di Veronica Grembi e Alberto Zanardi

www.lavoce.info, 31 dicembre 2008

Le carceri italiane sono sovraffollate e obsolete: difficile garantire accettabili condizioni di vita per personale e detenuti, e perseguire l’obiettivo della riabilitazione. È necessario accantonare la logica dell’emergenza continua distinguendo tra misure di impatto immediato e politiche di lungo periodo. L’ottimizzazione nell’utilizzo delle risorse, con la chiusura di istituti fortemente sottoutilizzati, può portare in tempi relativamente brevi a risparmi di spesa strutturali. Ma serve poi la costruzione di nuovi penitenziari, più grandi e più efficienti.
Le nostre carceri scoppiano, come prima e, in prospettiva, ancor più di prima. L’indulto del 2006 aveva concesso una boccata d’ossigeno al cronico sovraffollamento di cui soffre il sistema penitenziario italiano. Dopo appena due anni la popolazione carceraria è quasi ritornata ai livelli pre-indulto: nel giugno scorso i detenuti erano poco più di 54mila, il 91 per cento di quelli presenti nel dicembre 2005, con una crescita di mille unità al mese.
Di contro, di carceri nuove se ne costruiscono poche: negli ultimi dieci anni la capacità ricettiva è cresciuta soltanto del 5,5 per cento. Con il risultato che l’Italia contende alla Grecia la palma europea di sistema carcerario più sovraffollato: a giugno del 2008 per ogni 100 posti di capacità regolamentare si contavano quasi 142 detenuti. Una quota significativa di istituti mostra poi i segni dell’età: il 20 per cento dei penitenziari italiani è stato costruito prima del 1900. È allora evidente come in carceri così sovraffollate e obsolete sia ben difficile garantire accettabili condizioni di vita, tanto per il personale quanto per i detenuti, e perseguire in modo credibile l’obiettivo della riabilitazione.
Misure per oggi e per domani. Come uscire da questa situazione? Si tratta innanzitutto di accantonare la logica dell’emergenza continua distinguendo tra misure di impatto immediato e politiche di lungo periodo, valutandone per ciascuna costi e benefici.
Delle prime, si sta discutendo intensamente in questi giorni, soprattutto si discute della cosiddetta probation, la "messa alla prova". Si tratta della possibilità da parte degli incensurati accusati di reati lievi, quelli punibili fino a due anni nella versione più recente della proposta, di evitare il processo impegnandosi a svolgere lavori di pubblica utilità che, se vanno a buon fine, estinguono completamente il reato. Una misura che potrebbe contribuire a frenare le nuove entrate nel circuito carcerario.
Tuttavia, anche qualora attuato, questo intervento, al pari dell’indulto, non basta. Occorre certamente avviare una politica lungimirante di edilizia carceraria che aumenti la capienza del sistema penitenziario e al contempo adegui le strutture a standard elevati di sicurezza e vivibilità.
La costruzione di nuove carceri dovrebbe peraltro ispirarsi a una serie di criteri-guida. Innanzitutto, seguendo le linee già preannunciate dal ministero, si dovrebbe diversificare la tipologia degli istituti penitenziari prevedendo strutture diverse dai carceri tradizionali, più leggere, e pertanto meno costose e disponibili in tempi più rapidi, per i detenuti in attesa di giudizio e ritenuti non pericolosi. In secondo luogo, è necessario puntare su nuovi penitenziari più grandi rispetto alla dimensione prevalente nell’attuale panorama italiano. Oggi la capienza media delle nostre carceri è bassa: più dell’80 per cento degli istituti ha meno di 300 posti. Valutazioni sulle possibili economie di scala e indicazioni dall’esperienza internazionale suggeriscono che significativi guadagni di efficienza, ovvero minori spese per detenuto, sarebbero realizzabili in istituti più grandi. C’è poi il problema dell’attuale localizzazione territoriale dei penitenziari che non è allineata alla distribuzione della popolazione in generale e alla mappa dei reati commessi: ben il 40 per cento degli istituti sta al Sud, risultato tra l’altro del riadattamento a fini carcerari di conventi, castelli e antichi palazzi. È poi auspicabile che, per ottenere le risorse necessarie alla costruzione di nuovi e più efficienti penitenziari, l’amministrazione proceda alla dismissione degli immobili che, per la loro particolare collocazione geografica, presentano un elevato valore commerciale.
Efficienza nella gestione del personale. Guadagni di efficienza e risparmi di spese sono realizzabili in tempi anche più brevi, agendo sull’esistente, attraverso miglioramenti gestionali e razionalizzazioni nella distribuzione degli organici. Se si tiene conto che per far funzionare il sistema penitenziario sono impegnati 43mila agenti di polizia penitenziaria con una spesa per il personale di 2,9 miliardi di euro, l’80 per cento del totale dell’amministrazione penitenziaria, si capisce come la gestione del personale sia l’elemento-chiave dell’efficienza in questo comparto. Tra i diversi penitenziari esistono divari assai marcati nei costi per detenuto, non giustificati dalla composizione della popolazione carceraria ospitata o dal particolare sovraffollamento di certi istituti.
Guardando a un indicatore sintetico come il rapporto tra unità di polizia penitenziaria e detenuti si va da un minimo di 0,26 a un massimo di 2,74. Anche il confronto tra territori mostra differenze non trascurabili: al Sud gli agenti per detenuto sono del 13 per cento più numerosi rispetto alla media nazionale, mentre il Nord segna un 17 per cento sotto la media. Uno sforzo di ottimizzazione nell’utilizzo delle risorse, con la chiusura di istituti fortemente sottoutilizzati, può portare in tempi relativamente brevi a risparmi di spesa strutturali e non effimeri, stimabili in prima approssimazione in almeno un centinaio di milioni.