un livello tecnico sempre più sofisticato, sta iniziando ad analizzare parti finora estranee al reperimento del DNA da resti ossei. Dal tartaro fossile si può acquisire il DNA di organismi viventi che sono entrati nella dieta degli ominini, o che sono loro serviti a scopi terapeutici, o ancora dei patogeni che li hanno aggrediti. E oggi, ed è l’ultima frontiera, il DNA viene recuperato addirittura dal materiale organico che contamina gli strati geologici e che consiste in frammenti microscopici di denti e ossa e in residui di liquidi organici e di tessuti molli decomposti. Insomma si può risalire al DNA degli ominini, così come di qualunque altro essere vivente, pur in assenza dei loro fossili. Proprio grazie a queste nuove possibilità offerteci dalle tecnologie molecolari si è scoperto che il continente americano sarebbe stato colonizzato da una specie umana più antica della nostra, a differenza di quanto ritenuto finora.
    COLLAGENE
    Una grande difficoltà finora ha riguardato la datazione esatta di siti come grotte (Denisova, Vindija, Rising Sun in sudafrica) e anche di strati non geologicamente ben definiti, cosparsi però di ossicini così corti da non poter essere identificati tassonomicamente.
    Se sono ossi (anche se lunghi solo qualche centimetro) il collagene, che è il componente fondamentale delle ossa, non va mai perso, e si può analizzare con uno spettrografo di massa. Confrontando gli esiti con una libreria contenente patterns di collagene di vari animali, si arriva con sicurezza a specificare almeno il genere cui appartiene l'ossicino in questione. Una volta appurato che si tratta per esempio del genere Homo, si può procedere, se possibile, a ricavarne il DNA e a datarlo col Carbonio 14 (se il tempo è inferiore a 45 mila anni) oppure col Torio-Uranio (se il tempo è superiore). Questa scoperta ha pochi anni di vita ed è stata usata recentemente nella grotta di Denisova con esiti importanti e anche a Vindija.
    Sono venuto anche a conoscenza del perché i resti di Denisova sono così ben conservati e danno risultati eccellenti nel prelievo di DNA, pur essendo i resti piuttosto antichi (da 50 a 100 mila anni) . Il motivo è che la grotta Denisova ha temperatura costante di qualche grado sotto zero, cosa che non succede per i resti di Vindija che, pur essendo parecchio più giovani, hanno temperature medie parecchio più alte.

    IL CASO DEL REPERTO DENISOVA 11

    Si tratta di un ossicino di 25 millimetri che, prima della scoperta del metodo della spettrografia di massa applicata al collagene, sarebbe stato assolutamente inutile.
    Il DNA mitocondriale diede l'informazione che Denisova 11 era di madre Neanderthal.
    "In seguito incontrammo Matthias Meyer e Janet Kelso che ci dissero di aver recuperato il DNA nucleare dall'ossicino 'inutile' e che erano in grado di fornire un quadro assai più dettagliato dell'individuo Denisova 11".
    Nella scienza non succede spesso di ricevere una notizia che ti lascia con la bocca aperta, perché il DNA nucleare era stranamente duplice : una metà corrispondeva a quello dei Neanderthal e l'altra metà era di origine Denisoviana. Pensavano che Denisova 11 fosse un ibrido 50 : 50. Per escludere ogni possibilità di errore e verificare questo stupefacente risultato, il gruppo stava ripetendo le analisi. Qualche mese dopo i risultati avrebbero confermato la scoperta iniziale. Il DNA mitocondriale ci aveva fornito solo la metà dello scenario. Quello che avevamo trovato non era un Neanderthal, ma un individuo di madre neanderthaliana e di padre denisoviano : nel linguaggio dei genetisti, un ibrido di prima generazione. Il gruppo di Denisova ha reso nota questa straordinaria scoperta nel numero del 6 settembre 2017 di "Nature" .
    Oggi sappiamo dal DNA che Denisova 11 era una femmina vissuta probabilmente tra 90 mila e 100 mila anni fa. Le analisi della densità ossea ricavate dalle nostre scansioni di tomografia computerizzata hanno permesso una stima sicura dell'età della morte : 13 anni.
    Inoltre il padre di Denisova 11 (un Denisoviano) aveva a sua volta tra i suoi antenati (un centinaio di generazioni prima) un Neanderthal.

    Ma proprio nessuno ha questi geni solo umani ? E le regioni ad alto tasso di variazione ?

    Tutte le HAR che il Sapiens ha, ma non lo scimpanzé, le possedevano sia Neanderthal che Denisova. Anche il nuovo gene (che pareva esclusivamente Sapiens) ARHGAP11B è condiviso da entrambi questi compagni di cespuglio moderno di Homo. Tutto questo è stato provato da Svante Paabo e la sua équipe col sequenziamento del DNA nucleare da resti fossili a ricco tenore di DNA di entrambe le specie nel 2014. Inoltre per smentire l’arretratezza culturale e intellettiva dei Neanderthal nei nostri confronti, almeno riguardo al tempo di cui si parla (più di 115 mila anni fa) basta dare un’occhiata ai link mostrati qui sotto :

    http://www.lastampa.it/2018/02/23/so...KN/pagina.html
    http://www.nationalgeographic.it/sci...ntica-3876350/
    https://www.thesocialpost.it/2018/03...rivono-storia/
    http://www.repubblica.it/scienze/201...tal-189483683/

    Dalla lettura dei link appare chiaramente che i Neanderthal erano cognitivamente indistinguibili dai Sapiens : se il pensiero simbolico e il linguaggio articolato sono prerogative da affidarsi a pitture in caverne (guardare bene il bovide raffigurato dai Neanderthal a Cueva de los Aviones, 65 mila anni fa) e a collane di conchiglie con ocra (120 mila anni fa). Benché le pitture dei Cro Magnon appaiano “geniali”, non di meno quelle Neanderthal non possono non dare l’idea del possesso del pensiero simbolico.

    Lo stile dei Cro Magnon (vedi figura immediatamente a sinistra) è decisamente geniale, rispetto al bovide Neanderthal, ma appare 35 mila anni dopo.

    A questo punto sarebbe necessario il recupero di DNA mitocondriale e nucleare da resti fossilizzati di Erectus, che si trovano anche in Cina, dove le condizioni ambientali sono paragonabili a quelle dell’Europa. Conforta il fatto che ci siano esemplari che hanno anche molto meno di 100 mila anni, e quindi, almeno teoricamente, siano in grado di restituirci tracce consistenti di DNA. I Cinesi hanno già dato prova di essere molto avanti nella tecnologia genetica, avendo poco tempo fa dato vita a due macachi col metodo classico della clonazione. I giornali ne hanno dato notizia, ma hanno sorvolato sul fatto che clonare scimmie come i macachi, è impresa quasi impossibile, dato il sicuro rigetto da parte delle gestanti, con conseguente aborto, a meno che non si intervenga su un certo numero di interruttori genetici durante precisi momenti della gravidanza. Nel trattatello precedente avevo scritto che la sequenza HAR1 compariva 212 volte nell’uomo (ma pare che anche in Neanderthal e Denisova compaia in parecchie copie, pur nella difficoltà insita nelle sequenze ripetute), 37 volte in scimpanzé/bonobo e 30 volte in macaco e via a scendere con gli altri animali. Ciò significa che dopo il macaco, toccherà allo scimpanzé ad essere clonato e poi al trio Sapiens-Neanderthal-Denisova, con quale ordine non si sa. Le istruzioni per gli interruttori genetici (e per gli enhancer/silencer) sono scritte con le solite quattro lettere ma, contrariamente che per i geni codificanti per proteine, non siamo in grado di capirne le sequenze e quindi il problema si può affrontare solo sperimentalmente. Evidentemente, i Cinesi sono riusciti nell’impresa di attivare o disattivare gli interruttori genetici necessari per non far abortire le gestanti, dopo chissà quanti tentativi. I Cinesi non hanno altrettanta esperienza nell’estrarre DNA antico da campioni fossili di Svante Paabo e l’Istituto di Genetica di Dresda, ma possono sempre chiedere una collaborazione, anche se, proprio assai di recente, si è saputo che degli specialisti cinesi hanno fatto pratica presso l’Istituto di Svante Paabo.
    Se l’esperimento dovesse riuscire, potremmo ottenere il genoma intero di Homo Erectus (o almeno parti consistenti di esso) che, anche se relativamente giovane (meno di 100 mila anni) è pur sempre un Erectus che come specie data di qualcosa in meno di due milioni di anni. Inoltre gli ultimi Erectus avevano una capacità cranica maggiore dei primi, e anche ciò avrebbe potuto lasciare dei segni tangibili nelle sequenze di ominazione. Avere informazioni sullo stato attuale del gene della neo corteccia ARHGAP11B, delle HAR che ci interessano, oltre che poter confrontare il suo genoma con quelli di Sapiens/Neanderthal/Denisova, sarebbe un risultato di estrema importanza. Soprattutto sono interessanti le HAR, perché ARHGAP11B data da quasi sei milioni di anni, ed era quindi posseduto non solo da Erectus, ma anche da ominini precedenti, come Australopiteci, Ardi e persino Tchadensis.

    Pare che tutto sia iniziato dalla traslocazione robertsoniana
    Non si può negare che il solo fatto che i cromosomi 2a e 2b si siano uniti nel nuovo e lungo cromosoma 2, porti anche alla situazione che HACNS1 ( o meglio, quella sequenza che originariamente era al posto di quella attuale) abbia cambiato la sua posizione insieme ai geni che controlla, favorendo così i cambiamenti che si sono succeduti. Purtroppo per le traslocazioni non è possibile trovare un orologio molecolare che segnali quanto tempo fa siano avvenute. Da un lato la traslocazione robertsoniana ha chiuso la possibilità che i nuovi individui, portatori di questa modifica, potessero incrociarsi con successo con gli altri scimmiottoidi presenti nello stesso ambiente e dall’altro ha dato la stura a modifiche sempre più consistenti nel DNA della nuova linea evolutiva. L’unica cosa certa è che anche Neanderthal e Denisova possedevano il cromosoma 2 unificato dalla traslocazione robertsoniana del Sapiens, anche se è quasi sicuro che tutti gli esemplari del genere Homo lo possedevano, pur forse con diverse configurazioni di HACNS1 e dei geni da questo controllati. Sulle Australopitecine non possiamo nutrire le stesse certezze, anche se è possibile che, date le loro caratteristiche, fossero già passate attraverso tale traslocazione.
    Se così fosse, ci sarebbe stata un’ampia possibilità di incroci tra i vari cespugli di Homo, oltre che tra loro, anche con Australopitecine di specie diverse e in diverse epoche, contribuendo a ingarbugliare ancor più la filogenesi di Homo. Dai dati forniti da analisi statistiche sulle tribù africane di più antico lignaggio (quelle che usano ancora i click), si sono trovate consistenti tracce di ibridazione con ominini di epoche assai più antiche di Homo Sapiens (anche di Neanderthal e Denisova), ma di eventuali incroci con Australopitecine si sono perse le tracce.
    Nel 2012, i ricercatori hanno studiato le sequenze dell'intero genoma ad alta copertura di quindici individui sub-sahariani maschi cacciatori-raccoglitori appartenenti a tre gruppi - cinque Pigmei (tre Biaka, un Bedzan, e un Bakola) dal Camerun, cinque Hadza e cinque Sandawe dalla Tanzania - trovando segni che gli antenati dei cacciatori-raccoglitori si incrociarono con una o più popolazioni umane arcaiche, poco prima di 40.000 anni fa. Essi hanno inoltre scoperto che il periodo in cui visse l'antenato comune più recente dei quindici soggetti testati con gli aplotipi introgressivi putativi era 1,2 o 1,3 milioni di anni fa.
    Se potessimo avere notizie genetiche di Homo Erectus, potremmo risalire nel tempo a due milioni di anni fa nella conoscenza della struttura delle sequenze di ominazione ed eventualmente valutarne le differenze per poter risalire ancor più nel tempo.


    STORIE DI PIDOCCHI E PIATTOLE

    E’ ironico che un nostro parassita, il pidocchio, possa aiutarci a capire l'evoluzione sia del nostro manto peloso sia dell'inizio dell'uso dei vestiti. I pidocchi sono molto specializzati nella scelta del loro habitat : ogni scimmia ha oggi una sola specie di pidocchio, ma gli umani ne possono avere tre : una per i capelli, una per le parti intime e una per i vestiti. Questo fatto si rivela utilissimo per i nostri fini.
    Analizzando i diversi DNA dei parassiti, scopriamo che l'antenato comune del pidocchio dello scimpanzé e quello presente nei capelli umani risale a sei milioni di anni fa, confermando la data di separazione della nostra linea evolutiva dalla loro. Da allora, gli ominidi e gli scimpanzé si sono evoluti assieme ai rispettivi pidocchi. Il ramo ominide ha però acquisito, ad un certo momento, una seconda specie di pidocchi, quelli del pube (piattole), che si sono evoluti a partire da quelli presenti nel gorilla, tre o quattro milioni di anni fa. Sorvolando sull'imbarazzante quesito su come ciò sia potuto accadere, questo fatto suggerisce che la riduzione dei peli corporei del genere Homo sia cominciata proprio in quel periodo. Per consentire l'evoluzione di due specie diverse di parassiti, i loro habitat piliferi, in testa e nel pube, dovevano essere separati. Ciò significa che Lucy (3,2 milioni di anni fa) era già probabilmente "glabra" o quasi. in ogni caso, sufficientemente liscia, sul tronco, da consentire l'evoluzione di due specie diverse di pidocchi.
    Ma quando abbiamo cominciato a vestirci ? Esiste un terzo pidocchio del corpo, per gli umani, che vive nei suoi vestiti (dove deposita le uova). Da lì esso si sposta sulla pelle più volte al giorno per nutrirsi. Analisi di tipo genetico ci dicono che il pidocchio dei nostri vestiti si è separato dal pidocchio della testa tra 81 mila (data minima) e 170 mila anni fa (data massima).
    Di Neanderthal, di Denisova, come di Erectus e degli altri ominini di antichità maggiore, non sappiamo che tipo di pidocchi avessero. Non sappiamo neanche se si vestivano, anche se sicuramente Denisova e Neanderthal, ma probabilmente anche Heidelbergensis (cinque o seicento mila anni fa) lo facevano. Infatti siamo sicuri che almeno Neanderthal era in grado di impermeabilizzare le pelli che indossava, dato che abbiamo ritrovato gli strumenti coi quali lo faceva.

    Livelli di intenzionalità che caratterizzano il pensiero di Sapiens, Neanderthal (e Denisova), Heidelbergensis, Erectus, Ergaster, Australopitecine e Scimmie antropomorfe.

    Con questa locuzione (intenzionalità) si fa riferimento alla capacità di avere convinzioni su se stessi e sugli altri, all'interno di un certo contesto sociale. Strettamente legata all'immaginazione, l'intenzionalità si associa a termini quali credo, penso, desidero, suppongo, e coinvolge ciò che credono, pensano, desiderano o suppongono altri individui su se stessi e sugli altri. Essa si applica anche allo sviluppo psicologico dei nostri bambini in età evolutiva. Al primo livello di intenzionalità, attribuibile a uno scimpanzé adulto e a un bambino sapiens di 18 mesi, si ha solamente una certa coscienza di sé (non si dimentichi l'esperienza dello specchio per i bambini kenyoti di sei anni !), non riuscendo a concepire un mondo diverso da quello osservato. Al secondo livello, tipico delle Australopitecine (e probabilmente di uno scimpanzé adulto odierno) nonché di un bambino sapiens di tre anni, si ha pure coscienza di ciò che pensa qualcun altro.
    Al terzo livello, tipico di Homo Erectus e di un bambino sapiens di sei anni, si fanno delle ipotesi su che cosa altri pensino di noi o di altri ancora.
    Al quarto livello, riscontrabile ad esempio in Homo Heidelbergensis e tipico di un bambino sapiens di otto anni, può essere introdotto ciò che noi pensiamo di quanto pensato sopra. Al quinto livello, tipico dei Sapiens (e anche dei Neanderthal) può entrare in azione il nostro desiderio di far credere che quanto sopra sia tutto vero. Insomma è a questo quinto livello di intenzionalità ed eventualmente a quelli successivi, che assistiamo al nascere di costruzioni ideali e collettive. E’ questo il terreno privilegiato per la nascita di ideologie semplici e delle religioni con una certa struttura, ma non molto complicata. Per esempio le religioni strutturate appartengono almeno a questo quinto livello di intenzionalità, se alcuni individui vogliono convincerne altri del fatto che rivolgendosi ad Entità Superiori, possono indurle ad operare nel senso da essi desiderato.
    Se si tratta di religioni che sono anche "rivelate", si sale di un altro livello. Proseguendo su questa strada, nel voler convincere voi lettori che le religioni operino nel precedente livello, noi, che desideriamo mostrarvi come va il mondo, saliamo a nostra volta di un livello, raggiungendo il settimo livello di intenzionalità. Se si vuole, si può ragionare allo stesso modo sulle Ideologie o sulla pubblicità televisiva.
    Anche il pensiero scientifico opera al livello più elevato di intenzionalità, con la differenza, rispetto al pensiero religioso, di voler sempre verificare tutto quanto la mente umana può aver concepito. Anche il pensiero filosofico ammetterebbe volentieri una verifica, ma non ha la maniera di proporla.

  4. #2884
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    piaciuto ? non ho potuto inserire disegni, foto e grafici per i soliti motivi : la mia scarsa preparazione informatica.

  5. #2885
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze


  6. #2886
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    60 geni in parallelo non sono affatto impossibili da studiare.
    in ogni caso non si tratta di un cervello, ma solo dell'immissione di uno o molteplici geni di varia provenienza su delle staminali (cellule polivalenti che possono diventare qualunque tipo di cellula, a seconda del programma evolutivo che i pochi geni e, immagino, anche qualche zona regolatrice possono mettere in moto).

  7. #2887
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  8. #2888
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    da notare che il DNA non sta sui cromosomi.

  9. #2889
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    Citazione Originariamente Scritto da dimecan Visualizza Messaggio
    da notare che il DNA non sta sui cromosomi.
    E dove?
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  10. #2890
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    Predefinito Re: Genetica, razza e differenze

    su anellini proteici. il DNA si distende sui cromosomi solo quando tutto è pronto per la duplicazione o per eventuali ispezioni. anzi li forma apposta per questi motivi.

 

 
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