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    Predefinito La grande mistica nel 1310 fu bruciata con l'accusa di eresia in una piazza di Parigi

    Margherita Porete, la luce d’un rogo

    A Parigi, cuore della cultura medievale, poco dopo il rogo di 54 Templari al Mulino Saint-Antoine, il primo giugno 1310 Margherita Porete veniva arsa insieme al suo libro, Lo specchio delle anime semplici, uno dei vertici del pensiero religioso speculativo, sorta di manifesto della nobiltà dell’anima [1].

    La scomunica comminata ai detentori del libro che non lo avessero consegnato al Tribunale dell’Inquisizione non ebbe molto effetto, se dell’originale piccardo e della versione latina si salvarono diversi esemplari. Non si sa di altri scrittori medievali in volgare che abbiano goduto una diffusione internazionale pari a quella avuta dal libro di Porete fino a tutto il Cinquecento [2] .

    Gli anni in cui Margherita scrive il Miroir sono gli stessi nei quali Dante scrive la sua Commedia e Meister Eckhart, magister alla Sorbona, redige l’Opus tripartitum, gli anni in cui la civiltà cristiana sta dando il meglio di se stessa, toccando culmini di pensiero e d’arte difficilmente raggiunti in seguito. Scrive Marco Vannini [3] che questo libro è un testo di filosofia nel senso forte della parola, di quella attività del pensiero cioè che ha in comune con la religione l’oggetto d’indagine, Dio. Il terreno comune è quello di Platone, Agostino, Eckhart, Cusano, Spinoza, Hegel, filosofi il cui pensiero approda a una gioia infinita tutta al presente, come appunto quello di Porete, per cui la realtà di Dio non è ‘altra’, bensì presente qui ed ora; è un essere nell’essere.

    Altre contiguità sono riscontrabili, in ambiti storici contemporanei o di poco posteriori agli anni di Margherita Porete, solo che si tenga presente fin d’ora che il Miroir risulta copiato in medio-inglese, insieme a pagine di Matilde di Hackeborn, Ruusbroec, Suso, nel ms di Amherst di Giuliana di Norwich [4].

    Volendo usare una definizione del pensiero poretiano, si potrebbe parlare di una mistica dell’essenza, almeno per distinguerla da quella sponsale, psicologico-sentimentale, di cui solo qualche immagine è presente nel libro di Margherita. L’itinerario della liberazione dell’anima a partire dallo stato di peccato avviene – come in altri testi anteriori e posteriori – attraverso vari stadi, ma i contenuti del Miroir non rientrano facilmente nello schema didattico dell’itinerario, e giustamente il titolo contiene la parola specchio: capire, conoscere, scrive Margherita fin dal primo capitolo, è divenire la cosa stessa, dunque specchiarsi nel simile o esserne rispecchiato.

    L’autrice affida le sue argomentazioni, che sono per gran parte del libro in forma di dialogo, principalmente a tre ‘attori del dramma’, Anima, ossia l’autrice stessa, Amore, ossia Dio-amore, e Ragione: quest’ultima rappresenta il punto di vista della “Chiesa piccola”, ossia della Chiesa come comunità giuridico-sociale, contrapposta alla Santa Chiesa Grande, la grande comunità di spiriti che vivono nell’amore di Dio e che adorano Dio in spirito e verità (Gv 4,21), alla quale l’autrice sente di appartenere.

    E l’Anima-Margherita sa che seguendo il cammino d’amore, di Amore, si giunge a quell’Assoluto che solo è perfetta gioia e libertà. E’ questo il percorso della migliore tradizione spirituale cristiana, distante da quella “mistica” fatta principalmente di “doni “ sensibili, visioni audizioni godimenti, cui erano rivolte anche molte mistiche contemporanee a Margherita Porete [5]. Il percorso che l’Anima, o la persona spirituale, deve seguire, è adeguarsi a riconoscere il dominio della necessità, acquisire diversi stati di coscienza, sapendo che lo spirituale è ricco del sensibile, non opposto ad esso. Tutte le cose sono senza sforzo al nostro servizio, se siamo in armonia con esse, se non abbiamo volontà appropriativa rispetto ad esse. La meta raggiunta dall’Anima-Margherita saprà amare senza desiderare, nulla volere, essere in perfetta pace nella volontà di Dio, senza alcun impulso della propria volontà.

    Giungendo lei a niente essere, niente volere, niente sapere, neppure la volontà di Dio, sarà Dio ad agire per l’Anima, “per lei senza di lei”. Amata prima di ogni inizio da Dio, dal solo, per sua sola bontà, l’Anima ottiene così la sua vera forma, ossia è trasformata in Dio. L’umiltà più profonda, la coscienza di essere niente in sé, le ha dato il tutto [6]; e “senza alcun perché” è una delle cifre del libro di Margherita.

    Nel libro di Margherita – vero capolavoro spirituale – non vi è traccia di quella religiosità (ad esempio di tipo francescano) che insiste sul dolore come strumento privilegiato di pietà: all’esperienza dell’autrice è chiaro che la pietas è l’altra faccia del pathos, e il dolore una forma di sensualità e di legame. Nel libro di Margherita nulla più turba la gioia dello spirito, che è la pace del pensiero, per cui l’anima è “sempre pensosa senza tristezza, gioiosa senza dissolutezza” [7]

    Parafrasando i pensieri di Margherita Porete ci troviamo subito in presenza della negazione, dell’opposizione dei contrari e al suo superamento, ovvero alla dialettica, la forma stessa dello spirituale. Porete chiama “nobile Amore” quello che Meister Eckhart chiama principalmente distacco, Gelassenheit: comprendere la verità di ogni contenuto, di ogni forma di vita, accettarlo e superarlo pensandolo dialetticamente, significa eliminare l’attaccamento al male. Essere nel distacco del nobile amore vuol dire comprendere il profondo legame che tutto tiene. Rimossa ogni oggettività, è nell’atto di conoscere/amare che ci si unisce a Dio, ovvero è in noi che si genera il Verbo [8].

    L’amore-distacco passa attraverso la distruzione dell’io e della sua autoaffermatività, ciò che si ottiene non negando l’io, ma portandone ad esaurimento la brama di essere, avere, potere: è questa la strada della nobiltà e dell’amore, già delineata nel Convito platonico. Andare sempre oltre la finitezza, non essere encombrez di se stessi, è il gesto stesso dell’uomo nobile, l’uomo della dialettica, dell’intelligenza che brucia tutti i contenuti; intelletto e amore sono i due occhi dell’anima, che la rendono semplice e pura. L’emprise di Margherita è questa avventura d’amore, che non consiste – citiamo da Marco Vannini - [9] “nel dare la caccia alla verità come se fosse un oggetto da possedere, da catturare, o magari da “sapere”.

    Non si deve pensare che Dio sia altro, forse così o forse cosà , ma si tratta invece di essere in un modo: abbandonare i modi dell’interesse, che crea l’oggettività e l’appropriazione, ed assumere il modo “senza modo” dell’amore/distacco, che si sbarazza di ogni immagine, e si sbarazza di ogni immagine perché rifiuta ogni finitezza. La nobiltà dello spirito non vuole catturare nulla, ma essere l’essere, e perciò fa il nulla di sé medesimo, in quanto accidentale complesso di determinazioni”.

    Il concetto di Dio presente nel libro di Porete - continua Vannini - è sì un concetto personale, nel senso di una realtà non puramente frutto del nostro pensiero, ma di una personalità infinita, assoluta, ‘senza modo’, che infinitamente appare nel molteplice, e che non può apparire come alterità, pena il cadere nella finitezza – e perciò appare come seità di te stesso: “Chi vede me, vede il Padre” [10]. Margherita insiste: la personalità di Dio è amore, perciò lo si conosce se lo si è, conoscerlo è generarlo. Eckhart scrive che Dio è un ente solo per chi, nel peccato, è determinato così e così [11] .

    Rimandiamo al saggio di M. Vannini, dal quale citiamo, anche per il tema del rapporto tra il pensiero di Margherita e quello di Meister Eckhart; e inoltre per il tema del superamento della mediazione [12], connesso all’accusa di panteismo, spesso rivolta ai pensatori spirituali di quest’ambito. Assolutamente diversa dal panteismo, come dal suo presunto opposto, ovvero da ogni pensiero oggettivistico, chiuso in se stesso, è l’esperienza spirituale di Margherita, nella quale la dialettica è componente essenziale. In essa Dio è chiamato significativamente il Lontanovicino: così come, al tempo stesso, tutte le cose sono divine e nessuna lo è [13].

    Il Miroir è un’opera letteraria di grande valore, di grande ricchezza inventiva, che alterna prosa e versi, come nella tradizione dell’epoca, si pensi solo alle opere minori dantesche. Novità è anche l’uso della lingua volgare, in origine probabilmente il piccardo [14]. Nei volgari si era scritto e raggiunto dignità letteraria specie nei generi della lirica amorosa e del romanzo, importanti per i laici e soprattutto per le donne. Avviata al declino, la letteratura cortese lasciava quella mistica erede di un linguaggio e di forme che, anche in quanto ponevano un ideale, un assoluto di perfezione, ben si prestavano ad essere trasferiti nell’ambito dello spirituale. Prima di Margherita , la cui lingua è il francese, intinto di fiamminghismi e piccardismi, avevano scritto la loro esperienza interiore e la loro dottrina spirituale, nelle rispettive lingue germaniche, le beghine Hadewijch d’Anversa, Beatrice di Nazareth e Matilde di Magdeburgo. Degli andamenti liberi, della freschezza e del vigore dei primi testi spirituali in volgare, in una lingua viva che si veniva via via creando, ha scritto tra gli altri, con la consueta finezza, J.-B. Porion [15].

    La scrittura di Margherita risuona di giochi di ripresa e ripetizione, d’accoppiamento o di contrasti lessicali, d’assonanza e di ricorrenza (ad esempio assembramenti d’identiche parole, o di parole dalla medesima radice), che tendendo all’iperbole fissano e conservano, facilitando l’ascolto agli “uditori”, che immaginiamo sulla via, o in qualche riparo dalle intemperie, ascoltare l’autrice-predicatrice [16] . “Se la parola non si ripetesse, sparirebbe”, scriveva Ibn Rachiq [17]. Mentre, per una qualche completezza d’informazione sullo stile di Porete, rimandiamo al saggio di chi scrive questa nota e alla relativa bibliografia [18], accenniamo ancora solo alla frequenza della litote, della negazione, dell’antitesi e del ‘senza’: non si tratta tanto di ornamenti retorici, ma di una forma di pensiero negativo che si affaccia fin dall’attributo delle Anime del titolo (“annichilate”), e che concerne anzitutto Dio, “incomprensibile tranne che da se stesso” (cap. 5,51), che “non fu mai detto né mai lo sarà” (cap. 30,21). E gli esempi si potrebbero moltiplicare.

    Del libro abbiamo cercato di dire per cenni, dell’autrice vorremmo pure dire, ma possiamo solo risalire ai documenti processuali [19], che riferiscono minutamente ricerche e giudizio riguardante un libro di cui tacciono autore, titolo e contenuto. Sono i cronisti presenti al processo e al rogo a dire della dolorosa vicenda di una beghina, ovvero pseudomulier [20], del Nord-est della Francia, Margherita Porete di Hainaut, persona colta, letterata e valente teologa (en clergrie moult suffisant), e a registrare altresì la commozione per il suo pentimento e fervore nell’avviarsi tra la folla verso il rogo. Occorre notare che qualche dubbio sulla appartenenza della scrittrice all’ambiente beghinale è sollevato da lei stessa, quando nel cap. 122, 86-90, cita anche le beghine, insieme a religiosi di diversi Ordini, tra coloro che non comprendono la dottrina esposta nel suo libro.

    La diffusione del quale fu eccezionale, notevolissima l’influenza che esercitò sulla letteratura devota europea. Tramandato, nella versione francese (il ms di Chantilly, Condé F XIV 26 ) e nelle varie traduzioni, in tredici mss, pur disgiunti dal nome dell’autore, o ad altri attribuito. Ritiene Guarnieri che dell’originale piccardo [21] come della versione latina coeva si dovettero salvare diversi esemplari. Ed è sicuro che il dossier del processo parigino contro Porete, portato al Concilio di Vienne (1311-12), fu utilizzato abbondantemente nella stesura della condanna dei begardi.

    Cinque traduzioni del libro furono condotte in epoca ancora medievale, una prima latina, unica e identica nonostante le variazioni del testo, condotta direttamente sul francese, si legge nei tre mss della Biblioteca Vaticana: Rossiano 4 (Vat. Lat.1041), Vat. Lat. 4355, Chigiano C IV 85, e inoltre in un frammento di due sole colonne di un ms di Oxford, il Bodl.Laud. lat. 46. Trenta passi tra i più discussi del testo poretiano si leggono infine nel Vat.Lat. 4953. Su quest’unica versione latina, coeva all’autrice [22], furono condotte nel corso del XIV secolo due traduzioni italiane, di cui ignoriamo l’autore, come lo ignoriamo dei numerosi annotatori-correttori attivi con cancellature, note a margine e simili [23]. La prima versione è più colta, più vicina al latino, con qualche francesismo di misteriosa origine: in molti passi oscura; ci è giunta in un unico codice, appunto il Riccardiano 1468, che Romana Guarnieri ha trascritto in appendice al volume edito dalle Edizioni San Paolo, contenente la prima traduzione italiana moderna del Miroir, a cura di chi scrive queste note. Dell’altra versione italiana dal latino, di poco successiva, si conoscono tre codici, che contengono una sorta di rielaborazione e correzione del precedente, con coloriture dialettali della lingua e molte soluzioni linguistiche diverse (e non poche alternative, introdotte da “ovvero”). Probabilmente si rivolgeva ad un pubblico non particolarmente preparato, ed è sicuramente nato [24] a servizio di un pubblico di laici, Fraticelli o Gesuati [25]. Non è impossibile che il traduttore del Riccardiano di Firenze, o il rielaboratore, sia il famoso Giovanni Tavelli da Tossignano (1368-1446), ottimo volgarizzatore di testi devoti, a uso e consumo dei suoi confratelli Gesuati – gente semplice, illetterata – tra i quali era vissuto per molti anni, prima di salire sulla cattedra episcopale di Ferrara, dove ospiterà l’omonimo Concilio, indetto dal suo fraterno amico Eugenio IV [26].

    Che la seconda versione avesse diffusione relativamente maggiore si deve forse al fatto che il testo circolava sotto il manto della beata domenicana Margherita d’Ungheria; di lei esso contiene in appendice un breve racconto sul modo presunto in cui la Beata avrebbe ricevuto le stimmate. Fu F. Banfi [27] , venuto a conoscenza dell’edizione inglese del Mirror, a dimostrare definitivamente il carattere apocrifo di tale attribuzione.

    Due le traduzioni in medio-inglese, la prima, perduta, siglata M.N. come la successiva. La seconda è attenta a interpretare e glossare in senso ortodosso i passi più audaci. Nel 1491 questa seconda versione inglese fu a sua volta tradotta in latino dal noto cultore della mistica e volgarizzatore in latino del Cloud of Unknowing, dom Richard Methley (1451-1528), vicario della Certosa di Mount-Grace nello Yorkshire. Se ne conservano tre mss, tutti del secondo Quattrocento.

    Forse, scrive sempre Guarnieri, non è un caso che nel XX secolo il Miroir sia riemerso, ancora adespota, proprio in Inghilterra, nella modesta edizione curata nel 1927 dalla Kirchberger [28]; nella quale lo lesse e lo apprezzò nel 1942 Simone Weil, che, nel Taccuino di Londra, del pensiero di Porete significativamente annotò: “Chi è quel che crede, crede davvero”.

    Chiudiamo questi cenni con alcune notizie sul Ricc 1468, che fa parte – lo dice la segnatura – della Biblioteca antica, probabilmente quella nobilitata nel Settecento dalle competenze e dalla passione del suddecano Gabriello Riccardi, “il più raffinato bibliofilo della casata” [29]. Con una legatura in cuoio bruno con impressioni, restaurata, del tardo Quattrocento o d’imitazione, scritto su pergamena, il codice misura mm 146 per 100 ed è rilegato su fettucce di capra allumata; aggiunto all’inizio del volume un bifolio, diversamente rilegato, incollato per la prima faccia al piatto della legatura come controguardia, mentre l’altra faccia costituisce la carta di guardia. Sul bifolio, parrebbe da altra mano, o comunque da mano d’epoca diversa, sono trascritti passi di Origene, come altresì sul verso del foglio 88 in fondo, dopo quella che R. Guarnieri definisce nella sua Nota “una preghierina del copista “. E’ toccante la presenza dei testi di Origene, specialmente attento alla religiosità femminile, in questo testo di altissima spiritualità, e di un pensiero pagato con la condanna e con il rogo, che forse anche per questo ci illumina ancora potentemente.




    Note


    [1] Nello stesso anno 1310 , moriva in odore di santità a Firenze, dov’è sepolta in Santo Spirito di Bagno a Ripoli, chiesa del convento da lei fondato, la beata Umiltà da Faenza, analfabeta fondatrice delle Vallombrosane. Devo a Julia Bolton Holloway questa ed altre notizie, di cui le sono molto grata. Aggiungo la sua riflessione che Firenze fosse all’epoca più favorevole che Parigi o Valenciennes alle donne spirituali. Umiltà è raffigurata in San Pietro in San Salvi dalla statua dell’Orcagna, ed agli Uffizi altresì nel polittico di A. Lorenzetti.

    [2] R. Guarnieri, Prefazione storica, in M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, traduzione di Giovanna Fozzer, prefazione storica di Romana Guarnieri, commento di Marco Vannini, Edizioni San Paolo 1994, p.39.l

    [3] M. V annini, Libro di vita e di battaglia, in M. Porete cit.

    [4] Si veda Julian of Norwich, Showing of Love Extant texts and translation, ed.Sister A.M. Reynolds C P and J Bolton Holloway, Sismel Edizioni del Galluzzo, Firenze 2001, p. 15 e passim.

    [5] Si pensi solo all’esortazione di Giovanni della Croce a diffidare sempre dei “doni sensibili” (Salita del Monte Carmelo, cap.11). Anche per Porete, come per Meister Eckhart, la grazia divina ha sede nell’essenza dell’anima, mai nelle sue facoltà, e quindi non compie segni e prodigi, che ricadono nel determinato, nello spazio-temporale, e verrebbero quindi, caso mai, dal “principe di questo mondo”.

    [6] G. Fozzer, Introduzione a M. Porete, Nobile Amore, Antologia, Ed .Piemme 1996, p. 24 e passim

    [7] M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, cit , cap. 22,19.

    [8] M. Vannini, Libro di vita e di battaglia, in M. Porete, cit., p. 103

    [9] Ibid., pp. 85-86.

    [10] Gv 14,9.

    [11] cfr Commento alla Genesi (a cura di M. Vannini, Genova 1989), n.211

    [12] Quello che del pensiero poretiano può turbare di più il lettore è il rifiuto di ogni mediazione, il mettere in secondo piano – rispetto alla propria coscienza ed esperienza – la Scrittura e la Chiesa. Questo è del resto la pietra di scandalo in ogni esperienza di unitas spiritus, nei confronti di qualsiasi religione costituita – non solo del cristianesimo.

    [13] Libro di vita e di battaglia, in M. Porete cit. p.94. Può essere interessante sapere che in piccardo scriveva Brunetto Latini esiliato ad Arras, e piccardi sono molti dei mss in mostra per il nostro convegno.

    [14] Si veda il saggio storico di R.Guarnieri cit. p. 39 e passim

    [15]In Hadewijch d’Anvers, Ecrits mystiques des béguines, Paris 1954, pp. 10 ss.

    [16] Elementi di un quadro in gran parte d’invenzione, ma plausibile, della vita di Margherita, si possono riscontrare nella narrazione - o biografia immaginaria - Nello specchio di Margherita, Firenze 2001, di cui è autrice chi scrive questa nota.

    [17] Un poeta arabo dell’XI secolo (citato da P. Zumthor, La lettera e la voce, Bologna 1990, p. 269).

    [18] Specchio di grazia e conoscenza, in M. Porete cit., p.

    [19] Si veda il saggio storico di R. Guarnieri, in M. Porete cit., p.9 e ss.

    [20] Quanto a dire – scrive R. Guarnieri a p. 23 del saggio già citato – beghina irregolare. Si può scorgere nel termine anche una sfumatura di disprezzo verso le molte specie di donne religiose, più o meno ‘irregolari’. Porete, secondo uno dei cronisti, avrebbe anche tradotto in volgare la Bibbia, notizia non confermata da alcun altro documento, ma in linea con quanto documentato a carico delle mulieres religiosae della fine del Duecento.

    [21] Ulrich Heid, Studien zu M.P. und ihrem ‘Miroir des simplex ames’’, in Religiose Frauenbewegung (ed. Dinzelbacher/Bauer), pp. 185-211 si chiede se il ms di Chantilly, che si presenta in un francese pressoché puro dell’Ile-de-France, sia la traduzione in mediofrancese di un testo antico-piccardo, o se sia una trascrizione in grafia umanistica di un originale in antico francese, nel qual caso l’autrice non sarebbe della regione del nord.

    [22] Dalla quale furono tratte, isolate dal contesto secondo la prassi, le proposizioni per la condanna del pensiero di Margherita, e per il suo rogo.

    [23] R. Guarnieri, Nota alla edizione della versione trecentesca in volgare italiano (ms Riccardiano 1468), in M. Porete cit., p.506.

    [24] R. Guarnieri, Nota di edizione cit., p.506-507.

    [25] Luigi Santini, Il cimitero protestante detto degli Inglesi in Firenze, ed. K.S. 1981, nel definire il luogo in cui sorse il cimitero scrive tra l’altro che nella cerchia muraria s’aprì una porta proprio tra un convento dei Gesuati e un monticciattolo: “quei frati si dedicavano alla fabbricazione di vetrate colorate, e fu così che la porta fu detta ‘a Pinti’”. E’ ancora suggestione e ipotesi di J. Bolton Holloway che proprio nell’ambiente spirituale loro fosse condotta la traduzione ‘fiorentina’ contenuta nel Riccardiano 1468; R. Guarnieri ha trovato coloriture dialettali venete nel la prima delle tre copie esistenti della seconda traduzione italiana, e ci informa che 36 esemplari dello Specchio. (Introduzione storica cit., p. 50) furono trovati, durante la visita apostolica di Giovanni da Capestrano nel 1437, presso “quei sant’uomini dei gesuati di Venezia” . Erano anche loro artigiani vetrai?

    [26] All’interno di un contesto dottissimo, Guarnieri ci informa ancora (Introduzione storica cit., pp. 49-51) che al Concilio di Basilea, nel 1439, questo Papa fu accusato di eresia per l’appoggio dato ai seguaci del Miroir.

    [27] Specchio delle Anime Semplici dalla b. Margarita d?Ungheria scripto, in Memorie Domenicane, 1940, pp. 3-10 e 133-140.

    [28] The Mirror of Simple Souls by an Unknown French Mystic of the thirteenth Century. Translated into English by M. N. Now first edited from the mss by Clare Kirchberger (The Orchard Books, XV), London-New York 1927.

    [29] Si veda I colori del divino, a cura di Giovanna Lazzi, catalogo della mostra allestita nel 2001 alla Biblioteca Riccardiana, con il saggio della stessa studiosa Figure di fede (in particolare pp. 21 e ss.), dove è suggestiva anche l’attenzione riservata alle donne nella liturgia. Viva gratitudine devo alla Direttrice dell’illustre Biblioteca fiorentina per le generose informazioni, la disponibilità e la cortesia.


    www.lafeltrinelli.it

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