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    Predefinito Russia-Georgia-Ossezia:eventi, imperialismo occidentale e strategie politiche

    OMNIA SUNT COMMUNIA

    Un'autobomba è esplosa nei pressi del quartier generale dei peacekeeper
    Due giorni fa la missione dell'Unione europea si è schierata nella fascia di sicurezza


    Ossezia, attentato vicino alla base russa
    Sette persone uccise e tre ferite




    Osservatori Ue parlano con un soldato russo vicino al villaggio di Nabakhtevi



    MOSCA - Sette persone hanno perso la vita e tre sono rimaste ferite in un attentato a Tskhinvali, capitale della regione separatista dell'Ossezia del sud. Un'autobomba è esplosa nei pressi della base degli osservatori di pace russi e almeno sei delle vittime sarebbero peacekeepers di Mosca.

    "In base alle informazioni disponibili, una Uaz parcheggiata vicino al quartier generale delle forze di pace (russe, ndr) è esplosa alle 16.45 ora di Mosca" (14.45 in Italia, ndr), ha detto Irina Gagloieva, capo della commissione per la stampa e l'informazione della repubblica georgiana che si è proclamata indipendente, ed è stata riconosciuta da Mosca dopo il conflitto dello scorso agosto.

    Sotto l'auto era piazzato un potente ordigno che ha causato l'esplosione mortale. Sei uomini sono morti immediatamente, il settimo in ospedale. I soldati russi si sarebbero avvicinati all'auto per un controllo e qualcuno a distanza ha azionato il detonatore.

    Diversa la versione fornita dall'agenzia di stampa russa Itar-Tass, secondo la quale l'obiettivo dell'attentato sarebbe stato un amministratore regionale nominato dalle forze russe, Anatoly Margiev, il cui veicolo era appena passato quando si è verificata l'esplosione, provocata da un ordigno radiocomandato. Il politico ha però fatto in tempo ad abbandonare l'autovettura e a mettersi in salvo.

    Il presidente dell'Ossezia del sud, Eduard Kokoity, ha accusato i servizi segreti georgiani di aver organizzato l'azione terroristica: "gli ultimi atti dimostrano che la Georgia non ha rinunciato alla politica del terrorismo di Stato. Non abbiamo alcun dubbio che questi atti di terrorismo sono stati compiuti dai servizi segreti georgiani", ha dichiarato Kokoity, sostenendo che tali episodi "fanno fallire gli sforzi della comunità internazionale per stabilizzare la situazione nella regione e ostacolano il piano di pace Medvedev-Sarkozy". Un'altra esplosione si è verificata oggi nella regione di Leningorskij, ma al momento non si hanno dettagli su eventuali vittime.
    L'attentato segue di due giorni il dispiegamento della missione di osservatori dell'Unione Europea nella fascia di sicurezza che separa la Georgia dall'Ossezia del Sud.

    www.repubblica.it

    (3 ottobre 2008)



    ARDITI NON GENDARMI

  2. #2
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    OMNIA SUNT COMMUNIA


    Conflitto nel Caucaso: una critica alle posizioni della “sinistra alternativa” italiana
    di Mauro Gemma *
    Poche volte nel corso del 2008, come in occasione della recente guerra che ha sconvolto, lo scorso agosto, la regione del Caucaso, abbiamo assistito allo scatenamento di un vero e proprio bombardamento mediatico, che ha coinvolto l’intero apparato dell’informazione e dei commentatori politici del nostro paese (anche se con alcune lodevoli eccezioni nella stessa “stampa di regime”, come quelle di Lucio Caracciolo, Sergio Romano e Boris Biancheri, per non parlare dei coraggiosi e documentati contributi di voci “fuori dal coro” come quelle di Manlio Dinucci e Giulietto Chiesa), tendente ad affermare la tesi, secondo cui la pronta (e per molti, inaspettata) e vittoriosa risposta della Russia all’ennesima provocazione alle sue frontiere altro non rappresenterebbe che una tra le tante manifestazioni della “volontà imperiale” dell’attuale gruppo di “nuovi zar” al potere a Mosca.
    A questo cliché non è sembrato sottrarsi neppure gran parte del dibattito apertosi sulle pagine di Liberazione, dopo la pubblicazione (http://www.liberazione.it/a_giornale...ubb=30/08/2008) di un contributo di Fosco Giannini che sottolineava “come il modo con cui la Russia ha saputo fronteggiare la crisi caucasica abbia rappresentato non un semplice episodio dello scontro tra potenze per i reciproci interessi espansionistici, ma una manifestazione di resistenza vittoriosa da parte di una grande potenza alle pretese egemoniche globali dell’imperialismo USA”, proponeva come chiave di lettura quella oggi fornita “dai settori più consapevoli del fronte antimperialista mondiale (Cuba e Venezuela, in primo luogo)” e si rammaricava del fatto “che tale consapevolezza ritardi tanto a farsi strada anche tra la sinistra alternativa del nostro paese”.
    E’ sorprendente come la ricostruzione dei fatti che hanno portato al precipitare della crisi nel Caucaso, operata dai diversi esponenti del PRC intervenuti, non si discosti molto da quella fornita dalla grande maggioranza dei media occidentali. In praticamente tutti gli interventi (caratterizzati sostanzialmente dalla tesi, francamente paradossale, secondo cui l’attacco di Saakashvili e dei suoi consiglieri della NATO e di Israele avrebbe fornito ai russi il pretesto che essi aspettavano, per permettere loro per dare corso ai propri piani espansionistici, aventi come obiettivo il pieno controllo delle risorse e dei flussi energetici della regione) si è evitato accuratamente di dare conto della scalata di provocazioni a cui la Russia di Putin (sottrattasi al periodo di “vassallaggio” coloniale nei confronti delle potenze imperialiste occidentali che aveva caratterizzato la precedente amministrazione Eltsin) è stata sottoposta negli ultimi anni, trasformandola in un paese assediato, alle prese con il rischio di esplosione della Confederazione degli Stati Indipendenti (che ha sostituito l’Unione Sovietica) e con le insidie per la sua integrità territoriale (in ragione del massiccio sostegno esterno a tutte le spinte separatiste nella stessa Federazione Russa).
    I dirigenti di Rifondazione, o ad essa vicini, intervenuti nel dibattito, anche quelli (Mascia, Musacchio, Agnoletto), che pure dovrebbero esserne a conoscenza in ragione delle loro specifiche competenze di dirigenti della “Sinistra Europea” e di parlamentari europei, non sembrano attribuire alcun peso a una ponderosa documentazione ampiamente disponibile (perlomeno agli addetti ai lavori) che dà minuziosamente conto della infinita sequela di interferenze imperialiste, che si inquadrano in una precisa strategia che mira apertamente alla destabilizzazione della situazione politica in Russia. Una vera e propria scalata di sfacciate provocazioni, all’interno e alle frontiere della Federazione Russa, un vero e proprio assedio di installazioni militari USA, anche nelle repubbliche ex sovietiche confinanti assoggettate a suon di “colpi di stato”, che ha avuto il suo apice nella realizzazione dello scudo missilistico in Europa orientale (“benedetto” anche dai governi dell’Unione Europea, compreso quello di centro-sinistra, di cui il PRC ha fatto parte fino a pochi mesi fa).
    Gli echi delle posizioni apparse nell’organo del PRC (anche se sarebbe meglio dire l’organo della corrente bertinottiana del PRC) si avvertono nell’appello firmato da un folto gruppo di dirigenti della sinistra italiana, in vista della mobilitazione dell’11 ottobre, in cui nella sostanza, accreditando la tesi della “sindrome da grande potenza della Russia”, da contrastare esattamente alla stessa stregua delle pulsioni egemoniste degli USA, si mette sullo stesso piano aggressore e aggredito. Di più: è la prima volta che, in un appello così importante che dovrebbe coinvolgere i due partiti comunisti, appare un esplicito invito alla mobilitazione contro la Russia. Non era mai successo, se non nelle prese di posizione di "movimenti" suscitati da organismi come la "Tavola della pace", ecc. E' la sciagurata tesi della equa ripartizione delle responsabilità tra l'imperialismo aggressore e la Russia che sta subendo da anni l'accerchiamento imperialista. E non è bastato. All’ultimo Comitato Politico Nazionale del PRC del 13 settembre, che è avvenuto in coincidenza temporale con l’acuirsi dello scontro tra le esperienze rivoluzionarie dell’America Latina e l’imperialismo USA, non solo ci si è disinvoltamente dimenticati di solidarizzare con Chavez, Morales e le rivoluzioni latinoamericane, oggetto di un attacco senza precedenti che si propone la “restaurazione” nel “cortile di casa” di Washington attraverso il ricorso a soluzioni di tipo “cileno” e all’uso spregiudicato di fedeli alleati dell’amministrazione Bush come la Colombia del fascista Uribe, ma, per iniziativa della componente bertinottiana, si è anche scatenata una vera e propria offensiva (a cui il resto del PRC sembra non essere in grado di rispondere con solidi argomenti che valorizzino la natura di forza antimperialista del partito, capace di schierarsi senza esitazioni a fianco delle ragioni dei movimenti di liberazione di tutto il pianeta), per costringere alla mobilitazione contro la Russia, condannandone “l’aggressione della Georgia”, con un sostanziale allineamento alle posizioni della “sinistra filo-imperialista” italiana, targata PD.
    E’ perlomeno sconcertante verificare come dalla maggior parte dei dirigenti della sinistra italiana non si sia levata la condanna senza tentennamenti del genocidio provocato dai georgiani, ridotto appunto al rango di una scaramuccia che avrebbe fornito l’alibi per la “ingiustificata” reazione aggressiva dei russi. Negli interventi riportati da “Liberazione” non troviamo infatti traccia di un riferimento indignato al massacro di migliaia di innocenti in Ossezia del Sud. Persino l’utilizzo da parte dei georgiani delle micidiali bombe a frammentazione, ricevute in dotazione da Israele, testimoniato da organizzazioni umanitarie e osservatori più che attendibili, viene attribuito all’esercito russo (come fa Vittorio Agnoletto in Liberazione del 2 settembre). Non una parola viene detta sulla presenza, a fianco dei militari di Tbilisi, di consiglieri americani, di volontari fascisti provenienti da altri paesi, a cominciare da quelli ucraini delle formazioni nostalgiche del collaborazionismo con Hitler. Non si trova un solo riferimento alla presa di posizione del PC ceco-moravo (principale protagonista politico della grande mobilitazione contro lo scudo missilistico in funzione anti-russa) che chiede, raccogliendo un appello internazionale, l’istituzione di un tribunale per giudicare Saakashvili. Non un accenno alla posizione dei comunisti russi e georgiani che, fin dall’inizio hanno giustificato e appoggiato senza esitazioni la reazione del governo russo. E neppure alla lettera aperta inviata dai comunisti russi alle sinistre di tutto il mondo, perché respingano la gigantesca campagna informativa occidentale sul conflitto caucasico. Non un barlume di consapevolezza sul fatto che assumere acriticamente la lettura “occidentale” degli avvenimenti non può far altro che favorire, nel confronto all’interno dell’attuale gruppo dirigente russo e nel suo partito di riferimento “Russia Unita”, quei settori (che godono del sostegno dell’organizzazione dell’ imprenditoria privata e di quegli esponenti dei partiti neoliberisti spazzati via nel parlamento dalla volontà del popolo russo) che premono, in virtù di solidissimi interessi economici, per il ritorno alle pratiche “eltsiniane” di sostanziale omogeneità politica, economica e militare alle strategie di egemonia globale perseguite dall’imperialismo e che, conseguentemente, osteggiano in ogni modo la configurazione di un nuovo sistema di alleanze strategiche della Russia, a cominciare da quelle che si vanno profilando con le nazioni antimperialiste dell’America Latina e con alcuni stati del Medio Oriente, come la Siria.
    Alla maggior parte dei dirigenti della sinistra italiana, sostenitori della tesi dell’espansionismo russo sembra non interessare nulla che ad ogni provocazione dell’imperialismo i dirigenti del Cremlino avessero risposto, fino allo scatenamento dell’aggressione georgiana, con mosse difensive, privilegiando essenzialmente il terreno della manovra diplomatica e ribadendo, con ostinazione, in sintonia con altri protagonisti della scena mondiale, come Cina, India e i paesi appartenenti al movimento dei non allineati, il loro ripudio di ogni egemonismo e l’impegno per la realizzazione di un clima di “coesistenza pacifica” che favorisca il “multipolarismo”, la non ingerenza negli affari interni di ogni paese, la negazione dell’esistenza di “stati canaglia”, la denuncia della politica del “doppio standard”. Altro che politica imperiale espansionista!
    I dirigenti della sinistra “alternativa” italiana non vogliono capire che ciò che l’imperialismo non perdona alla dirigenza russa, in particolare quella più vicina a Putin, è la determinazione che essa ha dimostrato nel riportare la Russia sulla scena mondiale, nel sottrarla al rischio di essere condannata al ruolo di colonia delle potenze e delle multinazionali occidentali e destinata a subire gli stessi processi di frammentazione dell’URSS, nell’avere azzerato il pauroso deficit che aveva portato il paese sull’orlo del precipizio finanziario, nell’avere migliorato, pur in presenza ancora di grandi ingiustizie e contraddizioni sociali, il tenore di vita di milioni di cittadini. Nell’avere, soprattutto, garantito la restituzione al controllo statale di gran parte delle enormi risorse energetiche, che, con Eltsin, hanno corso il rischio di finire completamente nelle mani delle multinazionali occidentali. Sono fatti che nessuno può contestare credibilmente, ma che, in particolare da parte dei dirigenti di Rifondazione, si continua tenacemente ad ignorare, preferendo attenersi ai cliché della peggiore propaganda anti-russa (quella, tanto per intenderci, dei radicali, degli ex “sessantottini” francesi teorici dell’ “imperialismo democratico”, di certi giornali moscoviti copiosamente finanziati dalle istituzioni del governo USA e di intellettuali russi di casa in Occidente che, ai tempi del secondo golpe di Eltsin nel 1993, non ebbero dubbi a sostenere il massacro di centinaia di difensori del parlamento russo) che tende a presentare lo scontro in atto, come una sorta di lotta all’ultimo sangue tra il modello delle “democrazie occidentali” (ritenuto, al di là delle critiche di rito, comunque “superiore”) e la “barbarie” di un regime autocratico che starebbe violando i diritti umani. Fino ad assumere toni di pregiudizio persino nei confronti dei cittadini russi, a volte con veri e propri accenti razzisti, quasi rappresentassero essi stessi (in ragione del consenso plebiscitario manifestato nei confronti dell’attuale leadership) un popolo “geneticamente autoritario”.
    Non ci si sottrae certo all’impressione di trovarsi di fronte ad una drammatica accelerazione della deriva delle scelte di politica internazionale della “sinistra alternativa” italiana (che già aveva dato la peggior prova di sé nella condivisione delle scelte del governo di centro-sinistra, che si posizionavano tutte nel contesto dell’allineamento alle strategie politiche e militari dell’imperialismo occidentale), di fronte a cui, disgraziatamente, la risposta delle forze più conseguentemente antimperialiste del nostro paese (peraltro disperse e spesso attraversate da incomprensibili contrapposizioni e incomprensioni) stenta a farsi sentire e corre seriamente il rischio di ridursi ad una innocua “puntura di spillo”.


    * Il presente articolo è stato scritto per “Gramsci oggi”

    ARDITI NON GENDARMI

  3. #3
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    Predefinito Usa-Russia, la nuova politica di potenza

    OMNIA SUNT COMMUNIA

    Usa-Russia, la nuova politica di potenza

    Rita di Leo



    Gli eventi nel Caucaso hanno riportato al primo posto la politica di potenza, dopo decenni di schermaglie ideologiche. Le ultime guerre avevano ancora un'etichetta giustificativa, «dall'intervento umanitario» per la dissoluzione della Jugoslavia nel 1999 «all'esportazione della democrazia» in Iraq nel 2003. L'Afganistan è un caso a sé, è la reazione degli Usa all'ingiuria subita nel 2001, una reazione che nel 2008 si va rivelando un boomerang per l'esercito più potente del mondo. Quasi come lo sciagurato intervento dell'Urss nell'Afganistan del 1979. Taleban uber alles? A lungo la politica di potenza è stata messa in ombra da forme della politica che si ispiravano a progetti strategici: socialismo, conservatorismo, neoliberismo, welfare state, che altro ancora? Oppure da forme della politica che alla luce del sole perseguivano gli interessi di grandi imprese nazionali: acciaio, petrolio, elettronica, informatica, Wal-Mart.
    Dietro ciascuna forma di politica vi erano le rispettive élite con programmi e strumenti per realizzarli: politici professionali, lobby potenti, media sofistificati, apparati elettorali, partiti, parlamenti, presidenti.
    Rispetto a progetti universali e a interessi di parte la guerra dei 7 giorni in Georgia ha restituito alla politica di potenza la sua multisecolare priorità. Il mondo si è risvegliato per come ancora è, diviso tra Usa e Russia, le potenze strategico-militari che non hanno concluso la loro partita a due. Dopo quasi 20 anni scopriamo che il 1989 è stata solo una battaglia, e che in ballo non c'erano tanto il capitalismo e il socialismo, quanto le due potenze, America e Russia. La battaglia del 1989 è stata vinta dagli Usa, i quali hanno gestito la vittoria nel peggiore dei modi, come fecero i francesi con i tedeschi dopo la prima guerra mondiale. Hanno umiliato il nemico imponendogli la rinuncia a porzioni rilevanti dell'ex Urss e poi autodafè di ogni tipo, culturali, politiche, economiche. I 74 anni di eccezionalismo sovietico andavano sradicati e rinnegati da parte di ciascun abitante della terra russa. E naturalmente da tutti coloro che nel resto del mondo vi avevano fatto riferimento. Così è stato.
    Nella Russia sconfitta le nuove élite si sono entusiasticamente assimilate al clichè dei vincitori. Ma una cosa è spartirsi la ricchezza nazionale privatizzandola e un'altra avere a che fare con l'enorme marchingegno della seconda potenza strategico-militare, ancora in piedi. Persino gli oligarchi più spregiudicati si sono tirati indietro e pian piano si son fatti avanti i militari e l'intelligence. Sono loro, in sintonia con la strategia di Putin, a aver riportato la Russia, come stato-nazione sulla scena internazionale. Essi hanno fatto riferimento al capitale esistente delle tante città chiuse dove con i proventi del petrolio si son potuti rammodernare gli armamenti e reinvestire nella ricerca scientifica. A quale scopo? Innanzitutto per farsi rispettare dal vincitore del 1989. Per contenere e reagire alle umiliazioni materiali e immateriali subite nei primissimi tempi, con Yeltsin. Yeltsin, il leader politico favorito dagli Usa, capace di cannonneggiare il parlamento per fare fuori i suoi oppositori, e in grado di far spendere al Fondo monetario internazionale milioni di dollari per vincere le elezioni. Passato infine alla storia come il campione della democrazia nelle ultime scaramucce contro il sistema sovietico. Il suo unico madornale errore è stato la designazione di Putin a suo successore.
    Gli Usa hanno faticato a accorgersi di chi avevano di fronte, del fatto che con Putin la partita era ripresa. A lungo hanno creduto fosse sufficiente fare il vuoto intorno alla Russia sconfitta. E dunque hanno elargito privilegi e protezione alle repubbliche che facevano parte dell'Urss, imponendo-convincendo gli europei a farle entrare nella Nato, nell'Unione europea. Le hanno sostenute nelle loro rivendicazioni più provocatorie: da quelle contro Bruxelles a quelle delle leggi che rendevano i 25 milioni di abitanti russi, stranieri in terre ostili. Hanno passato al microscopio qualsiasi parola e atto del governo russo, pronti a accusarlo di regressione verso il passato sovietico. Nel clima della lotta al terrorismo hanno accerchiato con basi militari i confini europei e asiatici della Russia. E infine hanno alimentato con entusiasmo qualsiasi fremito di rivalsa nei confronti di Mosca da parte di polacchi, cechi, slovacchi, ungheresi.
    A quale scopo? Innanzitutto per tenere nei ranghi lo sconfitto del 1989. E il passo falso del piccolo presidente della Georgia ha reso evidente quanto la partita con la Russia sia prioritaria sull'agenda di Washington. Giacché vero è che l'Urss si è dissolta e l'esperimento sovietico è divenuto una bestemmia impronunciabile ma per l'appunto il suo apparato strategico-militare, pur obsoleto, è ancora là dove nei primi anni cinquanta la leadership dell'epoca ne aveva avviato il potenziamento, e i suoi successori avevano continuato a rafforzarlo sino alla corsa al riarmo degli anni ottanta. Corsa persa ma da secondo giocatore, il che in termini strategico-militari conta. Dall'arrivo di Putin al Cremlino l'esistenza dell'apparato strategico-militare russo ha impegnato l'attività del governo di Washington molto più del successo economico-finanziario della Cina, e del corteggiamento dell'India e degli altri ex clientes della Mosca sovietica.
    La politica di potenza è tornata visibilissima non appena la strategia di Putin - la Russia come stato-nazione e potenza strategico-militare - è passata dal livello di dichiarazioni pubbliche a fatti concreti come i carri armati in Georgia. E' una strategia che gli americani hanno a lungo dubitato si realizzasse, anche se comunque si erano mossi per contrastarla. Con covert actions sostenendo le «rivoluzioni colorate» come in Ucraina, e con una campagna mediatica di successo per cui l'opinione pubblica americana e europea è persuasa che Putin sia «il suo» avversario e la Russia sta dall'altra parte della barricata. La demonizzazione di Putin ha quasi del grottesco. Si è passati dalla sua legittimazione sentimentale del povero Bush che «gli aveva scrutato l'anima» e gli era tanto piaciuta alla rappresentazione corrente di gelida ex spia ostile all'Occidente. Guai a prenderlo in considerazione per quello che è, un leader politico che è stato in grado di restituire al suo paese il rispetto del mondo.
    Insomma dobbiamo tornare a dividerci tra chi sta per Mosca e chi per Washington. Ma la divisione non ha basi ideologiche, il capitalismo finanziario esiste in ambedue i paesi, e così anche un sistema politico-elettorale che è molto simile pur patendo per falle diverse. E allora? Perché noi europei dovremmo scegliere tra due politiche di potenza e identificarci nell'una e avversare l'altra?
    A noi europei conviene avere una nostra strategia e impostare non da clientes il rapporto con il prossimo presidente degli Stati uniti. Magari suggerendogli di non reinfilarsi in una corsa al riarmo costringendo la Russia a fare altrettanto mentre la Cina e l'India e l'America latina prendono le distanze dalle vecchie potenze testone.
    www.contropiano.org

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    Citazione Originariamente Scritto da Muntzer Visualizza Messaggio
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    Conflitto nel Caucaso: una critica alle posizioni della “sinistra alternativa” italiana
    di Mauro Gemma *
    Poche volte nel corso del 2008, come in occasione della recente guerra che ha sconvolto, lo scorso agosto, la regione del Caucaso, abbiamo assistito allo scatenamento di un vero e proprio bombardamento mediatico, che ha coinvolto l’intero apparato dell’informazione e dei commentatori politici del nostro paese (anche se con alcune lodevoli eccezioni nella stessa “stampa di regime”, come quelle di Lucio Caracciolo, Sergio Romano e Boris Biancheri, per non parlare dei coraggiosi e documentati contributi di voci “fuori dal coro” come quelle di Manlio Dinucci e Giulietto Chiesa), tendente ad affermare la tesi, secondo cui la pronta (e per molti, inaspettata) e vittoriosa risposta della Russia all’ennesima provocazione alle sue frontiere altro non rappresenterebbe che una tra le tante manifestazioni della “volontà imperiale” dell’attuale gruppo di “nuovi zar” al potere a Mosca.
    A questo cliché non è sembrato sottrarsi neppure gran parte del dibattito apertosi sulle pagine di Liberazione, dopo la pubblicazione (http://www.liberazione.it/a_giornale...ubb=30/08/2008) di un contributo di Fosco Giannini che sottolineava “come il modo con cui la Russia ha saputo fronteggiare la crisi caucasica abbia rappresentato non un semplice episodio dello scontro tra potenze per i reciproci interessi espansionistici, ma una manifestazione di resistenza vittoriosa da parte di una grande potenza alle pretese egemoniche globali dell’imperialismo USA”, proponeva come chiave di lettura quella oggi fornita “dai settori più consapevoli del fronte antimperialista mondiale (Cuba e Venezuela, in primo luogo)” e si rammaricava del fatto “che tale consapevolezza ritardi tanto a farsi strada anche tra la sinistra alternativa del nostro paese”.
    E’ sorprendente come la ricostruzione dei fatti che hanno portato al precipitare della crisi nel Caucaso, operata dai diversi esponenti del PRC intervenuti, non si discosti molto da quella fornita dalla grande maggioranza dei media occidentali. In praticamente tutti gli interventi (caratterizzati sostanzialmente dalla tesi, francamente paradossale, secondo cui l’attacco di Saakashvili e dei suoi consiglieri della NATO e di Israele avrebbe fornito ai russi il pretesto che essi aspettavano, per permettere loro per dare corso ai propri piani espansionistici, aventi come obiettivo il pieno controllo delle risorse e dei flussi energetici della regione) si è evitato accuratamente di dare conto della scalata di provocazioni a cui la Russia di Putin (sottrattasi al periodo di “vassallaggio” coloniale nei confronti delle potenze imperialiste occidentali che aveva caratterizzato la precedente amministrazione Eltsin) è stata sottoposta negli ultimi anni, trasformandola in un paese assediato, alle prese con il rischio di esplosione della Confederazione degli Stati Indipendenti (che ha sostituito l’Unione Sovietica) e con le insidie per la sua integrità territoriale (in ragione del massiccio sostegno esterno a tutte le spinte separatiste nella stessa Federazione Russa).
    I dirigenti di Rifondazione, o ad essa vicini, intervenuti nel dibattito, anche quelli (Mascia, Musacchio, Agnoletto), che pure dovrebbero esserne a conoscenza in ragione delle loro specifiche competenze di dirigenti della “Sinistra Europea” e di parlamentari europei, non sembrano attribuire alcun peso a una ponderosa documentazione ampiamente disponibile (perlomeno agli addetti ai lavori) che dà minuziosamente conto della infinita sequela di interferenze imperialiste, che si inquadrano in una precisa strategia che mira apertamente alla destabilizzazione della situazione politica in Russia. Una vera e propria scalata di sfacciate provocazioni, all’interno e alle frontiere della Federazione Russa, un vero e proprio assedio di installazioni militari USA, anche nelle repubbliche ex sovietiche confinanti assoggettate a suon di “colpi di stato”, che ha avuto il suo apice nella realizzazione dello scudo missilistico in Europa orientale (“benedetto” anche dai governi dell’Unione Europea, compreso quello di centro-sinistra, di cui il PRC ha fatto parte fino a pochi mesi fa).
    Gli echi delle posizioni apparse nell’organo del PRC (anche se sarebbe meglio dire l’organo della corrente bertinottiana del PRC) si avvertono nell’appello firmato da un folto gruppo di dirigenti della sinistra italiana, in vista della mobilitazione dell’11 ottobre, in cui nella sostanza, accreditando la tesi della “sindrome da grande potenza della Russia”, da contrastare esattamente alla stessa stregua delle pulsioni egemoniste degli USA, si mette sullo stesso piano aggressore e aggredito. Di più: è la prima volta che, in un appello così importante che dovrebbe coinvolgere i due partiti comunisti, appare un esplicito invito alla mobilitazione contro la Russia. Non era mai successo, se non nelle prese di posizione di "movimenti" suscitati da organismi come la "Tavola della pace", ecc. E' la sciagurata tesi della equa ripartizione delle responsabilità tra l'imperialismo aggressore e la Russia che sta subendo da anni l'accerchiamento imperialista. E non è bastato. All’ultimo Comitato Politico Nazionale del PRC del 13 settembre, che è avvenuto in coincidenza temporale con l’acuirsi dello scontro tra le esperienze rivoluzionarie dell’America Latina e l’imperialismo USA, non solo ci si è disinvoltamente dimenticati di solidarizzare con Chavez, Morales e le rivoluzioni latinoamericane, oggetto di un attacco senza precedenti che si propone la “restaurazione” nel “cortile di casa” di Washington attraverso il ricorso a soluzioni di tipo “cileno” e all’uso spregiudicato di fedeli alleati dell’amministrazione Bush come la Colombia del fascista Uribe, ma, per iniziativa della componente bertinottiana, si è anche scatenata una vera e propria offensiva (a cui il resto del PRC sembra non essere in grado di rispondere con solidi argomenti che valorizzino la natura di forza antimperialista del partito, capace di schierarsi senza esitazioni a fianco delle ragioni dei movimenti di liberazione di tutto il pianeta), per costringere alla mobilitazione contro la Russia, condannandone “l’aggressione della Georgia”, con un sostanziale allineamento alle posizioni della “sinistra filo-imperialista” italiana, targata PD.
    E’ perlomeno sconcertante verificare come dalla maggior parte dei dirigenti della sinistra italiana non si sia levata la condanna senza tentennamenti del genocidio provocato dai georgiani, ridotto appunto al rango di una scaramuccia che avrebbe fornito l’alibi per la “ingiustificata” reazione aggressiva dei russi. Negli interventi riportati da “Liberazione” non troviamo infatti traccia di un riferimento indignato al massacro di migliaia di innocenti in Ossezia del Sud. Persino l’utilizzo da parte dei georgiani delle micidiali bombe a frammentazione, ricevute in dotazione da Israele, testimoniato da organizzazioni umanitarie e osservatori più che attendibili, viene attribuito all’esercito russo (come fa Vittorio Agnoletto in Liberazione del 2 settembre). Non una parola viene detta sulla presenza, a fianco dei militari di Tbilisi, di consiglieri americani, di volontari fascisti provenienti da altri paesi, a cominciare da quelli ucraini delle formazioni nostalgiche del collaborazionismo con Hitler. Non si trova un solo riferimento alla presa di posizione del PC ceco-moravo (principale protagonista politico della grande mobilitazione contro lo scudo missilistico in funzione anti-russa) che chiede, raccogliendo un appello internazionale, l’istituzione di un tribunale per giudicare Saakashvili. Non un accenno alla posizione dei comunisti russi e georgiani che, fin dall’inizio hanno giustificato e appoggiato senza esitazioni la reazione del governo russo. E neppure alla lettera aperta inviata dai comunisti russi alle sinistre di tutto il mondo, perché respingano la gigantesca campagna informativa occidentale sul conflitto caucasico. Non un barlume di consapevolezza sul fatto che assumere acriticamente la lettura “occidentale” degli avvenimenti non può far altro che favorire, nel confronto all’interno dell’attuale gruppo dirigente russo e nel suo partito di riferimento “Russia Unita”, quei settori (che godono del sostegno dell’organizzazione dell’ imprenditoria privata e di quegli esponenti dei partiti neoliberisti spazzati via nel parlamento dalla volontà del popolo russo) che premono, in virtù di solidissimi interessi economici, per il ritorno alle pratiche “eltsiniane” di sostanziale omogeneità politica, economica e militare alle strategie di egemonia globale perseguite dall’imperialismo e che, conseguentemente, osteggiano in ogni modo la configurazione di un nuovo sistema di alleanze strategiche della Russia, a cominciare da quelle che si vanno profilando con le nazioni antimperialiste dell’America Latina e con alcuni stati del Medio Oriente, come la Siria.
    Alla maggior parte dei dirigenti della sinistra italiana, sostenitori della tesi dell’espansionismo russo sembra non interessare nulla che ad ogni provocazione dell’imperialismo i dirigenti del Cremlino avessero risposto, fino allo scatenamento dell’aggressione georgiana, con mosse difensive, privilegiando essenzialmente il terreno della manovra diplomatica e ribadendo, con ostinazione, in sintonia con altri protagonisti della scena mondiale, come Cina, India e i paesi appartenenti al movimento dei non allineati, il loro ripudio di ogni egemonismo e l’impegno per la realizzazione di un clima di “coesistenza pacifica” che favorisca il “multipolarismo”, la non ingerenza negli affari interni di ogni paese, la negazione dell’esistenza di “stati canaglia”, la denuncia della politica del “doppio standard”. Altro che politica imperiale espansionista!
    I dirigenti della sinistra “alternativa” italiana non vogliono capire che ciò che l’imperialismo non perdona alla dirigenza russa, in particolare quella più vicina a Putin, è la determinazione che essa ha dimostrato nel riportare la Russia sulla scena mondiale, nel sottrarla al rischio di essere condannata al ruolo di colonia delle potenze e delle multinazionali occidentali e destinata a subire gli stessi processi di frammentazione dell’URSS, nell’avere azzerato il pauroso deficit che aveva portato il paese sull’orlo del precipizio finanziario, nell’avere migliorato, pur in presenza ancora di grandi ingiustizie e contraddizioni sociali, il tenore di vita di milioni di cittadini. Nell’avere, soprattutto, garantito la restituzione al controllo statale di gran parte delle enormi risorse energetiche, che, con Eltsin, hanno corso il rischio di finire completamente nelle mani delle multinazionali occidentali. Sono fatti che nessuno può contestare credibilmente, ma che, in particolare da parte dei dirigenti di Rifondazione, si continua tenacemente ad ignorare, preferendo attenersi ai cliché della peggiore propaganda anti-russa (quella, tanto per intenderci, dei radicali, degli ex “sessantottini” francesi teorici dell’ “imperialismo democratico”, di certi giornali moscoviti copiosamente finanziati dalle istituzioni del governo USA e di intellettuali russi di casa in Occidente che, ai tempi del secondo golpe di Eltsin nel 1993, non ebbero dubbi a sostenere il massacro di centinaia di difensori del parlamento russo) che tende a presentare lo scontro in atto, come una sorta di lotta all’ultimo sangue tra il modello delle “democrazie occidentali” (ritenuto, al di là delle critiche di rito, comunque “superiore”) e la “barbarie” di un regime autocratico che starebbe violando i diritti umani. Fino ad assumere toni di pregiudizio persino nei confronti dei cittadini russi, a volte con veri e propri accenti razzisti, quasi rappresentassero essi stessi (in ragione del consenso plebiscitario manifestato nei confronti dell’attuale leadership) un popolo “geneticamente autoritario”.
    Non ci si sottrae certo all’impressione di trovarsi di fronte ad una drammatica accelerazione della deriva delle scelte di politica internazionale della “sinistra alternativa” italiana (che già aveva dato la peggior prova di sé nella condivisione delle scelte del governo di centro-sinistra, che si posizionavano tutte nel contesto dell’allineamento alle strategie politiche e militari dell’imperialismo occidentale), di fronte a cui, disgraziatamente, la risposta delle forze più conseguentemente antimperialiste del nostro paese (peraltro disperse e spesso attraversate da incomprensibili contrapposizioni e incomprensioni) stenta a farsi sentire e corre seriamente il rischio di ridursi ad una innocua “puntura di spillo”.


    * Il presente articolo è stato scritto per “Gramsci oggi”

    ARDITI NON GENDARMI

    A mio avviso è un articolo assolutamente condivisibile ed equilibrato.

 

 

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