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    Predefinito La musica secondo Dante. Nella Divina Commedia

    Cultura
    Lo spartito di Platone e Boezio
    La musica secondo Dante. Nella Divina Commedia
    Chiara Bertoglio
    29 dicembre 2015




    Nel poema dei cento «canti», la dimensione musicale è una delle più affascinanti e meno studiate. Lungo tutta la Commedia, Dante si dimostra esperto della musica a lui contemporanea, e utilizza metafore e simbologie musicali in modo coerente e continuo per parlare dell’argomento centrale del suo poema: l’amore di Dio.

    La cornice culturale entro cui la musica della Commedia si muove è quella della teologia di Severino Boezio, che individua una musica mundana (l’armonia delle sfere e del cosmo), una humana (l’armonia dell’essere umano) ed una instrumentalis (quella effettivamente udibile ed eseguita su strumenti), poste dal filosofo in ordine decrescente di importanza. Tale struttura è fedelmente rispecchiata nel progredire delle cantiche, e rivela l’influenza del Timeo di Platone.

    Il concetto di musica come ordine e proporzione rispecchia, per Dante, l’armonia intratrinitaria, quella dell’universo e quella dell’essere umano. La musica nella Commedia è quindi simbolo dell’ascesa dall’eterna negazione dell’amore (Inferno), passando per l’amore imperfetto (ma tendente alla perfezione) del Purgatorio, fino all’espressione dell’amore assoluto. I pochissimi esempi di allusione alla musica strumentale nella Commedia sono tutti collocati nell’Inferno.

    I rumori dei gironi costituiscono una «anti-musica» sgraziata e casuale, che evidenzia la distanza incommensurabile fra l’armonia celeste e la disarmonia infernale: la «polifonia» dei rumori simultanei è una delle numerose parodie infernali delle liturgie di bellezza del Paradiso.

    Nel Purgatorio, la musica rinasce ed intraprende un cammino di purificazione costellato dai frequenti rimandi ai canti liturgici della tradizione monodica («gregoriana»). Le anime penitenti devono ritrovare l’armonia del proprio essere, la «musica dell’uomo»; cantare all’unisono, come nella tradizione gregoriana, è un simbolo forte dell’unificazione interiore, dell’espiazione e della riconciliazione: integrazione all’interno del singolo individuo e lotta per la conquista dell’armonia all’interno della comunità penitente.

    Cantare insieme richiede la disciplina di adattare il proprio respiro a quello degli altri, di «intonarsi» con le altre voci creando spazio per loro nel proprio cuore e nella propria persona; l’armonia delle anime è il risultato del loro accordo spirituale.

    L’approdo al Paradiso segna l’ingresso di Dante nel regno della polifonia, che alla sua epoca era praticata in forma improvvisata in Italia, e già muoveva i primi passi in forma scritta nelle scuole parigine « d’avanguardia » .

    Nella polifonia, le diverse voci sperimentano la massima libertà all’interno di un ritmo ordinato e delle leggi contrappuntistiche. Quando la diversità delle melodie è purificata dallo sforzo ascetico e dalla grazia, essa diviene bellezza ed arricchimento reciproco.

    Se nell’Inferno la varietà dei timbri e delle estensioni vocali produceva la cacofonia della disperazione, e se il Purgatorio ha riconciliato la diversità nella comunione del canto all’unisono, in cielo la varietà produce godimento. Compare frequentemente, nella terza cantica, un simbolo nuovo, in cui canto, danza e luce contribuiscono a creare un’esperienza mistica di armonia, bellezza e felicità. E se le parole cantate dalle anime penitenti del Purgatorio erano sempre intelligibili, in Paradiso la musica trascende la comprensione intellettuale: nel migliore dei casi, le parole vi sono superflue, e spesso del tutto impotenti per esprimere l’ineffabile.

    Così, l’assenza di musica nell’Empireo non è l’affermarsi del silenzio, quanto piuttosto il giungere della musica a una perfezione che l’orecchio umano non può comprendere.

    È infatti la musica della Trinità che vi risuona: Trinità che può essere simboleggiata come dolcezza di un canto perfettamente libero e perfettamente accogliente, che trova la propria perfezione nell’adattarsi a quello dell’altro e goderne, e che è l’eterno intrecciarsi di un amore realmente divino. Le metafore per descrivere la Trinità sono sempre inadeguate, e Dante ne è del tutto conscio; tuttavia, suggerisce il poeta, la musica è il simbolo che può tentare di esprimere, meglio di altri, questo mistero di bellezza, gioia ed amore eterno.




    La musica*secondo Dante. Nella Divina*Commedia** | Cultura*| www.avvenire.it

  2. #2
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    Predefinito Re: La musica secondo Dante. Nella Divina Commedia

    Una interessante chiave di lettura, che francamente non avevo mai nemmeno lontanamente immaginato.
    Dante è meritevole (forse non ne siamo meritevoli noi, è altro affare) di continua riscoperta.
    Preferisco di no.

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    Predefinito Re: La musica secondo Dante. Nella Divina Commedia

    LA MUSICA NELLA DIVINA COMMEDIA





    I più antichi biografi di Dante, a cominciare dal Boccaccio, parlano dell'amore di Dante per la musica.
    Nel Medioevo gli studi erano ripartiti fra il trivio ed il quadrivio: il primo comprendeva la Grammatica, la Retorica e la Dialettica; il secondo l'Aritmetica, la Musica, la Geometria e l'Astronomia. Dante quindi conosceva la musica, perciò ne parla con precisione di linguaggio e con termini tecnici, come altrimenti non avrebbe potuto fare.

    «Ars artium divina continens omnia principia methodarum in primo gradu celsitudinis formata», la definisce Giovanni De Muris; mentre Boezio ne aveva definito il compito ed i limiti nel trattato "De Musica": «illud cognitum esse debet, quod omnes musicae concordantiae aut in duplici aut in triplici, aut in quadrupla
    « aut in sesquialtera aut in sesquitertia proportione consistunt
    ». E San Tommaso, nel commento al trattato "De Trinitate" dello stesso Boezio, aveva detto: «Musica considerat sonos non in quantum sunt soni, sed in quantum sunt secundum numeros proportionales».

    Dante, che conosceva bene norme e definizioni scolastiche, quando parla di canto dimentica numeri e proporzioni per lasciar parlare solo il sentimento e la sensibilità. L'eco della sua passione per la musica si avverte nel "De Vulgari Eloquio" e più ancora nel "Convivio" (II, 14), dove dice: «Ancora la Musica trae a sé gli spiriti umani, che sono vapori del cuore, sicché quasi cessano da ogni operazione; si è l'anima intera quando l'ode, e la virtù di tutti quasi corre allo spirito sensibile che riceve il suono».

    Ma la sua sensibilità musicale si avverte soprattutto nel suo poema più celebre, che si può paragonare ad una maestosa cattedrale dove tutto è simmetria, numero, proporzione, armonia assoluta: il numero delle cantiche, quello dei canti, quello dei versi di ciascun canto, la distribuzione simmetrica degli episodi e delle profezie durante tutto il poema attestano dell'elevato senso di armonia che risonava nell'animo di Dante. Spessissimo il poeta fa ricorso alla musica e ai suoni per accrescere l'efficacia alla sua arte, oltre alle speciali combinazioni di sillabe ed accenti, ai mirabili cambiamenti d'intonazione, al variare dei ritmi, alla combinazione di fenomeni luminosi con fenomeni sonori:

    Sì del cantare e sì del fiameggiarsi (Par. XII, 23)

    Nell'Inferno niente musica, né canti: nel regno delle tenebre eterne il canto o il suono di uno strumento musicale sarebbero un balsamo per le anime in continuo
    tormento. Qui sono nominati soltanto pochi strumenti: le zampogne, le campane, il corno di Nembrod di cui si ode il suono (l'unico suono che il poeta sente nell'Inferno durante tutto il viaggio)... a parte quello della pancia gonfia dell'idropico, che assomiglia al suono di un tamburo:

    Mastro Adamo, che percossa da Sinone,
    Quella sonò come fosse un tamburo.
    (Inf. XXX, 103)

    Nel Purgatorio e nel Paradiso non si odono suoni di strumenti musicali e il poeta raramente li nomina. All'epoca non si aveva la varietà e la ricchezza di strumenti di cui dispone l'orchestra moderna, ma certo non difettavano. Oltre all'organo usato nelle chiese, i trovatori e i suonatori popolari disponevano ed usavano l'arpa, il liuto, la chitarra, la tiorba, il mandolino, una viola a cinque corde (suonata con un archetto), la rota (una sorta di violino), la ribeca, il ribecchino, la giga, il salterio, l'organistro a manovella, il flauto, i corni ritorti, le cornamuse, le bombarde, i cornetti, le trombe e i tromboni. Dante li conosceva tutti...

    E come giga o arpa, in tempra tesa
    di molte corde, fa dolce tintinno
    a tal da cui la nota non è intesa.
    (Par. XIV. 118-20)

    Così accenna al modo con cui si produce il suono nella cetra e nella zampogna:

    E come suono al collo de la cetra
    prende sua forma, e sì come al pertugio
    de la sampogna vento che penetra
    (Par. XX, 22-24)

    Egli sa bene che spesso il suono dell'organo copre la voce del cantore...

    quando a cantar con organi si stea;
    ch'or sì or no s'intendon le parole.
    (Purg. IX, 144-45)

    ... mentre il migliore effetto si ottiene con il perfetto equilibrio fra la voce e lo strumento, che procura il massimo godimento in chi ascolta:

    E come a buon cantor buon citarista
    fa seguitar lo guizzo de la corda
    in che più di piacer lo canto acquista
    (Par. XX, 142-44)

    Questi sono accenni a strumenti musicali ed ai loro suoni, ma Dante non li fa suonare nei regni dell'oltretomba; piuttosto, affida le sue manifestazioni musicali
    alla voce: il più perfetto strumento, il più dolce, il più nobile. Gli angeli danteschi non suonano alcuno strumento, ma cantano soltanto e nelle forme più svariate:
    canti ad una voce sola e canti in cui la voce del solista è seguita da un coro; canti all'unisono e canti polifonici. Per lui la melodia è una successione di suoni:
    Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)

    E una melodia dulce correva
    per l'acre luminoso
    (Purg. XXIX, 22)

    Diverse voci fanno dolci note;
    così diversi scalini in nostra vita
    rendon dolce armonia tra queste rote. (Pur. VI, 124-27)

    Di canti a solo abbiamo diversi esempi nella Commedia: il canto di Casella, quello del trovatore Arnaldo Daniello, quello dell'imperatore Giustiniano, quello di San Pietro. Il poeta, uscito «fuor de l'aura morta» era affranto per le scene di disperato dolore cui aveva assistito e per la fatica dovuta al viaggio attraverso l'Inferno. E né la brezza mattutina sulle sponde del Purgatorio, né il «dolce color d'oriental zaffiro» del cielo l'avevano del tutto rinfrancato. La prima persona che incontra nel nuovo regno è il musicista Casella. Nessun musicista Dante ha posto nell'Inferno, perchè quel trovatore Bertram del Bornio che incontra nel Canto XVIII non era musico né cantore, ma poeta e guerriero. Ma ecco che appena uscito dall'Inferno, incontra e riconosce per prima - fra tutte le anime penitenti - quella di un musicista, del suo più dolce amico. Dante è assetato di musica e la richiede ed ottiene di sentirla... quasi che solo la musica potesse ristorarlo dei passati affanni, annunciandogli degnamente l'ingresso in quel regno dove purgare l'animo dei peccati terreni per poi salire in Paradiso.

    L'incontro con Casella, così carico di emotività e commozione fin dall'incipit («Casella mio») ci dà la misura della considerazione in cui lo teneva Dante e della sua sensibilità per la musica e il canto. Il reiterato vano tentativo di abbracciarlo, il tenero dialogo che segue, il pregare del poeta che vince infine la titubanza di Casella... e il pronto rispondere del cantore, e la dolcezza indimenticabile che ne prova Dante, sono già un inno alla musica e alla delicatezza dei sentimenti che da essa scaturiscono.

    Casella, quando ancora era in vita, aveva musicato la canzone del "Convivio", Amor che ne la mente mi ragiona; quindi, sapendo di fare cosa gradita all'amico, la intona anche stavolta e provoca in Dante l'atteso conforto:

    «Se nova legge non ti toglie
    memoria o uso l'amoroso canto
    che mi solea quetar tutte mie voglie
    di ciò ti piaccia consolare alquanto
    l'anima mia, che con la mia persona
    venendo qui è affannata tanto!»
    Amor che ne la mente mi ragiona
    cominciò egli allor sì dolcemente
    che la dolcezza ancor dentro mi suona.
    Lo mio maestro, e io, e quella gente
    ch'eran con lui parevan sì contenti
    come a nessun toccasse altro la mente.
    (Purg. 11, 106-17)

    Solo chi ha potuto immaginare e descrivere una simile scena in quel luogo e in quel momento, amava davvero la musica di un amore senza confini.


    Liberamente tratto da "La musica nella Divina Commedia"

  4. #4
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    Predefinito Re: La musica secondo Dante. Nella Divina Commedia

    @vanni fucci penso apprezzerà ed era un fatto che ignoravo fino a circa due ore fa, ma Dante Alighieri fu oggetto di una specifica enciclica da parte di Benedetto XV.
    Pontefice che mi riprometto sempre di studiare (insieme a Pio XI) e che invece, causa pigrizia...

    https://w2.vatican.va/content/benedi...-summorum.html
    Preferisco di no.

 

 

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