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  1. #21
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    Predefinito Re: Propaganda di guerra o guerra di propaganda?

    "L'odio per la propria Nazione è l'internazionalismo degli imbecilli"- Lenin
    "Solo i ricchi possono permettersi il lusso di non avere Patria."- Ledesma Ramos
    "O siamo un Popolo rivoluzionario o cesseremo di essere un popolo libero" - Niekisch

  2. #22
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    Predefinito Re: Propaganda di guerra o guerra di propaganda?

    Ecco chi sono veramente gli “Amici della Siria”

    Il rinvio “temporaneo” dei negoziati di pace a Ginevra permette agli oppositori siriani sostenuti dalla diplomazia americano-saudita di riorganizzarsi. La prima tappa è lo stanziamento di 10 miliardi di dollari voluto dal collettivo internazionale che vuole l’uscita di scena di Assad. La "beneficenza" è l'arma più forte, soprattutto se usata a scopo politico.

    Ecco chi sono veramente gli ?Amici della Siria?
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  3. #23
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    Predefinito Re: Propaganda di guerra o guerra di propaganda?

    "L'odio per la propria Nazione è l'internazionalismo degli imbecilli"- Lenin
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  4. #24
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    Predefinito Re: Propaganda di guerra o guerra di propaganda?

    La Russia continuerà i raid in Siria. Non si fa attendere la risposta di Lavrov a Kerry

    3 febbraio 2016. -- Medio Oriente



    La Russia continuerà i raid in Siria. Non si fa attendere la risposta di Lavrov a Kerry - Spondasud | Spondasud
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  5. #25
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    Predefinito Re: Propaganda di guerra o guerra di propaganda?

    L’aspirante sultano e la Divisione Aeroportata russa, che succederà?

    FEBBRAIO 10, 2016 LASCIA UN COMMENTO

    Moon of Alabama, 9 febbraio 2016L’operazione siriana contro i terroristi eterodiretti continua con l’aiuto di Russia, Iran e altre forze alleate. L’operazione ha lo scopo di eliminare tutti i terroristi e loro alleati, come richiesto dalla risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. “La reiterata richiesta della risoluzione 2249 (2015) agli Stati membri è impedire e reprimere il terrorismo, in particolare dello Stato Islamico in Iraq e Levante (SIIL, noto anche come Daash), al-Nusra (ANF) e tutti gli altri individui, gruppi, imprese ed entità associate ad al-Qaida e SIIL, e altri gruppi terroristici, (…) e sradicarne il santuario che hanno creato”. Gli Stati Uniti per ora sembrano aderire alla risoluzione e permettere a Siria e Russia di fare ciò che devono. Ma vi sono altri che hanno investito sulla Siria più dell’amministrazione Obama. Lo scopo immediato delle forze siriane è chiudere il confine con la Turchia e liberare Aleppo dai jihadisti. 6000 soldati dall’Iran sono arrivati a sostenere l’operazione. Una grande operazione è prevista nei prossimi mesi. Ma sauditi, qatarioti, turchi e israeliani vogliono combattere il governo siriano fino all’ultimo ribelle siriano e mercenario straniero. Non rinunciano a sogni ed ingenti investimenti fatti per abbattere la Siria. Gruppi di terroristi sono stati appena richiamati ad Ankara per ricevere nuovi ordini. I sauditi avanzano l’offerta infida d’inviare truppe a combattere in Siria. Probabilmente è solo una copertura per incitare altri ad invadere il Paese. La Turchia è la candidata più probabile. Qui un giornalista turco, fervente seguace e portavoce di Erdogan, avanza la folle tesi che l’autodifesa della Turchia richieda di attaccare la Siria e gli alleati russi e iraniani: “La guerra di Teheran e Mosca contro questo Paese è una guerra contro Ankara. Questi due Paesi in realtà combattono direttamente la Turchia. Non vi è più alcun modo di nasconderlo. … La Turchia deve intervenire direttamente sulla questione siriana. Azione militare inclusa. Se Iran e Russia possono entrare in questo Paese con pretesti inconsistenti, se possono bombardare anche un puntino del nostro confine, se possono deportare i civili siriani in Turchia e attaccare la Turchia dalla Siria, allora la Turchia ha di gran lunga più ragione e diritto di loro. Nessuno vorrebbe una guerra aperta. Nessuno vorrebbe una guerra tra Russia e Iran e Turchia. Nemmeno l’avrebbero desiderato. Ma questa volta è molto grave. Se un passo non viene fatto oggi, ci accingeremo a combattere in condizioni più severe in futuro. Non esiste una cosa come il regime siriano o l’amministrazione di Damasco. Il Paese è stato ricreato e questa situazione chiaramente minaccia direttamente la Turchia e ci si aspetta che rimaniamo in silenzio accettandolo! Quale Paese può arrendersi a una cosa del genere? Vi è una minaccia, la condizione fisica e la ragione legale per intervenire”. Follie simili sono scritte dai clown della propaganda sionista sui principali quotidiani degli Stati Uniti L’assedio non ancora attuato a migliaia di terroristi di al-Qaida/al-Nusra e forse a circa 40000 civili ostaggi degli insorti in parti di Aleppo viene usato per invocare l’attacco degli Stati Uniti contro le forze siriane e russe. Dal Washington Post: “Operando sotto l’ombrello della NATO, gli Stati Uniti potrebbero utilizzare mezzi aeronavali nella regione per creare una no-fly zone da Aleppo al confine turco e chiarire che impedirà il continuo bombardamento di civili e rifugiati da qualsiasi parte, anche ai russi. Si potrebbe utilizzare la no-fly zone per tenere aperto il corridoio con la Turchia e utilizzare i propri mezzi per fornire a città e sfollati nella regione assistenza umanitaria. Se russi e siriani cercano di evitare la protezione umanitaria e il rifornimento della città, dovrebbero affrontarne le conseguenze militari”.
    Una mappa pubblicata lo scorso venerdì da La Repubblica, senza ulteriori spiegazioni, mostra l’invasione turca della parte settentrionale della Siria, attualmente occupata dallo Stato Islamico. Tale operazione consentirebbe di tenere aperte le comunicazioni tra Turchia e Stato Islamico, minacciate dai piani di attacco curdi e russi sulla stessa area per eliminare la presenza dello SIIL. Tale linea di comunicazione è importante. Lo scorso anno la comunità d’intelligence degli Stati Uniti dichiarò che vi erano circa 20000 jihadisti stranieri di SIIL, Jabhat al-Nusra e altri gruppi terroristici in Siria e Iraq. Nella testimonianza al Congresso di oggi (.pdf) il direttore dell’intelligence nazionale James Clapper parla di 38000. La Turchia afferma che ha chiuso le frontiere ai combattenti stranieri che vanno in Siria e Iraq. Se è così, come hanno fatto questi altri 18000 jihadisti stranieri ad entrare in Siria e in Iraq? Sono caduti dal cielo? I terroristi dello SIIL difficilmente vi sono stati aviotrasportati. Le truppe aeroportate russe atterrerebbero, piuttosto, se la Turchia dovesse fare qualcosa di stupido. La Russia ha già avvertito di aver osservato i preparativi dei turchi per l’invasione, ed ha lanciato un’esercitazione improvvisa con le truppe aviotrasportate e l’aviazione da trasporto militare nel Comando meridionale. La 56.ma Brigata d’Assalto Aereo della Guardia e la 7.ma Divisione Aerotrasportata della Guardia, a Kamyshin e Novorossijsk, sono state allertate. Sono unità d’élite che presero parte alle guerre cecene. L’anno scorso una Brigata Aeroportata della Difesa Aerea russa eseguì un’esercitazione a sorpresa. Queste forze, oltre a ulteriori unità aeree russe, probabilmente reagiranno all’invasione turca della Siria. Combatterebbero sul territorio siriano, non turco, e polverizzerebbero qualsiasi forza d’invasione turca di medie dimensioni.
    Erdogan ricatta l’Unione europea con la minaccia d’inviare centinaia di migliaia di profughi. Non si capisce il motivo per cui l’Unione europea, e in particolare la cancelliera tedesca Merkel, lo permettano. Se l’UE, o anche la sola Germania, usassero le valvole economiche disponibili sulla Turchia, la sua economia urlerebbe di dolore. Un avvertimento ai turisti tedeschi a non recarsi in Turchia per il pericolo di attentati costerebbe alla Turchia miliardi di entrate all’anno. Anche avvertimenti sul credito alle banche turche sovraesposte sarebbero possibili; le linee di credito all’esportazione potrebbero essere ridotte, e le importazioni agricole dalla Turchia finire sotto più stretti controlli. In un anno la Turchia perderebbe almeno il 10% del PIL. Ma UE e Merkel non sembrano ricordarsi di essere derise dall’aspirante sultano ottomano. Gli Stati Uniti hanno solo snobbato la Turchia dichiarando che non ritengono la curdo-siriana YPG un’organizzazione terroristica. La Turchia ha convocato l’ambasciatore degli Stati Uniti sulla questione. Erdogan sembra fuori di sé. Ora è il fattore dei più incalcolabili futuri sviluppi in Siria. Ma se dovesse invadere la Siria non potrà contare su NATO e Stati Uniti. Cosa combinerà?
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

  6. #26
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    Predefinito Re: Propaganda di guerra o guerra di propaganda?

    Perché l’agitarsi di turchi e sauditi è un buon auspicio per la Siria

    Mentre Ankara e Riyadh vorrebbero mandare l’esercito in Siria per salvare i “ribelli”, a Mosca apre la prima rappresentanza estera dei Curdi siriani

    Nonostante la prevedibile interruzione dei colloqui di pace a Ginevra, a Damasco si respira ottimismo. L’esercito riconquista terreno su tutti i fronti, i “ribelli” sono in difficoltà e l’Isis prepara il suo trasferimento in Libia. Sembrano così lontani i tempi in cui gli uomini del Califfo parevano inarrestabili e conquistavano città intere e villaggi, massacrando soldati e minoranze religiose; ora, incapaci di riprendere l’offensiva, si limitano a organizzare terribili attentati come ultima disperata rappresaglia. E non meno disperati paiono essere i due Paesi che sono i loro primi sponsor e che tanto avevano investito per assicurarsi la loro vittoria. Entrambi hanno fatto di tutto per sabotare i negoziati dell’Onu: la Turchia con il veto alla partecipazione dei Curdi; l’Arabia Saudita proponendo volti improponibili per rappresentare l’opposizione sunnita come i gruppi radicali salafiti di Arhar al Sham e Jaysh al Islam. Inoltre la richiesta preventiva che le forze di Damasco e i suoi alleati rispettassero una tregua a senso unico, liberando prigionieri e città assediate, erano evidentemente irricevibili; però danno l’idea di chi abbia ormai il coltello dalla parte del manico. Dopo cinque lunghi anni di conflitto l’esercito siriano è ancora saldo e coeso, giovani ragazzi ora in età di leva si arruolano, ingrossandone le fila per vendicare i parenti uccisi e difendere la patria; viceversa i gruppi ribelli non godono più dello stesso appeal, fanno fatica a reclutare jihadisti stranieri ora che le bombe russe li hanno presi di mira e la vittoria sembra un vero e proprio miraggio. Il fatto è proprio questo: Bashar al Assad non sarà sconfitto; eppure sono in molti a non volere però che vinca. La totalità degli analisti aveva sottostimato non solo l’impatto dell’intervento russo, ma anche lo scopo stesso: credevano che Mosca si limitasse a puntellare il regime, non certo che si ribaltasse l’esito del conflitto. Così le recenti avanzate dei lealisti sia a nord sia a sud del Paese li hanno colti alla sprovvista. La ripresa del controllo del territorio intorno a Latakia e a nord di Aleppo rischia di tagliare le linee di rifornimento dei “ribelli”, che ora rischiano di finire come topi in trappola in una vasta sacca sottoposta agli incessanti raid della VVS. Il panico che subito si è diffuso ad Ankara e Riyadh ha portato il ministro della difesa saudita, il generale Ahmed Asiri, a ventilare l’ipotesi di inviare truppe saudite sul terreno in coordinazione con la Turchia, all’interno della Coalizione guidata dagli Stati Uniti. Ovviamente l’ipotesi è risultata gradita al capo del Pentagono Ashton Carter. Ma perché dopo anni di assoluta inattività (se non di aperta complicità) i carri armati turchi – che impassibili rimasero a guardare l’assedio di Kobane – ora dovrebbero intervenire? Per lo stesso motivo per cui la loro artiglieria ha aperto il fuoco contro l’esercito siriano nei territori turcomanni: nel disperato tentativo di rallentare i progressi lealisti prima che inizi la terza fase dei colloqui di pace. L’Arabia Saudita finanzierebbe l’operazione, gestendo la logistica e fornendo le armi per la creazione di un centro di comando unico per le operazioni sul terreno siriano. La risoluzione 2249 delle Nazioni Unite – votata in fretta e furia sull’onda dei fatti di Parigi – infatti consente teoricamente agli attori sul campo di agire militarmente sia in terra che in cielo per contrastare l’Isis, aggirando la sovranità nazionale di Siria e Iraq. Archiviata definitivamente l’idea di creare una no-fly zone al confine turco a causa dell’intervento russo, ora questa iniziativa avrebbe come vero scopo quello di impadronirsi della stessa fascia di territorio per creare una zona cuscinetto, da utilizzare come comode retrovie per i miliziani anti-Assad, salvandoli dalla disfatta. Non a caso, già da tempo Mosca, denuncia i movimenti di truppe turche a ridosso dei confini siriani e ha rinforzato la base di Latakia con i nuovissimi caccia Su-35, con le batterie antiaeree S-400 e i complessi missilistici SA22. Tutti questi mezzi, infatti, servono a “prevenirsi” da un’eventuale escalation proprio nei confronti della Turchia e non certo contro i “ribelli” che non posseggono aviazione, né concentrano le proprie truppe. La Russia ha inoltre diffidato qualsiasi nazione a “fornire aiuto” dentro il territorio siriano senza il consenso del legittimo governo di Damasco. Più diretto il ministro degli Esteri siriano Wallid Al Muallim: “torneranno in patria nelle bare i soldati stranieri che entreranno in Siria”. Data la scarsa lungimiranza strategica che regna ad Ankara e a Riyadh – già ampiamente dimostrata con l’abbattimento del caccia russo e con l’invasione dello Yemen – c’è effettivamente da temere che i due nuovi alleati possano cercare di “forzare la mano” in una mossa disperata per non perdere la partita, ma di certo nessuno governo occidentale sarà disposto a entrare in guerra con la Russia per i loro interessi. Eppure, nonostante questo timore, se nelle due capitali mediorientali si agitano così tanto, significa che i “ribelli” hanno i giorni contati.

    Perché l?agitarsi di turchi e sauditi è un buon auspicio per la Siria
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  7. #27
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    Predefinito Re: Propaganda di guerra o guerra di propaganda?

    L'Intellettuale Dissidente / Esteri

    Le improbabili minacce turco-saudite

    Riyadh e Ankara minacciano l'intervento militare in Siria a sostegno dell'opposizione. Un bluff dalle conseguenze imprevedibili.

    Dopo i toni da guerra fredda dei giorni scorsi, Stati Uniti e Russia tornano a parlare la lingua del dialogo e della distensione. In una telefonata, i leader delle due superpotenze, Obama e Putin, hanno sottolineato la necessità di un fronte comune anti terrorismo, valutando positivamente l’incontro sulla sicurezza in corso a Monaco. Entrambi si sono detti pronti ad implementare e rendere effettiva la dichiarazione sul cessate il fuoco del Gruppo Internazionale di Supporto sulla Siria, annunciata dai ministri degli esteri di Washington e Mosca la scorsa settimana. Un piano che prevede, anche, lo stop ai bombardamenti aerei russi sui gruppi ribelli. Ma è proprio su questo punto che si scontrano le visioni opposte di russi e americani. Nella dichiarazione sul cessate il fuoco, infatti, non si parla di stop agli attacchi contro i gruppi terroristici presenti in Siria, Stato Islamico e Fronte al Nusra. Ma per Mosca, terroristi sono anche quei gruppi di opposizione, come Jaysh al Islam, che sono invece considerati “ribelli” da Washington e alleati. Insomma, Mosca proseguirà i suoi raid anche contro le posizioni delle fazioni islamiste nonostante il “veto” occidentale. Del resto, senza la copertura aerea russa, le truppe siriane non avrebbero riconquistato buona parte della provincia di Aleppo e di Latakia. Mentre russi e americani cercano una possibile mediazione sulla spinosa questione dei raid aerei e sul futuro della Siria, sul campo le forze governative continuano ad avanzare. L’esercito di Assad, aiutato dalle truppe libanesi di Hezbollah e dalle milizie curde, è a pochi chilometri dalla frontiera con la Turchia e avanza rapidamente sulla strada verso Raqqa, capitale dello Stato Islamico. Il rinnovato attivismo curdo nel conflitto ha,poi, riacceso gli animi della Turchia che da sabato bombarda incessantemente le postazioni curde nel nord della Siria. Ma, secondo i siriani, l’esercito turco avrebbe colpito anche reparti dell’esercito di Damasco, scatenando le ire del governo, che ha chiesto una riunione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in risposta a quella che viene giudicata un’aggressione contro la sovranità territoriale della Siria. I bombardamenti turchi rischiano di lacerare ulteriormente la situazione, mettendo in seria difficoltà anche gli alleati statunitensi che considerano le milizie curde dell’YPG loro alleate. In una nota, il portavoce del Dipartimento di Stato, John Kirby, ha condannato le azioni della Turchia chiedendo il rispetto del cessate il fuoco. A complicare il quadro sono arrivati anche i sauditi. Da sempre protagonista della guerra siriana, nel 2011 Riyadh pensava di abbattere il governo di Assad istituendo formazioni ribelli di varia matrice. Dopo cinque anni di guerra le previsioni saudite e degli Stati sunniti del Golfo si sono rivelate errate. Assad è ancora lì, tutt’altro che sconfitto, con protettori ingombranti come Russia e Iran, in grado di ribaltare la partita e riconquistare buona parte del territorio perduto in questi anni. Per salvare il salvabile, Riyadh ha pertanto inviato caccia e uomini nella base turca di Incirlik, preparandosi per un attacco di terra dalle conseguenze imprevedibili. Se turchi e sauditi entreranno in Siria, oltre alla già preannunciata risposta siriana, anche l’Iran prenderà le sue “misure”, come dichiarato da Masoud Jazaery, capo di Stato Maggiore iraniano. Per gli iraniani l’annuncio saudita è un bluff, un atto di guerra psicologica. Del resto, pensare ad una azione di terra a sostegno dei gruppi ribelli è improbabile. La situazione è difficilmente ribaltabile e l’esperienza dello Yemen insegna che non basta la superiorità militare per vincere una guerra. Le conseguenze sul piano internazionale, poi, sarebbero imprevedibili e gli Stati Uniti potrebbero finire per “scaricare” due alleati diventati ormai troppo scomodi. Un’ operazione di terra turco-saudita sarebbe un suicidio politico e militare irreversibile. Il futuro della Siria è appeso a un filo e, ancora una volta, nelle mani di potenze straniere.

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    Predefinito Re: Propaganda di guerra o guerra di propaganda?

    Massmedia di nuovo all’attacco in Siria

    Senza alcuna prova certa, i media hanno già attribuito la colpa ad un raid russo per la distruzione di due ospedali ed una scuola ad Idlib, zona siriana controllata dai terroristi di Al Nusra; molti attori occidentali confidano nell’emozione suscitata dall’attacco per provare a chiedere ancora una volta un cessate il fuoco che di ‘umanitario’ presenta ben poco

    Massmedia di nuovo all?attacco in Siria
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  9. #29
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    Predefinito Re: Propaganda di guerra o guerra di propaganda?

    L’inferno siriano nel contesto della nuova guerra fredda

    La Siria senza legge, senza unità, senza pace. La Siria martoriata e contesa, la cui tragedia non appare nella mente dei decisori della politica internazionale se non come “danno collaterale” della rivalità geopolitica tra superpotenze e tra potenze regionali.

    A tredici anni esatti da quel 15 febbraio 2003 che, come ricorda Gino Strada in un toccante post sul suo profilo Facebook, unì venti milioni di europei (tre dei quali nella sola Roma) scesi in piazza per manifestare in massa contro l’imminente, catastrofica, invasione dell’Iraq, nell’impotenza se non nella sostanziale indifferenza di buona parte dell’opinione pubblica internazionale la catastrofe siriana conosce un ulteriore inasprimento. Il missile di provenienza ignota che rade al suolo l’ospedale di Medici Senza Frontiere presso Aleppo colpisce uno dei pochi e simbolici avamposti residui della civiltà in una nazione annientata, sradicata, via via imbarbaritasi nel corso di questi ultimi anni. Una manifestazione ridotta della devastante potenza di fuoco dispiegata dall’interminabile elenco di potenze militari internazionali e fazioni ostili reciprocamente attivo nel teatro bellico siriano si è rivelata più che sufficiente devastare irreparabilmente uno dei pochi centri dove ancora si mirava a conservare e preservare la vita. Il susseguente palleggiarsi di responsabilità tra le cancellerie internazionali testimonia il grande gelo sorto a livello diplomatico, la reale concretezza di una nuova Guerra Fredda che giorno dopo giorno si inasprisce sulla scia del continuo accumularsi di tensioni e contrapposizioni tra lo schieramento facente capo a Mosca e la coalizione formalmente a guida americana ma al cui interno l’aspirante sultano Erdogan acquisisce giorno dopo giorno un’influenza sempre maggiore. Ed è proprio l’azione dell’esercito turco, che ha iniziato i cannoneggiamenti del Rojava ritenendo le milizie curde YPG (Unità di protezione popolare) nient’altro che un’emanazione del fortemente contrastato PKK, a congedare con disonore l’ottimistica profezia del Segretario di Stato USA secondo la quale la firma degli accordi di Monaco avrebbe portato alla cessazione dei combattimenti entro una settimana. Il presidente turco, preso atto della progressiva disgregazione delle fazioni a lungo foraggiate dal suo governo, mira a garantirsi un’area cuscinetto per arginare l’espansione del territorio sotto il controllo dei suoi antagonisti, ovverosia il legittimo governo di Damasco e la repubblica dei curdi siriani. Di fronte a questa inopinata azione l’amministrazione Obama ha mantenuto un imbarazzato silenzio, essendo oramai palese l’inconciliabile frattura tra le dichiarazioni di intenti professate al momento dell’inizio delle operazioni contro il sedicente Califfato al confine tra Siria e Iraq e l’attuale stato di cose, che vede la coalizione a guida USA orientata su obiettivi ben diversi rispetto a quelli iniziali pertinenti l’annientamento delle forze di Al Baghdadi. Se oramai la reale incidenza dell’autoproclamato Stato Islamico come forza combattente è da ritenersi praticamente inconsistente, dopo il martellamento subito ad opera dell’aviazione russa negli ultimi cinque mesi, lo stesso non si può dire di diversi gruppi di forze ribelli al governo di Damasco con le quali Assad vorrebbe chiudere i conti nelle prossime settimane e attorno al cui status si concentrano le principali dispute tra le potenze impiegate in una Siria divenuta oramai, come scrivevamo su “L’Intellettuale Dissidente” lo scorso sabato, la linea di faglia più attiva della geopolitica mondiale. È una (nuova) Guerra Fredda vecchio stampo, totalizzante, quella che in un’atmosfera sempre più carica di elettricità va in scena parallelamente all’annoso conflitto siriano. Una nuova Guerra Fredda che si è negli anni radicalizzata, dopo che se ne erano viste le avvisaglie durante la grave crisi georgiana dell’estate 2008, a seguito del progressivo riequilibrarsi dei rapporti di forza tra Russia e Stati Uniti che ha lentamente esacerbato le tensioni e portato alle più recenti prove di forza in Ucraina e Medio Oriente. Mosca ha visto un salto di qualità consistente nel suo impegno in terra siriana: oramai per la Russia di Putin la questione cruciale non riguarda più la semplice permanenza al potere di Assad e la difesa del suo governo contro le minacce che gli portavano i gruppi terroristici, ma bensì un generale rafforzamento dell’autorità del governo di Damasco che funga da preludio a un progressivo ripristino della sua influenza sulla grande maggioranza del territorio siriano. In tal senso, la strategia russa è favorevole al mantenimento al potere del rais nella fase cruciale del conflitto e nella prevista futura fase di transizione, essendo Assad ritenuto il migliore garante possibile di un suo svolgimento ordinato. La sempre maggiore convergenza con Teheran ha ulteriormente accentuato l’impegno profuso dalla Russia in favore di uno dei suoi principali alleati. La presenza, nella costellazione di forze che si oppongono ad Assad, di molti gruppi militari dalle inclinazioni fortemente estremistiche, decisamente inclini a uno sfruttamento politico-militare del fondamentalismo religioso, rendono per l’amministrazione Putin ancora più all’ordine del giorno il contenimento del loro potere: necessità ulteriormente rafforzata dai forti parallelismi riscontrabili tra la situazione siriana e quella vissuta in prima persona dalla Russia stessa nelle sue regioni periferiche meridionali durante la traumatica guerra di Cecenia e la più recente esperienza del duro conflitto contro l’Emirato del Caucaso. Alle mosse di Mosca gli USA rispondono in maniera contraddittoria. Manca nei decisori della politica estera di Washington un chiaro indirizzo, in quanto le mosse sono condotte dall’amministrazione Obama in maniera scoordinata e decisamente scostante. Già ampiamente dimostrata dalla conduzione della campagna contro il sedicente Califfato, la confusione che regna nelle alte sfere della politica americana è figlia di un quindicennio ininterrotto di guerre e tensioni che hanno progressivamente annebbiato le forze maggiormente innovative e costruttive del Dipartimento di Stato. Nei fatti, questo ha portato negli anni gli Stati Uniti a inserirsi in un vicolo cieco: anni di proclami sulla necessità di un cambio di regime a Damasco hanno reso loro impossibile recedere da queste posizioni e aprire spiragli sulla permanenza futura di Assad al potere; la volontà di mantenere fedeli gli alleati regionali (Turchia e Arabia Saudita) gli ha spinti a chiudere ben più di un occhio per quanto riguardava le ambiguità delle loro politiche estere, finalizzate a destabilizzare la Siria attraverso il finanziamento dei gruppi più radicali; la pesantissima influenza del gruppo neoconservatore, infine, ha reso impossibile a lungo da parte di Washington il riconoscimento delle istanze di altre potenze, facendo perseverare il governo americano nella difesa a oltranza del deperito sistema unipolare. E mentre l’ancoramento alle proprie posizioni erodeva mese dopo mese l’influenza di Washington, gli spazi di manovra sempre maggiori accordati all’asse turco-saudita rendevano le mosse delle due nazioni sempre più importanti per peso specifico nella coalizione “occidentale”. La sempre maggiore contrapposizione con Mosca nel teatro siriano è stata quindi in misura non secondaria dovuta all’obbligatorietà del cammino che si sono imposti gli Stati Uniti, impostato su una rotta decisa sulla base di assunti geopolitici oramai decaduti. Nel mezzo dei due contendenti principali, la Siria. La Siria senza legge, senza unità, senza pace. La Siria martoriata e contesa, la cui tragedia non appare nella mente dei decisori della politica internazionale se non come “danno collaterale” della rivalità geopolitica tra superpotenze e tra potenze regionali. Mentre gli esiti della guerra civile appaiono sempre più legati all’andamento dei combattimenti sul terreno e sempre meno influenzabili dalle potenze internazionali con manovre che esulino dall’uso della forza, la nuova Guerra Fredda conosce ulteriori punti di tensione. Dopo aver tentato di abbattere la Russia con le sanzioni, l’assedio economico e i tentativi di isolamento internazionale, gli USA e la NATO stanno tornando a una contrapposizione più “esplicita”, rafforzando la dotazione di forze aeree delle basi in Finlandia e Turchia. E proprio le ambigue politiche condotte dalla Turchia, membro NATO a tutti gli effetti ma attualmente ai ferri corti con Mosca, con la quale i rapporti diplomatici sono prossimi allo zero, rappresentano l’elemento di imprevedibilità che rischia di far deragliare la corsa dai suoi incerti binari. L’avvicinarsi costante delle linee dell’esercito di Assad, che avanza sulla scia del tracollo delle forze ribelli e dei miliziani, al perimetro d’azione degli obici turchi andrà monitorato ora dopo ora. In qualsiasi momento, infatti, un passo falso dell’una o dell’altra parte potrebbe avere conseguenze catastrofiche, e ora più che mai serve fare in modo che nessuna delle parti in causa sia spinta a commetterlo.

    L?inferno siriano nel contesto della nuova guerra fredda
    "L'odio per la propria Nazione è l'internazionalismo degli imbecilli"- Lenin
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    Predefinito Re: Propaganda di guerra o guerra di propaganda?

    Alle porte di Palmira. Così Damasco vuole tagliare la testa al serpente

    Mentre gli europei combattono il Califfato con il gessetto, l'esercito siriano avanza armi in pugno verso l'antica città che potrebbe essere liberata in pochi mesi.

    E’ un’equazione matematica certificata dai fatti: più Daesh subisce perdite umane e territoriali più esporta la guerra fuori dai suoi confini. Gli attentati che hanno colpito Bruxelles, preceduti da quelli di Parigi, Beirut e Damasco, dimostrano come il sedicente Stato Islamico stia arretrando ovunque. In un anno questo ha perso un terzo dell’area che controllava in Siria e Iraq, centinaia di miliziani stanno disertando a Raqqa e a Mosul, ed infine i raid russi hanno disintegrato le sue infrastrutture e la sua capacità di importare armi e beni di consumo. Ecco che attaccare l’Europa con operazioni kamikaze organizzate quanto sanguinose diventa uno strumento di comunicazione efficace per mascherare la progressiva sconfitta ed offrire al grande pubblico globale uno storytelling sproporzionato alla sua forza reale.

    continua
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