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    de-elmettizzato.
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    Predefinito Uno strano "racconto di Natale"

    Stazione Termini: un misterioso apocalittico incontro

    Il Mastino22 dicembre 2015Senza categoriaapocalisse, barboni, bergoglio, demoni, film papa francesco, roma perderà la fede,stazione termini
    Era ancora buio lunedì mattina quando mi sono ritrovato davanti la stazione Termini: è diventato così complicato prendere il treno, con tutti gli sbarramenti, le file e i controlli che ci sono per via del Giubileo da una parte (una notevole sola, “turisticamente” parlando) e per via del Maometto kamikaze che come punizione invocata dagli inferi si abbatte sulle nostre metropoli sazie e indifferenti, senza Dio e vuote, ossessionate e desiderose inconsciamente di obnubilamento e morte.Esco dalla stazione e mi fermo sull’entrata a fumare, avvolto da un presagio di nausea. E’ buio ma la confusione è già tanta: quando è buio penso spesso a Dio e in quali nascondigli dei tanti cuori perduti nella città Dio è: corrono, sono affannati, nervosi, nevrotizzati da uno stato di incertezza esistenziale e più si danno da fare e più indigenti fuori e poveri dentro appaiono tutte queste persone. Che senso ha vivere così?, mi domandavo. Nel loro cuore affannato, c’è ancora un nascondiglio per Dio? Ne hanno il tempo per cercarlo? Credono a qualcosa oltre la sopravvivenza?Mentre ero immerso nella nicotina e in una latente tristizia d’animo che sempre mi procura l’alienazione dell’essere sconosciuti in questi non-luoghi che sono le stazioni, mi soffermo un attimo a leggere i bigliettini appesi all’albero dei desideri: un gigantesco mesto albero di natale piantato all’ingresso della stazione.Desideri retorici, tritamente stanchi e svuotati, dalle aspirazioni di palingenesi indeterminate e cosmiche, sogni megalomani come le “preghiere dei fedeli”. Sogni anche molto pratici: “p.s. Si te riesce, famme laureà”, scrive uno. Quasi tutti si rivolgono a Babbo Natale, dopo un po’ realizzo: lui e non il Bambinello. Eppure era la sua festa: è come festeggiare il compleanno di un bambino, facendo festa al pasticciere che ha fatto la torta e ignorando il bambino.Rifletto tutto questo mentre sto per imbattermi, in mezzo a tutta quella gente, in una esperienza singolare, e che mi è parsa altamente simbolica, apocalittica starei per dire.Ma sì, fra tutti proprio io, il Mastino: tra migliaia di persone, io.Sto ancora fumando quando vedo spuntare alle mie spalle quello che poteva sembrare un vecchio barbone avvinazzato. Ma lì per lì non ho riflettuto su un particolare: era spalleggiato da una giovane donna ben curata, che è come stesse lì per lasciarlo fare, non si è mai girata, guardava dritto altrove. Ma non ho avuto tempo di riflettere sui dettagli di cornice, perché subito lo strano vecchio barbone, mi ha investito con la sua verve.Uno sguardo ironico sotto il cappello floscio, la bocca sprofondata in un sorriso completamente sdentato, ne uscivano i fumi della sigaretta perennemente accesa. Le mie potenti narici però, addestrate a captare ogni odore foss’anche impercettibile, terrorizzate letteralmente dai cattivi odori, stranamente questa volta non riescono a captare alcun odore molesto: il vecchio barbone non puzza, sembra sporco e trasandato ma non puzza, sa solo di fumo. E ciò mi fa meraviglia.Il solito barbone che ti chiede una sigaretta, penso mentre lo vedo spuntare e puntare dritto dritto verso di me, perché mi sta fissando dal primo momento. Con alle spalle la donna curata.È finalmente fermo davanti a me, e attacca subito, a bruciapelo, sorridendo ironico, mi domanda:«Tu credi in Dio?»Istintivamente, sorridente rispondo: «Certo!»«Noi no!»Non ho fatto caso a quel particolare del “noi”, dando per scontato si riferisse a lui e alla donna.«E non sai che ti perdi!», dico, non dandogli troppo peso: un matto, certamente!Mi dice delle cose che non capisco, mi sembrano farfugli, farfugli di un matto avvinazzato, ma sorride sempre, ironico. Percepisco sempre il “noi”, “noi”.«Noi abbiamo conosciuto Wojtyla, lo abbiamo incontrato», dice.«Ah che belle frequentazioni», replico.«Noi parliamo tutte le lingue del mondo, lo sai? Siamo stati ovunque».E inizia un veloce discorso dove parla davvero ogni lingua che io riesca a distinguere, senza esitazioni, senza pause, ininterrottamente prosegue il suo vaniloquio in spagnolo, tedesco, portoghese, inglese, polacco, russo, arabo e una lingua duramente semitica. E lo fa con estrema scioltezza e chiarezza di pronuncia.Ed è qui che comincio un po’ a inquietarmi, mentre i miei occhi erano fissi sulle sue labbra di continuo ridenti sprofondate nel cavo orale sdentato. Ridestatomi dalla meraviglia del suo poliglottismo, staccati gli occhi dalla sua bocca mi accorgo che la donna che gli faceva da spalla è sparita, letteralmente dileguata: da quanto?Sono solo io e lui. In mezzo all’alienazione della stazione Termini, mentre il sole sta straccamente tentando di levarsi.«Ma come, con tutte le lingue che sai non ti hanno fatto ancora papa!»Rimarca fiero il suo sorriso e dice: «E la teologia e ogni scienza e cosa segreta noi la possediamo». Dice “possedere” non “sapere” o “conoscere”. Ma soprattutto: continua a dire “noi” benché la donna alle sue spalle è scomparsa.«Hai visto il film su papa Francesco?»«No, assolutamente no!», replico scandalizzato. Perché proprio a me domanda una simile cosa costui? Penso: è uno dei barboni che è andato a vedere il film in Vaticano.«Noi crediamo in lui: perché tu non ci credi?»«Perché sono cattolico…», ok m’è scappato, lo ammetto, ho detto così. E di nuovo comincia una ramanzina in tutte le lingue e nessuna come il Salvatore del Nome della Rosa, e man mano la sua ironia si smorza e anche il sorriso. Mentre io cerco in qualche modo di liquidarlo, ma quello niente mi tiene gli occhi suoi incuneati nei miei, e non mi muovo.Capisco la frase in spagnolo: «La superstizione cattolica si è spenta… la chiesa non è più qui» e passando in automatico al francese fa un gesto con le mani e un verso con la bocca come a indicare qualcosa che è esploso, andato in fumo, volatilizzato, ma non capisco le sue parole.«Natale…», e indica l’albero dei desideri davanti a noi, «è la nostra festa».Volevo domandare “dei barboni?”, ma mi è sembrato indelicato. E come a leggermi nel pensiero, in un tedesco strano che forse era svedese, dice «siamo anche lo Spirito Natalizio», so che ha detto così perché generosamente me ne offre una traduzione italiana.Sta delirando il vecchio, penso.Ok ok dico, sorridendo con paziente superiorità, e cercando di liquidarlo, ma lui insiste a parlarmi.«Chi vuol esser lieto sia ché del doman non v’è certezza», verseggia divertito.«Seh, ok, domani sarò lieto, oggi non ho tempo… ciao».Mi giro e faccio per andarmene, gettando il mozzicone di sigaretta. Ma egli continua il suo sproloquio, impassibile e a me rivolto.Sto muovendo i primi passi quando, alzando la voce, mi fulmina alle spalle con una affermazione stavolta in un italiano chiaro, limpido, stentoreo, non più farfugliato:«Noi possediamo ogni lingua, ogni scienza sacra e profana, la sapienza e la stoltezza di ogni secolo, non moriamo mai: e allora qual è la differenza tra me [e stavolta dice “me” non “noi”, me] e il tuo Dio vano? Dov’è il tuo Dio qui? ».Mi fermo, mi giro, lo guardo impietrito e sta folleggiando farsescamente, come un buffone alla festa del mondo alla rovescia in un villaggio contadino del Cinquecento: zompettando su un piede e abbozzando una rozza danza tribale da avvinazzato mi indica con le braccia il mondo circostante: “Bello vero?” domanda indicandomi il teatro umbertino tutt’intorno “…ma non ti piace, non ti piace la gente: è turpe la gente, vero? Rovina la bellezza di questa nostra Roma” e ride complice, a me che sto lì con gli occhi sbarrati. “Noi non la disdegnamo, la turpitudine: nessuno si salva qui”. Già, penso, la bellezza è salvezza, illumina le genti e tutt’intorno a loro e queste sono spente. Dov’è Dio qui?, mi stavo domandando prima di questo incontro.«Noi siamo stati anche in Vaticano. Dio invisibile non c’era nemmeno là. Io sono presenza reale, qui: mi vedi?».Sto zitto, agghiacciato, mentre mi si accappona la pelle. E lagnandosi farsescamente mi fa l’ultima domanda:«Perché tu non credi a ciò che vedi e credi a quel che non vedi? Vedi? Qui tutti credono a noi che siamo nulla, però ci vedono. Chi vuol essere lieto lieto sia!».Lì per lì non capisco cosa ha detto, lo capisco mentre sto avviandomi verso il treno, facendo mente locale e ripensando alla singolare, e vorrei dire apocalittica vicenda nella quale sono stato testimone e tutto sommato vittima. Perché proprio io, proprio a me domandare “credi in Dio?”.Quando ormai lo avevo abbandonato alle sue bestemmie sorridenti, un’ultima frase avevo ancora udito: «Perché solo tu non mi chiedi il nome? Non lo vuoi sapere? Allora te lo dico: Desiderio! Ehi, ehi senti, aspetta: quali sono i tuoi desideri?!».

    Stazione Termini: un misterioso apocalittico incontro | La cuccia del Mastino
    Preferisco di no.

  2. #2
    sofico
    Ospite

    Predefinito Re: Uno strano "racconto di Natale"

    Etimologia di Desiderio (utile anche per la società contemporanea)

    L'origine della parola desiderio è una delle più belle e affascinanti che si possa incontrare attraverso lo studio della meravigliosa disciplina che è l'etimologia.
    Questo termine deriva dal latino e risulta composto dalla preposizione de- che in latino ha sempre un'accezione negativa e dal termine sidus che significa, letteralmente, stella.
    Desiderare significa, quindi, letteralmente, "mancanza di stelle", nel senso di "avvertire la mancanza delle stelle", di quei buoni presagi, dei buoni auspici e quindi per estensione questo verbo ha assunto anche l'accezione corrente, intesa come percezione di una mancanza.

 

 

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