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    Predefinito Un miracolo potrebbe portare Giovanni Paolo I all'onore degli altari

    "Io, salvato da Papa Luciani". Ecco il miracolo che lo farà beato

    di Andrea Tornielli




    Roma - La beatificazione di Giovanni Paolo I, il «Papa del sorriso» che regnò per appena 33 giorni morendo improvvisamente nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1978, è più vicina. Si sta infatti per concludere il processo diocesano sul presunto miracolo attribuito all’intercessione di Albino Luciani. Già da due anni si sapeva dell’esistenza di questa guarigione, ma il nome del protagonista era rimasto segreto. Ora a svelarlo è il mensile 30Giorni, diretto da Giulio Andreotti. Si tratta di Giuseppe Denora, ex commesso di banca, oggi sessantenne, residente ad Altamura. L’uomo vide Papa Luciani a Roma il 3 settembre 1978, all’Angelus: «Dissi a mia moglie: “Questo qui si vede proprio che è una bella persona”. Mi rimase impresso. Un uomo leale».

    Denora, nel 1990, si ritrova sulla scrivania dell’ufficio un ritaglio di giornale con la foto di Giovanni Paolo I. «Lo presi – ha raccontato il presunto miracolato a 30Giorni – ne feci fare un ingrandimento e me lo misi in camera da letto, lì, tra la finestra e l’armadio, che guarda verso il letto dalla mia parte. E lì è rimasto… Devo essere sincero, non l’ho pregato come si fa coi grandi santi, non mi sono rivolto a lui come a un grande santo… No, io ci parlavo da uomo a uomo».
    All’inizio del 1992, quando lui aveva 44 anni e la più piccola dei suoi figli appena quattro, l’uomo comincia a star male. «Andai dal medico qui ad Altamura. Mi fece fare una gastroscopia. Mi disse: “Qui purtroppo le cose si mettono male, molto male, vada da quest’oncologo all’ospedale di Bari”. L’oncologo mi fece fare un’altra gastroscopia. Stesso referto: “Linfoma gastrico non Hodgkin”».

    In due mesi Denora si riduce a un’ombra. «Non mangiavo più, non riuscivo quasi più ad alzarmi dal letto. Stavo steso lì, e davanti a me la foto di quest’uomo. Lo guardavo, lo mettevo a parte delle preoccupazioni e ci parlavo in silenzio, a quel modo che ho detto: “Guardami come sto combinato, a lavorare non posso più… che devo fare? E Cecilia è piccola ancora… i figli hanno bisogno”. “Io sto qui, tu però stai lassù”, gli dicevo altre volte, “tu li conosci bene a quelli lassù, quelli che stanno più in alto di te. Chiedi tu a chi sta più in alto di te che devo fare, se mi aiutano. Se mi possono aiutare. Diglielo tu”».

    La notte del 27 marzo Denora si sente bruciare dal dolore. Rivolge lo sguardo a quella foto di Papa Luciani: «Se devo morire adesso chi ci pensa al pane per questi figli…». All’improvviso «me lo vidi ai piedi del letto: un’ombra scura che si avvicinò e mi passò accanto rapida con una mano tesa; una mano, un attimo, e in quell’attimo esatto fu come se quel fuoco che avevo dentro fosse spento dall’acqua. Mi addormentai e al mattino mi risvegliai riposato, rinato».

    Il male era scomparso. «Mi alzai e andai a fare colazione, il giorno seguente tornai al lavoro. Niente, da quel momento più niente, mi sentii subito come mi trovo adesso: in pieno benessere». Rifatti gli esami clinici, i medici attestano la «remissione completa» del linfoma. Da un momento all’altro era guarito. L’uomo non dice niente, neanche ai parenti. Solo la moglie sa di quell’ombra, di quella presenza di Giovanni Paolo I. Nel giugno 1992, tre mesi più tardi «andai con lei a Roma. Scesi sotto la Basilica di San Pietro e vicino alla tomba del papa Luciani ci misi un bigliettino: “Sono Giuseppe, sono venuto per ringraziare”. E da allora ogni anno così ho fatto».

    Solo nel 2003, Denora scrive una lettera di ringraziamento e la manda al paese natale di Papa Luciani, Canale d’Agordo. Da lì si mette in moto l’iter per il riconoscimento del miracolo. La fase diocesana è ormai conclusa e presto le carte verranno spedite a Roma per essere vagliate dalla Congregazione delle cause dei santi. «Io non lo so, non lo so come gliel’ho strappato questo favore – ha detto Denora nell’intervista –. Meriti, certo no. Forse il modo in cui gliel’ho chiesto… non lo so. E anche adesso mi chiedo: perché, perché è venuto fino quaggiù, proprio da me…».

    Fonte: Il Giornale, 27.9.2008

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    Predefinito

    GIOVANNI PAOLO I

    Grazie, papa Luciani


    Un caso di guarigione per l’intercessione di Albino Luciani che sarà sottoposto alla verifica della Congregazione delle Cause dei santi. A ottobre la chiusura dell’inchiesta diocesana

    di Stefania Falasca

    Giuseppe Denora


    Giusto il tempo per un caffè al bar e poi in pescheria per la spesa. Come ogni giorno, adesso che è in pensione. A casa ci arriviamo passando sopra millenni di storia. Strette stradine di pietra bianca che parlano ancora di greci e di mori, del nobile passato d’Altamura fatto d’indipendenza e di fiere battaglie. Ma quella di Giuseppe è un’altra storia, della più ordinaria quotidianità. La casa, la famiglia, i nipoti, la strada del suo tranquillo andare e della quale parla con riserbo, quasi montanaro.
    Giuseppe Denora, sessantenne altamurano, ex commesso di banca, è il beneficiario dell’intercessione di papa Luciani. Sedici anni fa guarì da un tumore maligno allo stomaco. Una guarigione repentina, completa e duratura, tanto che per il suo caso è stata aperta l’inchiesta per l’accertamento del fatto prodigioso che ora dovrà essere studiato dalla Congregazione delle Cause dei santi. Di quel fatto accaduto nel 1992 è la prima volta che parla, solo adesso che il processo avviato dal Tribunale ecclesiastico diocesano di Altamura sta per chiudere ufficialmente i battenti. «Siamo una famiglia come tante», taglia corto mentre apre il portone di casa. «Del papa Luciani ho un ritaglio di giornale con la sua fotografia. Anzi due. Uno è giù in garage… Se ci tiene, glielo mostro». Ed è così che inizia il suo racconto. Senza fronzoli, dal garage di casa. «Ecco vede, è là. C’è anche la data: 1978, 3 settembre 1978. In quei giorni mi trovavo con mia moglie alle terme di Chianciano. La domenica del 3 settembre decidemmo di fare una visita a Roma, così capitammo in piazza San Pietro all’ora dell’Angelus del nuovo Papa. Papa Luciani si affacciò e lo guardammo parlare. Dissi a mia moglie: “Questo qui si vede proprio che è una bella persona”. Mi rimase impresso. Un uomo leale. Di ritorno presi una copia del quotidiano Avvenire con la sua fotografia e me la portai a casa. Ci feci anche la cornice… Quella lì». E poi? «Beh, morì presto…». Lei, invece, cosa fece negli anni? «Il lavoro, i conti da far quadrare, i tre figli da crescere… sono sposato da trentasette anni e in banca ho lavorato fino al duemila… insomma, le cose e i sacrifici di ogni giorno». E l’altra foto? «No. Quella è di sopra. Venga su. Ecco, vede, è con la mozzetta rossa e la stola, una delle prime foto da papa… non è tra quelle più note e neanche tra quelle più belle. Anche questa qui viene da un ritaglio di giornale. Un pezzetto di giornale piccolo come un biglietto da visita che mi ritrovai non so come sulla scrivania dell’ufficio nel 1990. Chi ce l’avesse messo, come fosse capitato lì non lo so. A quel tempo non si sentiva più parlare di questo Papa. Io me lo presi, ne feci fare un ingrandimento e me lo misi in camera da letto, lì, tra la finestra e l’armadio, che guarda verso il letto dalla mia parte. E lì è rimasto… Non perché abbia qualche mania per le cose religiose». Lo ha fatto per un gesto di devozione? «L’ho fatto e basta. S’era fatto trovare in modo discreto, come una persona vicina, leale. E anche dopo, quando sono caduto in malattia, a lui, che mi stava lì davanti, guardavo. Ma io devo essere sincero, non l’ho pregato come si fa coi grandi santi, non mi sono rivolto a lui come a un grande santo… No, io ci parlavo da uomo a uomo».

    Papa Giovanni Paolo I

    Quando ha cominciato a stare male? «All’inizio del 1992. Andai dal medico qui ad Altamura. Mi fece fare una gastroscopia. Mi disse: “Qui purtroppo le cose si mettono male, molto male, vada da quest’oncologo all’ospedale di Bari”. L’oncologo mi fece fare un’altra gastroscopia. Stesso referto: “Linfoma gastrico non Hodgkin”. Me ne tornai a casa e iniziai la chemioterapia». Non la operarono? «No». A quel tempo lei aveva quarantaquattro anni… «Sì, quarantaquattro appena compiuti e mia figlia più piccola ne aveva solo quattro. In due mesi m’ero ridotto a un’ombra. Non mangiavo più, non riuscivo quasi più ad alzarmi dal letto. Stavo steso lì, e davanti a me la foto di quest’uomo. Lo guardavo, lo mettevo a parte delle preoccupazioni e ci parlavo in silenzio, a quel modo che ho detto: “Guardami come sto combinato, a lavorare non posso più… che devo fare? E Cecilia è piccola ancora… i figli hanno bisogno”. “Io sto qui, tu però stai lassù”, gli dicevo altre volte, “tu li conosci bene a quelli lassù, quelli che stanno più in alto di te. Chiedi tu a chi sta più in alto di te che devo fare, se mi aiutano. Se mi possono aiutare. Diglielo tu”. La notte del 27 marzo mi sentivo proprio morire dai dolori. Nello stomaco un falò, tanto mi sentivo bruciare. E mi bruciava dentro anche il dolore di dover lasciare la famiglia. Lo guardai e gli dissi ancora: “Se devo morire adesso chi ci pensa al pane per questi figli…”. La stanza, quella notte, era rischiarata come sempre dai lampioni della strada… me lo vidi ai piedi del letto: un’ombra scura che si avvicinò e mi passò accanto rapida con una mano tesa; una mano, un attimo, e in quell’attimo esatto fu come se quel fuoco che avevo dentro fosse spento dall’acqua. Mi addormentai e al mattino mi risvegliai riposato, rinato. Al risveglio sentii mia moglie che mi chiamava scuotendomi un poco: “Peppe, Peppe hai la febbre?”. Io mi alzai e andai a fare colazione, il giorno seguente tornai al lavoro. Niente, da quel momento più niente, mi sentii subito come mi trovo adesso: in pieno benessere. Ecco come è stato». E rifece subito gli esami clinici? «Sì, visti i referti, i medici scrissero: “Remissione completa”». Lei non disse niente del fatto? «No. Per quale motivo dovevo andare in giro a dirlo? Vedevano che mi ero ripreso, basta». Neanche ai suoi familiari? «A mia moglie sì, certo, lei sapeva. Nel mese di giugno, tre mesi più tardi, andai con lei a Roma. Scesi sotto la Basilica di San Pietro e vicino alla tomba del papa Luciani ci misi un bigliettino: “Sono Giuseppe, sono venuto per ringraziare”. E da allora ogni anno così ho fatto. Nel 2003 era il venticinquesimo della sua elezione e una lettera di ringraziamento la mandai anche alla chiesa del suo paese natale. Ma da quella lettera lì poi partì tutto questo iter che mai avrei pensato». A Canale d’Agordo ci è andato? «Ci sono andato per la prima volta due anni fa, nel 2006. Mi fermai una settimana. E per la prima volta lassù mi è passata tra le mani la vita di quest’uomo che è diventato papa e anche la dignità di questa famiglia nelle prove sofferte per andare avanti… Ho visto la casa dove è nato, ho conosciuto una nipote, il fratello Berto». E il fratello del Papa che cosa le disse? «Mi disse: “Sono contento che stai bene”».
    Senta, io non lo so, non lo so come gliel’ho strappato questo favore. Meriti, certo no. Forse il modo in cui gliel’ho chiesto… non lo so. E anche adesso mi chiedo: perché, perché è venuto fino quaggiù, proprio da me…». Al ritorno verso casa, prima di andare via, entra in una panetteria e riesce con un pacco di tarallucci. «Assaggi quanto sono buoni, sono al vino bianco… se li porti a Roma. Una cosa però le voglio ancora dire: non scriva cose che non ho detto. La gente si sa com’è, si mette in testa chissà che cosa, anche riguardo a noi… gli straordinari invece io li ho fatti, sì, ma solo al lavoro».

    Fonte: 30 Giorni, 2008, Agosto

  3. #3
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    Predefinito

    L’iter di accertamento di un presunto miracolo nelle cause di canonizzazione

    di Stefania Falasca

    Papa Giovanni Paolo I


    L’inchiesta diocesana per il presunto miracolo attribuito all’intercessione di Albino Luciani – papa Giovanni Paolo I – si chiuderà entro la fine del mese di ottobre. La sessione di chiusura si svolgerà ad Altamura in provincia di Bari e sarà presieduta da monsignor Mario Paciello, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, diocesi in cui si è verificata la prodigiosa guarigione. Vi parteciperanno i membri del Tribunale ecclesiastico insieme al salesiano don Enrico dal Covolo, postulatore della causa di canonizzazione di Giovanni Paolo I. Alla conclusione del processo diocesano i relativi atti saranno trasferiti a Roma presso la Congregazione delle Cause dei santi, la quale anzitutto è chiamata a dare validità canonica agli atti stessi, riconoscendone il corretto svolgimento. Sulla base di questi atti, riconosciuti e sanciti dal Decretum sulla validità giuridica, si aprirà quindi la seconda e complessa fase romana del processo. Il caso di guarigione di Giuseppe Denora pervenne alla postulazione nel 2003, tra le tante lettere in cui si raccontano le grazie ricevute per intercessione di Giovanni Paolo I. Fu considerato degno di attenzione in quanto presentava elementi validi per poter istruire un processo. Effettuate così le debite indagini preliminari e valutata la documentazione clinica fornita, l’inchiesta sul caso venne aperta il 14 maggio 2007. Ma si dovrà attendere la verifica e la conclusione dell’intero iter processuale per poterlo considerare a tutti gli effetti un miracolo. Solo quando, discusse e vagliate tutte le prove acquisite nell’inchiesta diocesana riguardanti sia il fatto prodigioso in sé stesso, sia l’attribuzione di quel fatto all’intercessione del servo di Dio Albino Luciani, la Congregazione delle Cause dei santi lo avrà accertato e, con un atto giuridico sancito dal Papa, lo riconoscerà definitivamente come vero e proprio miracolo.
    È dunque doveroso ricordare che cosa s’intende per miracolo, chiarire quale importanza riveste nelle cause di canonizzazione e come si svolge l’iter processuale per il suo riconoscimento.

    Che cos’è un miracolo

    Nella Summa theologiae san Tommaso definisce miracolo «ciò che è fatto da Dio fuori dell’ordine della natura». Si considera quindi miracolo un fatto che supera le forze della natura, che può essere operato da Dio per intercessione di un servo di Dio o di un beato. Le modalità di un miracolo vengono così qualificate: il miracolo può superare le capacità della natura o quanto alla sostanza del fatto o quanto al soggetto, o solo quanto al modo di prodursi.

    La necessità dei miracoli nelle cause di canonizzazione

    Senza l’approvazione di miracoli accaduti per intercessione di un candidato agli onori degli altari non si può portare a conclusione una canonizzazione. Al riconoscimento di un miracolo è vincolata la beatificazione di un servo di Dio non martire e la canonizzazione di un beato. Attualmente, infatti, per la beatificazione di un servo di Dio non martire la Chiesa chiede un miracolo, per la canonizzazione (anche di un martire) ne chiede un altro. Solo i presunti miracoli attribuiti all’intercessione di un servo di Dio o di un beato post mortem possono essere oggetto di verifica. Nel corso dei secoli la loro verifica e il loro riconoscimento da parte della Chiesa hanno sempre avuto una rilevanza centrale. Fin dai primi secoli, quando i vescovi si trovavano a dover concedere il culto per un non martire, prima di vagliare l’excellentia vitae e delle virtù, consideravano le prove dell’excellentia signorum perché i miracoli, in quanto opera solo di Dio, dono gratuito di Dio, segno certissimo della rivelazione, destinato a suscitare e rafforzare la nostra fede, sono anche una conferma della santità della persona invocata. In una causa di canonizzazione pertanto rappresentano una sanzione divina a un giudizio umano e il loro riconoscimento consente di dare con sicurezza la concessione del culto. Per la verifica dei miracoli viene quindi aperta l’inchiesta, vero e proprio processo, che è condotta separatamente da quella sulle virtù o sul martirio.

    Papa Giovanni Paolo I

    Come si svolge l’iter giuridico di accertamento


    L’iter processuale per il riconoscimento di un miracolo avviene secondo le normative stabilite nell’83 dalla costituzione apostolica Divinus perfectionis Magister. La legislazione stabilisce due momenti procedurali: quello diocesano e quello della Congregazione delle Cause dei santi, detto romano. Il primo si svolge nell’ambito della diocesi dove è accaduto il fatto prodigioso. Il vescovo apre l’istruttoria sul presunto miracolo nella quale vengono raccolte sia le deposizioni dei testi oculari interrogati da un tribunale debitamente costituito, sia la completa documentazione clinica e strumentale inerente al caso. Nel secondo momento, che si apre dopo la chiusura dell’inchiesta diocesana, la Congregazione esamina l’insieme degli atti pervenuti e le eventuali documentazioni suppletive, pronunciando il giudizio di merito.
    Una volta trasmesso alla Congregazione, il materiale raccolto nelle diocesi viene quindi sottoposto agli accertamenti e il suo esame è duplice: medico e teologico. L’esame medico è condotto da una commissione, la Consulta medica, un organo collegiale costituito da cinque specialisti più due periti d’ufficio. Gli specialisti che ne fanno parte variano a seconda dei casi clinici presentati e non è esclusa la richiesta di consulenze o eventuali convocazioni di altri periti e specialisti. Il loro giudizio è di carattere prettamente scientifico, non si pronunciano in merito al miracolo. L’esame e la discussione finale della Consulta medica si concludono stabilendo esattamente la diagnosi della malattia, la prognosi, la terapia e la sua soluzione. La guarigione, per essere ritenuta oggetto di un possibile miracolo, deve essere giudicata dagli specialisti come rapida, completa, duratura e inspiegabile secondo le attuali cognizioni medico-scientifiche. Se nel corso dell’esame si presentano perplessità, la Consulta sospende la valutazione e chiede altre perizie e documentazioni. Solo dopo che la Consulta medica arriva a esprimere a maggioranza o unanimità voto favorevole per la extranaturalità della guarigione l’esame passa alla Consulta dei teologi. I consultori teologi, partendo dalle conclusioni della Consulta medica, sono chiamati a individuare il nesso di causalità tra le preghiere al servo di Dio e la guarigione ed esprimono il parere se il fatto prodigioso è un vero miracolo. Quando anche i teologi hanno espresso e redatto il loro voto, la valutazione viene sottoposta alla Congregazione ordinaria dei vescovi e dei cardinali, i quali discutono tutti gli elementi del miracolo, ciascun componente dà quindi il proprio giudizio da sottoporre all’approvazione del Papa, il quale determina il miracolo; e dispone poi di promulgarne il decreto. Il decreto è perciò l’ultimo atto che chiude il cammino giuridico dell’accertamento di un miracolo. È l’atto giuridico della Congregazione delle Cause dei santi, sancito dal Papa, con cui un fatto prodigioso viene definitivamente riconosciuto come vero e proprio miracolo.

    Fonte: 30 Giorni, 2008, Agosto

  4. #4
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    La causa del servo di Dio Albino Luciani

    di Stefania Falasca


    La causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo I si è solennemente aperta il 23 novembre 2003 nella Cattedrale di Belluno. L’inchiesta diocesana del processo sulle virtù si è conclusa il 10 novembre 2006. Nel corso dell’inchiesta sono state raccolte tutte le prove testamentali e documentarie. In 203 sessioni sono stati 170 i testimoni escussi nelle sedi episcopali di Belluno, Vittorio Veneto, Venezia e Roma. Il 27 giugno scorso è stato firmato dalla Congregazione delle Cause dei santi il decreto di validità formale degli atti dell’inchiesta diocesana ed è stato nominato relatore della causa il padre Cristoforo Bove. Si è dunque aperta la fase romana della causa. In questa seconda fase, sulla base degli atti riconosciuti e sanciti dal decreto di validità, verrà preparata la Positio super virtutibus che dovrà dimostrare l’eroicità delle virtù, nonché la fama di santità del servo di Dio. Al completamento della Positio seguiranno due livelli di esame, una da parte del Congresso peculiare dei consultori teologi e una da parte della Congregazione ordinaria dei vescovi e cardinali. La promulgazione del decreto sulle virtù costituirà l’atto giuridico conclusivo dell’iter dell’accertamento sulle virtù eroiche.

    Fonte: 30 Giorni, 2008, Agosto

  5. #5
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    Question

    caro Augustinus, scusami la domanda, forse impertinente ma, visti vari e particolari sviluppi della tua teoria (quella d Montini-antipapa) vorrei chiederti cosa ne pensi di Giovanni paolo I e se secondo te ha agito in continuità o no ripsetto al suo predecessore.

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da uva bianca Visualizza Messaggio
    caro Augustinus, scusami la domanda, forse impertinente ma, visti vari e particolari sviluppi della tua teoria (quella d Montini-antipapa) vorrei chiederti cosa ne pensi di Giovanni paolo I e se secondo te ha agito in continuità o no ripsetto al suo predecessore.
    A parte che Giovanni Paolo I è durato troppo poco per poter esprimere un giudizio sul suo pontificato. In ogni caso, io non ho posto questioni dottrinali, ma canoniche, ben diverse.
    E comunque la domanda è OT.

 

 

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