E’ cambiata l’America, ci dicono: c’è Obama, è una svolta l’America ritrova la speranza, l’America ritrova il futuro; non credeteci, l’America ritrova solo se stessa: l’America semplicemente, continuamente si modifica, per stabilizzarsi.

Il Profeta

di Domenico Savino

L’America era WASP, White Anglo-Saxon Protestant: bianca, anglosassone, protestante.
Ora e BAAAH, Black, Afro-American, Agnostic-heretical: negra, afro-americana, agnostico-eretica.
Perfetto esempio di mimetismo, compiuta realizzazione di razionalizzazione del sistema, luminoso paradigma di dialettica ritornate, luogo mitico di eterno divenire, eternamente ritornante.
Sembrava l’America un gigante ferito, travolto dal suo titanismo e dalla sua onnipotenza, dall’impotenza del suo stesso essere e dall’avidità del suo istinto: sembrava l’America al crepuscolo.
Invece all’improvviso è spuntato «Lui», Obama, l’antitesi di questa tesi che fu l’America, celebrata dagli stolti gnomi del neo/teo-conservatorismo di casa nostra, dagli utili idioti di un americanismo del secolo scorso, dagli epigoni di un mondo con un immenso avvenire dietro di sé.
L’America è avanti, troppo avanti per noi.

Noi con le pezze al c… da emigranti, noi retrogradi cantori del sogno americano, della contestazione, della beat generation e di Malcom X, noi nostalgici dei JFK e di Martin Luther King, di Joan Baez e di Kerouac, delle labbra di Marilyn e delle tette di Play Boy avevamo/abbiamo ancora dell’America l’immagine del mito, travasata dai tubi catodici oramai esauriti, mentre gli schermi ultrapiatti ci hanno cambiato la prospettiva senza che ce ne possiamo rendere conto.
Noi per i quali - come cantava Francesco Guccini in quella poesia che è «Amerigo» - «l’America era allora, per me i G.I. di Roosvelt, la quinta armata, l’America era Atlantide, l’America era il cuore, era il destino; l’America era Life, sorrisi e denti bianchi su patinata; l’America era il mondo sognante e misterioso di Paperino; l’America era allora per me provincia dolce, mondo di pace, un paradiso perduto, malinconia sottile, nevrosi lenta».

Ora che il volto di G. W. Bush si appresta a scomparire dalla scena, tra gli insulti e i lazzi di chi lo aveva idolatrato, con quegli occhi ravvicinati sotto una fronte spiovente, che avrebbero fatto la gioia della frenologia, di Lombroso e della sua catalogazione dei tipi umani, sorge, dialettico e speculare, «Lui»: Barack Hussein Obama II.

Pensate com’è grande l’America e quanto stupidi siamo noi di qua dall’Atlantico.
Basta un volto colorato, un sorriso dolce, l’eloquio dolce e melodico, la voce potente e delicatamente gutturale di un afro-americano per credere che l’America sia cambiata.
Obama-Biden il ticket americano contro Osama Bin Laden: anche la fonetica sembra giocare un suo ruolo sul palcoscenico della Casa Bianca.

Ci credono tutti: «Se vince Obama, è una rivoluzione! Ora il mondo ha diritto a sperare in un futuro sottratto al ricatto petrolifero e alle guerre per l’oro nero, alla smania ideologica che punta a smantellare scuola e sanità pubbliche, a controriforme fiscali che escludono famiglie e persone» (1).
Perbacco, perfino Francesco Storace (che forse si dimentica di essere stato ministro del governo più codino verso G. W. Bush) è d’accordo!
Se anche la Destra è d’accordo, il copione è perfetto, ci credono proprio tutti; ma noi no.

L’America ha cambiato direttore d’orchestra, ma la sinfonia è identica: l’Apocalittica.
L’America ha da sempre un «destino manifesto», una missione nel mondo, ruolo che Dio le ha assegnato: a questo credono gli americani!
America über alles: il Quarto Reich ha negli USA la profezia realizzata.
Il basso profilo intercorso tra la catastrofe del Vietnam e Jimmy Carter è stato superato dal travolgente successo di Ronald Reagan, dal crollo del comunismo, dal mito del Nuovo Ordine Mondiale, dalla prima guerra del Golfo, dal trionfo della New Economy, dall’esplosione informatica, dalla filantropia gnosticamente genialoide di Bill Gates, dalle potenzialità di internet, dai pericoli di internet, dalle dichiarazioni corali sulla fine della storia, dalle capacità orali di Monica Lewinsky, dalle erezioni adulterine di Bill Clinton, dalle elezioni taroccate della Florida, dalle selezioni dei dirottatori dei voli AA11 e AA77 dell’American Airlines, dal crollo delle Twin Towers, dall’Afghanistan, dal mullah Omar, dall’antrace di Stato, dalle fialette di Colin Powell, dalle cosce di Condoleezza Rice, dalla guerra lampo in Iraq, dal consolidamento delle posizioni in Iraq, dal ripiegamento delle posizioni in Iraq, dalla cattura del dittatore dell’Iraq, dallo stallo della guerra in Iraq, dal incognita del futuro dell’Iraq, dal possibile attacco all’Iran, dall’aggressività della Russia, dal petrolio a 150 dollari, dalle rivoluzioni colorate, dalla guerra del Caucaso, dal dispiegamento dei missili in Polonia, dalla crollo delle banche, dal crollo delle Borse, dal crollo della fiducia, dal crollo del brent, dal crollo di Bush.

Davvero pensate che questo armamentario possa essere cancellato con un tratto di penna del senatore afro-americano dell’Illinois?
Sarebbe, ancora una volta, voler ignorare la storia.

Tutto si è dispiegato sullo sfondo di quella visione epica, profetica, messianica del ruolo dell’America, la convinzione cioè che gli Stati Uniti abbiano da Dio stesso la missione di espandersi, diffondendo la loro forma di libertà e democrazia, che ad essi compete: realizzare «il grande esperimento di libertà», secondo l’espressione coniata dal giornalista John L. O’Sullivan, all’epoca influente sostenitore del Partito Democratico.
In un saggio intitolato guarda caso «Annessione», O’Sullivan incitava gli Stati Uniti ad annettersi la repubblica del Texas (in cui la schiavitù era proibita!), non solo perché il Texas lo avrebbe voluto, ma perché era «destino manifesto dell’America di diffondersi sul continente».
In realtà il Texas non lo voleva affatto, ma - si sa - il destino manifesto certe volte vuole anche ciò che noi non vogliamo.
Le apocalissi delle dottrine americane sono ricorrenti, cosi ricorrenti che dal 1798 al 1945 le operazioni militari americane sono state 168.
Dopo la seconda guerra mondiale contatele voi.
Niente male per chi è paladino di pace e democrazia.

La profezia americana ha trovato nell’apocalittica neo/teo-con e nelle folgoranti visioni cristiano-sioniste il proprio compimento, ma ora che la spinta propulsiva di quella rivoluzione giudeo-trozkista, riverniciata in chiave Cristo-mimetica si è esaurita, la maschera conservatrice deve cadere per lasciare il posto alla maschera della libertà, della speranza, del progresso, affinché nessuno si avvicini troppo per strappare il velo a mostrare, al di là di progresso e reazione, di democratici e conservatori, di libertini e puritani il volto segreto dell’ essere e la sua negatività originaria.
Come scrive Matteo D’Amico, secondo la versione straussiana fino ad oggi in voga, solo pochi eletti, gli aristòi, i migliori per natura, hanno la capacità di vedere.
Pertanto con grande apparente convinzione questa negatività deve essere velata da un simulacro di fede, da una forte simpatia per essa e per i suoi valori, in modo da stabilizzare il quadro politico ed operare come efficace instrumentum regni (2).
Questa era la maschera di Bush, cui i vari Introvigne, Pera, Ferrara e compagnia cantante hanno invitato ad indirizzare volute profumate di incenso.
Ora quella fase è finita e per impedire che quei valori davvero possano casomai attecchire e stabilizzare la storia, occorre un cambio repentino di scena, uno smascheramento della maschera, una sua deformazione negativa, il suo rogo in effige.
Ora è l’ora del cambiamento, ora è l’ora della speranza, ora l’America «ritrova se stessa».

Quell’America profonda e retriva, religiosa e intollerante, bianca e moralista, guerrafondaia e imperialista lascia dialetticamente il posto alla sua antitesi per una sintesi superiore, quando verrà.
La religione civile smette il Winchester e the Holy Bibleper per fare largo allo Spirito.
La profezia torna ad annunciare se stessa, pronta per autorealizzarsi.
Gli aristòi l’hanno capito.

Alla vigilia del voto Maria Laura Rodotà sul Corriere della Sera del 1 novembre 2008 annunciava: «Neocon, liberisti, antiabortisti: i ‘convertiti’ che votano per Obama».
E spiega: «Ci sono gli Obamacans (repubblicani per Obama), intellettualmente meno complessi di certi Obamacons (conservatori per Obama). Ci sono i liberisti per Obama, i libertari per Obama, gli antiabortisti per Obama, i cavalieri di Colombo per Obama (ex, li hanno appena cacciati), gli ex membri di amministrazioni Reagan-Bush-Bush per Obama. C’è Colin Powell, figura rispettatissima, e personaggi meno prestigiosi che magari contano sulle promesse del candidato democratico; di governare unificando e facendo molte nomine bipartisan. […] Molti ex, in effetti: l’ex governatore del Massachusetts William Weld, l’ex portavoce di Bush, Scott McClellan, l’ex consigliere di Reagan e Bush padre Ken Adelman, che aveva rotto con Dick Cheney sulla guerra in Iraq (era riluttante, si è dichiarato rispondendo a un giornalista via e-mail, adesso scrive sul sito liberal Huffington Post e pare contentissimo). Il momento più alto è stato l’endorsement dell’ex segretario di Stato Powell» (3).

Vi stupite? Non è la sindrome di Mastella, è il «destino manifesto» che chiama.
All’America Dio ha affidato un compito, come disertare?
E’ la «Profezia» al lavoro.
Quando l’Apocalisse si nutre di utopia, lo spirito anticristico vi soffia.

Tra i mille discorsi di Obama quelli più pericolosi sono quelli in cui il nuovo presidente americano ha citato il suo profeta.
Non è John Locke, nè Stuart Mill, ma un frate calabrese del XII secolo: Gioacchino da Fiore.
Gioacchino nacque nel 1130 circa a Celico in provincia di Cosenza e in seguito ad un viaggio in Medio Oriente, decise di lasciare tutti i suoi beni per vestire nel 1152 il saio nel convento cistercense di Sambucina (a nord di Cosenza), prendendo ufficialmente i voti nel 1168.
Si dedicò totalmente allo studio della Bibbia e scrisse alcune delle sue opere più importanti come la «Concordia», la «Expositio in Apocalypsim» e il «Psalterium decem chordarum».
Nel 1189 decise di abbandonare l’ordine cistercense per fondare sulla Sila un suo ordine, denominato «florense», facendo costruire una abbazia dedicata - guarda caso - a San Giovanni Battista in una località denominata Fiore da cui l’ordine prese il nome: florense.
La sua popolarità fu enorme e alla sua morte il 30 marzo 1202 fu proclamato beato, non tuttavia in maniera ufficiale, ma solo con l’erezione di un altare in suo onore a San Giovanni in Fiore.
Ma già al IV Concilio Lateranense del 1215 le idee di Gioachino, definite triteiste, furono condannate.

La ragione sta nella sua interpretazione della storia, in base a cui, partendo da un brano dell’Apocalisse (14, 6-11), quello dei tre angeli che annunciano il giudizio di Dio (4), sviluppa un’interpretazione in base a cui la storia dell’uomo è divisa in tre fasi, ognuna riconducibile ad una figura della Trinità.
Nella prima avrebbe dominato il Padre, simbolo di potere e terrore, al quale si era ispirato l’antico Testamento.
Nel secondo periodo il riferimento sarebbe il Figlio, ispiratore del Nuovo Testamento.
Nella terza era, lo Spirito Santo, che avrebbe svelato il vero significato dei Sacri Testi, al di là della sua interpretazione letterale.
Oltrechè nel Concilio Lateranense la dottrina gioachimita fu confutata anche da San Tommaso d’Aquino.
Secondo l’eretico monaco calabrese, poi, l’incarnazione dello Spirito Santo sarebbe stata una donna, destinata a diventare una Papessa e rifondare la Chiesa secondo l’idea di apocatastasi: questa idea, condannata dal Concilio di Costantinopoli del 543 e derivante dalla parola d’origine greca apokatastàsis, (che significa restaurazione o riconciliazione e che rende il concetto di salvezza per tutto il creato: angeli e uomini, anche se peccatori o dannati, e demoni), tutti - compresi giudei e saraceni - si sarebbero salvati.
Quasi 40 anni dopo la sua morte una commissione di cardinali, convocata nel 1254 da Papa Alessandro IV (1254-1261), preoccupato del diffondersi delle idee gioachimite presso i frati francescani spirituali, condannò gli scritti di Gioacchino e del suo seguace Gerardo di Borgo San Donnino e nel 1263 le idee di Gioacchino furono definitivamente dichiarate eretiche.

Nonostante ciò, Gioacchino ebbe un’enorme influenza su tutti i movimenti ereticali a partire da Guglielma di Boemia, considerata l’incarnazione dello Spirito Santo.
La reazione della Chiesa cattolica contro il movimento di questa visionaria fu scatenata circa vent’anni dopo la sua morte nella domenica di Pasqua del 1300, quando, secondo la denuncia di alcuni testimoni, la sua erede spirituale, Maifreda da Pirovano, in qualità di sacerdote e Papessa, aveva celebrato una solenne messa.
L’influenza di Giocchino si estese anche ai movimenti ereticali dei cosiddetti Spirituali, a quello dei Fratelli del Libero Spirito, a quello dei cosiddetti Apostolici ed a quello dei Begardi e delle Beghine.
Niente male come premesse.
Questo è il mondo di Utopia, l’incarnazione del Regno di Dio, l’annuncio dell’era messianica: questo è il regno della Libertà, l’Età del Progresso, l’Età dell’Acquario, il «mondo a venire».
Le idee del frate calabrese, infatti, pur senza esserne direttamente influenzate, si nutrono alle stesse malie qabbalistiche dello Zohar e alla relativa teoria delle sette Shemittoth, periodi di sviluppo cosmico in cui si manifesterebbe il divenire di Dio.
Esso sarebbe orientato all’avvento dell’«Era messianica» e poi a quello che il giudaismo chiama «Olam haba», «il mondo a venire», simile a quello di oggi, solo che Israele ne sarà il dominatore.
Nel Talmud è scritto che l’attuale «mondo differisce da quello dei giorni del Messia solo per la schiavitù a potenze (straniere)» (Sahnedrin 98b).

Vi domando: non vi sembra strano che Obama citi in piena campagna elettorale, tra crak finanziari, guerre del Golfo e del Caucaso, un oscuro frate calabrese, che nessuno in America conosce e lo faccia per ben tre volte?

Franco Cardini in effetti scrive: «Può apparire un po’ sorprendente che Barack Obama citi Gioacchino Da Fiore, dal momento che non è tra i rappresentanti della letteratura mistica e utopistica tra i più noti in America. Tuttavia Obama conosce il pensatore medioevale calabrese proprio grazie alla sua formazione religiosa. L’America è un Paese in gran parte protestante, in cui ci sono molte sette a carattere apocalittico, che oggi si definirebbero fondamentaliste. Molte di queste sette hanno carattere millenaristico e certamente Gioacchino Da Fiore è un rappresentante importante di quel mondo medioevale che faceva riferimento a correnti profetistiche ed escatologiche» (5).

Sì, certo c’è anche questo, ma… a chi Obama mandava un messaggio?
A chi mandava a dire Obama che è giunta la Terza Era della storia, quella dello Spirito?
A quali Illuminati mandava un segno di rassicurazione che la «Profezia» non sarebbe stata interrotta?
Non vi pare questa Apocalittica nient’altro che il rovescio della medaglia di quelle doglie del Medio Oriente che Condollezza Rice evocò all’indomani dello scoppio della guerra in Libano?

L’evento messianico a livello politico coincide con il ritorno del popolo ebraico alla sua terra e con la pace tra tutte le nazioni.
Secondo la profezia di Isaia, «giustizia» e «pace» contraddistinguono i tempi del Messia ed è in questa visione che la parola pace in ebraico, «shalom», significa anche «completezza».
Rabbi Yochanan ha insegnato però che «il Messia verrà soltanto in una generazione che sia o completamente giusta o completamente malvagia».

Non vedete che dopo l’epoca Bush l’Apocalittica ha cambiato strategia ma non obiettivo?
Dopo l’epoca completamente malvagia è tempo di una generazione completamente giusta?
Non è Obama, il discendente di schiavi giunto alla presidenza degli Stati Uniti, la maschera perfetta per incarnare questa generazione?
Obama, il buono, non vi fa altrettanta paura di George W., il cattivo?
Non sentite già i tamburi giacobini invitare alla conversione, a obbligare tutti alla bontà globale, al rispetto dei diritti, alla tolleranza, all’eguaglianza?
Non lo dovranno fare forse in primo luogo gli Stati canaglia?
E non dovranno forse gli Stati, controllati da oligarchie selezionate, controllare nel nome del bene del popolo le ricchezze?
Il crack di Wall Street non ha forse preluso a quello che Gad Lerner ricordava essere paradossalmente il «socialismo americano»?
Non sentite odore dei soviet dei commissari del popolo?
Ricordate quando la Russia rivoluzionaria dichiarò la propria insolvenza gettando sul lastrico i propri creditori internazionali? Chi dirigeva quella Rivoluzione?
Non erano quegli stessi rivoluzionari che ispirarono i teorici della presidenza Bush?

E’ chiaro che ora, affinché il Messia possa comparire, l’umanità deve raggiungere la perfezione, oppure sprofondare nella pura malvagità, nel vuoto, nell’emergenza, nella violenza.

Perdoni il lettore se rimando ad un mio scritto del luglio 2007, quando la stella nera di Obama ancora non splendeva: «Dopo gli ‘anni bui’ del conservatorismo dei ‘teocon’ (non a caso spesso ex-trotzkisti, cioè portatori di quell’idea di rivoluzione permanente, di agitazione continua, tipica di certo spirito semitico cui Trotzkij […] apparteneva), anni in realtà molto funzionali dialetticamente ad innescare una nuova prossima antitesi progressista, il nuovo verbo liberal si appresta sempre dialetticamente a spingere un po’ più in avanti l’equilibrio della storia raggiunto a seguito di quella ‘rivoluzione giovanile’ degli anni ‘70. […] Se la nazione della ‘guerra globale’ diverrà domani quella della ‘pace universale’ non si sente odore di zolfo?» (6).

Non ho anch’io il dono della profezia: semplicemente provo a pensare.
L’immagine anticristica di Soloviev è perfetta per dare il vero volto a Obama.
Tornano alla mente le parole del cardinale Biffi e di come egli identificò l’«icona dell’Anticristo, personaggio affascinante che riuscirà ad influenzare e a condizionare un po’ tutti. In lui, come qui è presentato, non è difficile ravvisare l’emblema, quasi l’ipostatizzazione, della religiosità confusa e ambigua di questi nostri anni: egli - dice Solovev - sarà un ‘convinto spiritualista’, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo».

Dovremo necessariamente essere buoni, tolleranti, ecumenici, pacifisti. Altrimenti guai a noi.
E temo che occorrerà un ultimo sforzo di bontà, uno sforzo suppletivo, idealistico, rivoluzionario: la pace la dovremo volere a qualsiasi costo, anche della guerra.
«Il costo della pace messianica potrà essere altissimo» - ci diranno.
La pace sarà l’emergenza, essa correrà il momento di massimo pericolo, incomberanno le tenebre da cui non si vede alcuna via d’uscita.
Sarà l’ultima guerra, quella che dovremo combattere prima che la spada sia forgiata in aratro?
Non sono paranoie: mi domando: ora che, dopo Baghdad, nessuno è più disposto a morire per Teheran, come potranno convincerci a farlo?
Non forse nascondendo gli artigli grondanti sangue dietro le ali della colomba?
Non forse trovando qualcuno disposto a sparare alla colomba?

Certo che sì, ci sarà qualcuno disposto a rompere il sogno del mondo nuovo!
Non occorrerà fabbricarlo questo qualcuno, basterà «coltivarlo» a dovere.
Nella mente di qualche fanatico c’è sempre la scintilla capace di provocare un incendio.
Certo che sì e allora saremo arruolati per costruirlo quel mondo e ci andremo a combatterla quella guerra, sventolando le bandiere della pace!

Ma le guerre e le rivoluzioni non si fanno con la pancia piena; per questo hanno cominciato inesorabilmente ad affamarci.
Davvero pensate che la bolla speculativa sia il frutto di leggi naturali dell’economia?
Non solo, se volevano, potevano impedirla! L’hanno scientemente creata!

Ricordatevi che meno avremo e più diventeremo aggressivi: d’altronde non si fa così anche coi cani da combattimento?
Saremo noi questa volta a proclamarle le doglie del Messia, ce ne convinceranno che non c’è altra soluzione! Peggio, ce ne convinceremo da soli.
Come potremo dire di no, se perfino un discendente degli schiavi ci dirà di farlo?
Come potremo essere così cattivi da non rispondere alla sua chiamata?
Hollywood, con le sue invasioni aliene e i suoi meteoriti che devastano la Terra, non ci ha forse già preparato a combattere ed affrontare catastrofi tutti insieme sotto la guida di un presidente coloured?
Il nazionalismo messianico e il messianismo militarista vestiranno i panni dell’internazionalismo messianico e del messianismo pacifista.
Non fu forse in nome di questo che si fecero le rivoluzioni e le guerre rivoluzionarie?
Non fu questo il Verbo dei decenni passati?

Già le sento quelle voci, quando saremo indotti a considerare il peggio come una scelta reale e l’Apocalisse come un progetto politico.
Lo Spirito della Storia è al lavoro, la Profezia si compie, l’Utopia trova il suo luogo: Obama ne è il Profeta.
Se davvero fosse in buona fede, ne sarà pure la vittima sacrificale.

Domenico Savino

(articolo pubblicato il 16 novembre 2008)


1) http://www.storace.it/2008/11/05/oba...di-la-lezione/
2) Matteo D’Amico «Le radici culturali dell’ideologia neocon. Da Weimar alla ‘nobile menzogna’ », Alfa e Omega, marzo-aprile 2005.
3) Maria Laura Rodotà, «Neocon, liberisti, antiabortisti: i ‘convertiti’ che votano per Obama», Corriere della Sera, 1 novembre 2008. http://archiviostorico.corriere.it/2008/novembre/01/
4) Apocalisse 14, 6-11: «Poi vidi un altro angelo che volando in mezzo al cielo recava un vangelo eterno da annunziare agli abitanti della terra e ad ogni nazione, razza, lingua e popolo. Egli gridava a gran voce: ‘Temete Dio e dategli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio. Adorate colui che ha fatto il cielo e la terra, il mare e le sorgenti delle acque’. Un secondo angelo lo seguì gridando: ‘E’ caduta, è caduta Babilonia la grande, quella che ha abbeverato tutte le genti col vino del furore della sua fornicazione’. Poi, un terzo angelo li seguì gridando a gran voce: ‘Chiunque adora la bestia e la sua statua e ne riceve il marchio sulla fronte o sulla mano, berrà il vino dell’ira di Dio che è versato puro nella coppa della sua ira e sarà torturato con fuoco e zolfo al cospetto degli angeli santi e dell’Agnello. Il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli, e non avranno riposo né giorno né notte quanti adorano la bestia e la sua statua e chiunque riceve il marchio del suo nome».
5) www.adnkronos.com/IGN/Esteri/?id=1.0.2443050308
6) «Don Milani, no!», Domenico Savino, EFEFDIEFFE.com


http://www.effedieffe.com/content/view/6082/